Teoria monetaria moderna e teoria fiscale postmoderna

Teoria fiscale postmoderna

di Chris Cook , Financial Times –  24 febbraio 2012

Il testo seguente è dell’ospite Chris Cook, membro ricercatore anziano dell’Institute for Security and Resilience Studies all’University College di Londra. Il suo lavoro è concentrato su una nuova generazione di mercati collegati in rete che, secondo Chris, saranno necessariamente disintermediati, aperti, decentrati e, perciò, resilienti.

Facendo seguito all’impennata di interesse per la Teoria Monetaria Moderna (MMT) sono stato tanto imprudente da commentare che l’intuizione centrale della MMT – che la moneta a corso forzoso sia uno strumento creditizio che alla fine si basa sul potere del governo di imporre tasse – sia resa confusa da dispute su quale sia concretamente la base corretta della tassazione o, in realtà, se addirittura una tassazione debba esserci.

Il blog Alphaville del Financial Times mi ha invitato a fornire un testo sulla ‘Teoria Fiscale Moderna’ che io ho suggerito. Ma ho deciso di andare più in là e di documentare la mia idea che in un mondo di collegamenti diretti il Tesoro non è più necessario, come intermediario del credito, di quanto lo sia la Banca.

La Teoria Fiscale Postmoderna guarda all’economia collegata in rete, decentrata e disintermediata che emerge rapidamente dalle macerie dell’ottobre 2008.

Lo Zen e l’arte dell’economia

Comunque che cos’è il Valore?  Secondo J.A.Wheeler “la realtà è definita dalle domande che le si pongono.”

Secondo me il Valore è definibile soltanto in termini relativi, facendo riferimento a un’unità di misura o a un’unità di conto convenzionale. L’unità di misura convenzionale è simile a un metro come unità di misura standard di lunghezza e a un chilogrammo come unità standard di peso.

Quali sono le fonti o le basi del Valore? La mia analisi è la seguente.

Localizzazione – spazio tridimensionale:  risorsa rivale immateriale, effettivamente finita;
Energia – materiale o immateriale, statica o dinamica – un insieme di risorse rivali finite (non rinnovabili) ed effettivamente infinite (rinnovabili);
Intelletto – (i) soggettivo, ovvero quel che sta tra le due orecchie, compresa la conoscenza, le competenze, l’esperienza, l’intuizione, i contatti, il senso pratico e così via, e (ii) oggettivo: schemi o dati energetici, indipendenti dalla localizzazione, e soprattutto … risorsa infinita e non rivale.

Localizzazione, Energia e Intelletto non rivale sono beni produttivi soggetti ai diritti di proprietà e di utilizzo. Da quando la schiavitù è stata abolita, gli individui produttivi non possono essere oggetto di proprietà, ma possono sottoporsi a obbligazioni, come i debiti. Più in tema, possono contrattare l’utilizzo della loro Manodopera (energia, o Lavoro non
qualificato) e il valore d’uso dell’Intelletto soggettivo (Lavoro qualificato) con cui mettono in uso la propria energia nel modo migliore.

Ritorno al futuro

Lo strumento finanziario che sosterrà quello che Gillian Tett chiama un “Volo verso la semplicità” risale a molte centinaia se non a migliaia di anni fa. La sua stessa esistenza sostiene la causa della MMT ed è stata nebulizzata via dalla storia economica per oltre cento anni.

Per circa 500 anni i sovrani hanno finanziato le loro spese consegnando, in cambio dei valori ricevuti, un “Titolo” ai fornitori e agli investitori. Tale titolo – che assunse la forma di metà di un regolo di misura di legno (tally stick) – poteva essere restituito al ministero delle finanze in regolamento di obblighi fiscali. Non si trattava di una ricevuta di, ad esempio, oro tenuto in custodia o di un valore ricevuto; il titolo era, ed è tuttora, un pagherò o strumento creditizio (i titoli sovrani [documenti dai margini dorati] sono uno strumento creditizio datato).

La stessa espressione “tasso di ritorno” [oggi intesa generalmente come ‘redditività’ – n.d.t.] deriva dal tasso al quale il titolo può essere restituito all’emittente e tale tasso dipende all’esistenza, e dal tasso, di circolazione del valore. Creando una nuova generazione di titoli dalla circolazione di valore derivante dalla popolazione produttiva e dai beni produttivi, ad esempio il valore di rendita, o il valore energetico, possiamo rifondare completamente il credito e la moneta e consentire investimenti patrimoniali paritari diretti (“Peer to Asset”) e credito paritario diretto (“Peer to Peer”).

Come ha detto Minsky: “Qualsiasi entità economica può emettere moneta. Il vero problema è farla accettare.”

La legge è il codice

Una nuova generazione di codice legale sta ora emergendo: o, piuttosto, sta riemergendo in forma moderna un codice antico. Accordi normativi unilaterali imposti dallo “Stato di diritto” anglosassone per gestire rapporti conflittuali sono sostituiti da semplici accordi consensuali mirati a un fine comune. Questa è prassi normale a est di Suez; la battuta si
basa sul fatto che ci sono tanti lottatori di Sumo negli Stati Uniti quanti avvocati ci sono in Giappone.

Il tema e l’accettazione di una nuova generazione di Titoli o monete richiedere un tale accordo consensuale – un contesto di fiducia – all’interno del quale interagiranno i vari interessati. Uno dei risultati chiave è che gli intermediari passeranno al nuovo ruolo di fornitori di servizi.  Per gli scettici, puntualizzo innanzitutto che la disintermediazione è già in corso. Uno dei motivi dell’attuale bolla dei prezzi delle materie prime è che le banche non dispongono più del capitale per intermediare i rischi di mercato e hanno convinto investitori avversi al rischio a farlo su vasta scala. Le banche realizzano utili sostanziosi da un capitale minimo, dimostrando che la disintermediazione è effettivamente nel loro interesse finanziario.

Secondo: i P & I Clubs [Protection & Indemnity Club – Associazioni in generale mutue di assicurazione (Protezione e Indennizzo) prevalentemente nel campo dei trasporti marittimi – n.d.t.] con sede a Londra hanno a lungo assicurato mutualmente e assunto rischi in associazione che gli intermediari assicurativi non sono disponibili o non sono in grado di
assumere e per 135 anni un fornitore di servizi, la Thomas Miller, ha amministrato questi club e i relativi rischi.

Un parametro energetico

Anche se in futuro assisteremo a credito basato sulle persone e a monete basate su beni, resta il problema di quale unità convenzionale di conto debba essere utilizzata per dare un prezzo agli scambi di valore.

Una unità di energia è l’unico assoluto e allo stesso modo in cui i tappeti non sono misurati in anni luce o in unità angstrom, l’ “Unità Energetica Standard” dovrebbe essere relativa all’esperienza quotidiana, ad esempio l’equivalente energetico di 10 kilowattora. Si noti che questa unità di conto non è la stessa cosa della moneta basata sull’energia che può evolversi ed essere scambiata con riferimento al parametro.

Prevedo due grandi tendenze parallele.

La prima: soluzione dell’insostenibile debito ipotecario (basato sulla proprietà immobiliare) con il passaggio a una nuova generazione di titoli basati sui valore di rendita in uno scambio debito/capitale su vasta scala.

La seconda: transizione a un’economia sostenibile attraverso investimenti diretti in ‘Titoli energetici’ e il Grande Affare del ventunesimo secolo sarà costituito dallo scambio del valore intellettuale con il valore dell’energia risparmiata: NegaWatt e NegaBarili.

L’adozione di uno Standard Energetico conduce a nuovi calcoli che costituiscono la base di tutte le decisioni economiche. L’Economia del Dollaro diventa l’Economia dell’Energia.

Da Socialforge, un laboratorio di creazione sociale
www.socialforge.org
Originale: http://ftalphaville.ft.com/blog/2012/02/24/896381/guest-post-post-modern-fiscal-theory/
Traduzione di Giuseppe Volpe
Copyright  © 2012 Socialforge.org – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

Peer-to-Peer e Marxismo, analogie e differenze

E il dibattito ha inizio … Peer-to-Peer e Marxismo: analogie e differenze
Jean Lievens intervista Michel Bauwens

3 gennaio 2012

Pubblichiamo un’intervista molto importante e dalla tempistica critica sul rapporto tra P2P e Marxismo. Condotta da Jean Lievens con il fondatore della Fondazione P2P Alternatives, Michel Bauwens, su alcuni aspetti della sua teoria P2P e della teoria Marxista, l’intervista potrebbe rappresentare l’apertura del più grande dibattito dei prossimi anni. Anche se l’ascesa del ‘modo di produzione P2P’ e i nuovi processi politici P2P sono stati ovviamente più che determinanti nel processo di cambiamento sociale che si è attivato nel 2011, con il contributo di tale produttivo dibattito saremmo in grado di ricavare proiezioni molto più chiare sulle alternative reali al capitalismo e su come far sì che tali alternative si realizzino. In seguito alla morte della ‘condizione postmoderna’ e con il ritorno della ‘guerra di classe’, tale dibattito creerebbe uno spazio equilibrato per un coinvolgimento costruttivo tra le tradizioni critiche marxista, anarchica e post-marxista.

Il mese scorso ero a Londra dove ho assistito a una conferenza di Michel Bauwens sulle dinamiche peer-to-peer. Ho scritto un articolo in olandese per ‘De Wereld Morgen’. Fortunatamente vi è una versione rielaborata della conferenza in video su Vimeo.  P2P and the Commons as the new paradigm [P2P e i Commons come nuovo paradigma] di David Nixon su Vimeo.  Dopo la conferenza ho contattato Michel per un’intervista.

Tutti conosciamo degli esempi di P2P nel campo immateriale: Linux, Wikipedia, Arduino. Puoi darci degli esempi di P2P nel mondo ‘reale’, materiale, ad esempio nel campo della produzione?

Michel Bauwens: Arduino è già un esempio che tocca la produzione materiale poiché le schede madri progettare collaborativamente sono già prodotte e vendute sul mercato da imprese che usano il marchio Arduino. Un esempio che davvero mi piace è il Nutrient Dense Project [Progetto per l’Alta Densità di Nutrienti], una rete collaborativa di ricerca di agricoltori e di scienziati urbani che utilizza direttamente la ricerca sui nutrienti nella propria produzione immediata. Una delle aree più eccitanti è probabilmente quella delle cosiddette automobili open-source, come la Rallye Motor e il veicolo d’assalto della marina XC2V finanziato dalla Darpa, quest’ultimo basato su contributi di oltre 30.000 progetti. Lo StreetScooter, un’auto elettrica basata su Commons di progettazione imprenditoriale con la partecipazione di oltre 50 imprese è forse la più eccitante, poiché gli ordini sono già affluiti e l’auto dovrebbe essere in circolazione nelle città tedesche entro il 2013. Nella sezione Wiki della Fondazione P2P sul Product Hacking [modifica/personalizzazione di prodotti] (http://p2pfoundation.net/Product_Hacking), abbiamo annotato circa 300 progetti ad hardware aperto ma essi sono solo la punta dell’iceberg. Aiuta a distinguere la fase di progettazione, in cui le fonti partecipative e la collaborazione non sono qualitativamente diverse dalla collaborazione nel software, dalla fase della ‘fabbricazione’ che richiederebbe un’infrastruttura per la produzione aperta e distribuita che è solo marginalmente disponibile. Ma nel campo della fabbricazione abbiamo sviluppi eccitanti in direzione di infrastrutture materiali condivise quali gli spazi di co-lavoro e di modifica/personalizzazione, i sistemi di prodotti-servizi per la condivisione della auto e molti altri servizi e la miniaturizzazione della produzione mediante la stampa in 3D e i Fab Labs [Laboratori di Fabbricazione basati su trasmissione telematica di progetti], i quali hanno tutti anche versioni e aspetti open source.

Tu paragoni la transizione3 dal capitalismo al P2P alla transizione dalla schiavitù al feudalesimo, o dal feudalesimo al capitalismo. In entrambi i casi c’è stato uno scambio reciproco tra il vertice e la base. A Londra hai solo trattato della prima: gli schiavi che abbandonano il sistema e i proprietari di schiavi che trasformano gli schiavi in servi che stavano meglio di prima, ma che dire della transizione dal feudalesimo al capitalismo? Ci fu la nascita di una nuova classe e la trasformazione dei nobili in capitalisti, ma è arduo affermare che gli operai stessero meglio di prima. Dunque dov’è il cambiamento positivo in basso?

Michel Bauwens: La transizione da una forma di società di classi diseguali a un’altra è sempre problematica per le classi produttrici di valore che stanno in basso. Si può sostenere che la servitù sia intrinsecamente una posizione migliore della schiavitù, ma ha continuato ad essere sfruttamento e dominio e molti servi in precedenza erano contadini liberi. La situazione con il capitalismo non è tanto diversa; anche se ci sono state, e ci sono, tante privazioni i diritti formali dei lavoratori costituiscono certamente un miglioramento e, almeno per la classe operaia occidentale, c’è stato per un lungo
periodo un miglioramento sostanziale. Ma nel complesso i sistemi si sono avvicendati    perché il vecchio sistema non era più sostenibile e il nuovo era in generale più efficiente nel creare ricchezze materiali. Tutto dipende dal contratto sociale e dal rapporto relativo delle forze in gioco. Forti movimenti sindacali hanno enormemente migliorato la situazione dei lavoratori e la situazione nel Medioevo, tra il decimo e il tredicesimo secolo, era una situazione di miglioramento della qualità della vita. I precedenti sono, dunque, eterogenei e le persone stessi di solito hanno una chiara idea di quello che deve essere migliorato. Ad esempio quale lavoratore vorrebbe tornare alla servitù come condizione sociale? Poiché ho difficoltà a immaginare una società priva di classi, vedo i produttori paritari in conflitto con il capitale che domina la rete [netarchical] riguardo alle proprie condizioni sociali, ai loro diritti e alle loro vite materiali, fino al momento in cui i produttori paritari diverranno lo strato sociale chiave e i Commons il luogo chiave della creazione del valore. Questo non
è uno scenario scientifico con un finale certo e inevitabile bensì una descrizione del campo di tensione in cui si sviluppa la produzione paritaria.

Per proseguire con questa analogia: vedi sorgere una nuova classe nel capitalismo o una sorta di “capitalisti illuminati” che si rivolgono all’Open Source (come descritto in Wikinomics)?

Michel Bauwens: I Commons sono e saranno sempre più il cuore della creazione di valore, ma del valore continua sostanzialmente ad appropriarsi l’economi di mercato e il capitale dominante la rete è il segmento del capitale che comprende tale cambiamento e vuole trarne profitto. Ciò significa che dovranno sia consentire sia dare potere alla
produzione sociale, ma anche assoggettarla al proprio controllo in modo da potersi appropriare del valore da essa generato. La prima parte li costringe a certi tipi di comportamento strategico che promuove la condivisione, mentre la seconda li costringe a mantenere un contesto generale di continuo dominio. Questa è, in essenza, la nuova tensione sociale dell’emergente era P2P, tra le comunità di produttori paritari e i proprietari delle piattaforme. La chiave per i produttori paritari sta nel conquistare il controllo delle proprie vite e della propria riproduzione sociale e, secondo me, il modo migliore per farlo consiste nel creare i propri veicoli cooperativi/imprenditoriali che chiamo, seguendo i suggerimenti di Neil Stephenson in ‘The Diamond Age” [L’età del diamante] e di LasIndias.net, “Phyllis”, ovvero entità comunitarie/di sostegno che consentano ai cittadini di sostenere il proprio lavoro nei beni comuni e sottrarlo all’economia convenzionale della massimizzazione del profitto.

Riesci a vedere un parallelo tra il P2P e il movimento cooperativo nato nel diciottesimo secolo (socialismo utopico) o con gli hippy e le comuni degli anni sessanta?

Michel Bauwens: L’impulso all’operare in comune è uno degli aspetti permanenti
dell’umanità; con alti e bassi a seconda delle condizioni sociali, e io penso che stiamo
assistendo a una rinascita di tale impulso. Tuttavia c’è una grande differenza: le forme
cooperative di organizzazione possono ora lavorare attorno a Commons di progettazione
aperta e diventare iper-innovative e possono conseguire economie di scale tali da superare
le multinazionali basate sull’azionariato. Le cooperative e le comunità finalizzate non
sono, perciò, più “forme nane” ma in realtà l’avanguardia del nuovo sistema di produzione

P2P. Se si combinano i Commons dell’innovazione aperta condivisa (invece della
proprietà intellettuale privatizzata che rallenta l’innovazione) con queste nuove entità
di massimizzazione dei prodotti e dei Commons, si può conseguire un balzo quantico
nella produttività. E’ per questo che i capitalisti delle reti investono in piattaforme ed
è per questo che l’economia etica alternativa deve fare la stessa cosa, e se lo fa potrebbe
sostituire, nel cuore della nostra economia, le industrie finalizzate al profitto.

Tu dici che dobbiamo preparare un’alternativa al capitalismo. Il movimento
P2P è una specie di ‘fuga’?

Michel Bauwens: La crescita infinita non è possibile in un ambiente finito e noi ora
stiamo toccando i limiti della crescita. Questo significa che il capitalismo è sempre meno
in grado di uscire dai suoi problemi attraverso la crescita e che la percentuale dell’1% può
crescere solo mediante l’esproprio, ed è a questo che stiamo assistendo ora in Europa, con

la Grecia come esempio anticipato di quel che è in serbo per le popolazioni lavoratrici.
Dunque non si tratta di fuga. Il vecchio sistema sta morendo e deve essere sostituito, ma
potrebbe essere sostituito da qualcosa di peggiore, potrebbe regredire come nei primi
secoli dopo la caduta dell’Impero Romano, o potrebbe riorganizzarsi a un livello più
elevato di risultati e complessità, il che è quello che indica l’approccio P2P.

Tu descrivi Occupy come un esempio di produzione paritaria di Commons
politici. In che modo è diverso dai movimenti storici ‘anarchici’ o ‘comunisti’
come la Comune di Parigi, Barcellona 1937 o forse persino la Rivoluzione
Russa?

Michel Bauwens: Se si osserva un’occupazione si vede una comunità che produce
la sua politica autonomamente, senza seguire movimenti politici gerarchici o autoritari
con un programma preordinato; si vedono istituzioni benefiche che si fanno carico
dell’approvvigionamento degli occupanti (cibo, assistenza sanitaria) e la creazione di
un’economia etica attorno al movimento (come il Progetto di Occupy dei Venditori di
Strada). Ciò prefigura una nuova forma di società in cui i Commons sono al cuore della
creazione del valore; questi Commons sono amministrati da istituzioni non a scopo di
lucro e la sussistenza è assicurata mediante un’economia etica. Naturalmente ci sono
precedenti storici, ma ciò che è nuovo è lo straordinario potenziale organizzativo, di
mobilitazione e co-apprendimento delle sue reti. Occupy opera come un’API [Application
Programming Interface – Applicazione di interfaccia di programmazione] aperta con
moduli, quali gli ‘accampamenti di protesta’, le ‘assemblee generali’, che possono essere
utilizzati come modelli ed essere modificati da tutti, senza necessità di una dirigenza
centrale. Ora siamo in grado di avere un coordinamento e un mutuo allineamento globali

di una moltitudine di dinamiche di piccoli gruppi, e ciò richiede un nuovo tipo di guida.
La consapevolezza del momento storico del Picco della Gerarchia, il momento in cui le
reti distribuite asimmetricamente possono sfidare le istituzioni verticali in modi che non
erano possibili in precedenza, costringe i movimenti sociali a guardare a nuove forme di
governabilità … ma queste non sono date e devono essere scoperte sperimentalmente; e,
naturalmente, ci saranno lezioni valide da apprendere dai movimenti del passato!

Affinché il P2P fiorisca davvero, dobbiamo liberarci dei diritti di proprietà
intellettuale, dei diritti d’autore, dei brevetti, ecc. Come pensi che possiamo
riuscirci?

Michel Bauwens: Personalmente non sono un abolizionista puro, perché ritengo che
un mucchio di artisti e creativi credano nella necessità dei diritti d’autore, perciò penso
che possiamo discutere di numeri. Riportare la protezione a periodi ragionevoli di tempo,

non più dei 14 anni originali di protezione, o meno; il Partito Pirata propone un limite di
cinque anni. Accanto a ciò vi è l’offerta di una scelta ai creativi, rendendo popolari licenze
basate sulle scelte, come i Creativi Commons. Ma la priorità sta nel trovare nuovi modi
di finanziare la creazione … ciò si può fare attraverso licenze collettive e altre forme di
finanziamento pubblico, promuovendo e sostenendo modelli di commercio aperti e, alla fin
fine, mediante un reddito minimo, che riconosca che ogni cittadino contribuisce al valore
e lo crea. Questi obiettivi si possono conseguire in parte attraverso l’innovazione sociale
che deriva dalle comunità di produzione paritaria che sperimentano intensamente nuove
forme di commercio, quali il movimento per la cultura gratuita, i Partiti Pirata, e altre
espressioni della nuova cultura della condivisione.

A me pare che il P2P stia creando una specie di “mondo interamente nuovo”,
ma senza alcun riferimento o collegamento all’attuale sistema politico. Se
Occupy rappresenta un’alternativa che si impegnasse in politica, qual è il
collegamento tra la politica paritaria e la democrazia borghese e i partiti
politici?

Michel Bauwens: Questa è una domanda molto difficile e deriva da un paradosso.
Un aspetto è la crescente consapevolezza sociale che la nostra attuale democrazia è una
facciata e che lo stato è stato occupato da una fazione finanziaria predatrice, mentre
i politici non vedono altra via d’uscita che soccombere ai suoi ricatti. Ma l’altro lato
è che le libertà e i diritti popolari e il reddito privato e sociale sono sempre più sotto
pressione, il che porta alla mobilitazione politica e sociale così come a un efficace impegno
politico. Il primo aspetto porta a una continua innovazione democratica dalla nuova
cultura P2P; pensa ai meccanismi di amministrazione paritari nelle comunità paritarie

di produzione; nuove invenzioni, come il voto dinamico, e anche se questi meccanismi
operano all’esterno delle convenzioni vi sono anche inserite nuove forme di creazione
di valore, nuove istituzioni sociali P2P e perciò pronte a crescere. Il secondo aspetto
porta a nuove forze politiche e sociali che operano all’interno del sistema attuale, come
l’emergente Partito Pirata. In Brasile ho sentito che il vivace movimento culturale Eixo
do Foro, che ha una contro-economia funzionante centrata sulla musica, si sta anche
politicizzando e impegnando nella politica locale. Il secondo conduce a quella che chiamo
politica diagonale, ovvero a un mutuo adattamento tra le forze e le prassi emergenti P2P e
le vecchie realtà istituzionali.
Nella misura in cui ciò sia inefficace, allontana dalla soluzione derivante dal primo aspetto,
ovvero prepara a un più radicale e rivoluzionario riordinamento delle nostre istituzioni.
Significativamente un membro del Partito Pirata Svedese ha scritto una volta che il Partito
Pirata è l’ultima possibilità di evitare la rivoluzione. Nella misura in cui l’attuale sistema
rifiuta di adattarsi, in quella misura accresce la necessità e la spinta a trasformazioni più

radicali.

Come valuti l’impatto del P2P sul movimento sindacale? Non mina anche le
strutture burocratiche delle organizzazioni dei lavoratori?

Michel Bauwens: Sono in contatto con giovani attivisti sindacali e del lavoro che sono
forti sostenitori del movimento sindacale in rete e vediamo anche come il movimento
Occupy ha già radicalizzato il movimento sindacale statunitense. Ma alla fine la vecchia
struttura istituzionale e gerarchica dei sindacati, così come la loro crescente incapacità di
proteggere le conquiste sociali nell’attuale sistema regressivo devono anch’esse condurre

a un profondo rinnovamento del movimento sindacale. In un certo modo il movimento
P2P è effettivamente un’espressione del nuovo strato dominante di lavoratori del settore
cognitivo, che in occidente sono il pilastro del lavoro produttivo. P2P è la loro cultura
e quel che deve essere realizzato per realizzare un lavoro produttivo e utile. In quel
senso il movimento P2P è il nuovo movimento del lavoro del ventunesimo secolo, con
gli Indignados e Occupy come prima espressione di quel nuovo sindacato ma anche di
sensibilità civica.

Tu dichiari che P2P rende possibile una nuova e “più elevata” forma di
società. Prima non è stato così perché la tecnologia non esisteva. I Marxisti
dicono la stessa cosa da più di 150 anni. Pensi che si sbagliassero allora,
che forse abbiano ragione oggi oppure P2P è qualcosa di ‘completamente
diverso’?

Michel Bauwens: Considero il marxismo e le altre forme di socialismo e anarchismo,

alla fin fine come un’espressione della dicotomia all’interno del sistema capitalista
industriale e che propongono altre logiche per gestire il modello industriale. Ma P2P è
espressione delle dinamiche di classe e sociali in evoluzione sotto il capitalismo cognitivo.
E anche se il primo era sostanzialmente anti-capitalista e non poteva realmente puntare
a una nuovo modello iperproduttivo di organizzazione della produzione (il socialismo
era un’ipotesi, e gli esempi della sua attuazione reale inevitabilmente hanno deluso; non
vi era un socialismo emergente all’interno del capitalismo e solo il ‘capitalismo di stato’
al di fuori di esso) quello che è diverso nel movimento P2P è che può puntare a modelli
già esistenti che superano in cooperazione e competizione i modelli capitalisti classici,
ovvero è post-capitalista. Marx aveva ragione riguardo al capitalismo ma aveva torto
riguardo al socialismo e io credo che il modello, diretto politicamente, del cambiamento
sociale, quando non sia basato su un modello produttivo già esistente, sia stato mal
concepito. Il movimento P2P è perciò pronto a realizzare quello che i movimenti del
diciannovesimo e ventesimo secolo non hanno potuto realizzare perché a loro non era

disponibile l’alternativa iperproduttiva. La politica del fluire del P2P da una prassi sociale
già esistente, quella è davvero la differenza chiave.
Originale : http://forum.tanit.co/joomla/index.php/forum/5-General-
Discussion-%28public%29/694-Peer-to-Peer-and-Marxism#694

Repost: https://snuproject.wordpress.com/2012/01/03/and-the-debate-begins-peer-to-peer-and-marxism-
analogies-and-differences-jean-lievens-interviewed-with-michel-bauwens/

L’economia dello Sciame, Un futuro distopico non è inevitabile

Di Zacqary Adam Green – 12 febbraio 2012

Mentre persiste la crisi della disoccupazione nelle nazioni sviluppate cresce un sentimento di colpevolizzazione della tecnologia. Non è semplicemente un contraccolpo luddista contro il progresso, ma il timore, tra i fautori della tecnologia, che possano realizzarsi le cupe predizioni del cinema cyberpunk. Non deve essere necessariamente così.

Si può discutere quanto del progresso tecnologico sia da biasimare per l’attuale crisi della disoccupazione, ma sicuramente alla fine diverrà un tema centrale. L’ingegnere informatico Jon Evans ha sintetizzato bene il problema:

Gli Stati Uniti, l’Europa e il Giappone sembrano tutti barcollare senza sosta di crisi in crisi; la maggior parte del mondo sviluppato lotta contro livelli debilitanti di disoccupazione ma, al tempo stesso, il mondo tecnologico sta esplodendo come fosse il 1999. Non sembra un po’ strano?

Comincia a sembrare che possiamo essere entrati in un’economia a doppio binario, in cui una piccola minoranza raccoglie la maggior parte dei benefici di una tecnologia che distrugge più posti di lavoro di quanti ne crei. Come dice il mio amico Simon Law: “Prima abbiamo automatizzato il lavoro servile, ora automatizziamo il lavoro della classe media. Sfortunatamente abbiamo ancora necessità che le persone abbiano un lavoro una volta diventate adulte. Questa tendenza finirà per diventare un grosso problema …”

Il problema è, naturalmente, la disuguaglianza di reddito. In questo futuro plausibile (di nuovo, l’eliminazione dei posti di lavoro ad opera delle macchine non è certamente la spiegazione completa) gli addetti a progettare e a provvedere alla manutenzione dei sistemi automatici saranno gli unici con posti di lavoro ben remunerati (o essenziali). Ma ci sono al mondo sette miliardi di persone ed è arduo sostenere che saranno disponibili sette miliardi di posti di lavoro di questo genere. Quelli non abbastanza fortunati da occupare una delle poche posizioni cruciali di progettazione saranno lasciati a svolgere qualsiasi lavoro servile che non sia stato ancora automatizzato.

Quale vergogna! Dopotutto il vero senso dello sviluppare la tecnologia non è di rendere le cose più agevoli per gli esseri umani? Infatti, come sostiene il Capitalismo ++ “la disoccupazione spesso crea le più grandi svolte della storia umana. Non dovremmo perseguire la piena occupazione; dovremmo perseguire la piena disoccupazione.[Grassetto nell’originale] . La disoccupazione mette a disposizione molto tempo libero che, al minimo, potremmo dedicare allo svago e, al meglio, potrebbe essere incanalato alla creatività e alla realizzazione di idee. E dunque che vergogna che la tecnologia sembri pronta non a liberare dal lavoro miliardi di persone, bensì a tagliare completamente o a ridurre drasticamente i mezzi perché si sostengano!

Tali orribili livelli di disuguaglianza sono un’ingiustizia; masse di persone costrette a lottare per sopravvivere perché non sono sufficientemente fortunate da strappare una delle poche occupazioni di vertice. Persino in una meritocrazia perfetta ed equa, in cui tutti i vincitori siano davvero i più qualificati, i perdenti non meriterebbero certo il loro destino.

Di certo nessuno si schiererebbe a favore di ciò. I disaffrancati si solleverebbero e si batterebbero per la loro dignità, non è vero? Jon Evan non ne è così sicuro:

Viene anche suggerito che la disuguaglianza possa causare tumulti e violenze nel mondo occidentale. Non scommetteteci. Vero, la disuguaglianza ha provocato il movimento Occupy e, in misura minore, il Tea Party; ma ho una certa esperienza e fidatevi: il mondo è pieno di nazioni con una minoranza minuscolo di ricchissimi, un’élite appena un po’ più allargata che se la passa bene, un limitata classe media e una gran maggioranza di persone che, a diversi livelli, è povera e in lotta per tirare avanti. Brasile, Cina, India e Russia, per esempio, per citare un famoso quartetto. Non c’è nulla di insolito o di intrinsecamente instabile a proposito di tale genere di disuguaglianza. In effetti è la norma nella maggior parte del mondo.

Forse la disuguaglianza non è intrinsecamente instabile. Forse una sollevazione e una lotta di massa per la giustizia non sono inevitabili. Ma, di nuovo, come attesta il commento di Evans nel paragrafo a proposito dei movimenti Occupy e Tea Party, la disuguaglianza non è neppure stabile e una sollevazione di massa non è impossibile. La distopia cupa, diseguale, di genere cyberpunk che Evans ritiene si stia approssimando è solo uno dei futuri possibili e dipende da noi fare qualcosa per fermarla.

Non dimentichiamo che il risparmio di manodopera non è la sola cosa che la tecnologia produce. Ad esempio costruire robot elimina la necessità di operai umani nelle fabbriche; può eliminare anche la necessità delle fabbriche. La condivisione di file e Internet hanno operato per sconvolgere e minacciare di portare al collasso l’industria dello spettacolo, rendendola contemporaneamente obsoleta consentendo a persone creative indipendenti di finanziare, promuovere e distribuire le proprie opere attraverso i canali peer-to-peer. L’agricoltura automatica e la tecnologia idroponica hanno tolto il lavoro ai dipendenti delle fattorie ma hanno anche aperto la possibilità di coltivazioni interne a bassa manutenzione in ogni paese e città. Questi sono solo alcuni esempi di come per ogni insieme di occupazioni distrutte dal processo tecnologico, si aprono intere nuove serie di possibilità.

In questo futuro, in cui la maggior parte del lavoro servile è automatizzato, miliardi di persone non hanno un luogo di lavoro in cui recarsi e dove ricevere istruzioni su cosa fare tutto il giorno. Hanno anche gli strumenti per fabbricare qualsiasi cosa di cui siano in grado di creare un modello al computer, di diffondere qualsiasi opera d’arte siano in grado di creare in tutto il mondo e di coltivare il cibo esattamente nelle comunità in cui vivono. Improvvisamente il campo di gioco sembra molto più equilibrato. Invece di cercare lavoro le persone possono creare il proprio.

Il progresso tecnologico può benissimo creare un futuro in cui i datori di lavoro abbiano meno cose che devono far fare ad altri. Bene. E’ ora che cada in disgrazia il paradigma di sostenersi andando a cercare qualcuno che ci dica cosa fare. Ma dobbiamo assicurarci che, una volta che non ci siano più posti di lavoro da trovare, noi disponiamo tutti degli strumenti e delle risorse necessarie accessibili per crearci il nostro lavoro. Dobbiamo far operare alla società e al nostro modo di vivere una svolta in direzione di questo obiettivo e sfidare l’idea comune che la creazione di lavoro e l’imprenditorialità sia solo per una piccola minoranza di folli, di appassionati o di ricchi. Ci si può arrivare, è fattibile, ma non arriverà da sé.

Un mondo migliore è possibile ma non è più inevitabile di un mondo peggiore. Far sì che si realizzi è il primo lavoro che dobbiamo crearci.

A proposito dell’Autore: Zacqary Adam Green

Zacqary è un regista, artista e Capo Bottintesta [Plankhead] Esecutivo di Plankhead un’organizzazione/collettivo/nave pirata di libera cultura e arti. Produce progetti assurdi con titoli tipo “Il tuo volto è un sassofono” da casa sua a Long Island, New York. Nel tempo libero è una volpe rossa di nome Xerxes.

Originale: http://falkvinge.net/2011/11/13/a-dystopian-future-is-not-inevitable/

Swarmwise, Come uno sciame

di Rick Falkvinge

Lo Sciame è un nuovo tipo di organizzazione reso possibile dalla disponibilità ed accessibilità dei mezzi di comunicazione di massa. Dove ci volevano centinaia di dipendenti per organizzare 100.000 persone, oggi la cosa può essere fatta – ed è fatta – da qualcuno nel suo tempo libero,  dal tavolo della cucina.

Ci sono molti malintesi a proposito di cos’è uno Sciame. Cominciamo con il cancellare cosa uno Sciame non è.

Non è un nugolo amorfo di uguali in cui nessuno ha un potere decisionale. Anche se per qualcuno una società simile sarebbe l’ideale, non si tratta di uno Sciame.

Né è una tradizionale organizzazione gerarchica in cui gli ordini sono impartiti dall’alto e ci si aspetta che vengano eseguiti. Uno Sciame può apparire così dall’esterno, ma non è questo.

E’, piuttosto, un’impalcatura costruita da pochi singoli che consente a decine di migliaia di persone di collaborare a un obiettivo comune della loro vita. Queste decine di migliaia di persone sono solitamente molto diverse e provengono da ogni stile di vita, ma condividono un obiettivo comune. L’impalcatura costruita da un singolo o da pochi individui consente a queste migliaia di persone di formare uno Sciame attorno ad essa e cominciare a cambiare insieme il mondo.

Questa impalcatura non appare molto complessa. In termini minimali si traduce semplicemente in uno strumento per comunicare e discutere i temi in ordine ai quali lo Sciame vuole operare un cambiamento, come in un forum su un server. La complessità deriva dalla meritocrazia che stabilisce come lo Sciame opera e decine come un organismo nel corso dell’azione.

Poiché tutti, nello Sciame, sono volontari – vi partecipano perché pensano che lo Sciame possa essere un veicolo di cambiamento in un’area di loro interesse – il solo modo per dirigerlo consiste nell’ispirare altri attraverso l’azione diretta. Il fondatore dello Sciame ha una grande quantità di influenza iniziale in questo modo, ma è lungi dall’essere l’unico. In uno Sciame tipico si scoprirà che le persone si ispirano le une le altre a tutti livelli e in ogni luogo, con l’unico fattore comune rappresentato dagli obiettivi complessivi dello Sciame ogni singolo individuo sceglie di seguire.

Significativamente, la concentrazione dello Sciame è sempre su quello che ciascuno può fare e ma su quello che non si può fare o che si deve fare.

Questo ne fa un caso decisamente a parte rispetto a un’azienda o istituzione democratica tradizionale, che si concentra con forza su quello che la gente deve fare e su entro quali confini e limiti deve muoversi. Questa differenza è parte del motivo per cui uno Sciame può essere così efficace: tutti possono trovare qualcosa che amano fare per tutto il tempo scegliendo da una tavolozza che promuove gli obiettivi dello Sciame e non c’è nessuno che dica come le cose non vanno fatte.

In uno Sciame nessuno arriva a dire a nessun altro cosa deve fare. (Tuttavia si possono scegliere ruoli e compiti volontariamente).

Piuttosto, le persone si ispirano a vicenda. Non ci sono gerarchie cui rispondere tra gli attivisti. Poiché tutti comunicano sempre con tutti, i progetti riusciti creano rapidamente onde. Quelli meno riusciti fanno sì che lo Sciame apprenda e passi oltre senza indici accusatori  puntati su nessuno.

Se si vuole un ruolo guida in uno Sciame ci si alza su e si dice “Io farò X perché penso che realizzerà Y. Chiunque voglia unirsi a me nel fare X è più che benvenuto”. Tutti, in uno Sciame, possono alzarsi a dire questo e tutti sono incoraggiati a farlo. Ciò crea rapidamente una struttura di guida, informale ma tremendamente forte in cui le persone ricercano ruoli che massimizzino il proprio impatto nel far avanzare gli obiettivi dello Sciame e il tutto accade organicamente senza pianificazione centrale e diagrammi organizzativi.

Le sole persone che si allontanano da questa modalità ed assumono compiti formali sono quelle che mantengono l’impalcatura dello Sciame e costituiscono punti di contatto per i media e altre organizzazioni esterne che operano in modo tradizionale. Per questo motivo uno Sciame può a volte sembrare un’organizzazione tradizionale. Ma c’è una differenza chiave: sembra un’organizzazione tradizionale vista dall’esterno perché sceglie di apparire così; perché lo Sciame è più efficace nell’interfacciarsi in quel modo con organizzazioni legate a un’eredità organizzativa. Non perché operi davvero in tal modo.

Tirate le somme, ciò che distingue uno Sciame dalle organizzazioni tradizionali è la sua sensazionale velocità operativa, i suoi costi prossimi a zero e il suo vasto numero di volontari molto dediti. Le imprese e le istituzioni democratiche tradizionali sembrano operare su tempi da ere geologiche visti dall’interno di uno Sciame. E’ anche per questo che uno Sciame può cambiare il mondo: esso si muove in cerchio attorno alle organizzazioni tradizionali, in termini di qualità e quantità del lavoro, nonché quanto all’efficienza delle risorse.

Questo libro vi insegnerà tutti i passi per costruire l’impalcatura necessaria e per costruirvi attorno uno Sciame.

Estratto dal libro in uscita “Swarmwise”

Questa è una parte in bozza del libro ‘Swarmwise”, in uscita nella prima metà del 2012. E’ un manuale d’istruzioni per reclutare e guidare decine di migliaia di attivisti in una missione per cambiare il mondo in meglio, senza avere accesso a denaro, risorse o fama. Il libro è basato sulle esperienze di Falkvinge nell’aver guidato il Partito Pirata Svedese dentro il Parlamento Europeo, partendo da nulla, e copre ogni aspetto della guida di uno sciame di attivisti al successo convenzionale. […]

A proposito dell’autore: Rick Falkvinge

Rick è il fondatore del primo Partito Pirata ed è un predicatore politico, che viaggia in Europa e nel mondo per parlare e scrivere a proposito di idee di informazione politica razionale. Ha un passato di imprenditore nella tecnologia e ama il whisky.

Fonte: http://falkvinge.net/2011/08/01/swarmwise-what-is-a-swarm

L’economia del Bene Comune

di Byologyk, 5 febbraio 2012

Una delle maggiori ingiustizie dell’economia mondiale è che tutte le aziende vengono trattate allo stesso modo. Un’azienda che paga ai suoi dipendenti un giusto compenso per il lavoro svolto o una azienda che produce le sue merci nel rispetto della natura e dei diritti umani viene trattata allo stesso modo di una azienda che non rispetta i diritti dei lavoratori o che inquina l’ambiente. L’economia del bene comune è un modello economico che prevede differenze tra le aziende “virtuose” e quelle che non lo sono.

Questo modello economico appena nato ed in pieno sviluppo, punta a discriminare quelle aziende o multinazionali che non rispettano le regole, l’ecologia o i diritti umani. Il problema più grande della nostra economia è il fatto che essa si basa esclusivamente su indicatori monetari come il  profitto, nel caso delle aziende, o il PIL nel caso di interi paesi. Il problema è che questi indicatori monetari non ci danno una misura del benessere che questa azienda o Nazione produce effettivamente.

Il PIL che ancora oggi viene usato come indicatore del benessere di un paese, non ci dice se una nazione vive una democrazia o una dittatura, non ci dice se in questo paese vengono rispettati i diritti umani, non ci dice se nel paese aumenta la fiducia tra le persone o se aumenta la paura. Allo stesso modo il profitto economico, che è l’indicatore della salute di una azienda non fornisce informazioni riguardo l’etica dell’azienda. Non ci dice se l’azienda produce merci rispettando la natura o distruggendola, Non ci dice se l’azienda sfrutta i suoi dipendenti o meno. È normale che in un sistema economico che prende in considerazione solo il profitto si vengono a creare situazioni in cui le aziende che risparmiano sulla sicurezza o che infrangono i diritti dei lavoratori si trovano in vantaggio rispetto a quelle aziende che rispettano le regole. Ovviamente una azienda che non rispetta le regole può offrire le sue merci o i suoi servizi a prezzi inferiori rispetto a quelle aziende che rispettano tutte le regole. Paradossalmente si crea una situazione in cui i disonesti vedono le loro vendite aumentare proprio in base al fatto che possono offrire prezzi più competitivi.

L’economia del bene comune si propone di risolvere questo problema con l’assegnazione di punti del bene comune. I punti del bene comune vanno da 0 a 1000, vengono suddivisi in 5 fasce alle quali corrisponde un determinato colore. Per cui un consumatore in base al colore attribuito ad un determinato prodotto sa esattamente al momento dell’acquisto se sta comprando un prodotto giusto e solidale o meno. I vanataggi che ottengono le aziende più corrette, che raggiungono un elevato bilancio del bene comune, si traducono in sgravi fiscali, crediti a tassi agevolati, sgravi sulle tasse doganali, precedenza nel caso di acquisti da parte dello stato etc.  Nell’immediato si otterrebbe che i prodotti di quelle aziende che rispettano le regole potrebbero essere offerti a prezzi più bassi rispetto ai prodotti di quelle aziende che non rispettano le regole o che non hanno nessun riguardo per la societá o l’ambiente. In questo video che ho tradotto in Italiano Christian Felberg professore di “Altermondialismo” all’università di Vienna ci spiega come nasce l’economia del bene comune, i principi su cui si basa e i vantaggi che questo tipo di modello economico può offrire. Non è detto che chi si oppone al capitalismo debba per forza essere un comunista e l’economia del bene comune ne è la prova. Nell’economia del bene comune vengono fissati dei limiti massimi e minimi per i salari, dei limiti alla proprietà privata e alle eredità, in maniera da ridurre considerevolmente le diseguaglianze sociali. In questo nuovo modello economico il profitto cessa di essere il fine ultimo di un’azienda e si trasforma in un mezzo per raggiungere le dimensioni ottimali rendendo obsoleta la ricerca della crescita economica costante.

Questo modello è in fase di sperimentazione in Germania, Austria, Italia e Svizzera e si appresta a rivoluzionare il sistema economico attualmente adottato rappresentando finalmente un passo avanti rispetto agli estremi del capitalismo e del comunismo. È Un sistema democratico gestito dal popolo sovrano ed è aperto a qualsiasi miglioria che può essere apportata. Da alcuni sondaggi fatti in Germania e in Austria risulta che il 90% della popolazione desidera un nuovo modello economico che si basi su principi ecologici ed etici e sulle relazioni interpersonali. L’economia del bene comune si presenta come una soluzione valida ed effettiva e sicuramente va approfondita, sviluppata e messa in atto.

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