Alcune riflessioni sui Commons

Documento per la Conferenza internazionale sui Commons tenutasi a Berlino il 31 ottobre 2010, preparato dal Comitato Direttivo (Michael Bauwens, David Bollier, Beatriz Busaniche, Silfe Helfrich, Julio Lambing, Jeike Loeschmann) per stimolare il dibattito e la riflessione.

Tesi chiave: I Commons (*) sono ciò che rende possibile ogni altro obiettivo sociale, compresi gli obiettivi ambientali che sono, essenzialmente, sociali.

Flusso I : I Commons come Sfida all’Economia Classica

A. I commons non riusciranno a contrastare l’economia contemporanea e la struttura istituzionale convenzionale se non:

  • metteranno in discussione le convinzioni chiave sottostanti l’economia tradizionale e le correlazioni comportamentali indotte dalle strutture istituzionali prevalenti;
  • reinterpreteranno il significato di proprietà dalla proprietà privata alla tutela collettiva; e
  • svilupperanno concetti coerenti che siano anche empiricamente dimostrabili e convincenti alternative alla convenzionale “somma finale” numerica;

B. Le caratteristiche intrinseche dei commons sono l’abbondanza e la diversità.

  • Se rispettiamo la diversità e ci organizziamo per l’abbondanza, i commons (ri)produrranno costantemente abbastanza per tutti.
  • Ogni qualvolta possiamo – in caso di risorse e generosità non rivali – il prodotto dei commons dovrebbe essere universalmente disponibile; quando ciò non è possibile – nel caso di risorse rivali – il prodotto dei commons dovrebbe essere distribuito equamente.

C. Una società realizzabile si basa sulla cooperazione e la co-produzione anziché sulla divisione classica del lavoro che separa i produttori e fornitori di risorse dagli utilizzatori di esse e che tratta la natura, la comunità e la cultura come esternalità sfruttabili.

D. I mercati non sono la sola fonte di creazione della ricchezza. I commons, che sono ricettivi alle voci popolari democratiche e alla pressione delle nostre risorse biotiche, possono funzionare come economie parallele all’economia monetaria, comprese le economie di sussistenza e le economie del dono. Un altro modo promettente per fare questo consiste nello sviluppare piattaforme software su base comunitaria. Nel tempo tali piattaforme di comunicazione si possono ampliare a nuovi tipi di scambio sociale, ad esempio a monete digitali, esterne alle monete nazionali e ai mercati convenzionali. Tali processi rafforzerebbero le comunità urbane e rurali resistenti e consentirebbero loro di prendere nelle proprie mani la riproduzione del sostentamento.

E. L’intero sistema economico delle società moderne dipende profondamente dallo stato, che crea intere industrie e provvede a strutture regolamentari. La richiesta di beni e servizi da parte dello stato è un altro esempio. Di fatto l’approvvigionamento pubblico e lo sviluppo infrastrutturale fanno la parte del leone nelle nostre economie. Perciò è urgentemente necessaria una svolta verso approvvigionamenti basati sui beni comuni. Ciò comprende, ad esempio, vantaggi fiscali per il sapere, le informazioni e le infrastrutture generate liberamente o procedure di gara basate su criteri stabiliti che rafforzino la partecipazione delle comunità interessate.

F. C’è necessità di identificare e comunicare chiaramente i “criteri vincenti” dei commons e/o una tassonomia generale di commons riusciti. Ma sviluppare indicatori per la messa in comune creativa e produttiva è notoriamente difficile. E’ perciò essenziale contribuire allo sviluppo di metri di misura inclusivi che riconoscano criteri chiave per una creazione di ricchezza più vasta.

Flusso II: I Commons sfidano il Duopolio Stato/Economia

A. I commons sono il terzo elemento, in aggiunta allo stato e al mercato, che richiedono sostegno strutturale e intellettuale.

B. I commons offrono un ricco insieme di modelli di governo e la loro natura costitutiva si sforza di conseguire un nuovo stile di appropriazione e partecipazione sociale. Nonostante la loro diversità e la loro dipendenza da certe leggi o dal sostegno dello stato, i commons tendono ad essere stabili e a facilitare l’autonomia sociale e un’efficace amministrazione delle risorse. Ciò nonostante un commons vincente è sempre il prodotto di uno sforzo e di una lotta continui.

C. “I commons al di là del mercato e dello stato” non significa necessariamente senza mercato e senza stato, se consideriamo la loro ricca storia, l’enorme diversità e dispersione geografica. Ma significa necessariamente che le persone e i loro commons, con il sostegno di uno stato partner, divengono il centro della creazione della ricchezza. I commons mirano a creare un’economia etica vibrante di nuove forme di mercato che non ignorano le esternalità naturali e sociali, ma le includono nella propria logica di funzionamento.

D. Gli aventi titolo ai commons trascendono la cittadinanza basata sullo stato-nazione e le società civili nazionali. E la loro identità va oltre quella di consumatori passivi per arrivare a quella di co-produttori responsabili. I detentori di commons sono radicati in un’enorme varietà di comunità reciprocamente dipendenti. Una delle idee centrali a proposito dei commons è quella che la protezione e la creazione di ricchezza comune sia non solo di beneficio per gli stessi detentori dei beni comuni ma lo sia per le società locali e per quella globale cui essi pure appartengono. L’idea centrale dei commons è: ho bisogno degli altri e gli altri hanno bisogno di me.

E. Ciò di cui abbiamo bisogno non è soltanto di una regolamentazione statale, bensì di una maggiore responsabilità e rispondenza nei confronti delle comunità coinvolte riguardi ai criteri del benessere. Questa è la chiave. Invece di ridimensionare lo stato rafforzando la logica del mercato, una politica basata sui promuove il ridimensionamento della scala e del campo dei mercati rafforzando “istituzioni relative ai beni comuni”. Ciò significa creare istituzioni progettate per operare come fiduciarie dei commons e come attivatrici di essi. Nuove tecnologie sociali e reti distribuite – che devono essere basate sull’uso sostenibile dell’energia – possono stimolare questo processo.

F. I Commons globali implicano un nuovo tipo di multilateralismo che emancipi gli abitanti locali al ruolo di cittadini e metta gli stati-nazione in condizioni di collaborare più efficacemente per superare i problemi di azione collettiva globale.

Flusso III: La Logica Generativa dei Commons

A. Per costruire i commons dobbiamo costruire comunità robuste che a loro volta richiedono forme cooperative e deliberative di comunicazione e di decisione. Le comunità servono anche da palestre di apprendimento per lo sviluppo delle competenze e degli atteggiamenti e ottiche necessarie per la messa in comune.

B. I commons, come forma auto-organizzata di produzione paritaria [peer-to-peer o P2P] seguono una logica propria. La produzione paritaria presuppone l’equipotenza dei propri partecipanti, è basata sulla collaborazione libera, mira alla creazione di beni comuni e cerca di essere al servizio del maggior bene di tutti. Crediamo che questo modo di produzione sia almeno altrettanto produttivo che i modelli che ignorano i commons. E in termini di perseguimento della ricchezza sociale e della riproduzione della diversità, i modelli di produzione su base comunitaria possono riuscire anche meglio di quelli basati sull’imposizione, il controllo e/o la vendita.

C. La produttività non può essere semplicemente una misura artificiale dei risultati di un’impresa; deve tenere conto di tutti i costi, compresi quelli celati delle sovvenzioni, i danni all’ambiente e altri tipi di valori non quantificabili, non di mercato di cui i commons tengono conto di routine.

D. I commons significano prendere la vita nelle proprie mani. Il sapere è la chiave per farlo, ma il sapere è più che l’accesso al sapere e l’accesso al sapere è qualcosa di più che la costruzione di infrastrutture tecniche. La rapida diffusione del sapere e dell’innovazione a tutti coloro che ne hanno necessità richiede:

  • la condivisione di informazioni, codici, competenze e progettualità attraverso piattaforme accessibili universalmente o a base comunitaria;
  • la competenza per la comprensione e la riflessione, e
  • la loro appropriazione per modellare i nostri habitat sociali.

Concepire il sapere come un commons garantisce una giusta condivisione dell’innovazione, senza gli attriti e gli occultamenti causati alla condivisione da eccessive regole sulla proprietà intellettuale.

E. Le strutture istituzionali possono articolare e rendere possibili nuovi commons, ma possono anche
danneggiare i collegamenti e l’etica sociale che sono indispensabili ai commons. Perciò una sfida chiave
nell’ideare effettive politiche a base comunitaria consiste nell’equilibrare correttamente questi due
interessi. La burocratizzazione dei commons non è un commons, ma un paradosso a proposito del quale
occorre che prestiamo attenzione.

Per il successo di una politica orientata al commons sono imperativi un’alleanza e un onesto scambio di
esperienze e saperi tra tutti coloro che lavorano ai commons sociali, ecologici, sociali e culturali.

[…]

(*) NdT: Viene mantenuto il termine inglese ‘commons’ non risultando ancora sufficientemente attestata una traduzione italiana che non risulti limitativa o fuorviante; il termine da considerarsi il candidato migliore è ‘comunanza/e’; storicamente il concetto risale a una storia di secoli di risorse utilizzate in comune da una collettività, prevalentemente terreni agricoli o risorse boschive. Residuano ancora realtà di questo tipo in alcune regioni italiane, tuttavia stanno scomparendo per l’abbandono dell’agricoltura, silvicoltura su piccola scala. Personalmente considero una specie di rivalsa della storia il fatto che una realtà di sussistenza delle classi umili del passato possa riproporsi, reinterpretata alla luce di nuove analisi concettuali e potenzialità tecnologiche, come efficace alternativa al dominante sistema di produzione/distribuzione capitalista. Peraltro la lunga storia dei commons come comunanza di uso di risorse materiali, compresa a volte la distribuzione equa del loro sfruttamento, testimonia che il/i commons non sono necessariamente, come a volte si sostiene, limitati alla condivisione di attività/prodotti immateriali anche se l’esperienza moderna di maggiore successo risulta quello del Software Libero o Open Source.

Da Socialforge – Un laboratorio di creazione sociale

www.socialforge.org

Fonte: http://p2pfoundation.net/Some_Thoughts_on_the_Commons

Originale: P2P Foundation

Traduzione di Giuseppe Volpe

(c) 2012 – Socialforge Licenza Creative Commons BY-NC-SA 3.0

Che cosa è Oekonux?

Dieci paradigmi sviluppati dal Progetto Oekonux

di Stefan Meretz, Keimform 29/12/2011

NdT: Questo documento, pubblicato da Stefan Meretz sul blog Keimform tra il 20 ottobre ed il 29 dicembre 2011, descrive il lavoro teorico di ricerca svolto nel corso di dieci anni sul software libero e sulla produzione paritaria su base comunitaria dal progetto tedesco Oekonux (http://www.oekonux.org). Il documento è stato preparato per essere pubblicato sulla rivista Critical Studies in Peer Production (CSPP).

Abstract

Il progetto Oekonux cerca di creare nuove basi per analizzare un fenomeno storico nuovo: l’emergere della produzione paritaria, a partire dalla creazione del software libero. Se è valida l’ipotesi iniziale che il software libero sia la forma germinale di un nuovo modo di produzione oltre il capitalismo, sarebbe necessario sviluppare nuovi modelli epistemologici per essere in grado di analizzarlo adeguatamente. Ciò richiede la comprensione e la critica di vecchie nozioni analitiche in quanto prodotti storici del modo capitalista sopravvissuto di produzione del nostro sostentamento, comprese quelle che mirano ad essere in opposizione al capitalismo. In questo documento presento dieci modelli che sono emersi dai dibattiti del Progetto Oekonux. Essi dimostrano cosa significhi andare oltre gli schemi di analisi tradizionalmente di conferma o tradizionalmente di contrasto, o “di sinistra”. Anche se ricavati dai dibattiti del Progetto Oekonux, questi modelli non sono mai stati presentati in maniera così concentrata. Ovviamente non tutti i modelli saranno condivisi dagli altri partecipanti a tali dibattiti, perché alla fin fine si tratta di conclusioni mie personali ricavate da oltre dieci anni di discussioni.

Introduzione

In questo testo cercherò di offrire una qualche introduzione alle idee principali che sono state sviluppate dalla fondazione del progetto Oekonux nel 1999. Non c’è un insieme fisso di pensieri e personalmente ho la mia ottica personale riguardo alle idee Oekonux.

Perché il progetto Oekonux è così rilevante per il dibattito sulla produzione paritaria su base comunitaria? Ci sono due motivi. Primo: Oekonux ha sviluppato molte delle idee con le quali molti ricercatori hanno familiarità da molti anni prima che esse arrivassero a un pubblico più vasto. Oekonux è stato fondato come un progetto di riflessione sul software libero, ma era presente sin dall’inizio la questione della generalizzazione delle osservazioni sul software libero ad altri settori dei beni immateriali e materiali. Quando Yochai Benkler (2006) coniò il termine produzione paritaria su base comunitaria (NdT: in inglese, commons’ based peer production) non fece che condensare in un’espressione accattivante un dibattito durato anni, ma le intuizioni non erano molto nuove e suonavano molto familiari ai partecipanti al Oekonux. Conseguentemente il termine è stato adottato dal progetto Oekonux.

Secondo: i partecipanti a Oekonux si sono spinti molto più in là di altri nel mettere in discussione il modo accettato di pensare. Sono state sviluppate nuove tesi che non solo hanno rifiutato gli schemi del dibattito tradizionale nelle scienze informatiche, in sociologia e in economia, ma anche negli approcci politici e teorici emancipativi. Stefan Merten, il fondatore di Oekonux che proviene da precedenti di anarco-marxista, rifiuta provocatoriamente “le ideologie di sinistre e le altre ideologie capitaliste” (Merten 2011) per l’analisi della produzione paritaria. Questo suona molto post-moderno, ma l’intenzione era molto diversa: tutti i mezzi di emancipazione dovranno svilupparsi proprio davanti ai vostri occhi, ma dobbiamo anche afferrarli teoricamente. Gli schemi tradizionali della sinistra non sono adatti a questo, perché aderiscono al modo di produzione determinato per il quale è condotta l’analisi.

Per molti, tradizionalisti di ogni schieramento, questa è stata una provocazione enorme. E ci sono stati molti scontri politici e culturali all’interno del progetto. Ma c’è stato anche un nucleo di persone che ha costantemente portato più avanti l’approccio Oekonux. Nel seguito cerco di descrivere alcuni modelli Oekonux, che ovviamente rappresentano la mia interpretazione del dibattito Oekonux. Quando uso il passato parlando di Oekonux non è perché il progetto non esista più. Esiste ancora e la rivista Critical Studies in Peer Production (NdTRivista di Studi Critici sulla Produzione Partecipativa)non è l’unico prodotto collaterale del progetto; ce ne sono stati molti altri, cosicché la concentrazione si estende a diversi progetti ispirati da Oekonux.

In un’intervista a Joanne Richardson, Stefan Merten (2001) ha descritto Oekonux come un progetto per valutare il software libero nel suo “potenziale per una società diversa oltre il lavoro, il denaro, lo scambio”. Qui egli offre le parole chiave su cui è stato costruito il pensiero Oekonux. Le riproporrò e le amplierò per illustrare perché e come le principali idee contraddicano così fortemente il pensiero tradizionale di sinistra, specialmente quando Oekonux è stato avviato nel 1999 (Merten 1999).

Paradigma 1: Oltre lo Scambio

Il software libero o, più in generale, la produzione paritaria su basi comunitarie non riguarda lo scambio. Dare e ricevere non vanno in coppia. Nell’ottica di oggi questo potrebbe non sembrare sorprendente, ma lo è stato agli inizi del progetto Oekonux. Ancor oggi gli approcci tradizionali della sinistra tradizionale sono basati sull’assunto che si sia autorizzati a ricevere qualcosa solo se si è disponibili e in grado di dare qualcosa in cambio, perché se tutti si limitassero a prendere allora la società morirebbe. Questa posizione potrebbe essere riferita a una penosa tradizione socialista (e cristiana) secondo cui chi non è disponibile a lavorare non dovrebbe mangiare. Tuttavia il software libero ha dimostrato chiaramente che gli sviluppatori non hanno bisogno di essere obbligati a fare quello che amano fare (vedere paradigma 5).

Un approccio importante che ha cercato di afferrare i nuovi sviluppi del software libero, seppur restando incollato al vecchio modo di pensare, è stato l’approccio dell’ “economia del dono”. Tuttavia non è un caso che l’espressione corretta sia ritenuta essere “l’economia dello scambio di doni”. Chi dà può aspettarsi di ricevere qualcosa in cambio, perché ciò è un dovere morale nelle società basate sullo scambio di doni. Questo tipo di dovere personale reciproco non esiste nel software libero. Anche se uno sviluppatore afferma di volere “dare qualcosa in cambio”, questo dare non è una precondizione per ricevere qualcosa. In generale, la produzione paritaria su base comunitaria si basa su contributi volontari incondizionati.

In un’ottica di sinistra, il dare e ricevere disaccoppiato potrebbe essere possibile solo in una terra mitica in un futuro lontano chiamato Comunismo, se ma fosse possibile. Ma mai oggi, perché prima che il comunismo sia possibile, è necessaria una fase intermedia poco gradevole chiamata socialismo aggrappata al dogma dello scambio (vedere paradigma 8). Storicamente il “socialismo realmente esistente” che ha cercato di attuare tale necessità è fallito, cosa che accadrà con tutti gli approcci socialisti che accettino il dogma dello scambio.

Se non si vuole rinunciare allo scambio, il capitalismo è l’unica opzione che rimane.

Paradigma 2: Oltre la Scarsità

E’ un malinteso comune che le cose materiali siano scarse mentre non lo siano quelle immateriali. Sembra giustificato mantenere i beni materiali sotto forma di merci mentre è richiesto che i beni immateriali siano gratuiti. Tuttavia questo assunto trasforma una proprietà sociale in una proprietà naturale. Nessun bene prodotto è scarso per natura. La scarsità è una conseguenza del fatto che i beni sono prodotti sotto forma di merci e pertanto la scarsità è un aspetto sociale della merce creata per il mercato. Nell’era digitale ciò è evidente a proposito dei beni immateriali, in quanto possiamo constatare chiaramente le misure adottate per rendere artificialmente scarsi tali beni. Tali misure includono leggi (basate sulla cosiddetta “proprietà intellettuale”) e barriere tecniche per evitare il libero accesso ai beni. Sembra essere meno ovvio per i beni materiali, perché siamo abituati alla non accessibilità dei beni materiali se non paghiamo per essi. Ma le misure sono le stesse: leggi e barriere tecniche, accompagnate dalla distruzione continua di merci per mantenerle rare abbastanza da ottenere un prezzo adatto sui mercati.

Inoltre sembra ovvio che dipendiamo tutti da beni materiali che possono non essere disponibili in quantità sufficienti. Anche i beni immateriali dipendono da un’infrastruttura materiale, al minimo i nostri cervelli (nel caso del sapere) che pure devono essere alimentati. Ciò è decisamente vero e tuttavia non ha nulla a che fare con la “scarsità naturale”. Poiché tutti i beni di cui abbiamo necessità devono essere prodotti, l’unica questione è come debbano essere prodotti in senso sociale. La forma di merce è un’opzione, la forma di risorsa comune è un’altra. Le merci devono essere prodotti in misura scarsa per realizzare il loro prezzo sul mercato. Le risorse comuni possono essere prodotte in base ai bisogni di che utilizza una determinata capacità produttiva. Possono esserci limitazioni contingenti, ma i limiti sono sempre stati soggetti alla creatività umana per essere superati.

Forse alcune limitazioni non potranno mai essere superate, ma questo, di nuovo, non è un motivo per rendere i beni artificialmente scarsi. In questi rari casi si possono utilizzare accordi sociali per organizzare un utilizzo responsabile della risorsa o del bene limitati. Il movimento per i beni comuni ha imparato che sia le merci rivali sia quelle non rivali possono essere prodotte come beni comuni, ma richiedono un trattamento sociale diverso. Mentre le merci non rivali si conviene siano accessibili gratuitamente per evitarne il sottoutilizzo, ha senso evitare il sovrautilizzo delle merci rivali trovando regole o misure adatte o a organizzare un uso sostenibile o a ampliare la produzione collettiva e così la disponibilità della merce rivale.

La scarsità è un fenomeno sociale che è inevitabile se i beni sono prodotti in forma di merce. Spesso la scarsità è confusa con i limiti che possono essere superati mediante gli sforzi e la creatività umana.

Paradigma 3: Oltre la Merce

Nei suoi studi Elinor Ostrom rilevò che “né lo stato né il mercato” sono mezzi efficaci per la gestione delle risorse comuni (1990). Basandosi sull’economia tradizionale ella analizzò le pratiche relative alle risorse comuni naturali e in conclusione dimostrò semplicemente errati i dogmi liberali. I mercati non sono un buon modo per allocare le risorse e lo stato non è un buon modo per redistribuire la ricchezza e gestire le conseguenze distruttive dei mercati. Risultati migliori si hanno se le persone si organizzano in base alle proprie necessità, esperienze e creatività e trattano le risorse e i beni, non come merci bensì come un serbatoio comune di risorse.

Questo è esattamente quel che accade nel software libero. E’ interessante che ci siano voluti tanti anni per comprendere che il software libero è una risorsa comune e che è fondamentalmente identico a ciò di cui Elinor Ostrom e altri parlavano tanto tempo prima. Un aspetto debole della ricerca tradizionale sulle risorse comuni e della prima fase del software libero è stato che non esisteva una chiara nozione di merce e non merce. E’ stato il progetto Oekonux che ha affermato chiaramente: il software libero non è una merce. Questa massima è strettamente collegata all’intuizione che il software libero non è oggetto di scambio (v. paradigma 1).

I critici di sinistra hanno sostenuto che l’essere ‘non merce’ è qualcosa di limitato al regno dei beni immateriali, come il software. Dal loro punto di vista il software libero è solo una “anomalia” (Nuss, Heinrich 2002) mentre i beni “normali” nel capitalismo devono essere merci. Questo assioma, tuttavia, è strettamente legato all’accettazione del dogma della scarsità (v. paradigma 2). Inoltre esso tratta il capitalismo come una specie di modo normale e naturale di produzione in condizioni di “scarsità naturale” (dal loro punto di vista). Quest’ottica capovolge completamente le relazioni reali. Il capitalismo si è potuto stabilire soltanto appropriandosi delle risorse comuni, privando le persone del loro tradizionale accesso alle risorse al fine di trasformarle in lavoratori. Questa appropriazione delle risorse comuni è un processo in corso. Il capitalismo può esistere solo separa costantemente le persone dalle risorse, rendendole artificialmente scarse. Una merce – per quanto attraente possa apparire nei centri commerciali – è il risultato di un processo violento in corso di appropriazione e spossessamento.

Lo stesso processo si verifica nel software. Il software proprietario è un modo di spossessare la comunità scientifica e di sviluppo del proprio sapere, esperienza e creatività. Il software libero è stato inizialmente un atto difensivo di mantenimento della comunitarietà delle risorse comuni. Tuttavia, poiché il software è in prima linea nello sviluppo di forze produttive, si è rapidamente trasformato in un processo creativo di superamento dei limiti e dell’alienazione del software proprietario. In un settore speciale il software libero ha creato un nuovo modo di produzione che è destinato ad estendersi ad altri settori. (v. paradigma 10).

I beni che non sono resi artificialmente scarsi e non sono oggetti di scambio non sono merci bensì risorse comuni.

Paradigma 4: Oltre il Denaro

Poiché il denaro ha senso solo per le merci, una “non merce” (v. paradigma 3) implica che non vi sia coinvolto denaro. Il Software Libero va dunque oltre il denaro. D’altro canto vi è naturalmente una quantità di denaro che gira intorno al Software Libero: gli sviluppatori sono pagati, le aziende spendono denaro, attorno al Software Libero si creano nuove imprese. Questo ha confuso molti, anche a sinistra. Si attengono a un modo di pensare del tipo “o questo o quello”, essendo incapaci di interpretare queste considerazioni come un processo contraddittorio di sviluppo parallelo in un periodo di transizione sociale (v. paradigma 10).

Il denaro non è uno strumento neutro; il denaro può comparire in situazioni sociali diverse. Può essere denaro proveniente da stipendi/salari, essere denaro investito (capitale), profitto, contante ecc. Funzioni diverse devono essere analizzate in modo diverso. Nel Software Libero non è coinvolta la forma di merce e dunque il denaro, nello stretto senso di vendere una merce per un certo prezzo, non esiste. Tuttavia Eric Raymond ha spiegato come far soldi utilizzando una “non merce”; combinandola con un bene scarso. In una società capitalista dove solo pochi beni si sono sottratti al regno delle merci, è fuori questione che tutti gli altri beni continueranno a esistere come merci. Sono mantenuti scarsi e sono combinati con un bene senza prezzo. Utilizzando un’ottica di valorizzazione non si tratta di nulla di nuovo (ad esempio fare regali per attrarre clienti). Usando un’ottica di riconoscimento di una forma germinale in questa modalità si avvia un nuovo modo di produzione da sviluppare all’interno del vecchio modello tuttora esistente.

Ma perché le imprese danno denaro se tale denaro non è un investimento nel senso tradizionale, ma una specie di donazione, ad esempio per pagare gli sviluppatori del Software Libero? Perché la IBM ha messo un miliardo di dollari nel Software Libero? Perché sono state costrette a farlo. Economicamente parlando hanno dovuto svalutare un settore d’affari per salvare altre aree reddituali. Devono bruciare soldi per creare un ambiente costoso per le proprie vendite (ad esempio di hardware dei server). Poiché l’appropriazione di beni comuni è una precondizione del capitalismo, è vero anche il contrario. Estendere i beni comuni a un campo attualmente dominato dalle merci significa che quel campo è sostituito dai beni liberamente disponibili.

Tuttavia le “quattro libertà” del Software Libero – utilizzo, studio, modifica e redistribuzione – (Free Software Foundation, 1996) non parlano di “libero” nel senso di “gratuito”. Gli slogan del tipo “libero come in ‘libertà’, non libero come in ‘birra gratis’” sono una moltitudine. Ciò va assolutamente bene e non contraddice la massima “oltre il denaro”, perché le quattro libertà non dicono nulla a proposito del denaro. Le quattro libertà riguardano la libera disponibilità, riguardano l’abbondanza. Dunque l’assenza di denaro è un effetto indiretto. Beni abbondanti, e quindi non scarsi, non possono essere merci (vedi paradigma 2) e non possono produrre denaro. Tuttavia far soldi non è vietato di per sé.

C’è stata una quantità di tentativi di integrare la circolazione comunitaria libera del Software Libero (non oggetto di scambio, non merce) all’interno del tradizionale paradigma economico, che è basato sullo scambio e la merce. Il più notevole è stata la “economia dell’attenzione”, che affermava che i produttori non scambiano beni bensì attenzione (Goldhaber, 1997). Si era concluso che l’attenzione fosse la nuova moneta. Ma è stato solo un tentativo disperato di restare attaccati a vecchi termini che né hanno funzionato correttamente, né hanno offerto intuizioni nuove, e così non è stato rilevante. Tralascio qui svariati altri tentativi simili.

Essere oltre il denaro ha come conseguenza diretta non essere merce.

Paradigma 5: Oltre il Lavoro

Il Software Libero, e i beni comuni in generale, sono oltre il lavoro. Ciò può essere compreso solo se si afferra il concetto di ‘lavoro’ come attività produttiva specifica di una certa forma storica di società. Vendere la forza lavoro – cioè la capacità di lavorare – a qualche capitalista che la utilizza per produrre un valore superiore a quello della forza lavoro è qualcosa di unico nella storia. Ciò ha due conseguenze importanti.

Primo: trasforma l’attività produttiva – che è sempre stata usata dagli uomini per provvedere alla propria sussistenza – in lavoro alienato. Tale alienazione non è imposta attraverso il dominio personale, ma mediante una coercizione strutturale. Nel capitalismo gli esseri umano possono sopravvivere solo se pagano per la propria sussistenza, il che costringe le persone a guadagnare soldi. Guadagnare soldi si può attuare o vendendo la propria forza lavoro o acquistando e valorizzando la forza lavoro di altri. Il risultato è un processo distorto in cui esigenze strutturali prescrivono quello che una persona deve fare (vedi paradigma 6) .

Secondo: crea l’homo oeconomicus, l’individuo isolato che cerca la massimizzazione del proprio utile, se necessario anche a spese di altri. Gli economisti tradizionali asseriscono quindi che l’homo oeconomicus è l’archetipo dell’essere umano, il che confonde un risultato storico specifico con un presupposto naturale.

Invece che sul lavoro il Software Libero si basa sulla ‘Selbstentfaltung’ [NdT Espressione/realizzazione/gratificazione di sé stessi]. Il concetto tedesco di Selbstentfaltung non è facile da tradurre. Da un lato parte dal “grattarsi un prurito”(Eric Raymond), “fare quello che proprio davvero si vuol fare” (Fritjof Bergmann) e “divertirsi un mucchio” (lo sviluppatore del Software Libero). Dall’altro, esso integra altri compagni di sviluppo per ricercare la soluzione migliore possibile. Questo si traduce anche in un grande coinvolgimento, passione e sforzo, non soltanto nel cogliere i frutti dei rami più bassi. Include una reciprocità positiva con gli altri che perseguono lo stesso obiettivo in modo tale che la Selbstentfaltung di uno sia la precondizione della Selbstentfaltung degli altri. Non per caso ciò richiama il Manifesto Comunista in cui “il libero sviluppo di ciascuno è la condizione del libero sviluppo di tutti” (Marx, Engels 1848). Tuttavia il Software Libero non è un obiettivo di una società futura, bensì una caratteristica inalienabile dell’avvio di un nuovo modo di produzione in direzione di quella nuova società libera.

Invece di vendere le energie individuali a fini alienati, ciò che solitamente è definito ‘lavoro’, il Software Libero è basato sulla Selbstentfaltung, che è lo sviluppo libero di tutte le forze produttive delle persone.

Paradigma 6: Oltre le Classi

Il capitalismo è una società di divisioni. Acquisti contro vendite, produzione contro consumo, lavoro contro capitale, lavoro concreto contro lavoro astratto, valore d’uso contro valore di scambio, produzione privata contro distribuzione sociale ecc. Lo sviluppo capitalista è mosso dalle contraddizioni tra queste parti separate. Tra esse, il lavoro e il capitale sono una delle contraddizioni e tuttavia sembra si tratti di quella più rilevante. Una persona sembra essere classificata in base al suo essere venditore o acquirente di lavoro, lavoratore o capitalista. Tuttavia, di fatto il lavoro e il capitale non sono proprietà degli individui bensì funzioni sociali opposte come tutte le altre divisioni che il capitalismo genera.

Perciò non è vero che solo uno dei lati delle varie divisioni rappresenta quello generale o progressista. Al contrario, entrambe le parti della divisione dipendono l’una dall’altra. Il lavoro produce capitale e i capitale crea lavoro. E’ un ciclo alienato di riproduzione permanente delle forme capitaliste. Così entrambe le parti di queste divisioni, ad esempio il lavoro e il capitale, sono funzioni necessarie del capitalismo. Il cosiddetto antagonismo di lavoro e capitale è in realtà una modalità puramente immanente dello sviluppo storico del capitalismo. La classe lavoratrice non rappresenta un’emancipazione, in nessun modo.

Il Software Libero e la produzione paritaria in generale non generano classi; sono, piuttosto, al di là di tale modalità. Rappresentano una forma germinale (v. paradigma 10) di un nuovo modo di produzione che, in generale, non si basa sulle divisioni ma sull’integrazione di bisogni, comportamenti e desideri diversi come potente forma di sviluppo. Lo sfruttamento non esiste, perché non esistono la vendita e l’acquisto del lavoro e il denaro può svolgere un ruolo solo in partite di retroguardia relative a società antiquate chiamate “capitalismo”.

Selbstentfaltung come essere umano che si sviluppa è la fonte di una transizione sociale in direzione di una società libera, non di un’appartenenza di classe.

Paradigma 7: Oltre l’Esclusione

Una delle divisioni fondamentali che il capitalismo genera è la divisione tra quelli che sono all’interno e quelli che non vi sono. Lo schema interno/esterno non è una separazione di classe (v. paradigma 6) e non è soltanto una grande divisione. E’ un meccanismo strutturale di inclusione ed esclusione in tutte le linee possibili della società: tra chi ha un lavoro e chi non lo ha, tra i ricchi e i poveri, tra gli uomini e le donne, tra la gente di colore e i bianchi, tra i capi e i subordinati, tra i proprietari dei mezzi di produzione e i non proprietari, tra i membri della previdenza sociale e i non membri, ecc. Deve essere riconosciuta come un principio strutturale fondamentale del capitalismo. L’inclusione di una parte implica l’esclusione dell’altra. Per il singolo ciò significa che ogni progresso personale è realizzato a spese di altri che restano fermi o regrediscono.

In generale i beni comuni sono oltre il meccanismo di esclusione. Nel Software Libero, per esempio, quante più persone attive aderiscono a un progetto, tanto più rapidamente e meglio può essere conseguito un obiettivo. Qui il rapporto tra le persone non è strutturato su basi di inclusione/esclusione ma attraverso una reciprocità inclusiva (Meretz 2012). Chi gestisce un progetto cerca di includere quante più persone attive possibile, si sforza di ottenere un’atmosfera creativa, e cerca di risolvere i conflitti in modo tale che quante più persone possibili possano seguire il “consenso grezzo” ed il “codice che gira” (NdT Il riferimento è al motto delle comunità informatiche in rete che si trova in una presentazione IETF del 1992: We reject: kings, presidents and voting. We believe in: rough consensus and running code. “Rigettiamo re, presidenti e voti. Crediamo invece nel consenso grezzo e nel codice che gira”).

Se il consenso non è possibile allora la soluzione migliore è una divisione, una opzione rischiosa ma valida per verificare direzioni di sviluppo diverse. Se si guarda alle divisioni esistenti (ad esempio tra Kde e Gnome) molte di esse collaborano strettamente o mantengono un’atmosfera di cooperazione. Sì, ci sono altri esempi di contrasti reciproci. Ma queste divisioni improduttive sono principalmente dovute al fatto che vi svolgono un ruolo importante interessi alienati. Oracle ha tentato di attuare un regime di dominio e controllo dopo aver acquistato OpenOffice come parte della pacchetto Sun. La scissione a LibreOffice da parte di molti sviluppatori importanti è stata un atto di autodifesa e di autodeterminazione per conservare il loro ambiente di Selbstentfaltung. Non vogliono tornare indietro al vecchio “modo di lavorare” allo sviluppo (v. paradigma 5).

Mentre il capitalismo è strutturalmente basato sul meccanismo di esclusione, la produzione paritaria su base comunitaria crea e fa progredire l’inclusione.

Paradigma 8: Oltre il Socialismo

Il socialismo, così come definito da Karl Marx nella “Critica del programma di Gotha” (Marx, 1875) è una società produttrice di merci governata dalla classe lavoratrice. Storicamente ciò è stato realizzato dal cosiddetto “socialismo reale”. Ci sono state molte critiche dei paesi a socialismo reale (mancanza di democrazia, ecc.) dall’interno della sinistra. Ciò nonostante buona parte della sinistra condivide l’assioma che sia inevitabile una fase intermedia tra una società libera (che può essere chiamata comunismo) e il capitalismo. L’idea generale è che la classe lavoratrice, una volta al potere, possa ricostruire l’intera economia secondo i propri interessi, che rappresentano la maggioranza della società. In breve: prima viene il potere, poi seguirà un nuovo modo di produzione, al fine di costruire una società davvero libera. Questa idea storicamente è fallita.

Il motivo di tale fallimento non sta in carenze o differenze tattiche interne. E’ invece dovuto al concetto irrealistico della trasformazione storica qualitativa. Mai nella storia la questione del potere è stata al primo posto; è sempre stato un nuovo modo di produzione, emerso dalla vecchia maniera di produrre, che ha preparato la transizione storica. Il capitalismo si è inizialmente sviluppato dall’artigianato delle città medievali, poi integrato in fabbriche e che alla fine ha portato al sistema della grande industria. La questione del potere è stata risolta “per strada”. Ciò non sminuisce il ruolo della rivoluzione, ma le rivoluzioni si limitano a realizzare e promuovere ciò che già si stava sviluppando. Le rivoluzioni della Primavera Araba non creano nulla di nuovo, ma cercano di realizzare i potenziali di una normale società democratica borghese.

Questa analisi degli sviluppi storici (discussi in maggiore dettaglio nel paradigma 10 deve essere applicata alla situazione attuale. La transizione storica non può essere realizzata impossessandosi del potere politico – per via parlamentare o mediante azioni di piazza – bensì sviluppando un nuovo modo di produzione. Il criterio per essere “nuovi” si può derivare dalla negazione del vecchio modo di produzione. Invece di merci, produzione di beni comuni. Invece di scambi mediati dal denaro, libera distribuzione. Invece di lavoro, Selbstentfaltung. Invece di meccanismi di esclusione, potenziale inclusione di tutti. Si deve comunque essere attenti perché non tutti gli sviluppi del capitalismo devono essere aboliti. Piuttosto certi proseguiranno, anche se in forma trascesa.

La produzione paritaria su base comunitaria trascende il capitalismo ed anche il socialismo basato sulle merci.

Paradigma 9: Oltre la Politica

Poiché la produzione paritaria su base comunitaria riguarda principalmente un nuovo modo di produzione, è fondamentalmente un movimento apolitico. Qui la politica è intesa come rivolgersi allo stato e alle sue istituzioni per richiedere cambiamenti in una qualche direzione desiderata. Tali politiche sono basate su interessi che nel capitalismo sono generalmente contrapposti. Se una società è strutturata secondo schemi di inclusione/esclusione (v. paradigma 7) allora è necessario organizzare interessi comuni ma parziali al fine di conseguirli a spese degli interessi comuni parziali di altri. In questo senso i beni comuni sono oltre la politica, poiché fondamentalmente non operano nel regno degli interessi bensì in quello dei bisogni.

E’ importante distinguere tra bisogni e interessi. I bisogni devono essere organizzati sotto forma di interessi se la modalità normale di attuazione è l’esclusione degli interessi di altri. I beni comuni, d’altro canto, sono basati solo sulla varietà dei bisogni dei partecipanti, che operano come fonte di creatività. La mediazione di questi bisogni diversi fa parte del processo della produzione paritaria. Non è dunque necessario che i partecipanti organizzino ulteriormente i loro bisogni come interessi e cerchino di attuarli politicamente. Essi, invece, ottengono ciò direttamente.

Un aspetto che chiarisce questo è la questione delle gerarchie. Normalmente le gerarchie fanno parte della produzione capitalista delle merci. Perciò un tema comune della sinistra era il rifiuto di ogni gerarchia per evitare il dominio. Ciò ignora il fatto che le gerarchie in quanto tali non generano dominio, ma piuttosto la funzione che le gerarchie hanno in un determinato contesto. In un’impresa le gerarchie esprimono interessi diversi, ad esempio gli interessi dei lavoratori e quelli dell’amministrazione (v. paradigma 5). Tuttavia in un progetto di produzione paritaria una gerarchia può esprimere livelli diversi di competenza o responsabilità diverse, che sono condivise da coloro che accettano qualcuno in una posizione di guida. Essere un gestore non significa perseguire interessi diversi a spese dei membri del progetto. Un tale progetto non prospererebbe. Al contrario un gestore desidera fortemente integrare quanti più membri attivi e competenti possibile. Ciò non evita i conflitti, ma i conflitti sono risolti sulla base comune degli obiettivi del progetto.

La produzione paritaria su base comunitaria non richiede di articolare i bisogni delle persone sotto forma di interessi contrapposti e perciò è oltre la politica.

Paradigma 10: Forma germinale

Ultimo ma non di secondaria importanza, il paradigma più importante è la forma germinale, ovvero il modello a cinque stadi (Holzkamp, 1983). E’ un modello per comprendere l’esistenza concomitante di fenomeni di qualità diverse. Quando si discute della produzione partecipativa, il dibattito è spesso dominato da due gruppi: quelli che sono a favore della produzione paritaria e cercano di dimostrare che la produzione paritaria è anticapitalista e quelli che considerano la produzione paritaria solo una modernizzazione del capitalismo. La sfida sta nel vederla in entrambi i modi. Il modello della forma germinale realizza questo considerando l’emergere e lo svilupparsi della produzione partecipativa su base comunitaria come un processo che si sviluppa nel tempo secondo contraddizioni che gli sono proprie.

Normalmente l’applicazione del modello a cinque stadi è una procedura retrospettiva in cui il risultato dello sviluppo analizzato è ben noto. Presupponendo mentalmente il risultato di una transizione a una società libera basata sulla produzione paritaria su base comunitaria, l’emergere di questo risultato può essere ricostruito utilizzando il modello. Ecco uno schizzo molto alla buona dei cinque stadi applicati al caso della produzione paritaria:

1. Forma germinale: Appare una nuova funzione. In questo stadio la nuova funzione non deve essere interpretata come un germe o un seme ricco che racchiude tutte le proprietà dell’entità finale che deve limitarsi a crescere. Piuttosto in questa fase la forma germinale mostra solo i principi del nuovo, ma non è il nuovo in sé stessa. Così la produzione paritaria su base comunitaria non è il nuovo in sé, bensì l’aspetto qualitativamente nuovo che mostra è la mediazione orientata al bisogno tra pari (basata sulla Selbstentfaltung, vedere paradigma 5) . Nel corso di questo stadio ciò è visibile solo a livello locale.

2. Crisi: solo se l’intero vecchio sistema cade in una crisi la nuova forma germinale può lasciare la propria nicchia. Il modo capitalista di produzione e mediazione sociale attraverso le merci, i mercati, il capitale e lo stato ha portato l’umanità a una crisi profonda. E’ entrato in una fase di successivo disfacimento ed esaurimento di risorse sistemiche accumulate storicamente. Le ricorrenti crisi finanziarie rendono evidente questo a chiunque.

3. Funzione di svolta: la nuova funzione abbandona la sua condizione di forma germinale nella nicchia e acquista rilevanza per la riproduzione del vecchio sistema. L’ex forma germinale ha ora due facce. Da un lato può essere utilizzata nell’interesse del vecchio sistema e dall’altro la sua logica peculiare è, e rimane, incompatibile con la logica del vecchio sistema dominante. La produzione paritaria è utilizzabile a fini di contenimento dei costi e di creazione di nuovi ambienti per attività commerciali, ma si basa su uno sviluppo non mercificato nell’ambito delle proprie attività (v. paradigma 3). La cooptazione e l’assorbimento in cicli di normale produzione di merci sono possibili (De Angelis, 2007) e solo se la produzione paritaria è in grado di difendere i suoi principi peculiari di comunitarietà e le sue capacità di creare reti su tale terreno, sarà raggiunto lo stadio successivo. Il Software Libero, come esempio di produzione paritaria, è chiaramente a questo stadio.

4. Passaggio al predominio: La nuova funzione diviene prevalente. La vecchia funzione non scompare immediatamente, ma retrocede, come funzione precedentemente dominante, in segmenti marginali. La produzione paritaria su base comunitaria ha ora raggiunto una densità di rete a livello globale cosicché i collegamenti di input-output sono chiusi in circuiti autonomi. Una produzione privata separata con la successiva mediazione del mercato utilizzando il denaro non è più richiesta. La mediazione sociale basata sui bisogni organizza la produzione e la distribuzione. L’intero sistema ha ora modificato qualitativamente il proprio carattere.

5. Ristrutturazione: La direzione dello sviluppo, le strutture che ne costituiscono la spina dorsale e le logiche funzionali fondamentali sono cambiate. Questo processo abbraccia un numero sempre maggiore di campi sociali che si rifocalizzano in direzione del nuovo modo di mediazione sociale basato sui bisogni. Lo stato è spogliato, emergono nuove istituzioni, che non hanno più il carattere uniforme di Stato, ma sono strumenti dalla Selbstentfaltung collettiva (v. paradigma 5). Possono emergere nuove contraddizioni, può avviarsi un nuovo ciclo di sviluppo.

Questo è soltanto un modello epistemologico, non uno schema d’azione immediata. Il principale vantaggio è la possibilità di sottrarsi a infruttuosi dibattiti su “o questo o quello”. Consente di pensare all’emergere di un nuovo modo di produzione utile per il vecchio sistema mantenendone la funzione trascendente, come fenomeno concomitante, in direzione di una società libera.

Il modello della forma germinale adattato nel contesto Oekonux è una concettualizzazione dialettica della transizione storica.

Conclusione

Lungi dall’essere una teoria coerente della transizione storica verso una società libera, riteniamo che questi paradigmi descrivano abbastanza bene il lavoro teorico di Oekonux perché non rientrano in nessuno degli approcci tradizionali. Ci potrebbe essere qualche accordo con uno o l’altro approccio, e la maggior parte dei partecipanti al progetto Oekonux non saranno d’accordo con tutti i paradigmi descritti, ma nessun singolo approccio è in grado di rispondere a tutte le sfide in una sola volta in modo coerente.

Questo non è casuale. Da una parte, la formazione di una nuova società non può essere interamente compresa nei termini di una società già pienamente sviluppata la cui storia è in corso di realizzazione. Dall’altra parte, ci sono aspetti generali che continuano a esistere in tutte le società, ma che subiscono una riconfigurazione. Altri aspetti si dissolvono completamente. Ed, infine, alcuni aspetti sono influenzati in un modo che difficilmente avranno qualcosa in comune con la loro origine. Queste tre forme di transizione – la conservazione, la dissoluzione e l’influenza – descrivono il significato di ciò che G.W.F. Hegel chiama abrogazione (Aufhebung). Con i dieci paradigmi di transizione sociale presentati in questo testo cerchiamo di soddisfare tale requisito.

Ringraziamenti

Un grazie speciale a Stefan Merten e Mathieu O’Neil per l’aiuto nella revisione. Tomislav Knaffl ha offerto suggerimenti utili.

Bibliografia

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De Angelis, M. (2007), The Beginning of History. Value Struggles and Global Capital, [L’inizio della storia. Lotte per i valori e capitale globale] London: Pluto Press.

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Goldhaber, M.H. (1997), The Attention Economy and the Net,[L’economia dell’attenzione e la rete] in: First Monday, Vol. 2, No. 4, URL: http://www.firstmonday.org/htbin/cgiwrap/bin/ojs/index.php/fm/article/view/519/440 (10-10-2011)

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Meretz, S. (2012), The Structural Communality of the Commons, [La comunitarietà strutturale dei beni comunitari] In: Bollier, D. et al. (2012), Self-Sustaining Abundance [Abbondanza autosostenuta] , in corso di pubblicazione.

Merten, S. (1999), Willkommen bei ‘oekonux’, [Benvenuti a Oekonux] URL: http://www.oekonux.de/liste/archive/msg00000.html (10-10-2011)

Merten, S. (2011), Leftist and other capitalist ideologies and peer production [La sinistra e altre ideologie capitaliste e la produzione paritarie] , URL: http://www.oekonux.org/list-en/archive/msg06135.html (10-10-2011)

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Ostrom, E. (1990), Governing the Commons. The Evolution of Institutions for Collective Action [L’amministrazione dei beni comunitari. L’evoluzione delle istituzioni per l’azione collettiva] , Cambridge: Cambridge University Press.

Da Socialforge – Un laboratorio di creazione sociale

http://www.socialforge.org

Fonte: http://keimform.de/2011/peer-production-and-societal-transformation

Originale: Keimform.de

Traduzione di Giuseppe Volpe

© 2012 Socialforge – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

L’esperimento di Worgl

I certificati di lavoro di Worgl

Di questo esperimento abbiamo una testimonianza scritta di Fritz Schwartz. Nel 1932, la ridente cittadina tirolese, Worgl, con 4000 abitanti – questo è quanto racconta Fritz Schwartz – si trovò a subire una pesante deflazione, dovuta alla stretta creditizia varata dalla Banca Nazionale Austriaca; dai 1.100 milioni di scellini, si passo a 900 milioni circa, mettendo così in ginocchio l’economia. Circa 1500 abitanti, cioè oltre il 35% dei suoi 4000, erano disoccupati.

Il sindaco, Michael Unterguggenberger, meccanico ed ex-ferroviere, dopo un accurato lavoro locale di preparazione presso gli imprenditori, commercianti, banca ed abitanti, fa stampare 32.000 scellini sotto forma di “Bestatigter Arbeitswerte”, qualificati, non come denaro, ma come certificati di valore di lavoro.

I “tagli” di questi certificati erano da uno, cinque e dieci scellini, che scadevano dopo un mese; il possessore, però, poteva prorogarli applicandovi, a proprie spese, una marca – acquistabile in Comune – pari all’1% mensile (ossia il 12% annuo) del valore facciale. L’emissione era «coperta» alla pari: una somma uguale di veri scellini era depositata dal Comune nella locale banca di risparmio. In ogni momento, ogni detentore di «banconote del lavoro» (moneta deperibile) avrebbe potuto presentarle all’incasso e riscuotere scellini.

Venne però stabilito che, per questa operazione, la banca avrebbe riscosso un «aggio di servizio» del 2 %. Allo stesso tempo, questi certificati, potevano essere depositati in banca alla pari (riconoscendo ai titolari del deposito un credito pari al valore facciale) ma non fruttavano interessi; la banca, essendo oberata della tassa “di parcheggio”, era quindi  incentivata a prestarli. Poiché il costo di detenzione della moneta deperibile, 1%, era solo la metà del costo del suo cambio in scellini, di fatto nessuno portò mai all’incasso la nuova moneta.

Tutti gli impiegati del Comune, compreso il sindaco, dal luglio 1932 cominciarono a ricevere metà del loro stipendio in moneta deperibile.

Questi certificati cambiano mano mediamente circa 36 volte al mese, sviluppando, nei 14 mesi dell’esperimento un volume di affari 2.5 milioni di scellini, mentre il denaro “buono” retrocede a circa soli 5 passaggi di mano mensili.

Il comune, accettandoli in pagamento delle imposte e servizi, li rispende immediatamente in opere pubbliche, facendo lavorare tutti i disoccupati: vengono costruiti ex novo un ponte sull’Inn, quattro strade, rimodernate le fognature, ampliata la rete idrica.

“A Worgl si lavorava sodo ed a pieno regime, si vive decorosamente, i prezzi sono stabili, il benessere aumenta”, così racconta Fritz Schwartz.

L’esperimento, che funzionava molto bene, desto l’attenzione dei paesi limitrofi, i quali copiarono l’esperienza. Il comune di Kitzuhel, oltre ad aver incominciato ad accettare i buoni di Worgl, ha emesso 3000 scellini di suoi certificati, ed i 300.000 tirolesi circostanti si interessano a questo modello.

Anche qui il tutto finì per l’intervento della Banca Centrale austriaca. Nell’agosto del 1933, arrivano funzionari della Banca Centrale; l’art. 122 della Costituzione Austriaca, riserva alla Banca Nazionale il diritto di signoria, e Worgl ha commesso un’illegalità e viene diffidato a cessarla. Venne emanato un ordine governativo di ritiro dei certificati che scadeva il 15 settembre 1933; il borgomastro ricorre alla corte suprema, riuscendo a guadagnare un altro bimestre, ma il 15 novembre, dello stesso anno, la corte suprema, deposita la sua sentenza, rigettando l’appello ed archiviando l’esperimento.

Di questo “eccezionale” esperimento, se ne parlò ancora nel “circondario”, arrivando finanche in Svizzera, dove il 24 maggio 1933, nella cittadina svizzera di Winterthur, Unterguggenberger ha tenuto un’affollatissima conferenza (si narra di oltre mille persone); questa conferenza doveva essere ripetuta a Ginevra il 3 settembre, ma non potrà farlo perché gli vien ritirato il passaporto per carico pendente.

Esperienze di monete alternative in Germania

di Giorgio Simonetti

Il Wörgl Script (Austria) A Wörgl, nel 1932, il sindaco decise di emettere una moneta parallela allo scellino, in proporzione ad una somma di scellini che era stata precedentemente depositata in banca. Le particolarità di questa moneta erano la sua circolazione locale (poteva essere spesa solo all’interno della città) e una tassa di detenzione dell’1% mensile. Il denaro non speso e accumulato infatti si svalutava, al posto di rendere interessi. Questo per garantire la piena circolazione del denaro, e aumentarne la velocità, che crebbe di 9 volte rispetto agli scellini ordinari. Più il denaro circolava e più creava ricchezza, all’interno dell’economia reale locale. Questo in piena sintonia con le teorie economiche di Silvio Gesell, a cui questo esperimento si ispirava. Nel reportage, la testimonianza di una signora novantenne che ha vissuto in prima persona l’esperimento economico.

Il Chiemgauer di Prien (Germania) Ispirato all’esperienza di Wörgl, il Chiemgauer rappresenta oggi uno dei progetti più sviluppati, all’interno della rete di monete complementari tedesche. Anche il Chiemguaer circola con € a garanzia depositati in banca, e quindi per ogni Chiemgauer circolante esiste 1 € depositato. Le particolarità: ancora una volta lo scambio locale, all’interno della regione del Chiemgau (Baviera); la tassa di circolazione del 2% trimestrale per aumentarne la velocità, e l’uso di tessere magnetiche regionali come forma di pagamento elettronico. Inoltre il finanziamento del settore no-profit su decisione del cliente iniziale, che decide a chi destinare il 3% della commissione del cambio Chiemgauer-Euro fatta dal commerciante. Un’idea e un sistema funzionante, usato solo dall’1% della popolazione di quest’area.

Copyright © Giorgio Simonetti 2010

Perchè è necessaria l’innovazione monetaria?

Tre comuni Malintesi, tre minacciosi Risultati, tre possibili Soluzioni

di Margrit Kennedy

In questo intervento mi occuperò della domanda: “Perchè è necessaria l’innovazione monetaria?” Per prima cosa, descriverò tre malintesi che la maggior parte delle persone ha riguardo al denaro; dopo spiegherò tre risultati di questi malintesi, e poi offrirà tre possibili soluzioni in termini di innovazione monetaria. Cosa è il denaro? Vediamo prima la bella notizia. Il denaro è una delle innovazioni più ingegnose dell’umanità . Aiuta lo scambio di beni e servizi e scavalca le limitazioni del baratto, creando quindi la possibilità di specializzazione, che è alla base della civilizzazione. Perchè allora abbiamo un problema rispetto al denaro? Ecco allora la brutta notizia. Nel corso della maggior parte della storia, la circolazione del denaro si è sempre basata sul pagamento di interessi. E l’interesse porta all’interesse composto (N.d.T.: l’interesse composto è l’interesse sull’interesse). L’interesse composto porta ad una crescita esponenziale. E la crescita esponenziale a sua volta è insostenibile. Di conseguenza, per capire come il nostro sistema monetario ha sempre funzionato come una “macchina invisibile di demolizione” sin dall’inizio, è utile capire i tre malintesi basilari che quasi tutti hanno circa il denaro.

Malinteso n.1: la Crescita

Fig.1 – Tipologie fondamentali dei modelli di crescita. Il denaro con interesse ed interesse composto può crescere indefinitivamente.

1. Per capire il Malinteso della Crescita, cioè del “Denaro basato sull’interesse che può crescere indefinitivamente”, dobbiamo sapere che ci sono tre schemi di crescita diversi per genere. La curva “A” rappresenta il normale schema di crescita che esiste in natura. Esattamente come succede con le piante o gli animali, cresciamo abbastanza velocemente durante le prime fasi della nostra vita, poi cominciamo a farlo un po’ più lentamente e smettiamo di crescere fisicamente quando arriviamo a una misura ottimale. La curva “B” rappresenta lo schema di crescita lineare. Ad esempio, più macchine producono più beni, più carbone produce più energia, ecc.

Questo schema di crescita non è molto importante per la nostra analisi. Dev’essere chiaro, però, che in una pianeta non infinito anche questo schema creerà problemi alla fine. La curva “C” rappresenta la crecita esponenziale, lo schema di crescita più importante e di solito meno compresa. Può essere descritto come l’opposto esatto di quello della curva “A”, nel senso che la progressione avviene molto lentamente all’inizio, poi accelera continuamente e alla fine cresce in una maniera quasi verticale. Nel regno fisico, questo schema di crescita si verifica solitamente quando le cose non funzionano, quando c’è malattia, soprattutto malattia che porta alla morte. Il cancro, per esempio, segue uno schema di crescita esponenziale e, usando questa analogia, l’interesse può essere visto come il cancro nel nostro sistema sociale ed economico. In quanto è basato sull’interesse e sull’interesse composto, il nostro denaro si raddoppia a intervalli regolari, segue uno schema di crescita esponenziale: ad un interesse composto del 3% ci si mette 24 anni, al 6% ci vogliono 12 anni, al 12% 6 anni. Un centesimo di euro investito nell’anno 0 ad un interesse del 5%, nell’anno 1990 avrebbe il valore di 134 miliardi di lingotti d’oro, al prezzo dell’oro di quest’anno, con un peso complessivo uguale a quello di tutta la Terra, praticamente una cosa impossibile.

Il Malinteso n.2: la Trasparenza

2. Il Malinteso della Trasparenza può essere sintetizzato così: “L’interesse si paga solo quando si prendono soldi in prestito.” Quello che rende difficile la piena comprensione dell’impatto del meccanismo degli interessi sul nostro sistema economico consiste nel fatto che la maggior parte delle persone pensa che l’unica cosa che deve fare è di evitare di prendere soldi in prestito, così non dovrà pagare interessi. Quello che non comprendono è che ogni prezzo che paghiamo include una certa quantità di interesse. La proporzione esatta varia in basa alle relazioni tra capitale e lavoro impiegato, costi di manutenzione, costi amministrativi ed altri costi sui beni e servizi che compriamo. Questa varia (N.d.T.: i dati si riferiscono alla Germania, in base ai dati raccolti da M. Kennedy e H. Creutz) da una componente di interesse del 12% per la raccolta dei rifiuti, (perchè qui la quota di capitale è relativamente bassa mentre quella di lavoro fisico è particolarmente alta) ad un 38% per l’acqua potabile, fino a un 77% nel caso dell’affitto di una casa popolare (oltre i 100 anni, che è il periodo di tempo che le case in Germania di solito durano). In media paghiamo un 40% circa di interesse su tutti i prezzi di beni e di servizi. Nel medioevo la gente pagava al padrone feudale la “decima”, cioè il 10%, sulle proprie entrate o su ciò che produceva. Sotto questo aspetto, erano più benestanti allora rispetto a noi, che diamo oggi quasi la metà di ogni euro che guadagniamo a coloro che possiedono capitale, come spiegherò nell’argomentazione riguardo al seguente malinteso.

Il Malinteso n.3: l’Equità

Fig.2 – Comparazione tra interessi pagati ed interessi ricevuti dalle famiglie. La comparazione mostra che vi sono grandi disparità.

3. Il Malinteso dell’Equità si fonda sull’affermazione che: “Tutti sono trattati allo stesso modo in questo sistema monetario.” Siccome tutti devono pagare interesse quando prendono soldi in prestito e ricevono interesse dai risparmi, siamo tutti ugualmente benestanti nell’attuale sistema monetario. Ma questo non è vero, perchè ci sono enormi differenze rispetto a chi guadagna e chi paga in questo sistema. Confrontando i pagamenti di interessi con i guadagni da interessi in dieci gruppi uguali di 2,5 milioni di famiglie in Germania, la figura dimostra che l’80% della popolazione paga almeno il doppio di quello che riceve, il 10% riceve poco più di quello che paga e il restante 10% riceve più del doppio dell’interesse che paga, che è poi la quota che l’80% perde. Questo illustra una delle ragioni meno comprese sul perchè i ricchi diventano più ricchi e i poveri, più poveri. In Germania, nell’anno 2004, questo ammontava a un trasferimento di circa 1 miliardo (!) ogni giorno da coloro che lavorano per guadagnare soldi a coloro che possono “far lavorare da soli i propri soldi”. Ma avete mai visto soldi lavorare? In altre parole, nel nostro sistema monetario permettiamo l’operazione di un meccanismo di ridistribuzione nascosta che sposta continuamente denaro dalla grande maggioranza a una piccola minoranza, creando una polarizzazione sociale che, nel corso del tempo, eroderà qualsiasi democrazia.

Risultato n.1: Inflazione Continua

Come conseguenza di questo difetto nel nostro sistema monetario, tra il 1950 e il 2001 ogni Marco tedesco ha perso l’80% del suo valore, cioè, in altre parole, il valore di 1 Marco è stato in realtà di 20 Pfennig. Ed il Marco era la moneta più stabile del mondo. Per la maggior parte della gente, l’inflazione sembra una parte integrale di qualsiasi sistema monetario, quasi “naturale” visto che non c’è nessun paese nel mondo senza inflazione. Siccome l’inflazione è data per scontata, gli economisti e la maggior parte della gente crede che gli interessi servono per controbattere l’inflazione, mentre in realtà l’interesse è la causa più importante dell’inflazione. Circa due anni dopo ogni rialzo dell’interesse, segue un rialzo dell’inflazione. Di conseguenza, se potessimo abolire l’interesse, riusciremmo ad abolire anche l’inflazione. Nell’attuale sistema monetario stiamo affrontando una scelta gravissima: o il collasso economico o quello ecologico. Solo quando i debiti pubblici e privati aumentano, seguendo la crescita patologica del sistema monetario, l’economia può funzionare. Questo significa che ci serve crescita economica a quasi qualsiasi costo, preparando così un collasso ecologico di proporzioni senza precedenti.

Risultato n.2: Enorme Sbilancio tra Indicatori Economici
Fig.3 – Ammontare annuale della ricchezza espressa in Marchi tedeschi, dal 1950 al 1995. Tutti i dati sono corretti in base all’inflazione (Fonte: M. Kennedy e H. Creutz).

Un secondo risultato del sistema basato sugli interessi è che esso porta ad una crescita particolarmente ineguale in diversi settori dell’economia. Paragonando tre diversi indicatori di crescita tra il 1950 e il 1995 in Germania, scopriamo che gli Assets (N.d.T: beni) Monetari (avallati dall’equivalente quantità di debito) sono cresciuti 461 volte, il Prodotto Interno Lordo è cresciuto 141 volte e il Reddito Netto da Stipendi (dopo l’applicazione di tasse) è aumentato solo 18 volte, ed attualmente si è abbassato dopo il 1980 al livello degli anni settanta. Se il nostro corpo riuscisse a crescere 18 volte dal periodo di pochi mesi dopo la concezione fino alla maturità , la nostra testa crescesse 461 volte, mentre le nostre gambe crescessero solo 18 volte, questo verrebbe chiamato malattia. Ma poche persone comprendono che queste cifre indicano una malattia grave nel nostro sistema economico, la mancanza di discussione pubblica su questo problema è la prova della nostra ignoranza estesa su argomenti monetari.

Risultato n.3: Instabilità Monetaria

Fig.4 – Ammontare delle transazioni finanziarie dal 1974 al 2001. Il grafico evidenzia l’enorme sproporzione tra transazioni economiche reali e speculative. (Fonte: Bernard Lietaer / BIS).

Un terzo risultato è che il sistema monetario basato sulla crescita esponenziale e sull’interesse, crea un’instabilità monetaria di alto livello. Contrariamente a misure come il metro o il chilo, il valore della nostra moneta varia da giorno a giorno. Guardando a come funziona questa variabilità , il volume globale di transazioni monetarie speculative tra 1974 e 2000 è cresciuto del 97%, mentre solo ci è stato solo un 3% di incremento delle transazioni in beni e servizi, incluso il turismo. Nel 2001 il volume quotidiano di scambi commerciali ha superato i 2.000 miliardi di dollari mentre negli anni ’70 ammontava a 20-30 miliardi. Ciò che rende la situazione così pericolosa è che tutte le riserve di valuta e di oro di tutte le banche centrali del mondo ammontano solo al volume delle transazioni svolte in sette o otto ore di attività commerciale, uno tsunami che indugia nell’orizzonte del nostro sistema finanziario globale, visto che non c’è praticamente nessuna istituzione che abbia riserve sufficienti a intervenire in una situazione di crisi. La piccola tendenza al ribasso a partire dall’anno 2000 è il risultato dell’introduzione dell’euro che ha posto fine alla speculazione valutaria nei paesi europei.

E’ necessario un cambio di prospettiva

Fig.5.

Oggigiorno gli economisti di tutto il mondo trattano il denaro come un’asta metrica neutrale che, per come lo intendono, non ha nessun ruolo decisivo nelle decisioni economiche. Un recente studio del Club di Roma dimostra che ciò è errato. Il denaro è tutt’altro che neutrale. Anzi, fa da aspirapolvere succhiando costantemente risorse da certe regioni con ritorni più bassi e ridistribuendole alle regioni con ritorni più alti, per il momento questa è la Cina, con tutti gli effetti devastanti che ciò porta alla cultura, all’ecologia e alla società nelle aree coinvolte. Ciò che ci serve oggi è un ridimensionamento del denaro per riuscire finalmente a usare il pieno potenziale di una delle più ingegnose invenzioni dell’umanità , per aiutare a realizzare il sogno di mettere a disposizione di ognuno su questa terra le necessità basilari della vita. Una prima soluzione sarebbe quella di sostituire l’interesse – la ricompensa per il creditore – con un “demurrage” o “tassa di appropriazione”, un costo dovuto per il possesso dei soldi (N.d.T. inteso come fisico possesso delle banconote). Un principio questo, che già applichiamo alla maggior parte degli altri servizi, come ad es. il costo per l’uso della carrozza ferroviaria, quando viaggiamo in treno. Nessuno riceverebbe una ricompensa per liberarsene, per rimetterlo in circolazione, ma pagherebbe un piccolo canone dovuto all’uso quotidiano. E’ praticamente questo che dobbiamo fare con il denaro per risolvere molti dei problemi che sono stati creati dal sistema dell’interesse.

Soluzione n.1: Denaro senza Interesse – L’esempio di Woergl

Fig.6 – Fatti e risultati relativi all’emissione di schillings da parte dal Comune di Woergl in Austria nel 1932 (Fonte: M. Kennedy e V Spielbichler).

Tra il 1932 e il 1933 la piccola città austriaca di Woergl iniziò uno dei primi esperimenti-modello, basati sulle teorie economiche contenute nel libro di Silvio Gesell “L’Ordine Economico Naturale” (1916). A fronte di un equivalente ammontare di schillings ordinari depositati nela banca cittadina, il Comune di Woergl mise in circolazione 5.490 schillings in “Certificati di Lavoro”. Questa valuta perdeva l’1% del valore ogni mese. Un bollo del valore dell’1% doveva essere incollato sul Certificato per mantenerlo in validità . Ciò ebbe come conseguenza che i Certificati di Lavoro circolarono 463 volte nei successivi 13,5 mesi, facilitando la creazione di beni e servizi di valore uguale a 5.490 x 463 (giorni), cioè 2.283.840 milioni di schillings. In un periodo storico in cui nella maggior parte dei paesi europei c’era una perdita di posti di lavoro, il Comune di Woergl ridusse il tasso di disoccupazione del 25% su base annua. Il reddito da tasse locali crebbe del 35% e gli investimenti per lavori pubblici del 220%. La tassa di circolazione del denaro, incamerata dal Comune, che causò un passaggio di mano delle banconote cosi veloce, fu del 12% sui 5.490 schillings in Certificati, ovvero di un totale di di 658 schillings. Questo piccolo ammontare fu usato per obiettivi pubblici, non se ne appropriò nessun singolo individuo bensì ne ebbe beneficio l’intera comunità . Tuttavia, quando 130 comunità in tutta l’Austria cominciarono ad adottare questo interessante modello, la Banca Nazionale Austriaca vide il proprio monopolio in pericolo e proibì la stampa di ogni moneta locale.

Soluzione n.2: Sistemi di risparmio e prestito senza interesse – L’esempio della Banca Jak

Fig.7 – Meccanismo di funzionamento della Banca Jak: Risparmi e Prestiti. (Fonte: M. Kennedy e Mark Anielski, Canada).

Una seconda possibile soluzione consiste nell’adottare il sistema della banca cooperativa svedese JAK (Jord, Arbede, Kapital = terra, lavoro e capitale). Una volta che viene creato ed ha un sufficiente flusso di denaro in circolazione, il sistema della Banca Jak è probabilmente il sistema più economico per concedere prestiti senza interesse. In Svezia circa 26.000 persone usano questo sistema ed il turnover annuale nel 2004 è stato di circa 60 milioni di euro. Il sistema di funzionamento è davvero facile: le persone cominciano a risparmiare soldi per alcuni mesi per totalizzare un punteggio che che gli permetta di richiedere un prestito. Una volta che hanno ottenuto il prestito, essi cominciano immediatamente a risparmiare soldi di nuovo ed alla fine, quando hanno restituito il prestito, essi hanno disponibile sotto forma di risparmio il 90% della somma del prestito e possono ritirare questa somma dalla banca dopo sei mesi. Il sistema nella sua interezza, così come i risparmi ed i prestiti individuali – col tempo – in questo modo sono sempre bilanciati.Il debitore diventa creditore e passa il vantaggio di avere un prestito senza interesse alla prossima persona, la prossima ad un altra e così via. Il vantaggio di avere un prestito quando usualmente il denaro vale di più (a causa dell’inflazione) è bilanciato dal fatto che quando i risparmi vengono rimborsati, il denaro vale meno. Così non vi è la necessità di introdurre un aggiustamento inflattivo che, come vediamo, è parte dei normali costi di un prestito.

Fig.8 – Confronto tra il pagamento di un prestito in una banca normale e la Banca JAK (Fonte: M. Kennedy e Jak Bank)

Il confronto della restituzione di un prestito di 200.000 corone svedesi (SKR) a 25 anni tra una banca normale e la banca cooperativa JAK, mostra come funziona un prestito in quest’ultima. Mentre la banca normale carica in media l’8% di interesse che ammonta a rate mensili di 1.568 SKr, la banca cooperativa JAK carica (una rata mensile di 667 SKr più una commissione del 2% – per il lavoro da essa svolto – di 190 SKr, con un risparmio su base mensile di 654 SKr, che complessivamente raggiungono) quasi lo stesso importo, 1.511 SKr al mese. Inoltre il totale da pagare in 25 anni di 453.300 SKr nel sistema JAK è paragonabile ai 470.000 SKr nella banca tradizionale. La grande differenza, tuttavia, arriva alla fine dei 25 anni, quando nella banca normale non c’è nessun risparmio mentre nella banca JAK c’è un risparmio pari al 90% del prestito originale di 200.000 Skr, cioè 196.200 SKr. A copertura del rischio i richiedenti del prestito devono acquistare quote societarie, per una somma pari al 2% del prestito, nella cooperativa JAK. Esse possono essere rimborsate, se il prestito viene completamente pagato nello stesso anno. Tuttavia, una delle caratteristiche più attraenti rispetto al presito di una banca normale, è il fatto che nel sistema JAK l’interesse o le commissioni non si alzano durante il periodo di rimborso.

Fig.9 – Confronto della composizione dell’interesse sui prestiti ed i crediti tra una banca normale e la Banca JAK (Fonte: M. Kennedy e Jak Bank)

L’interesse dell’8%, in un prestito di una banca normale, per esempio, è formato da quattro componenti differenti: commissioni per il lavoro svolto dalla banca (solitamente intorno all’1,7%), un premio di rischio (o un’assicurazione, nel caso il prestito non può essere rimborsato, di circa lo 0,8%), un premio di liquidità (come ricompensa per le persone che richiedano la “liquidità” del denaro depositato, in questo caso del 4%) ed un aggiustamento inflazionistico (come riequiibrio della perdita da parte dei prestatori a seguito dell’inflazione – variabile a secondo il tasso di inflazione – in questo caso l’1.5%). Se adottassimo un incentivo di circolazione o un costo di appropriazione, per esempio una tassa sul denaro che non viene usato, potremmo eliminare il premio di liquidità del 4% e dimezzare i costi per i prestiti e la quota di interesse qualunque sia l’ammontare del prestito e per tutta la sua durata. Se potessimo adottare un sistema JAK, tuttavia, si potrebbe ulteriormente dimezzare l’interesse – che in questo sistema sarebbe soltanto del 2% perchè il lavoro effettuato dalla banca va pagato.

Fig.10 – Confronto tra i costi del credito nel normale sistema bancario, nel sistema a demurrage o a incentivo e nel sistema JAK

Un confronto tra i costi del credito nel normale sistema bancario, nel sistema a demurrage o a incentivo e nel sistema JAK, indica che una famiglia tedesca media con 30.000 euro di reddito all’anno, pagherebbe oggi 12.000 euro di interessi (il 40%), 6.000 euro nel sistema di demurrage e soltanto 3.000 euro, se il sistema JAK fosse applicato all’economia. A seguito di ciò i prezzi potrebbero andare considerevolmente giù, la ridistribuzione del costo nascosto dell’interesse in tutti i prezzi sparirebbe; l’80% della gente che ora perde nel sistema sarebbe così ricca quasi due volte o potrebbe lavorare la metà del tempo; ed infine potremmo finalmente avere un sistema monetario sostenibile, in cui il valore della relativa valuta rimarrebbe stabile col tempo. Un aiuto per la grande maggioranza della gente. Inoltre significherebbe che tutti i progetti sociali, culturali o ecologici, che possono rimborsare appena i loro investimenti, diventerebbero “economicamente possibili”. Una cultura completamente nuova potrebbe evolversi ed il gap fra ricchi e poveri diminuirebbe gradualmente. Ed inoltre se i paesi e le regioni più povere creassero le proprie valute anzichè prendere in prestito i soldi dai centri altamente industrializzati e dalle altre nazioni ad alto tasso di interesse, potrebbero prosperare velocemente.

Soluzione n.3: Monete Complementari

La terza soluzione introduce il concetto di “Monete Complementari” (CC) come la via più praticabile per contrastare le conseguenze negative del sistema degli interessi e della globalizzazione economica. Essa definisce le valute complementari come “mezzi di pagamento con obiettivo incorporato, che non sono da intendersi come sostituti delle esistenti valute nazionali o internazionali, ma come strumenti per dare loro, complementarietà”. Principalmente in quelle aree in cui il sistema attuale non funziona molto bene: per progetti sociali, culturali ed ecologici, nuova liquidità può essere generata senza caricare i contribuenti o i governi con costi supplementari. Le monete complementari possono essere viste come un potente strumento per rafforzare l’attuabilità economica dei progetti relativi ad un settore sociale specifico o ad una regione geograficamente limitata, ciascuno con i propri interessi e potenziali specifici. In molti casi, esse hanno mostrato la loro potenzialità a sostenere e rinforzare l’economia, specialmente in periodi difficili.

Verrà spiegato in dettaglio il funzionamento del Saber e del Chiemgauer, che sono solo alcuni esempi di valute settoriali e regionali tra le varie esistenti.

Una valuta settoriale recentemente progettata è il “Sabèr”, una proposta brasiliana di valuta educativa. Dato che il 40% della popolazione del Brasile è sotto i 15 anni, questo paese ha un problema educativo enorme. Quando l’industria del telefono cellulare è stata privatizzata il governo ha messo una tassa del 1% sulle sulle fatture dei telefoni cellulari, per finanziare la formazione. Il risultato di ciò è, nel 2004, un fondo monetario di 1 miliardo US$ o di 3 miliardi di Reais per la formazione. Che cosa può esser fatto con questi soldi? Nel 2004, il prof. Bernard Lietaer ha proposto di introdurre un sistema di buoni chiamato “Saber” per moltiplicare il numero di allievi che possono permettersi di ottenere una formazione di livello universitario. Il valore del Saber è nominalmente lo stesso del Real, sebbene sia soltanto redimibile per i pagamenti di tasse scolastiche per l’istruzione superiore e perda il 20% di valore all’anno per dare un motivo per non accumularlo. I buoni saranno dati alle scuole per darli ai loro – per esempio 7 anni – allievi più giovani, a condizione che essi scelgano un altro allievo di una classe superiore, per farsi aiutare su una materia in cui si è deboli. Il Saber allora viene trasferito (NdT i ragazzi pagano le ripetizioni in Saber) all’allievo più anziano ed e così via, fino a che infine arriva ad un ragazzo di 17 anni che desidera andare all’università che utilizzerà i Saber per pagare una parte delle tasse scolastiche. Il Saber – permettendo una diminuizione delle tasse scolastiche per coloro che andranno all’università , probabilmente permetterà anche di aumentare di dieci volte l’allocazione delle risorse per la formazione.

Quali sono le differenze fra le valute complementari e quelle tradizionali? Anzichè essere orientate al profitto sono orientate all’uso; anzichè avere l’obiettivo di fare più soldi dai soldi, hanno l’obiettivo per collegare le risorse poco usate con i bisogni non soddisfatti. La loro accettazione non è generale ma limitata e fornisce “una membrana semipermeabile” intorno alla funzione o alla regione per cui sono progettate. Non possono essere usate per speculare sui mercati finanziari internazionali; non possono essere usate per comprare automobili dall’estero. Forniranno aiuto alla realizzazione di uno scopo e quello è il loro vantaggio. La maggior parte delle valute complementari non hanno interesse ma usano un incentivo alla circolazione monetaria o un meccanismo di demurrage per mantenere la valuta “in movimento”, evitando così tutte le conseguenze connesse all’interesse. Possono essere create con un processo trasparente e democratico controllato dagli utenti. Le valute complementari possono arrestare il drenaggio delle risorse finanziarie dai paesi a basso reddito verso i paradisi fiscali, quindi ostacolare la conseguente perdita di ricchezza e posti di lavoro e promuovere senso di comunità invece di distruggerlo. Esse generano una situazione win-win per tutti: da un’espansione dei benefici educativi alla soluzione dei problemi legati all’aumento del numero di anziani, dalla protezione dell’identità culturale alla commercializzazione degli alimenti coltivati regionalmente, da un uso ecosostenibile degli itinerari più corti di trasporto all’esercizio di senso etico quando si utilizzano risorse non rinnovabili.

Le valute regionali forniscono tutti i benefici elencati per le valute complementari e specificamente sono destinate a aiutare una regione. Una regione può essere definita geograficamente come una bio-regione situata in una valle di montagna o intorno ad un lago; culturalmente se ha una storia comune, un dialetto o delle abitudini sociali comuni; o economicamente se ha specifiche risorse o abilità speciali di produzione. Una regione, se non è protetta dai propri mezzi di pagamento, tende a perdere risorse all’interno della feroce concorrenza internazionale. Di conseguenza, un disaccoppiamento parziale dall’economia globalizzata è una delle misure di sostegno più efficaci per supportare l’incremento dell’uso di prodotti e servizi regionali e per mantenere il valore aggiunto ed il surplus nella regione. Così come l’euro ha rinforzato l’identità europea, in modo simile una valuta regionale può rinforzare l’identità regionale. Infatti, in quelle zone di Europa in cui le valute regionali sono state introdotte, questo era uno dei motivi per cui la gente ha cominciato ad usarle. La rinascita recente dei mercati locali e regionali di vendita diretta da parte degli agricoltori – nonostante i supermercati convenienti nelle vicinanze – mostra che la gente comincia a stimare i legami più vicini fra consumatori e produttori. Ovviamente produrre e consumare regionalmente ridurrebbe le esigenze di trasporto e di energia; e potrebbe essere fermata la privatizzazione delle utilities pubbliche (acqua, elettricità , fogne, rimozione rifiuti, trasporto ecc.) – che, quasi dappertutto in Europa, ha reso i servizi più costosi e meno efficienti. Con l’uso di una valuta regionale si potrebbero fornire questi servizi e controllare la loro efficacia.

Fig.11 – Meccanismo di funzionamento della moneta locale Chiemgauer.

Un esempio pratico di valuta regionale è il Chiemgauer che circola nella zona del Chiemsee nella Germania del sud. E’ stata iniziata dalla Scuola Waldorf di Prien ed usa il modello dei vouchers. Il disegno è tale che tutti i partecipanti si avvantaggiano. Ad associazioni regionali selezionate che acquistano buoni Chiemgauer, viene dato un bonus del 3%. Le associazioni in cambio vendono 1 Chiemgauer per 1 Euro ai loro membri, che ne hanno profitto sostenendo la loro associazione senza rimetterci o dover pagare qualcosa di più. I membri delle associazioni quindi possono spendere i Chiemgauer in oltre 200 negozi partecipanti. I primi ad acquistare questa nuova valuta furono i genitori della Scuola Waldorf, che hanno comprato buoni per sostenere la costruzione di una nuova ala della scuola. Da allora, ulteriori progetti senza scopo di lucro si siomno sviluppati ed i partecipanti vengono da parti differenti della regione. In modo simile al modello di Woergl,i compratori accettano di pagare una tassa annuale di 8% per garantire la circolazione. Quattro volte l’anno un bollo del 2% del valore del buono deve essere applicato sulla banconota, per permettere ad essa di mantenere il relativo valore nominale. Le imprese che accettano i buoni possono scambiare i buoni in euro pagando una tassa del 5% oppure possono usarli per il pagamento di beni e servizi di altre imprese, di propri impiegati, per pagare il giornale locale, ecc. Se fanno girare i buoni, non dovranno pagare nessuna tassa. Per la maggior parte delle aziende, accettare i buoni è un modo per coltivare la fedeltà dei clienti. Oltre a questa piccola tassa – peraltro deducibile dalle imposte – non ci sono altre spese addizionali per supportare la propria valuta regionale.

Modelli regionali di valuta sorprendentemente differenti tra loro sono attualmente in sperimentazione in Europa. Questa idea si è sviluppata in modo così estensivo essenzialmente per tre motivi:

  • 1. Molti individui e gruppi stanno cercando strade per contribuire alla soluzione della corrente crisi economica in cui tutte le vecchie ricette non sembrano più funzionare.
  • 2. Ci sono parecchie strade legali per creare mezzi regionali di scambio che siano convenienti per tutti i partecipanti e che quindi abbiano il potenziale per essere accettati ampliamente.
  • 3. Esistono molte altre ragioni, oltre ai motivi economici, per ravvivare l’economia regionale. Poichè nessuna iniziativa ha ancora tutte le risposte ed ognuna sta cercando di sviluppare la propria soluzione specifica per i diversi problemi della propria regione, viene usata da quasi tutti i partecipanti la rete regionale, RegioNetzwerk, che federa le varie iniziative, come piattaforma per insegnare ed imparare. Ciò viene permesso facendo riunioni ogni tre mesi nei posti dove nuove valute già sono state iniziate o sono in progetto di partire. Dal 2003 vengono inoltre fatti grandi congressi nelle aree europee di lingua tedesca che riuniscono tutti gli attivisti e coloro che desiderano essere informati circa lo sviluppo delle valute regionali. Nel 2004 un primo congresso europeo con circa 200 partecipanti si è tenuto a Bad Honnef, NordReno Westalia, in Germania (un CD con tutte le conferenze e le presentazioni può essere ordinato a: info@ksi.de). Nell’agosto del 2005 il primo summit mondiale delle monete complementari si è tenuto a Denver, Colorado, negli USA (www.access.foundation.org).
Fig.12 – Fonti

Il mio libro “Moneta libera da interesse e da inflazione” è stato scritto nel 1987 ed è stato tradotto in 20 lingue (NdT una edizione italiana è stata pubblicata da Arianna Editrice). Esso ancora contiene intatte la maggior parte delle informazioni fornite in questa conferenza ed è disponibile in inglese attraverso Seva International. E-mail: Ursala@hathway.com. Il secondo libro “Le valute regionali – Nuove Strade per un aAbbondanza Sostenibile” che ho scritto insieme a Bernard Lietaer, sembra essere il primo libro che è stato scritto su questo soggetto. (La traduzione in inglese sarà pubblicata nel 2006). Il libro fornisce le informazioni di base sui problemi fondamentali, le soluzioni e gli esempi che vengono da tutto il mondo. Il sito www.RegioNetzwerk.de contiene le ultime informazioni (principalmente in tedesco) sullo sviluppo delle iniziative ed il fondamento teorico e pratico che stiamo sviluppando. L’introduzione di valute regionali è stato provato essere uno degli strumenti più potenti per la realizzazione di nuovo ordine democratico.

Le iniziative ed i numerosi programmi regionali esistenti in Europa sono i logici “partners naturali”. Ci sono ad oggi circa 300 iniziative all’interno del movimento regionale in Germania, più di 2000 gruppi Agenda21 e più di una dozzina di progetti europei Leader+ (un programma che promuove lo sviluppo regionale in aree rurali). In aggiunta a questi gruppi locali, un altro partner potrebbe essere il “Comitato per le regioni”, formato per difendere il principio che in le decisioni dell’Unione Europea dovrebbero essere prese al più basso livello possibile.

Per commenti o contatti: margritkennedy@monneta.org

(c)2004 Margrit Kennedy. Traduzione italiana a cura di Socialforge.net dal testo originale in inglese: http://www.margritkennedy.de/pdf/PRE_moneypres.pdf (c) 2006 Socialforge – Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia