Spiga e madia, come si costruisce la filiera corta

Ricostruire la filiera del pane: un progetto Solidale a filiera corta dal campo alla tavola, all’interno del Distretto di Economia Solidale Brianza

L’idea, molto semplice, ce l’hanno ispirata gli amici di Fidenza: ricostruire la filiera del pane, dalla coltivazione del frumento alla molitura alla cottura, di qualità biologica, nel raggio di pochi chilometri. L’incrocio tra gli interessi e la motivazione di una famiglia proprietaria di terreni che non vuole perseguire, come tutti fanno, la conversione delle terre da agricole ad edificabili e ci tiene a convertirle alla coltivazione biologica; di una cooperativa sociale agricola che da anni coltiva biologico; della domanda potenziale di pane e farina delle famiglie dei GAS della Retina di Brianza; della disponibilità a collaborare di un mulino ed un forno a conduzioni familiari.

Questo insieme di persone ed energie hanno reso possibile il progetto Spiga e Madia, salvando un pezzo del territorio Brianzolo dalla cementificazione in una regione dove il consumo di territorio è tra i più alti d’Italia. Viene così ridata alla terra la sua funzione primaria: è una risorsa fondamentale per la produzione di cibo, viene coltivata con metodi tradizionali e naturali ed i suoi frutti vengono consumati localmente.

Nonostante questo il futuro del territorio -e quello del progetto S&M- è nuovamente minacciato da Tangenziale Est Esterna, Pedemontana e BreBeMi.

Spiga e Madia mette in pratica un nuovo modello economico di filiera corta basato sulle relazioni solidali, che garantiscono qualità e trasparenza del prezzo dei beni, rispettando le risorse ed il territorio.

In un sistema economico globalizzato, dove il cibo viene usato come strumento finanziario speculativo, sembra un’utopia poter dare il giusto valore alle risorse, al lavoro, ai beni di consumo. Questo progetto di filiera corta invece permette di stabilire una relazione diretta e sincera tra produttori, lavoratori e consumatori responsabili. La partecipazione diretta ai processi progettuali e decisionali ha permesso di suddividere il rischio economico di impresa tra tutti gli attori coinvolti, restituendo il giusto valore ad ogni fase della produzione del pane.

http://retinagasbrianza.org/spiga-e-madia/

La transizione agroalimentare

L’approvigionamento alimentare nell’attuale mondo globalizzato si basa su una dipendenza totale e pericolosa dall’energia di origine fossile e dai derivati petrolchimici di varia natura. E’ necessario che vengano introdotti al più presto nuovi modelli di produzione e distribuzione del cibo in previsione della minore disponibilità di combustibili e risorse petrolifere alla quale andremo inevitabilmente incontro in futuro.

Dovremo utilizzare meno energia e la frazione rimanente dovrà essere prodotta da fonti rinnovabili. E’ opportuno intraprendere questa transizione in modo che sia programmata e graduale, ma nello stesso tempo il più rapida possibile. Non pianificare questo passaggio per tempo significa dover affrontare, prima o poi, una caotica situazione di scarsità diffusa di cibo dalle conseguenze drammatiche ed imprevedibili.

Fortunatamente nel mondo occidentale si assiste da qualche decennio ad un minore impiego di energia in agricoltura dovuto ad un ridotto uso di fertilizzanti ed antiparassitari. Attualmente sono in forte espansione le aziende biologiche, i mercati contadini e le cooperative di piccoli agricoltori; sempre più persone oggi si pongono il problema della provenienza del loro cibo.

Questi rappresentano i primi passi, ma rimane ancora molto da fare. Il nuovo modello agricolo avrà bisogno di un maggior numero di contadini, di fattorie più piccole e diversificate, di minori processi di trasformazione ed impacchettamento del cibo che dovrà essere prodotto, trasportato e consumato in un ambito prevalentemente locale. Ogni livello della società, le amministrazioni locali ed il governo, le aziende del settore, le comunità dei cittadini ed il singolo individuo, in tutti i paesi del mondo, dovranno essere coinvolti in questo processo di transizione. Solo con la consapevolezza e la collaborazione di queste quattro componenti della società sarà infatti possibile realizzare questo passaggio epocale ad un sistema agroalimentare indipendente dai combustibili fossili.

A questo scopo è stata preparata da un gruppo di traduttori volontari, appartenenti a varie organizzazioni attive nel nostro paese, la versione in lingua italiana di “Food and farming transition” un documento programmatico contenente le informazioni e le linee guida da conoscere, che è stato recentemente pubblicato dal Post Carbon Institute. Qui potete leggerlo in italiano.

Traduzione, revisione ed immagini in lingua italiana a cura di: Stefania Bottacin (Transition Italia)
Deborah Rim Moiso (Transition Italia), Dario Tamburrano (ASPO-Italia), Fabio Addari (Circolo MDF-Roma)

La Transizione Agroalimentare Verso Un Modello Indipendente Dai Combustibii Fossili

Una fattoria per il futuro

Il video “Una fattoria per il futuro” di Rebecca Hostings. La nota naturalista inglese affronta il tema della dipendenza dagli idrocarburi fossili delle filiere agro-industriali contemporanee in un documentario di grande impatto girato per la BBC, in cui narra in forma autobiografica il percorso della stessa autrice alla ricerca di un nuovo modello produttivo della sua fattoria alla luce dell’imminenza del picco del petrolio. Fantastiche riprese di fattorie sostenibili indipendenti dall’agrochimica e dai combustibili fossili, con esempi di permacultura, agricoltura verticale, orti-giardini giardini-foresta. Interviste a Colin Campbell, Richard Heinberg, Patrick Whitefield, Chris Dixon, Martin Crawford ed ai figli di Arthur Hollins. Il video è stato tradotto in italiano da IndipendenzaEnergetica. (Il video è sottitolato in italiano)
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La Libera Scuola delle Alternative

Per una Scuola delle Alternative: : cosa sono la “decrescita” e la “critica allo sviluppo”?
di Dalma Domeneghini – 06/05/2007

Introduzione

Il testo che segue contiene la sintesi della proposta del gruppo che ha promosso le prime tre edizioni estive della “Libera Scuola delle Alternative” (Parco dell’Aspromonte – RC 2004, Parco Isola Polvese – PG 2005, Agape – TO 2006) e che ha preparato anche la quarta edizione (Agape – TO 2007); il gruppo è composto da studiosi ed ‘animatori di reti’ che hanno deciso di approfondire la riflessione sul tema della “critica allo sviluppo” tramite una scuola estiva e specifiche ricerche e seminari, per cercare di rispondere a queste domande: cosa sono la “decrescita” e la “critica allo sviluppo”?

Diciamo subito che decrescita è il termine con cui sempre più spesso si indica la posizione critica, forse la più netta, ad un sistema economico dominante la cui caratteristica fondamentale è quella di fondarsi su una crescita continua dei consumi e delle merci messe a disposizione sul mercato. Il termine che abitualmente si usa per alludere a questo aspetto è “sviluppo”, che, pertanto, può essere ampiamente considerato ai fini del ragionamento (anche se non tutti sono d’accordo) un sinonimo di crescita quantitativa illimitata.

È dalla fine della seconda guerra mondiale che l’imperativo di tutte le economie – sia capitalistiche che socialiste – è stato lo sviluppo. Dal mondo industrializzato il modello è stato esportato nei paesi del cosiddetto Terzo mondo, definiti da quel momento “sottosviluppati”, divenendo, con la globalizzazione, un obiettivo planetario. Il concetto ci è talmente familiare che non ci chiediamo più cosa significhi veramente.

Ma, già a partire dagli anni ’70 del Novecento questo modello è stato sottoposto a critiche sempre più severe. Negli ultimi anni, una serie di fenomeni quali i danni alla biosfera (in particolare i mutamenti climatici), l’esaurimento progressivo delle materie prime strategiche, il fallimento dei progetti di sviluppo nel sud del mondo supportati dalla “cooperazione internazionale”, gli effetti contraddittori della globalizzazione, hanno dato sempre più argomenti a coloro che criticano lo sviluppo. La proposta della decrescita appare la più eretica in quanto i suoi sostenitori sostengono l’urgenza, pena la catastrofe ecologica e sociale, di una decrescita volontaria, consapevole e selettiva delle produzioni e dei consumi, per scendere dalle spalle del Sud povero del mondo, ridurre la dipendenza dall’importazione di materie prime e lasciare qualche speranza alle generazioni future.

La critica allo sviluppo (e quindi a maggior ragione alla decrescita) nasce quindi dalla registrazione dei danni sempre più gravi che il modello economico dominante provoca sul piano sociale (aumento della povertà e della disuguaglianza), e dell’ambiente (grave alterazione degli equilibri ecologici) e quindi dalla sua stessa crisi come modello di riferimento ‘planetario’.

È ovvio che mettere in discussione il sistema economico dominante, un sistema che ha permesso (e permette tuttora) anche se solo a una parte molto limitata della popolazione mondiale, un livello di vista sicuramente agiato, susciti il rifiuto non solo dalle élite dominanti (economisti, imprenditori, politici ecc.), ma anche da chiunque senta minacciato il tenore di vita di cui gode.

La critica allo sviluppo significa in sostanza critica del modello socio-economico industriale e capitalistico? Si, certamente, ma in verità entra nel merito anche di quel modello socio-economico e politico che per quasi tutto il Novecento è sembrato, agli occhi di molti, essere la sua alternativa: il socialismo. In verità la parola socialismo indica cose molto diverse, ma qui non è possibile fare i necessari distinguo. Diciamo quindi solamente che, se il nocciolo del progetto socialista era costituito dall’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e dalla sua sostituzione con la direzione dello Stato, come è accaduto nella scomparsa Unione Sovietica, questo modello non è stato meno ‘sviluppista’ di quello capitalista. Anzi, le terrificanti condizioni ecologiche dell’Europa dell’Est dimostrano che lì lo sviluppo industriale è stato ancora più pesante. In qualunque caso quel modello, là dove era stato costruito, è entrato in crisi e quindi oggi non costituisce più un alternativa reale. Esso è stato giudicato da molti nient’altro che un capitalismo di Stato che ha condiviso con il capitalismo occidentale gli stessi obiettivi e le stesse modalità di sfruttamento dell’uomo e della natura.

I critici dello sviluppo, già a partire dagli anni ’60, hanno messo in discussione quindi l’aspetto più profondo della società industriale e hanno cioè affermato che questa non può essere estesa a tutta l’umanità: è oramai evidente che il pianeta non potrà mai sostenere una popolazione planetaria (anch’essa in crescita.), in cui tutti vivono secondo il nostro stile di vita e quindi quello che probabilmente accadrà, sino al collasso ambientale che si prospetta sempre più prossimo, sia un fenomeno cui già assistiamo che vede aumentare la pressione sul pianeta da parte di pochi privilegiati e la sottrazione di risorse e la conseguente sempre maggiore esclusione, fino all’indigenza assoluta, del resto dell’umanità.

Il livello di vita della società dei consumi di massa, così come si è affermato nel Nord America e in Europa (e a cui già si affacciano Cina e India) non può essere sostenuto dal pianeta: calcolando l’impatto dei nostri consumi sulla natura (rifiuti e utilizzo delle risorse, la cosiddetta “impronta ecologica”) e estendendo il nostro stile di vita per ogni abitante del mondo, otterremmo che sarebbero necessari cinque pianeti Terra per soddisfare tutte le nuove necessità.

La critica allo sviluppo si articola però in diverse posizioni. Accanto a quella della decrescita che ci ha attratto per la sua radicalità e per la crescente diffusione che sta conoscendo, va registrata un’altra prospettiva che cerca di salvare il concetto di sviluppo mostrando che esso può essere corretto in modo che sia “sostenibile” o “durevole”. Questi due aggettivi sono diventati molto frequenti, specie il primo, nei documenti di molte agenzie internazionali tra cui l’ONU. L’aspetto essenziale del concetto di “sviluppo sostenibile” consiste nella fiducia di potere ricomporre le ragioni dell’economia e della natura. Questa formula racchiude una certa consapevolezza della necessità di un limite alla crescita, ma conserva il primo posto allo sviluppo o forse sarebbe meglio dire, senza tanti infingimenti, alla crescita.

In ultima analisi per saperne di più e per raccordare le risorse intellettuali e le pratiche che in Italia fanno riferimento alla ‘critica dello sviluppo’ abbiamo deciso di redarre una proposta di manifesto con cui rendere visibili e raccogliere in un’ottica di rete le realtà che si muovono sul tema della “critica dello sviluppo”, a partire da una proposta concreta, sul terreno specifico della formazione alle alternative alla “crescita senza fine” (sul terreno economico, sociale, culturale, ecc.).

Il progetto si propone di collegarsi in primo luogo a quanto già esiste, per verificare insieme livelli più ampi di confronto e di pratiche condivise.

*Il manifesto della scuola*

Il progetto di una “Libera Scuola delle Alternative” nasce dalla constatazione che il modello di sviluppo dominante produce anche e sempre più distruzione, degradazione e morte verso il vivente e i viventi.

I tentativi di imbrigliarlo e ‘riportarlo a ragione’ appaiono sostanzialmente falliti: mai come oggi assistiamo al suo devastante trionfo senza regole, favorito dalle organizzazioni economiche e finanziarie internazionali e dalle politiche liberiste dei governi nazionali.

Mai come oggi, però, leggiamo anche i segnali di una sua crisi profonda, di una inadeguatezza strutturale, di un’esposizione palese dei limiti intrinseci alla sua stessa espansione.

La parola ‘decrescita’ nasce da qui: dalla consapevolezza che sia necessario cambiare immaginari, premesse, prospettive di visione e di orientamento, metodologie.

Se le nostre società sono quindi chiamate a cambiamenti così profondi risulta urgente e necessario l’avvio di un intenso processo (auto)formativo che le faciliti in questo impegnativo e complesso percorso di trasformazione.

I processi di apprendimento, a questo livello, infatti, possono essere anche dolorosi, faticosi, frustranti, perché presuppongono una messa in discussione radicale delle nostre abitudini di pensiero e di azione. Per potersi ‘mettere in gioco’ in una ricerca comune così inedita, è importante essere accompagnati in questa ‘sfida’ da sostegni adeguati e da una buona dose di curiosità e creatività.

Ecco perché i metodi di studio e di apprendimento della scuola che proponiamo dovranno tendere, per coerenza, a favorire la presa di coscienza e la partecipazione, il coinvolgimento attivo di ciascuno e di tutti, la co-costruzione di sensi e significati, l’espressività nei suoi vari codici e linguaggi, una forte integrazione tra mente e corpo, teorie e pratiche, discipline e saperi.

Essi dovranno rappresentare un’alta ed evoluta mediazione del conflitto tra efficacia funzionale (mirata a contenuti e compiti) e sensibilità estetica (centrata su relazioni e contesti), mediazione oggi ancora estremizzata a tutto vantaggio dell’efficacia.

Il mercato cerca di impadronirsi di ogni conoscenza, anche ‘altra’; le istituzioni che dovrebbero occuparsi di ricerca sono disabituate a ‘leggere/ascoltare’ il territorio e i processi di apprendimento degli attori che vi intervengono; i movimenti sociali e tutti i soggetti che sviluppano esperienze alternative rischiano di non avere orizzonti comuni di riferimento ‘teorico’: la natura relazionale e cooperativa della produzione del sapere fatica ad emergere.

Proponiamo quindi una scuola in grado di leggere i bisogni dei territori, per favorirne i processi di autosviluppo sostenibile; di decostruire i quadri di riferimento tradizionali per cercare di impedire che il sistema dominante inglobi il significato di ogni pensiero ed azione sociale e ‘solidale’; di puntare sugli apprendimenti cooperativi, reticolari, tra pari per mostrare in concreto come si costruiscono le relazioni collaborative di rete; di basarsi sulla condivisone della conoscenza, considerandola ‘bene comune’, per contrastare i processi di privatizzazione e di criminalizzazione delle conoscenze sociali; di praticare percorsi non solo analitici, ma che sviluppino la capacità dei partecipanti di reinterpretare la propria soggettività.

Una scuola davvero alternativa, quindi, non solo per i temi, ma anche per i suoi metodi.

Venezuela impulsa un nuevo modelo agrícola

inSurGente.org (23.04.2007)

El
nuevo concepto de producción agrícola comunal implica tierras,
maquinaria, mano de obra capacitada, créditos con bajos intereses y
pueblo organizado.A bordo de uno de los cuatro mil tractores de
tecnología iraní ensamblados en Venezuela, el jefe de Estado anunció
que ayer mismo comenzó la siembra del maíz en toda la nación. Chávez
insistió a los cooperativistas que tanto tierras como aperos de
labranza son de propiedad colectivaEn diálogo con los
productores agrícolas el mandatario insistió en la posibilidad de
desarrollar el trueque de productos de la tierra y la pesca entre
comunidades cercanas. “No todo puede ser dinero, recuerden que Judas
vendió a Cristo por 30 monedas”, les comentó.

Vamos
a batir récords en la cosecha de maíz, indicó desde el fundo Bella
Vista, cuyas tierras permanecían abandonadas un año tras.

Chávez insistió a los cooperativistas que tanto tierras como aperos de labranza son de propiedad colectiva.

Conoció
en el lugar de la construcción de una planta procesadora y
empaquetadora de maíz, como parte del programa industrial que con la
cooperación de Irán avanza en el país.

Dijo que en algunas zonas de Brasil y México (Chiapas) funciona un sistema de moneda local.
En
Venezuela estamos esperando por la ley para implantar uno similar, esa
moneda tendrá valor en un ámbito territorial determinado y por un
tiempo específico
, precisó el presidente.
Son ideas para evitar seguir dependiendo del capitalismo, tal como ha sucedido aquí a lo largo de 500 años, comentó.

En
el propio sitio Chávez conoció de la experiencia de un laboratorio
artesanal para el control biológico de las plagas, como medio de
sostener una práctica agrícola ecológica.

El ministro de
Agricultura y Tierras, Elías Jaua, informó al jefe de Estado que
trabajan en la creación de una red nacional con este tipo de
instalaciones.

Esto es el futuro, puntualizó el presidente de
Venezuela al conocer el pueblo comunal que se erige en ese fundo, donde
visitó una guardería del programa Simoncito (por Simón Bolívar)

Al propio tiempo dio orientaciones sobre mejoras ecológicas en el tratamiento a los árboles y el fomento de sistemas de riego.

Llama Chávez a reforzar la propiedad social sobre la tierra

El
presidente venezolano, Hugo Chávez, llamó ayer a reforzar la propiedad
social sobre la tierra para beneficio colectivo, durante la apertura
del pueblo comunal de Bella Vista en el estado Yaracuy.
En diálogo con campesinos del municipio Urachiche, durante el programa Aló Presidente,
Chávez dijo que es necesario incrementar la producción agrícola y
ganadera, a partir de las cooperativas creadas en grandes extensiones
de tierras recuperadas del abandono.
En el Fundo Zamorano
(cooperativa) de Bella Vista, el mandatario insistió además en el apoyo
a los campesinos con maquinarias e insumos energéticos, así como el
asesoramiento y la capacitación tanto para operar los equipos, como
para el mejor uso de la tierra.
Chávez destacó que las familias
afiliadas al Fundo reciben una casa en el poblado comunal construido,
aledaño a sus tierras, la cual al término de cinco años puede ser
comprada a precio subsidiado por el Estado.
Dicha localidad fue
dotada de servicios básicos para sus pobladores, como centro educativo,
módulo del médico de Barrio Adentro e instalaciones deportivas y
recreativas.
Insistió Chávez que el desarrollo de pueblos
comunales constituye un concepto integral para la explotación de las
tierras, que incluye la capacitación permanente de sus hombres y
mujeres, aplicación de tecnologías avanzadas y otorgamiento de créditos
con facilidades.
Alertó el presidente venezolano sobre la
necesaria explotación racional de esas tierras e intensificar la
siembra de árboles, que posibiliten un equilibrio ecológico, ahora más
cuando es preciso revertir el drástico cambio climático que sufre el
planeta.
Los campesinos de Bella Vista producen ya hortalizas,
frutas, maíz y frijol negro, entre otros rubros agrícolas, los cuales
se destinan a la red Mercal (mercados populares).
El ministro de
Agricultura y Tierras, Elías Jaua, señaló que la producción de maíz del
Fundo será procesada en el complejo agroindustrial de Urachiche para la
producción de harina precocida.
Con la presencia de Jaua, el
pasado 14 de abril comenzó en este Fundo la campaña nacional de siembra
de maíz, que prevé la producción de 2,5 millones de toneladas del
grano, un 15 por ciento mayor que la alcanzada en el año precedente.
El
presidente del Instituto Nacional de Tierras (INTI), Juan Carlos Loyo,
adelantó la creación de otros 12 pueblos comunales antes de que
finalice el año, que se sumarán a los ya existentes en los estados de
Yaracuy, Cojedes, Aragua, Apure y Barinas.