L’economia dello Sciame, Un futuro distopico non è inevitabile

Di Zacqary Adam Green – 12 febbraio 2012

Mentre persiste la crisi della disoccupazione nelle nazioni sviluppate cresce un sentimento di colpevolizzazione della tecnologia. Non è semplicemente un contraccolpo luddista contro il progresso, ma il timore, tra i fautori della tecnologia, che possano realizzarsi le cupe predizioni del cinema cyberpunk. Non deve essere necessariamente così.

Si può discutere quanto del progresso tecnologico sia da biasimare per l’attuale crisi della disoccupazione, ma sicuramente alla fine diverrà un tema centrale. L’ingegnere informatico Jon Evans ha sintetizzato bene il problema:

Gli Stati Uniti, l’Europa e il Giappone sembrano tutti barcollare senza sosta di crisi in crisi; la maggior parte del mondo sviluppato lotta contro livelli debilitanti di disoccupazione ma, al tempo stesso, il mondo tecnologico sta esplodendo come fosse il 1999. Non sembra un po’ strano?

Comincia a sembrare che possiamo essere entrati in un’economia a doppio binario, in cui una piccola minoranza raccoglie la maggior parte dei benefici di una tecnologia che distrugge più posti di lavoro di quanti ne crei. Come dice il mio amico Simon Law: “Prima abbiamo automatizzato il lavoro servile, ora automatizziamo il lavoro della classe media. Sfortunatamente abbiamo ancora necessità che le persone abbiano un lavoro una volta diventate adulte. Questa tendenza finirà per diventare un grosso problema …”

Il problema è, naturalmente, la disuguaglianza di reddito. In questo futuro plausibile (di nuovo, l’eliminazione dei posti di lavoro ad opera delle macchine non è certamente la spiegazione completa) gli addetti a progettare e a provvedere alla manutenzione dei sistemi automatici saranno gli unici con posti di lavoro ben remunerati (o essenziali). Ma ci sono al mondo sette miliardi di persone ed è arduo sostenere che saranno disponibili sette miliardi di posti di lavoro di questo genere. Quelli non abbastanza fortunati da occupare una delle poche posizioni cruciali di progettazione saranno lasciati a svolgere qualsiasi lavoro servile che non sia stato ancora automatizzato.

Quale vergogna! Dopotutto il vero senso dello sviluppare la tecnologia non è di rendere le cose più agevoli per gli esseri umani? Infatti, come sostiene il Capitalismo ++ “la disoccupazione spesso crea le più grandi svolte della storia umana. Non dovremmo perseguire la piena occupazione; dovremmo perseguire la piena disoccupazione.[Grassetto nell’originale] . La disoccupazione mette a disposizione molto tempo libero che, al minimo, potremmo dedicare allo svago e, al meglio, potrebbe essere incanalato alla creatività e alla realizzazione di idee. E dunque che vergogna che la tecnologia sembri pronta non a liberare dal lavoro miliardi di persone, bensì a tagliare completamente o a ridurre drasticamente i mezzi perché si sostengano!

Tali orribili livelli di disuguaglianza sono un’ingiustizia; masse di persone costrette a lottare per sopravvivere perché non sono sufficientemente fortunate da strappare una delle poche occupazioni di vertice. Persino in una meritocrazia perfetta ed equa, in cui tutti i vincitori siano davvero i più qualificati, i perdenti non meriterebbero certo il loro destino.

Di certo nessuno si schiererebbe a favore di ciò. I disaffrancati si solleverebbero e si batterebbero per la loro dignità, non è vero? Jon Evan non ne è così sicuro:

Viene anche suggerito che la disuguaglianza possa causare tumulti e violenze nel mondo occidentale. Non scommetteteci. Vero, la disuguaglianza ha provocato il movimento Occupy e, in misura minore, il Tea Party; ma ho una certa esperienza e fidatevi: il mondo è pieno di nazioni con una minoranza minuscolo di ricchissimi, un’élite appena un po’ più allargata che se la passa bene, un limitata classe media e una gran maggioranza di persone che, a diversi livelli, è povera e in lotta per tirare avanti. Brasile, Cina, India e Russia, per esempio, per citare un famoso quartetto. Non c’è nulla di insolito o di intrinsecamente instabile a proposito di tale genere di disuguaglianza. In effetti è la norma nella maggior parte del mondo.

Forse la disuguaglianza non è intrinsecamente instabile. Forse una sollevazione e una lotta di massa per la giustizia non sono inevitabili. Ma, di nuovo, come attesta il commento di Evans nel paragrafo a proposito dei movimenti Occupy e Tea Party, la disuguaglianza non è neppure stabile e una sollevazione di massa non è impossibile. La distopia cupa, diseguale, di genere cyberpunk che Evans ritiene si stia approssimando è solo uno dei futuri possibili e dipende da noi fare qualcosa per fermarla.

Non dimentichiamo che il risparmio di manodopera non è la sola cosa che la tecnologia produce. Ad esempio costruire robot elimina la necessità di operai umani nelle fabbriche; può eliminare anche la necessità delle fabbriche. La condivisione di file e Internet hanno operato per sconvolgere e minacciare di portare al collasso l’industria dello spettacolo, rendendola contemporaneamente obsoleta consentendo a persone creative indipendenti di finanziare, promuovere e distribuire le proprie opere attraverso i canali peer-to-peer. L’agricoltura automatica e la tecnologia idroponica hanno tolto il lavoro ai dipendenti delle fattorie ma hanno anche aperto la possibilità di coltivazioni interne a bassa manutenzione in ogni paese e città. Questi sono solo alcuni esempi di come per ogni insieme di occupazioni distrutte dal processo tecnologico, si aprono intere nuove serie di possibilità.

In questo futuro, in cui la maggior parte del lavoro servile è automatizzato, miliardi di persone non hanno un luogo di lavoro in cui recarsi e dove ricevere istruzioni su cosa fare tutto il giorno. Hanno anche gli strumenti per fabbricare qualsiasi cosa di cui siano in grado di creare un modello al computer, di diffondere qualsiasi opera d’arte siano in grado di creare in tutto il mondo e di coltivare il cibo esattamente nelle comunità in cui vivono. Improvvisamente il campo di gioco sembra molto più equilibrato. Invece di cercare lavoro le persone possono creare il proprio.

Il progresso tecnologico può benissimo creare un futuro in cui i datori di lavoro abbiano meno cose che devono far fare ad altri. Bene. E’ ora che cada in disgrazia il paradigma di sostenersi andando a cercare qualcuno che ci dica cosa fare. Ma dobbiamo assicurarci che, una volta che non ci siano più posti di lavoro da trovare, noi disponiamo tutti degli strumenti e delle risorse necessarie accessibili per crearci il nostro lavoro. Dobbiamo far operare alla società e al nostro modo di vivere una svolta in direzione di questo obiettivo e sfidare l’idea comune che la creazione di lavoro e l’imprenditorialità sia solo per una piccola minoranza di folli, di appassionati o di ricchi. Ci si può arrivare, è fattibile, ma non arriverà da sé.

Un mondo migliore è possibile ma non è più inevitabile di un mondo peggiore. Far sì che si realizzi è il primo lavoro che dobbiamo crearci.

A proposito dell’Autore: Zacqary Adam Green

Zacqary è un regista, artista e Capo Bottintesta [Plankhead] Esecutivo di Plankhead un’organizzazione/collettivo/nave pirata di libera cultura e arti. Produce progetti assurdi con titoli tipo “Il tuo volto è un sassofono” da casa sua a Long Island, New York. Nel tempo libero è una volpe rossa di nome Xerxes.

Originale: http://falkvinge.net/2011/11/13/a-dystopian-future-is-not-inevitable/