Monete digitali e circuiti finanziari alternativi

Monete digitali (criptomonete) e circuiti finanziari alternativi. Portare l’attacco al cuore dello Stato, pardon, dei mercati finanziari

di Andrea Fumagalli, SanPrecario – 2 febbraio 2014

Continuiamo ad approfondire il tema delle monete digitali (o criptomonete) , presentando la traduzione in italiano della relazione svolta da Andrea Fumagalli al workshop “Algoritmi e capitale”, svoltosi a Londra lo scorso 20 gennaio. In questo intervento, si cerca di delineare alcune caratteristiche che potrebbe avere una moneta del comune come possibile embrione della costruzione di un circuito finanziario alternativo, che sfugga al controllo e alle imposizioni delle oligarchie finanziarie.

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“.. L’importanza della moneta deriva essenzialmente dal fatto che essa è un anello fra il presente e il futuro”[1] (J.M.Keynes)

“Ciò che mediante il denaro è a mia disposizione, ciò che io posso pagare, ciò che il denaro può comprare, quello sono io stesso, il possessore del denaro medesimo, Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il mio potere. Le caratteristiche del denaro sono le mie stesse caratteristiche e le mie forze essenziali, cioè sono le caratteristiche e le forze essenziali del suo possessore. Ciò che io sono e posso, non è quindi affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella tra le donne. E quindi io non sono brutto, perché l’effetto della bruttezza, la sua forza repulsiva, è annullata dal denaro”[2] (K.Marx)

1. Introduzione. Sul ruolo e la forma della moneta nella nostra storia[3]

La moneta è un’invenzione umana. La moneta non cresce sugli alberi. La moneta ci dimostra che l’essere umano è un animale sociale. La moneta è relazione sociale. Una relazione sociale che oggi non è paritaria, ma che potrebbe diventarlo. La moneta è la dimostrazione dell’esistenza di una comunità, perché la moneta è frutto di un rapporto di fiducia. Ma la moneta è, soprattutto, potere. Potere di decisione, potere di arbitrio. E oggi è potere capitalistico. Per questo la moneta non è un bene comune. Essa è, o meglio potrebbe essere, dovrebbe essere, un common. Ma oggi più che mai non lo è. Nell’attuale bio-capitalismo cognitivo e finanziarizzato, se una lotta deve esserci essa dovrà necessariamente essere la lotta per la moneta intesa come common. È lotta per il “comun(e)ismo”.

La moneta ha svolto diverse funzione nella storia dell’umanità. Esiste da subito, come il fuoco, la ruota, la scoperta dell’agricoltura. Nelle società preistoriche è mezzo di scambio e unità di conto. Mezzo di pagamento per consentire la relazione sociale dettata dall’attività di scambio per la sopravvivenza: la necessità del neg-otium (la dannazione del labor), in opposizione all’otium (il piacere della creatività e dell’ingegno umano). E in quanto tale, unità di misura del valore delle merci scambiate. La moneta è quindi da subito rappresentazione fenomenica del valore. E in quanto tale, espressione di potere nel momento in cui tale misura viene stabilita sulla base di una gerarchia sociale. Chi decide la “forma” della moneta? Ma soprattutto, nell’antichità come oggi, chi decide il valore della moneta?

La storia della moneta è connessa alla storia dell’umanità, dicevamo. Anticamente, sino alla formazione degli stati nazionali nel 1500 in Europa, la forma prevalente della moneta è la moneta-merce. Il valore della moneta è contenuta nel corpo stesso della moneta. La sua forma (peso) metallica (quindi fisica, sia essa rame, bronzo, argento o oro) ne indica il valore. Si attua così uno scambio tra equivalenti in valore. Un metro di stoffa che, supponiamo, abbia un valore di 10 grammi d’oro, viene direttamente scambiato con una moneta che contiene 10 grammi d’oro. Da questo punto di vista, lo scambio di moneta implica uno scambio rivale e solvibile. Quella specifica moneta di 10 grammi può essere usata solo per quello scambio, in una relazione “do ut des”, merce (stoffa) contro merce (metallo-oro). La moneta è quindi una merce (bene) come tutte le altre.

Secondo Erodoto[4], i Lidi furono il primo popolo a introdurre l’uso di monete d’oro e d’argento e il primo a stabilire “negozi” per la vendita al minuto in località permanenti. Nel momento stesso in cui la moneta metallica si diffonde come mezzo di pagamento e diventa unità di conto degli scambi economici (unità di misura del valore), essa diventa anche espressione di potere. Era infatti chi emetteva la moneta (il sovrano) a determinarne il valore e a esprimere il comando economico.

In questa fase della storia (euro-mediterranea), la moneta-merce implica una struttura proprietaria (come tutte le merci). La proprietà si estrinseca nel monopolio di emissione (il sovrano). Non vengono ancora agiti i diritti di signoraggio. Sarà con l’impero romano, prima con Nerone e poi con Settimio Severo, che il valore della moneta (Aureo e Denario, rispettivamente in oro e argento) tenderà a non corrispondere più esattamente alla quantità di metallo pregiato utilizzato. Sorgono così i diritti di signoraggio.

Ma sarà solo con la formazione degli stati nazionali europei e il salto di paradigma tecnologico a cavallo del XV-XVI secolo che si assisterà al totale sganciamento tra il valore dichiarato della moneta e la quantità del metallo prezioso contenuto.

Il monopolio di emissione della moneta assume allora le forme di un diritto sovra-individuale e la moneta diventa variabile extra-mercato, controllata a livello istituzionale e non dalla dinamica di mercato. Una volta garantita dal ruolo statuale, che opera non come agente di mercato, ma al di sopra di esso, la moneta comincia a svolgere anche la funzione di riserva di valore e misura patrimoniale. Tale passaggio di fase è, non casualmente, accompagnato dal cambiamento della forma della moneta. Dalla moneta metallica, fondata prevalentemente sull’oro, si passa alla moneta cartacea: ciò significa che il mezzo monetario non incorpora più il valore stesso che dichiara. Come abbiamo ricordato, lo scambio economico “valore contro quantità” era sempre esistito come scambio di puri e diretti equivalenti in merce, ovvero un certo ammontare d’oro contro un certo ammontare di merci. Non è un caso che buona parte dei nomi delle valute in vigore ancora oggi, o sino a poco tempo fa, derivino, etimologicamente, da unità di peso (pound in Gran Bretagna, pesetas in Spagna, lira – da libra -in molti paesi) . Con la garanzia di una governance statuale (quindi istituzionale e extra-mercato privato), lo scambio economico comincia sempre più a caratterizzarsi materialmente come scambio tra un pezzo di carta, il cui valore intrinseco è poca cosa, e un certo ammontare di merce. Ma questo pezzo di carta – la moneta cartacea o banconota – viene garantita da un potere politico superiore che obbliga all’accettazione (fiducia) e ne garantisce il valore virtuale ivi riportato. Tale passaggio genera, tramite il ruolo sempre più importante della Banca Centrale, la possibilità di creare base monetaria in condizioni di monopolio.

Con la rivoluzione industriale e, nel XX secolo, con la Conferenza di Bretton Woods si assiste, così, al graduale abbandono dei sistemi monetari fondati sui metalli preziosi e sulla inconvertibilità delle monete in metalli preziosi. La crescita degli scambi economici, provocata dalla diffusione del sistema capitalistico di produzione, ha imposto l’uso di monete la cui offerta non risultasse vincolata dalla limitata disponibilità di metalli preziosi. Inoltre, l’affermarsi di talune monete, sempre più diffuse e accettate negli scambi internazionali, ha reso obsoleto il ricorso ai metalli preziosi per regolare tali scambi. Infine, l’affermazione del biglietto di banca e di altre forme di pagamento svincolate dall’uso di metalli preziosi, si spiega con la praticità dei sistemi di pagamento che non obbligano a trasferire ingenti quantità di pesante metallo prezioso.

Oggi, dopo la fine di Bretton Woods, assistiamo alla completa smaterializzazione della moneta. Il suo valore, convenzionalmente fissato nel 1944 a Bretton Woods nel rapporto di 35$ per oncia d’oro, è decaduto. Da moneta “merce” e moneta “oro” si passa alla moneta come “puro segno” (Marx), passaggio che, grazie al processo di finanziarizzazione, ha di fatto ridotto il peso dei diritti di signoraggio e anche la possibilità da parte delle Banche Centrali di controllare in toto la massa monetaria in circolazione e il moltiplicatore creditizio e finanziario che ne consegue.

La moneta, tende così a smaterializzarsi del tutto. Oggi la moneta non è più una merce o un bene. Non esiste più un’unità di misura del valore della moneta, come il metro per la lunghezza o il chilogrammo per il peso. A prescindere dal fatto che esistono ancora i monopoli di emissione e i diritti di signoraggio, a prescindere dalla struttura proprietaria, in quanto non più un bene, la moneta non può neanche essere definita bene comune. Con la fine degli accordi di Bretton Woods, il valore della moneta non è più determinato da chi la emette. La sovranità monetaria (nazionale o sovranazionale, che sia), la cui governance è il compito della Banca Centrale, perde sempre più significato.

2. La moneta – finanza come espressione della comunismo del capitale

Con l’avvento del sistema di produzione capitalista, la moneta diventa espressione del capitale e del rapporto sociale di sfruttamento del lavoro. Con il passaggio dal capitalismo taylorista-fordista al bio-capitalismo cognitivo finanziarizzato, la funzione principale della moneta si modifica. La funzione di credito, tipica di un sistema D-M-D’ (economia monetaria di produzione), dove l’attività di investimento nella produzione di beni richiede una anticipazione monetaria e l’indebitamento degli attori economici (siano essi imprese private o lo Stato), lascia sempre più spazio alla moneta- finanza (economia finanziaria di produzione). La moneta finanza, non a caso, coincide con la dematerializzazione totale di denaro, essendo pura moneta-segno.

E’ importante sottolineare che tale passaggio dalla moneta -credito alla moneta-finanza implica un cambio di governance monetaria: la prima veniva e viene tuttora emessa sotto il controllo delle istituzioni monetarie (banche centrali), mentre la seconda, invece, dipende dalle dinamiche del mercato finanziario.

Fino alla crisi del fordismo, infatti, l’istituzione della Banca Centrale aveva il compito di esercitare un controllo diretto e preciso sulla quantità di moneta (M1) emessa dalle zecche nazionali (fiat money). Ma oltre il 90% della massa monetaria è ora fornito da banche private e investitori finanziari, sotto forma di prestiti o attività speculative, sulla cui quota la Banca centrale ha solo un controllo molto indiretto. Ciò significa che, nonostante la Banca centrale possa unilateralmente e autonomamente fissare i tassi di interesse e di imporre riserve obbligatorie alle banche, la quantità di denaro in circolazione è meno controllabile dalla stessa Banca Centrale. In un sistema capitalistico che si basa su una economia finanziaria di produzione, la quantità di moneta è endogeneamente determinata dal livello di attività economica e dall’evoluzione delle convenzioni finanziarie (in termini keynesiani) che governano il mercato finanziario internazionale. La Banca centrale può solo cercare di aumentare o diminuire l’offerta di moneta in circolazione, ma niente di più, inseguendo e assecondando le dinamiche degli stessi indici finanziari. Questa possibilità viene ora ulteriormente ridotta dal nuovo ruolo svolto dai mercati finanziari nel processo di finanziamento dell’attività di investimento, tramite le plusvalenze e la creazione di titoli altamente liquidi (definiti near money, quasi moneta) .

Ne consegue paradossalmente che i poteri discrezionali delle Banche centrali sono tanto più ridotti quanto più esse stesse sono diventati istituzioni politicamente indipendenti. Come conseguenza, i poteri di controllo e vigilanza della Banca centrale sul settore bancario e, attraverso la variazione dei tassi di interesse, sull’intero sistema economico sono sempre più funzionali alle dinamiche in atto nei mercati finanziari e sempre più dipendenti dalle oligarchie che li dominano.

Ciò significa che, nel bio – capitalismo cognitivo, la moneta e la determinazione del suo valore non sono più sotto il controllo della Banca centrale. Nel momento stesso in cui la moneta è puro segno sfugge a qualsiasi controllo pubblico. La moneta perde così lo status di “bene di controllo pubblico”. Il suo valore è determinato di volta in volta dall’operare delle attività speculative sui mercati finanziari. Le sue funzioni di mezzi di pagamento e unità di conto (misura del valore ), così come di riserva di valore e dei mezzi di finanziamento della accumulazione /sviluppo, diventano fuori controllo. Nel momento in cui la sua quantità e la modalità di circolazione sono determinati dalle convenzioni che dominano mercati finanziari sempre più concentrati, la moneta diviene ostaggio delle aspettative che l’oligarchia (o meglio, la dittatura dell’oligarchia ) dei mercati finanziari è in grado di esercitare .

Oggi, possiamo dire che la creazione di moneta finanza è l’espressione del comunismo libertario del capitale. Lo conferma la dipendenza della politica monetaria dalle dinamiche finanziarie. Gli stessi tassi di interesse non sono più completamente controllati dalla politica monetaria.

La moneta diventa espressione del bio-potere finanziario, esito dell’espropriazione del comune, come nuova forma di sfruttamento del lavoro nel bio-capitalismo cognitivo.

3. Cripto-monete: aspetti e problemi

Siamo di fronte a un’opportunità storica.

Oggi, la tecnologia ci permette di creare denaro in forma digitale: le cd cripto-monete.

L’aspetto nuovo sta nel venir meno del monopolio di emissione: non si tratta più delle istituzioni monetarie, che, (assai poco) democraticamente, hanno il compito di decidere la politica monetaria e finanziaria, grazie al monopolio di emissione, ma di una moltitudine di persone singole che, autonomamente, hanno la possibilità di creare digitalmente moneta e di tutti quegli individui che decidono (fidandosi) di riconoscere il valore monetario di tale moneta.

In questo tempo di algoritmi macchinici, non è sorprendente che la moneta non venga stampata, ma piuttosto “estratta” e che il corso di tale moneta non sia validato da istituzioni sovra-individuali, ma dalla correttezza formale di un algoritmo eseguito da macchine e/o da decisioni di una élite tecno- finanziaria.

Questa nuova situazione è una sfida e allo stesso tempo una possibilità per costruire un sistema monetario e finanziario alternativo, in grado di superare i nodi contraddittori e iniqui del capitalismo contemporaneo. Gli algoritmi sempre più sofisticati per generare cripto-monete sono, tuttavia, condizioni necessarie, ma non ancora sufficiente.

Alcuni aspetti, infatti, necessitano di approfondimento e discussione:

3.a. La fiducia e il problema dei diritti di proprietà .

La moneta tradizionale è garantita dallo Stato, che detiene il monopolio dell’emissione e impone che essa debba essere accettato come mezzo di pagamento da parte di tutti gli abitanti di uno stesso Stato (moneta legale). Ciò implica , che il vero “proprietario” della moneta è l’istituto di emissione (Banca Centrale) e non gli individui che la utilizzano. Che cosa succede con la cripto-moneta?

E’ proprio il rapporto di fiducia che si instaura all’interno di una certa comunità che è alla base della nascita delle cripto-monete. La creazione di moneta legale in base a decisioni che non sono più considerate in grado di proteggere l’individuo e la sua libertà ha spinto i creatori delle cripto-monete e i loro principali sostenitori a cercare tale protezione tramite una nuova moneta, esito di un atto imparziale meccanico[5].

Per molti di loro anche il processo democratico può – anzi, deve – essere costituito da decisioni effettuate con imparzialità dagli algoritmi di un computer .

Il primo punto critico è il seguente: una cripto-moneta può essere neutrale? Ovviamente no, poiché la tecnologia non è mai neutrale. Se è così, dove sta la supposta “imparzialità meccanica”?

Il secondo punto critico è: chi è il proprietario della cripto-moneta? È l’élite tecnologica che possiede il codice dell’algoritmo di emissione o è la comunità che organizza e gestisce la cripto- moneta secondo un certo grado di fiducia? Al riguardo, possiamo parlare di un istituzione del comune come una “non proprietà” che si contrappone alla dicotomia proprietà/ pubblica statale vs. proprietà privata?

Consideriamo il progetto Bitcoin (BTC): esso si basa su un produzione di moneta “peer to peer”, anonima e resa sicura da algoritmi non di proprietà, il cui codice è sotto licenza open source e utilizza il principio della rete di calcolo distribuito (clustering o network computing). Sono elementi che pongono il BTC nella categoria dei grandi progetti di innovazione collettiva e cooperativa socio- tecnica in ambito hacker, come fu quella di Linux[6].

La cripto-moneta non esiste in termini reali, è solo una stringa, ovvero linguaggio artificiale. E il linguaggio (come la conoscenza , anche se codificato), appartiene alle persone. Non può essere espropriato. Ma la libertà di linguaggio esiste solo da un punto di vista formale. Il linguaggio performativo[7], infatti, è composto da “parole o numeri” e da una “grammatica”. La grammatica è la codificazione e la standardizzazione delle parole e dei numeri. La parola è l’atto performativo che modifica la grammatica e le sue regole, innescando nel rapporto “parola vs grammatica” un processo dialettico, in grado di creare differenti livelli di accesso. In altre parole, la cripto-moneta è figlia di una divisione cognitiva del lavoro. L’élite techno-finanziaria deriva da questa divisione cognitiva, che implica potere e struttura gerarchica. Tocca a noi prendere in considerazione e cercare di eliminare questa asimmetria.

b . L’obiettivo delle cripto -monete

La maggior parte delle attuali cripto-monete (Bitcoin , Freecoin , Litecoin , ecc) sono nate per facilitare l’attività di scambio.

La loro nascita, come per la maggior parte delle c.d. “monete complementari o locali”, deriva dall’esigenza di fornire maggior liquidità monetaria, a favore di attività di acquisto anonime e libere, soprattutto laddove vi sono vincoli proibizionistici o divieti di scambio. Inoltre, le cripto-monete possono allentare il vincolo della scarsità che l’offerta di moneta istituzionale genera spesso per giustificare livelli positivi dei tassi di interesse e/o a causa di politiche monetarie restrittive .

Citando Keynes :

“Il proprietario del capitale può ottenere l’interesse perché il capitale è scarso, così come il proprietario della terra può ottenere la rendita perché la terra è scarsa . Ma mentre ci possono essere ragioni intrinseche per la scarsità di terra, non vi sono ragioni che possono giustificare la scarsità di capitale”[8].

Le cripto-monete svolgono dunque prevalentemente il ruolo di mezzo di pagamento e unità di valore. In quanto unità di valore, esse sono quotate rispetto alle altre valute legali in corso. Per la moneta locale o complementare, che opera in un territorio limitato da confini, il tasso di cambio è fisso. Ma per le cripto-monete, che operano a livello internazionale (come il BTC), il tasso di cambio tende a essere flessibile, poiché dipende dall’ammontare degli scambi che avvengono sui mercati finanziari internazionali. Ne consegue che la quotazione delle cripto-monete in monete legali (ad esempio, il dollaro USA) varia costantemente e quotidianamente, a seconda della dinamica dei flussi finanziari e speculativi.

La dinamica della quotazione del BTC negli ultimi mesi è paradigmatica. La convertibilità con le monete classiche (yuan e dollaro in primis) e una produzione algoritmicamente limitata[9] nella quantità e nel tempo fanno sì che oggi il BTC ricopra lo stesso ruolo dell’oro come moneta di riserva.

“La metafora si estende anche alla terminologia utilizzata e a una certa mitologia del gold rush che si fonde con quella dei videogiochi. Come nell’estrazione dell’oro in quella delle cripto-monete (non a caso definita mining) devono essere messe in gioco grandi quantità di energia elettrica e di calcolo, che vengono rispettivamente consumate e prodotte facendo lavorare a massimo regime dei potenti PC derivati da quelli dedicati ai videogame”[10].

In tal modo, le cripto-monete possono svolgere anche la funzione di riserva di valore. Ne consegue che, in contraddizione con le intenzioni iniziali, diventino parte integrante del sistema finanziario tradizionale. Non c’è emancipazione, ma sussunzione. Non c’è alternativa, ma compatibilità .

Ci si pone allora la seguente domanda: una cripto-moneta, una volta liberatasi da vincoli istituzionali e liberamente riproducibile in modo autonomo, è in grado di portare l’attacco al cuore del potere oligarchico della grande finanza? In altre parole, può diventare una moneta del comune?

4 . Alcune considerazioni preliminari per la costruzione di un circuito finanziario alternativo

Per rispondere a quest’ultima domanda, è necessario definire meglio che cosa intendiamo per moneta del comune (dove il concetto di comune non ha nulla a che fare con i beni comuni). Al riguardo, la discussione è ampia e differenziata, non essendoci una interpretazione unica. Sulla base dell’approccio post-operaista, autori come Carlo Vercellone, Christian Marazzi e il sottoscritto, in linea con l’ipotesi del bio-capitalismo cognitivo, concordano nell’individuare quattro elementi principali che dovrebbero definire una moneta del comune[11]:

· Essere non accumulabile e non diventare oggetto di speculazione. In conseguenza essa deve perdere una parte del suo valore nel corso del tempo. Si tratta quindi di una moneta che fonde o ” monnaie fondante”.

· Attenuare la dipendenza dei lavoratori dal vincolo economico alla vendita della loro forza lavoro e quindi al rapporto salariale, riducendo la precarietà.

· Permettere, su queste basi, di liberare tempo e risorse per sviluppare forme di cooperazione alternative fondate sulla messa in comune dei saperi, dei risultati della produzione e, comunque, su reti di scambio che escludono la logica del profitto. La partecipazione alla rete in cui circola la moneta del comune implica l’adesione a questi principi, che si tratti d’individui, d’imprese o di soggetti istituzionali come in parte il caso di certi modelli di monete alternative sperimentate su basi locali.

· Essere “non proprietà”

Questi quattro parametri implicano che il modo in cui la moneta del comune entra nel processo economico non è attraverso lo scambio o la sua detenzione (come mezzo di pagamento o riserva di valore), ma attraverso il finanziamento di un’attività di produzione (sia materiale o immateriale).
Più specificamente, la moneta del comune può rappresentare un’alternativa ad un’economia monetaria e finanziaria di produzione, se utilizzata in primo luogo come strumento di remunerazione monetaria della forza lavoro, inizialmente, ad esempio, come integrazione suppletiva al salario erogato in moneta tradizionale.
Una economia finanziaria di produzione (quale è il biocapitalismo cognitivo: allo stesso tempo D-M(kn)-D’[12] e D-D’) può essere rappresentata dalla sequenza[13]:

mercati finanziari (che iglobano le banche) –> investimento (materiale, immateriale, finanziario) –> consumo,risparmio, tassazione;

a cui corrisponde sul piano dustributivo un secondo parallelo schema:

mercati finanziari (che iglobano le banche) –>plusvalenze –> moltiplicatore finanziario –> rendite (che inglobano i profitti e parte dei salari), salari, –> indebitamento pubblico e/o privato.

In questo schema, i mercati finanziari sono in grado di creare liquidità a sostegno dell’attività di investimento e di consumo e di intervenire direttamente nella distribuzione del reddito. Il risultato è un crescente grado di disuguaglianza, che è sostenibile fintantoché l’ effetto del moltiplicatore finanziario (via plusvalenze) sulla domanda aggregata consente di compensare il peggioramento della stessa distribuzione del reddito. Si tratta di una condizione di strutturale instabilità, dal momento che i mercati finanziari non possono crescere all’infinito. E’ questo il ruolo macroeconomico svolto dalla moneta-finanza.

La moneta del comune dovrebbe sostituire la moneta-finanza. Ciò significa che la moneta del comune dovrebbe ricreare un circuito economico diverso, nel quale la produzione materiale e immateriale non è più finanziata dal mercato finanziario e del credito. E il modo più semplice è, da questo punto di vista, di immaginare una sorta di istituto finanziario comunitario (inteso come istituzione del comune), in grado di emettere moneta digitale sotto la supervisione della comunità in modo democratico, in modo irriducibile e inconciliabile on le gerarchie finanziari tradizionali.

Lo scopo di questo circuito finanziario alternativo è quello di fornire finanziamenti per lo sviluppo di servizi sociali, la produzione di valori d’uso (non profit) e la remunerazione della cooperazione sociale. La produzione dell’uomo per l’uomo, che. sottraendosi alla logica della produzione di valori di scambio, può consentire, ora e subito, un primo iniziale esperimento a favore di modelli alternativi di vita e senza dipendere dai vincoli e dalle gerarchie finanziari esterne. Tale schema può essere rappresentato dalla seguente sequenza

Istituzione finanziaria del comune –> moneta del comune –> servizi sociali, investimenti in valore d’uso, salari monetari –> modello antropogenetico di produzione dell’uomo per l’uomo –>[Municipalità/Comunità/Bilancio pubblico] <–> [Economie di apprendimento e di rete (libera cooperazione sociale)] –> [Common-fare o welfare del comune (reddito di base, libero accesso ai servizi di base, alloggio, istruzione, sanità, socialità formazione, trasporto,…)] <–> [Remunerazione del general intellect e consumo] –> istituzione finanziaria del comune.

E ‘ evidente che tale schema pone diverse sfide e limiti .
Il primo limite ha a che fare con i confini geo-economici. Una cripto-moneta con le caratteristiche di moneta del comune può essere introdotta in un sistema economico al fine di remunerazione del lavoro e di finanziamento degli investimenti a favore della cooperazione sociale solo se il ciclo di produzione si svolge all’interno di confini geografici definiti. Da questo punto di vista, una moneta locale può svolgere questo ruolo. E’ quindi necessario far riferimento a attività economiche che, per loro natura, non sono globalizzabili: ad esempio, l’erogazione di servizi sociali, come l’ istruzione e la formazione, la gestione dei trasporti e della la sanità, l’offerta di sicurezza sociale, cultura e tempo libero, l’attività immobiliare, agricola e la produzione di artigianato locale insieme a quella parte della produzione manifatturiera la cui filiera produttiva è tutta interna al territorio preso in considerazione, potrebbero essere dei buoni esempi iniziali.
Il secondo problema sta nella gestione dell’istituto finanziario del comune e dell’emissione della moneta del comune. Molte alternative sono possibili. Si tratta di un problema politico, la cui soluzione ha a che fare con il grado di democrazia dal basso e le modalità del processo decisionale esistente.
Siamo consapevoli che questo modello finanziario di produzione alternativo non può, al momento, sostituire del tutto quello tradizionale, ma ne è complementare. Tuttavia, può essere in grado di aprire lo spazio per favorire la crescita di produzione autorganizzate, non mercificate né a scopo di lucro. Può consentire una produzione del comune, perché la produzione del comune è la nostra vita.
La cripto-moneta , come qualsiasi tipo di moneta, è uno strumento. E, come ogni strumento, la sua utilità dipende dal modo e dal contesto sociale in cui viene utilizzata . Come scriveva Keynes, la moneta è un ponte che collega il presente al futuro .
E’ tempo di pensare ad uno strumento monetario in linea con le nuove soggettività del lavoro vivo oggi precarie.

[1] Cfr. J.M.Keynes, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, Utet, Torino, 2001,cap. 21, p. 485.
[2] Cfr. K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, III manoscritto, ap. Il Denaro, fr. XLI
[3] In parte tratto da: Grateful Dead, “Moneta: possibile espressione del comune, non bene comune”, in Quaderni di San Precario.n. 4, dicembre 2012,Milano, pp. 33-40
[4] CFr. Erodoto, The Histories, Vol I, fr. 94. Vedi anche M. Cowell and K. Hyne, “Scientific Examination of the Lydian Precious Metal Coinages,” in A. Ramage, P.l Craddock (eds.) King Croesus’ Gold: Excavations at Sardis and the History of Gold Refining, Harvard University Press, Cambridge, 2000, pp. 169-174.
[5]Cfr. D.J.Roio, Bitcoin or the end of the taboo of money, apr. 2013: http://jaromil.dyne.org/writings
[6] Cfr. G. Griziotti, Biorank. Algoritmi e trasformazioni del bios nel capitalismo cognitivo, gennaio 2014, in Effimera . Vedi anche, D.J.Roio, Bitcoin or the end of the taboo of money, apr. 2013: http://jaromil.dyne.org/writings
[7]See J.L. Austin, Philosophical Papers, 1961, 1979, (eds. J. O. Urmson and G. J. Warnock), Oxford, Oxford University Press, C. Marazzi, Capital and Language: From the New Economy to the War Economy. Los Angeles: Semiotext(e), 2008.
[8]Cfr. J.M.Keynes, The General Theory of Employment, Interest and Money, McMillan, London, 1936, cap. 24, p.392
[9] L’algoritmo bitcoin è concepito per una produzione massima e decrescente di ventuno milioni d’unità di cui il 75% sarà emesso entro il 2017. Per il litecoin sono previsti ottantaquattro milioni di pezzi. Dati tratti da G.Griziotti, Biorank., cit.
[10] Cfr. G. Griziotti, Bio rank, cit. Vedi anche l’intervento di Gianluca Giannelli, Spazio di Mutuo soccorso, La moneta del comune n. 2: criptomonete, 19 dicembre 2013. Vedi Anche A.Fumagalli,,G. Giannelli, “Il fenomeno bitcoin moneta alternativa o moneta speculativa” in Effimera.
[11] Cfr. G.Griziotti. Bio rank, cit. Si veda anche See L. Baronian, C. Vercellone, Moneta del comune e reddito sociale garantito:
[12] Denaro-Merce(conoscenza)-Denaro.
[13] Cfr.. A.Fumagalli, S. Lucarelli, “A Financialized Monetary Economy of Production” in International Journal of Political Economy, vol. 40, no. 1, Spring 2011, pp. 48–68

M-commerce e moneta elettronica.

di Uriel Fanelli, Kein Pfusch

Torno un poco ad un post sul mio lavoro, e ne approfitto per continuare il discorso sull’m-banking, che tra 2013 e 2014 sara’ uno dei leit-motif delle nuove offerte del mondo mobile. Ho gia’ parlato in passato di m-pesa ( http://www.keinpfusch.net/2011/12/m-banking.html ) e del suo devastante (in senso positivo) impatto sulle economie di 4 paesi africani, ma le nuove proposte che vedo sono molto diverse.

Gestendo un grosso plesso per le comunicazioni M2M via SMS, ovviamente ho una visione limitata della cosa: i sistemi di m-commerce che useranno, per esempio, CAT-TP (una versione semplificata di TCP/IP) non passeranno da me, quindi non ricevero’ nessuna formazione specifica a riguardo. (design, sicurezza, usecases, troubleshooting , e cosi’ via).

Sul mio plesso stanno per passare 6-7 “propositions”, ovvero ci sono delle piccole “costellazioni” di telco e banche/carte di credito/aziende tecnologiche che costruiscono e testano i loro sistemi.

Considerata la dimensione del plesso in questione, potete considerare che solo nel mondo occidentale probabilmente tra 2013  e 2014 verranno lanciate due dozzine di servizi simili, piu’ asia (che a parte India e Cina il mio plesso non copre), e Africa. (Hai detto niente).

Facendo un passo indietro, m-pesa e’ stato il modello piu’ visibile e testato, dal momento che ha alzato di diversi punti percentuali il PIL di quattro paesi africani ( http://www.keinpfusch.net/2011/12/m-banking.html ) ma d’altro canto ha il “piccolo” difetto di non essere multitenant (lascia fuori tutti gli altri Tier-1) e di cancellare o ridurre al lumicino il sistema bancario locale.

Poiche’ le banche non africane hanno dei pregiudizi verso chi le cancella dal mercato, ma a differenza di quelle africane sono anche i finanziatori delle telco stesse, capite subito perche’ il modello m-pesa, con tutta la comodita’ di essere un modello legacy, non sara’ quello esportato nel mondo occidentale.

I giocatori piu’ grandi e piu’ cruciali in questa gara sono, con grande sorpresa, i produttori di SIM. Forse voi pensate che una SIM o una USIM, o una GUSIM, siano degli oggetti molto passivi, o delle semplici memorie, in realta’ sono piccoli calcolatori programmabili che possono svolgere funzioni molto intelligenti.

Il primo tratto comune in tutti i progetti che vedo, o quasi, e’ l’entrata in gioco della smartcard come componente separato, quasi un terminale a parte: a fare da terminale ATM per i pagamenti di fatto non e’ il cellulare, ma la SIM. Questo non dovrebbe stupirvi se pensate che anche la vostra carta di credito e’ una smartcard, ma la coppia di SIM + Cellulare fa si che la vostra carta di credito possa parlare con altri sistemi, con molta piu’ facilita’.

Questo risponde innanzitutto ad una domanda: perche’ dovrei usare il cellulare come carta di credito? la verita’ e’ che in tutte le soluzioni m-commerce che vedo, il cellulare e’ ATTORNO alla carta di credito, e serve a difenderla. Supponiamo infatti che la carta di credito venga rubata: essa verra’ usata o mossa in giro per il mondo, e non sapete dove sia. E specialmente, la vostra carta di credito non puo’ reagire.

Quando la carta di credito e’ dentro un cellulare, invece, la sua smartcard puo’ fare una cosa interessante: mandare un SMS avvisando cosi’ della propria posizione. Poiche’ la SIM necessita del cellulare e della rete mobile per pagare, ma quando entra in rete riporta la propria posizione e riceve comandi , di fatto non appena vi venisse rubata e’ possibile , a seconda del vendor, eseguire delle azioni.

Alcuni hanno sviluppato sistemi che in seguito alla denuncia mandano un SMS alla SIM, con l’ordine di cancellare ogni modulo installato dalla memoria. Non appena il malvivente mettera’ la SIM in rete per comprare con la vostra carta di credito, arrivera’ l’sms e la SIM cancellera’ le chiavi per gli acquisti. Alcuni fornitori hanno aggiunto – a seconda dei cellulari “in scope” – il rilevamento GPS (in coppia con una app ad hoc) oppure un heratbeat silenzioso, un sms binario inviato (gratis) ogni tot minuti, che dal momento del furto traccia la vostra sim. Il delinquente puo’ evitare il problema solo togliendo la sim dal telefono, il che ne esclude il pagamento.

Lavorare con le SIM ovviamente introduce delle criticita’. Innanzitutto occorre designare dei PIN allo scopo, e di PIN liberi non ce n’erano tanti. Alcuni produttori hanno reagito con sim ad hoc, altri identificando PIN non ancora usati. Purtroppo manca uno standard.

L’altro problema e’ la quantita’ piccola di memoria.

Uno dei vantaggi di tutti questi sistemi e’ quella di consolidare tante smartcard in una. Significa che voi passate dall’avere per esempio VISA, AMEX, Lufthansa Miles And More, EC card, Trenitalia card) ad una sola carta contenuta nel telefono. Questo significa che i vari fornitori di servizi (Lufthansa, Visa, Coop, – sto inventando, sia chiaro) federandosi ad una telco potranno “installare” da remoto la loro carta sulla vostra sim. Insomma, anziche’ darvi una carta di credito installano la carta di credito, o la carta servizi,  (o meglio, parte della memoria della smartcard) dentro la SIM.

Qui c’e’ la piu’ completa varieta’ di metodi di installazione: si va da CAT-TP a NFC a TCP-IP , da Bluetooth  sino ad SMS , il che richiede una piu’ o meno grande prossimita’ del vostro cellulare. In alcuni casi l’installazione puo’ avvenire da remoto, in altri casi avviene dentro la filiale dell’ente che vi fornisce il servizio. La comodita’ della mobilita’ in un caso viene poi compensata dalla sicurezza fisica dell’altro, e viceversa.

Suppongo che le banche preferiranno installarvi il bancomat con voi presenti in ufficio, almeno una banca europea sta per diventare un MVNO, ovvero vi vendera’ anche la SIM,  mentre magari servizi piu’ neutrali come Trenitalia, Deutsche Bahn o altri vendor di tessere fedelta’ come i supermercati potranno farlo da remoto.
Qui andiamo alla seconda domanda: qual’e’ il secondo motivo per il quale dovrei passare ad un servizio simile?La risposta e’ che una sola SIM puo’ consolidare da 5-6 a due dozzine ( a seconda di memoria e modello) di smartcard al proprio interno. Quindi, il vostro cellulare , in quasi tutte le implementazioni che vedo , diventa una specie di terminale universale verso tutti i servizi che necessitano di smartcard.
Ovviamente vi verra’ in mente il problema: e la sicurezza?
Il problema e’ che stanno facendo questa cosa PROPRIO per la sicurezza.
Le banche stanno notando un crescente aumento di frodi sugli ATM, che vengono manomessi per raccogliere credenziali: la loro idea e’ che se sostituiamo l’ ATM con il vostro cellulare, molto probabilmente nessuno riuscira’ a manomettere centomila cellulari. Se invece abbiamo 300 ATM (Bancomat, insomma) in giro in una grossa citta’. e lavorando in squadra riusciamo a manometterli tutti e 300, riusciamo ad impadronirci di decine di migliaia di carte di credito.
Impadronirsi in un giorno di decine di migliaia di cellulari e’ un pochino piu’ complicato, sicuramente, e dal punto di vista della rete mobile un eventuale magazzino con dentro 15.000 cellulari e’ “abbastanza visibile”.
Insomma, se pensate ad una banca che ha in mente di trasferire il suo bancomat sul vostro cellulare, la sicurezza del vostro ‘Bancomat/POS” e’ AUMENTATA. Per avere 15.000 credenziali di carte di credito mi basta assalire 300 bancomat, mentre se lo sposto nel cellulare, devo rubare 15.000 cellulari.
Anche le agenzie di carte di credito desiderano mettere un componente elettronico attivo attorno alla carta. Attualmente, per quanto sicura sia una carta , essa e’ in un certo modo incapace di difendersi se rubata. Mettere attorno ad una carta di credito un cellulare significa che il ladro di carte deve entrare in rete per usarla, ma se entra in rete, allora conosciamo la posizione della carta.
Inoltre, trasformare la carta di credito in un terminale attivo significa che per generare un PIN non avrete piu’ bisogno di hardware dedicato, cioe’ di una chiavetta, ma solo di un software, quando non potrete semplicemente ricevere un SMS col pin stesso.
Dal punto di vista di una VISA o di una mastercard, passare da una carta di credito totalmente inattiva ad una che comunica con la rete e’ un AUMENTO di sicurezza.
Rimane il tema della sicurezza informatica, ovvero il fatto che – nelle architetture che passano per la rete telefonica – occorre garantire che la SIM non venga raggiunta da un hacker.In questo senso, la coppia MSC/HLR+VLR funziona piuttosto bene, a patto che i messagi OTA possano venire mandati SOLO da apposite piattaforme, di proprieta’ della telco. IN questo senso, la telco lavora sempre come enabler, nella misura in cui fornisce l’ UNICA piattaforma OTA capace di interagire con la carta di credito telefonica, e qualsiasi altro segnale inviato da qualsiasi altra cosa non potra’ raggiungere la SIM stessa: nel mondo legacy SS7, questa condizione e’ facilmente ottenibile, ove “facilmente” significa che e’ MOLTO piu’ facile che da ottenere che nel mondo TCP/IP.
Di conseguenza, credo che oltre ai progetti che seguo come enabler, ci saranno in europa almeno un’altra dozzina o due di “federazioni” di servizi di m-banking , piu’ quelli che decideranno di non usare la rete e basarsi su implementazioni locali, come gia’ fanno alcune aziende di trasporti locali o alcuni supermercati.
Queste soluzioni hanno come player principali:

  1. Banche, Circuiti , in generale fornitori di servizi commerce oggi su smartcard.
  2. Fornitori di Servizi OTA, e relative piattaforme da integrare nelle reti mobili.
  3. Fornitori di interfacce tra igli (1) e gli OTA.
  4. Produttori di SIM sempre piu’ capaci.
  5. Telco, che ospitano gli OTA, distribuiscono le SIM e forniscono la rete mobile.
L’altro vero punto e’ : che genere di successo si prevede per questi servizi. Inizialmente basso, perche’ si tratta di cose che cambiano molto il modo di vivere delle persone, e come se non bastasse non ci sono standard consolidati. Questo significa che tutti sanno di trovarsi nel periodo di interregno tipico che precede la standardizzazione, ovvero quando tanti standard lottano e la fortuna di uno o dell’altro in ultima analisi e’ legata non solo a questioni tecniche, ma alla scelta del mercato, che puo’ anche derivare dalla app piu’ o meno simpatica usata da tizio piuttosto che da caio.
Perche’ lo fanno, allora? Lo fanno perche’ tutti loro sono coscienti che la loro competizione lo stia facendo. Questi enti si spiano a vicenda, alcuni hanno gia’ annunciato alla stampa le loro soluzioni ( http://techcrunch.com/2012/10/29/vodafone-to-launch-mobile-wallet-service-next-year-inks-deals-with-m-commerce-company-corfire-digital-security-firm-gemalto/ ) , e quindi devono esserci piacenti o meno. In Italia il panorama e’ un pochino desolante, e questo sara’, nei prossimi 5 anni, un altro gap tremendo : dopo una buona partenza, con una piattaforma condivisa di API per l’m-commerce (unico paese ad avere unificato le API tra gli operatori concorrenti), adesso sembra che le applicazioni scarseggino. Un prezzo che verra’ pagato carissimo entro cinque anni.
Che genere di societa’ avrete, che genere di economia avrete con un bancomat in tasca? Ho visto alcune slides con le “previsioni” di alcune grosse societa’ di consulenza (Goldman Sachs, McKinsey, et al) e devo dire che le idee sono molte e ben confuse, dandomi una sensazione tipo questa:http://dilbert.com/strips/comic/2013-05-15/
Scherzi a parte, queste aziende di consulenza strategica puntano il dito sempre e comunque sulla facilita’ di dematerializzare il negozio, ovvero trasformare il negozio in un ente che puo’ venire a casa vostra, avendo tutto quel che serve per pagare e registrare il pagamento. In effetti, ci si chiede come mai uno non possa aprire un negozio di vestiti mobile, che su chiamata venga la sera a casa vostra a mostrarvi alcuni vestiti (tipo lo chiamate e dite “devo procurarmi un vestito da sera, ho 40 anni, donna, porto questa taglia) e arrivi a casa un tizio con un piccolo campionario a vendervelo.(1)
In pratica, cioe’, rende molto facile per qualsiasi negozio avere una rete di venditori a domicilio, e la possibilita’ di avere pagamenti semplici con chiunque abbia un cellulare e si avvicini abbastanza a voi: idraulici, parrucchieri a domicilio, eccetera.
Oltre alla smaterializzazione del negozio e alla possibilita’ di portarlo a domicilio (od ovunque sia richiesto) , l’altro punto identificato e’ l’aumento di sicurezza. Come abbiamo detto, svincolarsi dal bancomat fisico per le banche diventa sempre piu’ urgente, perche’ essi sono oggetto di assalti che possono colpire migliaia di clienti alla volta, e anche il problema delle carte di credito smarrite/rubate/contraffatte e’ molto forte.
Un brusco aumento di sicurezza nei pagamenti ha effetti ancora ignoti, e soltanto un’azienda di consulenza (attualmente produce antivirus e sistemi anti-theft per cellulari, ed e’ l’unica ad avere fatti da mostrare) e’ stata capace di fornire una visione, ovvero il fatto che il “trust” nel canale impatta poco le operazioni di basso valore, ma rende piu’ frequenti le operazioni di maggior valore.
In definitiva, l’unica azienda a mostrare dei fatti ha mostrato come una diminuzione del rischio su un canale impatta prima le transazioni assicurate, che diventano meno costose. Di conseguenza, il problema non e’ se Amazon potra’ vendervi 100 euro di cose pagando in questo modo; il costo di questa operazione non cambia molto dal punto di vista di Amazon. Il problema semmai sara’ se un negozio potra’ vendervi con piu’ sicurezza (usando la carta di credito) roba normalmente assicurata, cioe’ molto costosa.
Altre societa’ di consulenza ci hanno mostrato le loro slides riguardo al possibile forecast di questi servizi (2), ma a parte pochi qualificati che menzionavano dei fatti (cioe’, gente che in passato ha fatto cose simili su larga scala e tenta di capire cosa sia successo) gli altri mi sono sembrati dei futurologi.Ora, il motivo per cui non ho fatto di questo blog un blog 100% tecnico e’ che ODIO i futurologi. E quindi non voglio diventarlo.
Voglio dire,  chi poteva prevedere l’exploit dei tablet? Alcuni futurologi potevano forse predirlo, e se mille persone predicono di tutto, dal pollo-velociraptor al download di prostitute, qualcuno ci azzecchera’, tantevvero che si vedono in giro polli ferocissimi alti due metri e mezzo. I quali attraversano la strada, inspiegabilmente.
A parte i futurologi, c’era qualcuno che poteva prevedere il successo dei tablet? Certo: Steve Jobs, per esempio. Indubbiamente la sua versione sarebbe stata di parte, e quindi piu’ che di una previsione si sarebbe parlato di visione, ma almeno poteva mostrarvi dei FATTI: “Alla Apple stiamo costruendo iPad e lo metteremo in commercio il tale giorno”. Ok, puo’ avere successo o meno, ma almeno c’e’ un cazzo di FATTO sotto. Quindi, se proprio volessi scegliere un futurologo, sceglierei chi FA le cose. Potra’ sbagliare o meno sul successo, ma almeno ha dalla sua il fatto di star FACENDO delle cose. Ha qualcosa da mostrare.Ma uno stronzo che passa la vita nei suoi vigneti in california e non sa riparare un interruttore di casa, non deve venirmi a scassare la minchia solo perche’ immagina un mondo cosi’ e cosa’. Ma che cazzo credete, che agli altri manchi l’immaginazione, o che bastino una barba , una pancia e una camicia (pessima persino per gli standard bavaresi) per prevedere il futuro?
Cosi’, deve essere chiaro che – nei limiti degli NDA che firmo – sto descrivendo cose che vedo, in alcuni casi ci sono cose che faccio, ma NON sono un “futurologo”. Posso dirvi come funzionano(3) 6-7 servizi che si integrano da noi (e quindi, ce ne saranno una trentina identici su scala della singola nazione, moltiplicato per gli altri continenti) e che usano le tecnologie che usiamo noi (e quindi lasciamo fuori altre decine di idee)  , posso dirvi come la vedono le aziende che ci si stanno buttando, ma se mi chiedete come sara’ il mondo tra dieci anni vi posso dire che PROBABILMENTE, MOLTO PROBABILMENTE ci sara’ una grossa percentuale di m-commerce , ma non e’ che ci vivi con una simile “previsione”. Almeno, io non riesco a farmi pagare per questo.Forse dovrei coltivare uva in California, o vivere in un faro al largo di Dover, usare camicie orribili, farmi crescere un barbone ed ingrassare moltissimo.E specialmente, trovare polli disposti a pagarmi per questo.

Nel frattempo, credo che vi dovrete accontentare di quello che scrivo. Non vi parlo di come il vostro cellulare fara’ il download della vostra fidanzata dalla rete, ma cosa volete, il futuro non e’ piu’ quello di una volta.

Uriel
(1) Non prendetevela con me, questo esempio viene da un tizio che evidentemente ama comprare vestiti.
(2) Si, dobbiamo sapere come gestire la capacita’. Presto potremmo trovarci nelle condizioni di avere i saldi online, o saldi pagati con sistemi di acquisto M2M, e quindi una semplice stagione dei saldi potrebbe alzare il traffico.
(3) Nei limiti dell’ NDA significa che posso menzionare tecnologie standard, roba che si studia a scuola per chi ci arriva, e che magari e’ ignota agli altri.

E per salvarsi Atene potrà perfino stampare moneta…

di Fabrizio Goria, Linkiesta – 21/03/2012

È stato attivato il 25 agosto lo schema Ela, che consente alla Grecia di stampare moneta, in deroga ai trattati europei che attribuiscono tale funzione solo alla Bce. La richiesta è stata avanzata già da due grandi banche. Ci sarà da fidarsi? Intanto arrivano i primi calcoli sul default greco: che costerebbe 97 miliardi di euro.

Dopo l’Irlanda, la Grecia. La scorsa settimana la Banca centrale ellenica ha attivato l’Emergency liquidity assistance (Ela), un particolare meccanismo di prestiti assistenziali messi a disposizione del sistema bancario. Tramite questo schema saranno iniettati nuovi capitali, erogati tramite la stampa di moneta ex novo in deroga ai Trattati europei. Alla luce di questo, nel giorno della fusione fra Alpha Bank ed Eurobank, due fra le maggiori banche elleniche, aumenta il rischio di un veloce peggioramento della situazione debitoria di Atene.

Non è la prima volta che la Banca centrale europea (Bce) permette l’uso di questo genere di strumento straordinario. Nell’ultimo anno fu Dublino ad adottarlo, stampando moneta al posto dell’Eurotower per fornire liquidità al sistema bancario irlandese. A scoprire questo utilizzo ai limiti dei trattati europei fu l’Irish Independent, accusando la banca centrale di Dublino di aver erogato oltre 51 miliardi di euro ai propri istituti di credito in deroga alla sovranità monetaria della Bce. Accuse che poi si sono rivelate fondate. Ora la storia potrebbe ripetersi per la Grecia.

Come quanto anticipato dal quotidiano greco Imerisia, il 25 agosto è stato attivato lo schema Ela alla Banca di Grecia. Due grosse banche, nei primi istanti di vita dello strumento, hanno chiesto di poter accedere al programma. Sono tre le condizioni per l’apertura delle linee di credito: situazione straordinaria, elevate garanzie a collaterale, erogazione per un tempo limitato. E i sospetti sui due istituti di credito che hanno subito domandato di aderire all’Ela sono caduti su Alpha Bank ed EFG Eurobank Ergasias, ovvero le protagoniste della più grande fusione interbancaria della storia ellenica, istituzionalizzata nelle scorse ore.

A peggiorare la già precaria situazione del sistema bancario ellenico ci hanno pensato i risparmiatori. Negli ultimi nove mesi dagli istituti di credito greci sono usciti 21,4 miliardi di euro, dirottati fuori dal Paese per via del rischio insolvenza. Questo nonostante le raccomandazioni del ministro delle Finanze Evangelos Venizelos, che ancora tre giorni fa ha ripetuto che «le banche elleniche sono solide, ben capitalizzate e al sicuro dalla tempesta finanziaria». Parole che, alla luce dell’attivazione dell’Ela, sanno di beffa.

C’è tuttavia un altro aspetto che deve preoccupare. In un interrogazione dello scorso febbraio un parlamentare Ue ellenico del PPE, Konstantinos Poupakis, ha domandato in che modo funzionasse l’Ela, quali erano gli esempi recenti dell’adozione di questo strumento e fino a che punto poteva incidere sulla massa monetaria presente nell’eurozona. In pratica, il preludio a quanto successo pochi giorni fa. La risposta a Poupakis del Commissario Ue agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, è stata laconica: «La Commissione europea non detiene statistiche sulla varie operazioni Ela (…), mentre è la Bce che cura questi aspetti». Facile immaginare quindi come possa essere rischiosa questa asimmetria informativa. Il paragone è veloce. Come dal 2005 a oggi Atene ha mistificato i propri conti pubblici agli occhi dell’Europa, è possibile che anche per l’Ela faccia lo stesso. Del resto, lo schema di liquidità assistenziale, come ha ricordato il Commisario Rehn, non rientra nei programmi dell’Eurosistema, benché possa essere utilizzato al suo interno. Diventa quindi ostico, sia per la Bce sia per la Commissione, monitorare l’esatta erogazione della liquidità. Il rischio è quindi che, facendo leva su tale opacità, le banche greche possano subire iniezioni di capitali freschi stampati ex novo o senza le dovute garanzie.

Nel frattempo, stanno emergendo nuovi dettagli su quanto potrebbe costare un fallimento di Atene. Secondo Reuters Insider il default della Grecia costerebbe 97 miliardi di euro, più tutti i fondi finora erogati da Ue, Bce e Fondo monetario internazionale (Fmi). Un terzo, invece, sarebbe il prezzo da pagare in caso di bancarotta portoghese. Per Lisbona, in caso di collasso, le perdite si aggirerebbero intorno ai 31 miliardi di euro, più le linee di credito per il salvataggio. Minore il costo per l’Irlanda, 13 miliardi di euro. Nel complesso, compreso il pagamento dei Credit default swap (Cds) pari a 2,8 miliardi di euro, il fallimento dei tre Paesi sarebbe in grado di generare un buco da 144,2 miliardi. Il tutto senza contare la liquidità erogata dal maggio 2010, data del primo bailout europeo, a oggi. E il conto finale aumenta sempre di più.

Terra TRC

This paper will examine The Terra Trade ReferenceCurrency (Terra TRC, hereafter referred to in shorthand as Terra)—a supra-national complementary currency initiative, intended to work in parallel with the current international monetary system to provide an effective mechanism by which to readress important such global issues.

 

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