Come funziona il Sardex

Nel 2010 nasce a Serramanna (CA) ad opera di tre amici trentenni una srl che vuole riproporre il circuito di credito commerciale svizzero WIR nell’isola sarda, una forma di mutuo credito tra PMI. Ad oggi (2013) sono circa un migliaio le imprese che si scambiano beni e servizi in crediti Sardex, con una previsione di transato per il 2013 superiore ai 12 milioni di €.

La città greca di Volos mette in pratica un sistema economico alternativo

di Antonio Cuesta (Gara/Rebelión), 21 Maggio 2012

Le epoche di crisi di solito fanno germinare soluzioni ingegnose dirette a superare le difficoltà. Nel caso della città greca di Volos (una piccola località di 100.000 abitanti) la creazione della cosiddetta Rete di Interscambio e Solidarietà, due anni fa, non è derivata tanto dalla grave situazione economica che attraversa il Paese, ma dalla necessità di articolare un’alternativa per far fornte all’attuale sistema capitalista.

L’idea di fondo è partita dalle molteplici esperienze di comunità di trueque [1], che scambiano prodotti e servizi senza utilizzare alcuna moneta. Nel caso di Volos l’idea è stata perfezionata con la creazione di un modello di interscambio, il TEM (Unità Alternativa Locale, in greco), e di un avanzato sistema informatico così semplice nel suo funzionamento quanto efficace nei risultati.

Quando qualcuno entra a far parte della Rete gli si assegna un numero di conto e gli si concedono 300 TEM (1 TEM equivale a 1 Euro solo come riferimento nel momento di stabilire il valore di vendita), facilitando così il suo inizio per comprare o vendere prodotti o servizi. Il maggior numero di scambi si realizza il sabato in un mercatino all’apparenza tradizionale ma nel quale è escluso l’uso del denaro. Un’ampia offerta che include frutta, verdura, vestiti, libri, artigianato… ma anche apparecchi elettrici e perfino materiale per l’idraulica. Inoltre il sito web dell’associazione offre una lista completa sia di professionisti (medici, professori, elettricisti…) che di attività del luogo che fanno parte anch’esse della Rete (ottici, officine meccaniche, panetterie, macellerie…), che permettono il pagamento in TEM per tutta la settimana nell’orario commerciale ordinario. La pagina comprende anche una sezione di annunci dove ogni membro offre o chiede quello di cui ha bisogno. Più di 1.000 persone compongono già questo sistema economico alternativo e il numero continua a crescere.

“Con l’aiuto iniziale –spiega a Gara Emilia, una ceramista di 47 anni- ho potuto comprare frutta e zucchero per fare marmellate che poi vendo il sabato. Ho cominciato tre settimane fa e ho già ottenuto 800 TEM”, anche se confessa di averne spesi 500 per il parrucchiere, alimentari e qualche piccolo elettrodomestico di cui aveva bisogno. Alexandra vende insieme a suo padre, Iraklis, uova fresche provenienti dalle galline che tengono nel pollaio, “al principio ci costavano di più perché il loro cibo lo pagavamo in euro, ma ora abbiamo trovato un fornitore di mangimi per animali che vende in TEM”, ci racconta. Per questa giovane di 25 anni l’iniziativa “è una filosofia per cambiare le cose senza denaro. Non sono contro l’euro, ne ho bisogno per pagare certe cose -chiarisce- ma per quanto possibile cerco di non usarlo. Preferisco il TEM perché è una cosa che tutti possono usare, l’euro ce l’ha solo chi lavora”. E assicura convinta che “con il TEM si può accedere a molte opzioni, in vari modi, decidi tu. Tutti hanno qualcosa da dare o da offrire”.

L’uso di internet ha facilitato in grande misura l’interscambio e soprattutto il controllo del debito. Khristos, un ingegnere appassionato di software libero e cofondatore del progetto, è il responsabile dello sviluppo di un sistema informatico che è stato progettato su misura grazie ai programmi a codice aperto. Il suo avanzato funzionamento gli ha valso il riconoscimento della Banca d’Inghilterra per la forma e la sicurezza con cui si effettuano i trasferimenti. Migliore e più veloce di qualsiasi banca su internet, i movimenti tra venditori e acquirenti sono registrati istantaneamente senza commissioni né ritardi, permettendo anche uno scoperto fino a 1.200 TEM nel conto di un utente.

Dato che il TEM non esiste fisicamente, la forma di pagamento si realizza in tre modi: usando un contrassegno (uguale agli assegni bancari) dotato di un marchio di sicurezza, mediante trasferimenti via internet e, fiore all’occhiello, con un semplice SMS. Inviando un messaggio con i numeri dell’ordinante e del beneficiario, oltre all’importo, il sistema manda immediatamente messaggi confermando il trasferimento e mostrando a ognuno di essi il saldo risultante nel loro conto dopo l’operazione effettuata.

Per quanto il volume degli scambi non sia ancora molto elevato, Khristos calcola che un sabato di mercato si possano raggiungere i 3.000 o 4.000 TEM, anche se questa cifra scende durante la settimana. I prodotti alimentari, la frutta e la verdura sono di gran lunga i più richiesti, insieme ai servizi professionali (idraulici, avvocati…). In ogni caso, “la cosa più importante è che la gente si conosca e che esista una reciproca fiducia, la Rete è importante ma il contatto diretto è fondamentale -ci spiega Khristos-. La nostra iniziativa non è stata motivata dalla crisi economica, ma dalla necessità di applicare i nostri valori e cambiare l’attuale sistema economico. Contro tutto questo è stata pensata la Rete, come forma alternativa di interscambio economico”.

Un’altra dei fondatori di questo progetto è Marita Hupis, fortemente influenzata dalle esperienze sviluppate in Argentina e Uruguay dieci anni fa. Marita espone i principi sui quali si basa la Rete di interscambio: uguaglianza, parità, trasparenza, solidarietà e partecipazione. “Tutti i membri sullo stesso piano decidono in assemblee periodiche le questioni relative al funzionamento della Rete. Le decisioni sono collettive, facendo leva sul carattere sociale dell’iniziativa, e sono orientate alla creazione della società che vogliamo”.

La crescita dell’organizzazione li ha portati a pensare la creazione di un “centro assistenza” nelle strutture cedute dall’Università della Tessaglia. “Il centro disporrà di ambulatori medici, naturopati, massaggiatori… tutto ciò di cui uno può aver bisogno nel campo della salute”, ci informa. E ci sarà anche un caffè dove lavoreranno diverse persone disoccupate. Dato che gli edifici erano abbandonati da tempo si è dovuto restaurarli e condizionarli, contando per questo sull’aiuto di tecnici e, anche di artisti locali che hanno collaborato alla ristrutturazione. Tutti i componenti dei gruppi di lavoro (segreteria, pubblicità, infrastrutture, pulizia…) riscuotono lo stesso importo: 6 TEM ogni ora di lavoro. “Questi gruppi sono aperti e vi partecipa tanta gente quanta è necessaria in un dato momento”, ci spiega Marita.

Il successo della Rete, che oltrepassa già le frontiere, sta incoraggiando altre città greche a seguire l’esempio. “È una buona opzione per cambiare le cose e in un certo senso è un cambiamento rivoluzionario”, aggiunge orgogliosa Alexandra.

Fonte: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=149932

NOTA [1]: Sembra opportuno lasciare il termine originale spagnolo trueque (baratto) proprio perché nell’esperienza di Volos c’è un evidente riferimento al modello argentino, come spiega più avanti uno dei fondatori della rete

Traduzione Andrea Grillo, SenzaSoste.it

L’economia del Bene Comune

di Byologyk, 5 febbraio 2012

Una delle maggiori ingiustizie dell’economia mondiale è che tutte le aziende vengono trattate allo stesso modo. Un’azienda che paga ai suoi dipendenti un giusto compenso per il lavoro svolto o una azienda che produce le sue merci nel rispetto della natura e dei diritti umani viene trattata allo stesso modo di una azienda che non rispetta i diritti dei lavoratori o che inquina l’ambiente. L’economia del bene comune è un modello economico che prevede differenze tra le aziende “virtuose” e quelle che non lo sono.

Questo modello economico appena nato ed in pieno sviluppo, punta a discriminare quelle aziende o multinazionali che non rispettano le regole, l’ecologia o i diritti umani. Il problema più grande della nostra economia è il fatto che essa si basa esclusivamente su indicatori monetari come il  profitto, nel caso delle aziende, o il PIL nel caso di interi paesi. Il problema è che questi indicatori monetari non ci danno una misura del benessere che questa azienda o Nazione produce effettivamente.

Il PIL che ancora oggi viene usato come indicatore del benessere di un paese, non ci dice se una nazione vive una democrazia o una dittatura, non ci dice se in questo paese vengono rispettati i diritti umani, non ci dice se nel paese aumenta la fiducia tra le persone o se aumenta la paura. Allo stesso modo il profitto economico, che è l’indicatore della salute di una azienda non fornisce informazioni riguardo l’etica dell’azienda. Non ci dice se l’azienda produce merci rispettando la natura o distruggendola, Non ci dice se l’azienda sfrutta i suoi dipendenti o meno. È normale che in un sistema economico che prende in considerazione solo il profitto si vengono a creare situazioni in cui le aziende che risparmiano sulla sicurezza o che infrangono i diritti dei lavoratori si trovano in vantaggio rispetto a quelle aziende che rispettano le regole. Ovviamente una azienda che non rispetta le regole può offrire le sue merci o i suoi servizi a prezzi inferiori rispetto a quelle aziende che rispettano tutte le regole. Paradossalmente si crea una situazione in cui i disonesti vedono le loro vendite aumentare proprio in base al fatto che possono offrire prezzi più competitivi.

L’economia del bene comune si propone di risolvere questo problema con l’assegnazione di punti del bene comune. I punti del bene comune vanno da 0 a 1000, vengono suddivisi in 5 fasce alle quali corrisponde un determinato colore. Per cui un consumatore in base al colore attribuito ad un determinato prodotto sa esattamente al momento dell’acquisto se sta comprando un prodotto giusto e solidale o meno. I vanataggi che ottengono le aziende più corrette, che raggiungono un elevato bilancio del bene comune, si traducono in sgravi fiscali, crediti a tassi agevolati, sgravi sulle tasse doganali, precedenza nel caso di acquisti da parte dello stato etc.  Nell’immediato si otterrebbe che i prodotti di quelle aziende che rispettano le regole potrebbero essere offerti a prezzi più bassi rispetto ai prodotti di quelle aziende che non rispettano le regole o che non hanno nessun riguardo per la societá o l’ambiente. In questo video che ho tradotto in Italiano Christian Felberg professore di “Altermondialismo” all’università di Vienna ci spiega come nasce l’economia del bene comune, i principi su cui si basa e i vantaggi che questo tipo di modello economico può offrire. Non è detto che chi si oppone al capitalismo debba per forza essere un comunista e l’economia del bene comune ne è la prova. Nell’economia del bene comune vengono fissati dei limiti massimi e minimi per i salari, dei limiti alla proprietà privata e alle eredità, in maniera da ridurre considerevolmente le diseguaglianze sociali. In questo nuovo modello economico il profitto cessa di essere il fine ultimo di un’azienda e si trasforma in un mezzo per raggiungere le dimensioni ottimali rendendo obsoleta la ricerca della crescita economica costante.

Questo modello è in fase di sperimentazione in Germania, Austria, Italia e Svizzera e si appresta a rivoluzionare il sistema economico attualmente adottato rappresentando finalmente un passo avanti rispetto agli estremi del capitalismo e del comunismo. È Un sistema democratico gestito dal popolo sovrano ed è aperto a qualsiasi miglioria che può essere apportata. Da alcuni sondaggi fatti in Germania e in Austria risulta che il 90% della popolazione desidera un nuovo modello economico che si basi su principi ecologici ed etici e sulle relazioni interpersonali. L’economia del bene comune si presenta come una soluzione valida ed effettiva e sicuramente va approfondita, sviluppata e messa in atto.

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Scarsità ed abbondanza II (dibattito)

Dibattito sul testo “Abbondanza di cibo contro abbondanza di ricette”, con commenti di Michel Bauwens, Franz Nahrada e Wofgang Hoeschele al documento di Brian Davey del 17 novembre 2010

Michel Bauwens: Come l’abbondanza immateriale può assistere un’economia stabile

Brian Davey ha scritto un testo molto stimolante, pubblicato [in italiano] qui, che ammonisce contro il parificare l’abbondanza di cultura immateriale con l’abbondanza di produzione materiale.

Si tratta di un argomento molto importante sul quale fondamentalmente concordiamo.  Ciò nonostante io credo anche che Brian Davey non comprenda l’importanza dell’abbondanza immateriale nel risolvere la crisi della scarsità materiale.

Rivediamo rapidamente i punti sui quali posso facilmente dirmi d’accordo.

Sì, non possiamo ingenuamente sperare che l’era dell’abbondanza materiale continui con la stessa forza, senza riconoscere le scarsità materiali che si stanno facendo di giorno in giorno più gravi.  Una seria contrazione del livello industriale standard di produzione materiale è più che probabile.

Sì, l’infrastruttura Internet è essa stessa un’infrastruttura materiale costosa.

Sì, non possiamo ingenuamente presumere che “abbondante” energia rinnovabile sostituisca del tutto, o almeno in misura significativa, la sovrabbondanza di combustibili fossili cui ci siamo abituati. Le rinnovabili non sono soluzioni magiche e hanno sia limiti assoluti sia problemi concreti di concentrazione per i bisogni umani.

Dunque, in conclusione, sono d’accordo che sia molto pericoloso mettere fare un unico fascio dell’ “abbondanza immateriale” e dell’abbondanza materiale.  E questo è infatti un argomento che ho costantemente sostenuto nel mio intervento: che il presente sistema combina pseudo-abbondanza, una fiducia errata nell’infinita abbondanza del mondo materiale, ritenendo che la crescita infinita sia compatibile con un pianeta finita, con l’idea della necessità della scarsità artificiale nel mondo dell’innovazione della cultura e dell’innovazioni immateriali, rendendo molto difficile agli umani condividere e collaborare liberamente. Ho sostenuto che quella che ho chiamato la civiltà sostitutiva, centrata sui commons e le dinamiche paritarie, che sussume sia il mercato sia lo stato, capovolgerà quel sistema operativo sbagliato in uno che riconosce sia la scarsità reale del mondo materiale sia l’abbondanza di scambi culturali in un contesto digitale.

La mia tesi chiave sarebbe che un transizione riuscita a un’economia

stabile, o anche una decrescita, dipende dalla cooperazione globale e dalla struttura di rete disponibile.

Alcuni punti ovvi:

– Internet è uno strumento chiave della collaborazione umana e della rapida innovazione. L’umanità affronterà molte sfide e, anche se le situazioni locali sono diverse, ci sono anche importanti cose in comune, il che significa che gli esseri umani dovrebbero apprendere gli uni dagli altri. Tale apprendimento, in cui ogni innovazione potenziale è istantaneamente disponibile al resto dell’umanità, è ciò che promette la cultura libera (un termine sbagliato, nel senso che significa la vastissima collaborazione degli esseri umani riguardo a una serie di problemi). Naturalmente, esposto in questo modo, si tratta di un ottimismo esagerato. D’altro canto si pensi a come la conoscenza sarebbe trasmessa senza Internet, senza la stampa e persino senza la scrittura.  Nell’affrontare sfide globali, molte delle quali sono urgenti, abbiamo alternative? Possiamo permetterci di non mobilitare l’intelligenza collettiva transnazionale? Possiamo permetterci che le località restino totalmente isolate? Non è necessario adorare la velocità al fine di capire che essa ha effettivamente un certo ruolo da svolgere e che l’isolamento a causa di alti costi per operazione, comunicazione e coordinamento non sarebbero una cosa buona in quel contesto di urgente risoluzione di problemi.

– Le comunità globali aperte  di sapere, codice e progettazione seguono una logica diversa da quella delle imprese capitaliste.  Mentre l’innovazione capitalista progetta in funzione di grandi impieghi di capitale (per eliminare la competizione), di produzione centralizzata e di catene internazionali di valore per il consumo attraverso l’obsolescenza programmata, le comunità di progettazione aperta progettano per la produzione distribuita (non solo ‘fab lab’ (1) bensì un riorientamento generale della produzione che ruoti intorno a una tecnologia appropriata che utilizzi una fabbricazione aperta e distribuita) senza obsolescenza programmata.

– Internet è uno strumento di socializzazione paritaria e non gerarchica.  Brian nota quanto è stata diverso il Congresso di Berlino sui Commons, nel suo dialogo aperto e nella sua tolleranza per la diversità di opinioni, rispetto ai vecchi scontri per la verità nella sinistra cui era abituato in gioventù.  Ma c’è un motivo per questo e precisamente che il processo di socializzazione tra pari, in un contesto di abbondanza culturale, allena a questo tipo di collaborazione.

– Condividere infrastrutture e accesso a risorse comuni, come ad esempio i trasporti, funziona soltanto con una condivisione del sapere molto diffusa a basso costo di coordinamento.  Ad esempio la condivisione di biciclette falliva sistematicamente prima dell’avvento dei media digitali, ma ora in molte città rappresenta praticamente una routine. Ci sono enormi possibilità di ridurre la necessità di produzione materiale (di proprietà individuali) attraverso la condivisione di infrastrutture che dipendano da infrastrutture internet.

– Le comunità locali isolate sono forme svantaggiata dal nanismo che, anche se ecologicamente a minor impatto, dovrebbero confrontarsi con le imprese transnazionali e con gli stati-nazione competitivi.  Ciò è una garanzia di conflitto sociale, ovvero di possibili confronti violenti riguardanti risorse scarse.  D’altro canto una produzione locale che si accompagni a comunità di progettazione aperta e alla condivisione globale della conoscenza può facilmente superare, nella collaborazione, le capacità di coordinamento delle imprese transnazionali, mentre le comunità  [ ‘phyles’ nell’originale] transnazionali, ovvero le reti di valore coordinate che sono responsabili della propria sussistenza, possono offrire fraternità e solidarietà in un’era di stati assistenziali in declino. La collaborazione “attivata digitalmente” apre possibilità di nuove reti di governance globale che possono affrontare sfide globali in modo che non sono possibili né alle comunità locali né agli stati nazione.

Dunque la conclusione è che l’abbondanza materiale non è contrapposta alle economie materiali sostenibili, ma è una condizione per una transizione più agevole a tale stato di cose.  Anche se dobbiamo riconoscere che una tale infrastruttura è costosa e potrebbe non sopravvivere a un crollo ecologico, non è qualcosa che dobbiamo desiderare ma qualcosa che, se possibile, dovrebbe essere evitato. Tra le scelte d’investimento dell’umanità, la possibilità della cooperazione globale e dell’intelligenza collettiva transnazionale, non dovrebbe essere scartata, ma sarebbe una delle scelte migliori.  Questo naturalmente non significa che la stessa informatica non possa diventare molto più ecologica [verde] di quanto è ora. E’ difficile immaginare come un’economia stabile, di decrescita o “dalla culla alla culla” [cradle to cradle] si possa conseguire senza lacrime e sangue, senza l’uso dell’intelligenza collettiva.

Il nodo cruciale della questione è questo: siamo indubbiamente di fronte alla fine dell’abbondanza materiale basata sui combustibili fossili.  Ma questa trasformazione può aver luogo nel modo brutto, ovvero mediante un ridimensionamento terribile e costoso che può condurre a nuove forme di neotribalismo e neofeudalesimo patologici.  Questo è il percorso probabile se scegliamo il localismo isolato, senza accesso al mutuo coordinamento globale che ora è possibile conseguire.  Non serve avere colture organiche locali se ci si trova di fronte a bande nomadi di armati che vogliono la tua produzione. Oppure la nostra società si può trasformare passando a un livello di complessità più elevato, ricavando una sintesi tra un’economia stabile e una vita sociale e culturale globale molto ricca di mutuo coordinamento su scala planetaria e una ricca creazione di produzione relocalizzata.

La visione paritaria promette almeno, se realizzabile, questa nuova sintesi, un connubio della materialità locale e dell’immaterialità globale, invece di un ritorno a un localismo regressivo in un contesto di conflitti civili, tra imprese e tra stati nazione, per le risorse materiali che scarseggiano.

(1) [Letteralmente ‘laboratori di fabbricazione’, ma si potrebbe tradurre anche come ‘laboratori magici’ (da ‘fab’ = fabulous): fabbriche in grado di produrre idealmente qualsiasi cosa partendo da un progetto in formato elettronico (CAD) affidato a una macchina laser a controllo numerico che provvede alla realizzazione materiale. Il primo ‘fab lab’ è stato il ‘rep rap’ – n.d.t.]

Franz Nahrada: Quali sono le condizioni dell’abbondanza?

Ci sono pochi altri punti da fissare.  L’argomentazione “ecologica” tradizionale utilizzata dal Club di Roma si limita solitamente ad aggregare aspetti quantitativi dei processi produttivi con capacità riproduttive senza considerare la loro interazione; è cioè un po’ mal coordinata e mal costruita rispetto alle condizioni economiche attuali.

Michael Braungart ha tradotto ciò in un’immagine semplice: quando si ha una produzione materiale mal progettata che produce scarti, ogni attività ulteriore di questa produzione materiale aumenterà alla fine la scarsità complessiva.  Ma se i prodotti sono progettati per essere essi stessi parti di cascate di riutilizzo e riconversione [up-cycling], ciascuna attività aggiuntiva accrescerà la base per altre attività e creerà abbondanza.

C’è un fattore qualitativo che determina l’interazione tra le nostre crescenti informazioni e il mondo materiale: è la capacità di ideare e progettare cicli che si autoalimentino e si autosostengano e soluzioni per cui gli sforzi umani non vadano persi una volta compiuti ma conseguano sistematicamente utili sistemici da tali apporti.

Il modo di produzione capitalista-industriale è stato incentrato su una concezione monodimensionale del valore che si traduce in un meccanismo di risorse – prodotto [input – output] di cosiddetta efficienza. McLuhan ha osservato una volta che per questo meccanismo non ha importanza quale sia il prodotto che ne esce, che si tratti di cornflakes o di Cadillac, fintantoché il risultato può tradursi in denaro.  Nel modo di produzione automatizzato post-industriale la riproduzione ci richiederà di creare finalmente misure economiche e misure che riflettano l’assioma che il valore di ciascun processo è multidimensionale.

Per esempio non è assolutamente privo d’importanza dove la produzione ha luogo. Se il calore eccessivo di una centrale di server [server farm] che è necessario per il funzionamento dell’infrastruttura Internet viene utilizzato per il riscaldamento di un insediamento umano, c’è un guadagno sistemico semplicemente dalla progettazione in tal senso. Tutto allora è deciso dallo spazio, dal tempo e dall’interagibilità delle cose.  Ciò impone un balzo gigantesco in intelligenza e informazioni in alcun modo facile da realizzare.  Dobbiamo studiare modelli possibili e apprendere riguardo alla loro complessa interazione come condizione essenziale per decidere.

Sarebbe utile analizzare la nostra società attuale come produttrice costante di sprechi, sia sprechi immediati sia sprechi sistemici.  La risposta  può non essere facile da trovare ma non sta nei numeri bensì nell’interazione delle cose.  La natura è un grande sistema di abbondanza (molto più di uno “stato stabile”) ovvero non produce scarti.  Dobbiamo imparare da essa ed essere partecipi dei suoi cicli, affinarli e assecondarli invece di astenerci da attività.  Questa è la svolta importante che possiamo definire e realizzare insieme.

Wolfgang Hoeschele: Economia dell’abbondanza

Nel suo documento per il dibattito Brian Davey esprime la sua preoccupazione (che io condivido) per l’imminente grave scarsità di risorse e la sua opinione che chi parla di “abbondanza” non prende sul serio la scarsità di risorse ed è perciò eccessivamente ottimista circa il futuro del mondo.  Egli ipotizza inoltre che queste persone provengano da precedenti nei “commons culturali e scientifici” e considera tali precedenti parte del motivo del loro eccessivo ottimismo.

Anche se io non posso parlare per chiunque promuova idee di abbondanza, posso certamente parlare per me stesso, visto che ho scritto un libro sulla “Economia dell’abbondanza”. Brian Davey sicuramente non ha avuto l’opportunità di leggere tale libro che è stato appena pubblicato e probabilmente non era a conoscenza della sua esistenza  prima del Congresso Internazionale sui Commons. In questo spazio vorrei sintetizzare parte delle idee che avanzo nel libro per dimostrare che promuovere una “economia dell’abbondanza” è qualcosa di molto diverso dall’ignorare la scarsità di risorse, non implica un ottimismo eccessivo e non richiede una formazione nell’industria informatica (alla quale io non appartengo, essendo un geografo abituato a trattare problemi molto “terra terra” di utilizzo delle risorse).

La produzione della scarsità

Innanzitutto vorrei sottolineare che le risorse materiali possono essere abbondanti anche se esistono in quantità finita.  Le risorse materiali sono abbondanti se sono utilizzate in modi che non le esauriscano o le degradino (ad esempio, respirare l’aria) o se ce n’è una quantità molto superiore a quella necessaria per le persone (ad esempio, i banchi di pesca in luoghi in cui si pesca solo un piccola parte del prodotto sostenibile).

Un problema fondamentale dell’economia attuale è che non vede valore nelle risorse abbondanti perché non si possono vendere con un alto margine di profitto; ad esempio non si può confezionare l’aria da respirare e poi venderla a qualcuno; dove il pesce è abbondante si può vendere ma solo a un prezzo modesto. In altre parole, è riconosciuto solo il valore di scambio e non il valore d’uso. Per gli imprenditori è perciò vantaggioso rendere scarse le risorse abbondanti in modo che possano essere vendute a un prezzo più elevato e generare maggior valore di scambio. La tesi che sostengo nel mio libro è che l’attività di rendere scarse le risorse abbondanti non è lasciato all’iniziativa individuale, ma è compiuto da istituzioni che generano scarsità.  La scarsità può essere prodotta manipolando la domanda o l’offerta di un bene in modo tale che la domanda superi l’offerta. In questo senso c’è scarsità anche quando c’è un’enorme quantità di produzione. Si può sempre descrivere la cosa in questi termini: la nostra economia attuale massimizza l’inefficienza del consumo in modo da generare la domanda necessaria a giustificare un produzione in crescente aumento. In un simile contesto, l’accresciuta efficienza della produzione non fa nulla per affrontare i problemi della scarsità di risorse.

Un buon esempio riguarda i trasporti.  La mobilità – la capacità di andare dove si ha bisogno di andare – è massimamente abbondante e la maggior parte delle persone possono raggiungere la loro destinazione quotidiana a piedi o in bicicletta o mediante trasporti pubblici.  In questo modo tutti possono permettersi la mobilità che è disponibile ai bambini piccoli (appena possono spostarsi in modo indipendente), ai vecchi (che possono utilizzare i trasporti pubblici se non possono più camminare, andare in bicicletta o guidare), a tutti i membri delle famiglie con un’auto sola e alle persone con disabilità che impediscono loro di guidare o camminare o andare in bicicletta (che tuttavia sono in grado di usare il trasporto pubblico).  In queste condizioni di abbondanza sarebbe possibile per la maggior parte delle persone non possedere un’auto propria ma affidarsi alle auto in comune [car-sharing] o ai servizi di taxi nelle occasioni relativamente rare in cui abbiano necessità di un veicolo a motore.  Le condizioni che sostengono la mobilità abbondante – città compatte con strade aperte al movimento a piedi, in bicicletta e alla socializzazione – sostengono anche più bassi investimenti pro capite in infrastrutture e, nel complesso, un minor uso di risorse che amplino indiscriminatamente città progettate per la dipendenza dalle automobili.

Quindi l’abbondanza non consiste nel fatto che tutti abbiano un’automobile, bensì nel fatto che tutti siano in grado di spostarsi a basso costo, senza dipendere da catene di beni complesse e insostenibili, mentre la “scarsità” consiste nel fatto che tutti vogliano un’auto, o ne abbiano necessità, indipendentemente dal fatto che possano permettersela o meno.

Il fatto che così tante città non supportino una mobilità abbondante è il risultato di sforzi concertati dell’industria automobilistica, dell’industria del petrolio, degli interessi immobiliari e di vari settori economici associati, che insieme hanno influenzato i governi affinché costruissero o ricostruissero città e infrastrutture dei trasporti al servizio dei “bisogni” delle automobili (si noti che gli oggetti inanimati non hanno bisogni).  Ho rilevato che parlare di come queste istituzioni generino scarsità e le alternative creino abbondanza suscita grande entusiasmo e creatività nei gruppi per il cambiamento, come in un seminario che ho tenuto di recente:  http://shareable.net/blog/abundant-mobility-one-towns-resources

La scarsità è generata anche da regimi iniqui di proprietà. Ad esempio se poche persone (capitalisti, aristocrazia terriera e simili) sono proprietarie dei mezzi di produzione (che questi consistano in terreni, acqua, accesso a banchi di pesca o a zone di caccia, fabbriche o qualsiasi altra cosa) mentre altri sono vincolati a vendere il proprio lavoro al fine di ricavare un reddito, allora i proprietari hanno interessi a mantenere scarsa l’occupazione, per conservare un esercito di lavoratori disoccupati che mantiene basse le paghe. Sappiamo tutto questo da Marx; non è nulla di nuovo.

Ci sono inoltre importanti “mezzi di produzione” che tradizionalmente non sono di proprietà di nessuno ed è vantaggioso per gli industriali utilizzarli come beni naturali gratuiti e inquinarli o degradarli in altro modo.  Tra questi vi sono l’aria e l’acqua pulite; inquinarle crea scarsità presso tutti coloro la cui salute ne è colpita negativamente.  Allora diventano necessari grandi investimenti per pulire l’aria e l’acqua, a vantaggio di quegli stessi industriali che fabbricano le attrezzature necessarie.  La proprietà comune delle risorse naturali (commons delle risorse naturali), così come dei luoghi di lavoro (commons delle cooperative di lavoro) e della conoscenza (commons della scienza) è essenziale per smontare questo modo di produzione della scarsità e creare invece abbondanza.

A livello di psicologia individuale la scarsità è la conseguenza del non sapere quando “il troppo stroppia”, del volere sempre di più.  Questo modo di pensare drogato è promosso da una cultura consumista e dall’insicurezza e dalla paura del futuro; superare tale tossicodipendenza richiede esattamente quelle “relazioni umane positive in comunità amorevoli che generano sensazioni di pace, di appagamento, di amore, felicità e altre gratificazioni psichiche che si sottraggono alla quantificazione” che Roberto Verzola cita nel suo documento.

Un’economia dell’abbondanza non è un’economia che presuppone che l’abbondanza esista necessariamente, bensì un’economia che analizza i modi di produzione della scarsità, quali quelli che ho citato più sopra, e che evidenzia modi per contrastarli.  Proprio così come la scarsità è costruita socialmente (ed è molto reale, così come è reale un edificio costruito dall’uomo) anche l’abbondanza deve essere creata.  Nella situazione attuale, si tratta di un compito che intimidisce; se riusciremo a portarlo a compimento prima di trovarci di fronte alla catastrofe ecologica, non lo so. Tuttavia sento profondamente che l’idea di generare abbondanza evidenzi il cammino che dobbiamo intraprendere se vogliamo avere una qualche speranza di evitare il disastro.  Dunque il valore delle mie proposte non dipende da ottimismo o pessimismo; dipende dal fatto che esse siano o meno vie d’uscita dalle difficoltà attuali.

Da Socialforge – Un laboratorio di creazione sociale

http://www.socialforge.org

Fonte: http://p2pfoundation.net/Abundance_of_Food_vs_the_Abundance_of_Recipes

Originale: p2pfoundation

Traduzione di Giuseppe Volpe

© 2012 Socialforge – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

Scarsità ed abbondanza I

 Abbondanza di cibo contro abbondanza di ricette

di Brian Davey – 17 novembre 2010

Contributo di Brian Davey di Feasta, in risposta alla tensione al Congresso di Berlino sui Commons tra Abbondanza e Scarsità, sottotitoli di Franz Nahrada.

Brian Davey:

All’inizio della sessione finale del congresso internazionale sui Commons, i partecipanti sono stati invitati a esprimere le proprie preoccupazioni, critiche e riserve. Io mi sono alzato a dire grosso modo quanto segue:

I partecipanti che costituiscono il congresso forse avrebbero dovuto concentrarsi di più su tipo di epoca in cui stiamo vivendo.  Al congresso sono sembrate esserci due visioni generali e la differenza tra esse non è stata espressa sufficientemente nel corso del dibattito.

I Commons come scialuppa di salvataggio …

Da un lato ci sono quelli per i quali i Commons sono istituzioni paragonabili a scialuppe di salvataggio per il controllo collettivo su risorse vitali in un mondo in crisi; un mondo in cui la produzione probabilmente si ridurrà a causa del cambiamento climatico galoppante, dando fondo all’energia, all’acqua e ad altre risorse. In larga misura si tratta di persone la cui attenzione è principalmente concentrata su Commons naturali: l’atmosfera e il clima, l’acqua e gli oceani, la terra e i sistemi ecologici.

… oppure come nuovo modo di produzione.

D’altro canto ci sono quelli per i quali i Commons rappresentano un modo interamente nuovo di produzione paritaria [peer-to-peer] che, quando non più limitata dai vincoli imposti dalle restrizioni della proprietà intellettuale, ha il potenziale di introdurci in un mondo di abbondanza, non solo fornendo servizi liberi d’informazione come Wikipedia, creati collettivamente e disponibili a tutti, ma alla fine estendendosi anche ai processi di produzione fisica, attraverso progetti open source di beni materiali e la diffusione di nuove idee da coltivare.  In breve, saremmo all’inizio di un’era di abbondanza … I partecipanti che la pensano così tendono a essere quelli coinvolti in Commons intellettuali e culturali, ad esempio quelli impegnati nello sviluppo di software, ecc.

Limiti contro abbondanza

Finito il congresso ho pensato che questi temi fossero così importanti che ho scritto questo documento successivo.  Permettetemi di iniziare osservando che il movimento per l’ambiente è da lungo impegnato in un dibattito con la politica e l’economia convenzionale che si riassume più o meno così:

Gli ambientalisti sostengono che stiamo realmente raggiungendo, e oltrepassando, i limiti fisici della crescita e della “capacità di sostegno” degli ecosistemi del pianeta.  Contemporaneamente la corrente di pensiero convenzionale sostiene che non dobbiamo preoccuparci di cose simili perché la tecnologia e l’ingegno umano ci faranno superare le difficoltà, cosicché la crescita potrà continuare indefinitamente nel futuro.

Ora, al Congresso di Berlino sui Commons, non ho notato nessuno che sostenesse la crescita continua. E tutti quelli che ho incontrato al congresso mi sono sembrati consapevoli del cambiamento climatico e del picco del petrolio e del gas. Ciò nonostante, la tesi dell’”abbondanza” mi è sembrata essere, almeno in parte, una variante riconfezionata della posizione secondo cui “l’ingegno umano ci farà superare le difficoltà”, con l’interessante derivazione che l’ingegno e la creatività umana ci farebbero superare le difficoltà SE il tentativo dell’industria di appropriarsi del sapere e di privatizzarlo mediante la proprietà intellettuale (brevetti, diritti d’autore, royalties, ecc.) potesse essere abbandonato in modo tale che la creazione intellettuale possa aver luogo come vero processo collettivo e tutti e ciascuno possano essere liberi di prendere le idee, i progetti, il software e le creazioni altrui, correggerli, integrarli, adattarli e svilupparli ulteriormente, contribuire ad essi, e così via, senza dover pagare un prezzo esorbitante per tale privilegio.

Ora, secondo me, queste idee possono essere spinte troppo in là.  Ma prima che io spieghi il perché, voglio spiegare perché ho ritenuto stimolante questo punto di vista e che isoli alcuni nuclei di verità.

Quarant’anni fa, nella mia gioventù trotzkista, ero solito partecipare a congressi che erano praticamente al polo opposto rispetto a questo.  I partecipanti a questi vecchi congressi si preoccupavano di decidere ed accordarsi su quale fosse “l’analisi corretta”, il modo corretto di interpretare il mondo e su cosa dovesse essere fatto al riguardo. La “analisi corretta” in qualche modo sembrava essere quello che pensavano le persone che ti erano più vicine,  perché avevi elaborato le idee insieme con loro e se non eri d’accordo … beh … ti sarebbe risultato spiacevole andare a tutti i congressi e scoprire di essere l’unico strano che diceva qualcosa di diverso.

Ma, ovviamente, altri, spesso provenienti da altri luoghi, persone che avevano avuto altri rapporti personali, tipicamente avevano elaborato un’idea leggermente diversa di cosa era “corretto”. Dunque ciò significava, per loro, che tu sbaglia e, per te, che sbagliavano loro.

Il congressi basati su questo modo di rapportarsi con “la verità” erano frustranti e improduttivi.  Ricordo persone che osservavano, con frustrazione, come le altre fazioni non si spostassero di un millimetro dal loro modo di pensare e, indubbiamente, dal mio punto di vista, non lo facevamo neppure noi. La differenza era un problema: le idee diverse degli altri erano “sbagliate” me non eravamo sempre nel “giusto”.

Non posso dire che tutti abbiano avuto la stessa esperienza al Congresso Internazionale sui Commons.  Almeno alcuni sono sembrati finire preda della frustrazione , ma la mia esperienza personale è stata di partecipanti che si sono trovati a loro agio con le differenze e preparati a discutere in modo rilassato  con persone  con un punto di vista diverso, e questo è stato molto  confortante.

In realtà quando si adotta questa accettazione rilassata delle differenze, la mia esperienza è stata che si tende a scoprire che le persone con idee diverse sono già consapevoli del nostro punto di vista; possono non essere  d’accordo sul nostro punto di vista come spiegazione migliore, ma a volte lo accettano come plausibile e come possibile ottica alternativa.

In effetti mi sono sentito [al Congresso] come se mi fossi trovato in un dibattito in cui i  partecipanti che avevano idee diverse erano considerati utili per mettere alla prova le proprie idee, utili per vedere una prospettiva diversa che in precedenza non si sarebbe potuto non  considerare.  C’è stata la sensazione che le idee e le ottiche non siano fisse e giuste o sbagliate, ma sempre in sviluppo e le idee degli altri che si differenziavano  sono state utili nel contribuire a un ulteriore sviluppo delle proprie.

Qui, penso, abbiamo l’idea emergente di una dimensione di “messa in comune” dei “Commons del sapere”.  Sospetto che derivi dalla mia esperienza di elaborare le cose in procedure di gruppo nella progettazione del software o nella produzione culturale.  Qui si ha un’apertura mentale che proviene dall’esperienza della progettazione del software open source e dallo sviluppo di gruppo delle idee, in cui i “bachi” sono considerati inevitabili, in cui essi sono risolti in processi collettivi, in cui qualcun altro può forse sviluppare creativamente qualcosa che si è fatto e la creazione intellettuale è un processo intrinsecamente collettivo.

Così io penso che ciò che ho sperimentato è stato effettivamente un “modo di produzione” collettivo all’opera, in cui “mettere in comune” significa partecipazione attiva alla produzione, insieme con i propri pari.  E ciò è non egoistico, non competitivo e non preoccupato di arraffare diritti di proprietà e vantaggi personali che, dopotutto, rallenterebbero e danneggerebbero il processo collettivo.

L’idea che fare le cose in questo modo sia molto più agevole e più creativo la posso davvero accettare … sino a un certo punto. Posso così accettare anche, fino a un certo punto, che sia  possibile che il  concepire reazioni alla crisi ecologica ed economica, sia qualcosa di sviluppato e progettato collettivamente e poi applicato alla produzione materiale. Sono consapevole, per esempio, che nella progettazione di “auto ecologiche”  sono coinvolti processi open source.

Questa idea può essere ampliata ulteriormente dall’ideazione e progettazione alla produzione materiale.  Così non sarebbero soltanto il software e le opere culturali a poter essere creati senza proprietà intellettuale in processi paritari, bensì anche i prodotti concreti, fatti di “roba”: veicoli, mobili, orti. (Produrre paritariamente [peer-to-peer] significa, qui, co-produrre senza un intermediario o un’organizzazione, come un datore di lavoro, che gestisca l’intero processo e poi rivendichi il prodotto del gruppo come proprio).

Al suo grado di massimo sviluppo ciò porta all’idea che i progetti open source dovrebbero essere presi e utilizzati da chiunque nei luoghi di lavoro della comunità locale.  Questi luoghi di “infrastruttura libera” opererebbero come centri di risorse e sarebbero dotati di macchine governate da computer che sarebbero in grado di creare veri prodotti materiali partendo dal progetti digitali (cosiddetti “Fab Lab”, vedere http://tangiblebit.com/).

Bene, è qui che la teoria dei Commons intellettuali si trasforma in produzione materiale.  Tuttavia a questo punto penso che dobbiamo tornare alla Terra.  Poiché questo sono visioni del futuro cui ho difficoltà a credere e voglio spiegare il perché.

Costi energetici

La documentazione del Congresso di Berlino sui Commons ha utilizzato una terminologia a proposito della “logica generativa dei Commons” per riferirsi al modo in cui i Commons possono essere e sono produttivi. Tuttavia, come evidenziato da alcuni, anche i Commons digitali sono basati su una infrastruttura ingorda di energia, e anche se possono esserci progettisti benintenzionati impegnati in progetti open source che cercano di ridurre l’utilizzo di energia e di prodotti materiali nella manutenzione dell’infrastruttura internet, i Commons digitali non sono affatto un pasto gratis. Così, ad esempio, produrre un personal computer costa 1800 KWh di energia e dunque consuma 11 volte il suo stesso peso in combustibili fossili prima ancora di essere utilizzato … e ciò anche prima che cominciamo a tener conto di tutti gli altri computer e di tutti i server molto più grandi cui avrà necessità di essere connesso e l’energia che l’intero insieme assorbe per funzionare.

Limiti materiali

Ma, per me, ci sono alcuni importanti problemi che vanno molto oltre quelli dell’energia utilizzata per creare e gestire internet e la sua infrastruttura. Anche se è vero che una parte considerevole dei costi finanziari di molti prodotti deriva al processo di progettazione, e che questi costi sono più elevati a motivo delle imposizioni riguardanti la proprietà intellettuale e l’addebito del costo dell’utilizzo della proprietà intellettuale, ciò nonostante la creatività che è liberata dai Commons del sapere che operano senza i vincoli della proprietà intellettuale non può, in sé e per sé stessa, cancellare i limiti alla crescita che sono stati il problema centrale per gli economisti ecologici.

E’ dunque da questa posizione che trovo difficile seguire interamente, ad esempio, Roberto Verzola dei Verdi delle Filippine che ha scritto un documento per il Congresso di Berlino intitolato “Abbondanza e Logica Generativa dei Commons”. Sì, sono d’accordo con Roberto sul fatto che internet sta producendo un’abbondanza di “informazioni e conoscenza”, ma l’abbondanza di informazioni non è la stessa cosa che l’abbondanza materiale.

Tanto per cominciare l’abbondanza di conoscenza e informazioni di cui uno dispone può restare ignota, o ignorata, o altrimenti disattesa da persone e istituzioni che necessitano di tali informazioni e dovrebbero conoscerle affinché siano concretamente utilizzate.

Di fatto c’è molta più informazione e conoscenza nel mondo di quanta possa essere oggetto della nostra attenzione ed esiste un intero insieme di istituzioni per attirare l’attenzione sui programmi degli interessi potenti che operano in modi non sostenibili e per distrarre l’attenzione dalle screditare le informazioni e le conoscenze riguardanti cose sui cui è necessaria un’azione urgente cercando di screditare e calunniare tali informazioni e conoscenze. Così, ad esempio, c’è stata abbondanza di informazioni e conoscenze per decenni sui tipi di sviluppo economico non sostenibile e sulle alternative sostenibili, ma c’è anche stata una struttura politica di potere economico che si è sentita in grado di ignorarle e di sedurre il grosso della popolazione dei paesi ricchi affinché dedicasse la propria attenzione ai consumi, agli acquisti, a stili di vita da celebrità, agli sport e agli svaghi distraenti.  Al tempo stesso c’è stata una campagna ampiamente riuscita per fuorviare deliberatamente la gente riguardo al cambiamento climatico e ad altri problemi.  Così, anche se c’è una grande quantità di informazioni, c’è anche un mucchio di ignoranza … ignor – anza, cioè.  Questa canalizzazione dell’attenzione di massa è basata su una conoscenza molto sofisticata della psicologia umana; in realtà il fondatore dell’attuale industria delle pubbliche relazioni e del marketing,  Edward Bernays,  ha ripetutamente attirato la sua attenzione sui suoi rapporti con Sigmund Freud e sul suo utilizzo di concetti che manipolano la predisposizione emotiva delle masse affinché si adatti all’élite al potere (compresi banchieri e baroni dell’energia).

In secondo luogo, anche se l’abbondanza di informazione fosse utilizzata utilmente per la ricerca di soluzioni ai nostri problemi, questa abbondanza di informazione potrebbe solo in misura limitata essere convertita in un’abbondanza di beni materiali o, più accuratamente, essa ha un potenziale limitato di mitigazione del declino cui la produzione sarà costretta dal declino dell’energia.

Consentitemi di essere attento a notare che Roberto è ben consapevole del picco del petrolio, ma non sono del tutto d’accordo con il suo punto di vista quando nel suo documento afferma:

Il grosso dell’acqua, del carbone, del ferro, del silicio e di altri minerali sulla Terra così come dell’energia proveniente dal sole è anch’esso una fonte di abbondanza.”

“L’abbondanza di minerali della Terra non è rinnovabile e deve essere amministrata in modo diverso dall’energia solare rinnovabile.”

“Con la produzione di petrolio che tocca il suo picco, per esempio, finirà il petrolio abbondante a buon prezzo. Il picco del petrolio dovrebbe impartirci una lezione indimenticabile quanto alla gestione dell’abbondanza. Quelli che non coglieranno la lezione opteranno per ulteriore carbone, energia nucleare e biocarburanti. Quelli che la coglieranno si rivolgeranno alle rinnovabili pulite, all’efficienza energetica e a una “discesa” pianificata. Le Città di Transizione stanno aprendo la via.”

“L’energia solare rende possibile altre risorse energetiche abbondanti quali l’acqua, il vento e il legno. Nel 2009, le rinnovabili hanno fornito il 25% della potenza energetica totale mondiale, grazie all’impennata dell’interesse della Cina per il biogas, l’energia solare e quella fotovoltaica. Lo stesso vale per la Germania. Le celle fotovoltaiche sono prodotte con silice semiconduttrice, il materiale base della rivoluzione digitale. (Ricordate quanto erano costosi gli schermi LCD dieci anni fa? Se il fotovoltaico seguirà una tendenza al ribasso dei prezzi simile ad altri beni digitali, possiamo aspettarci presto un’Era Solare. Anche l’idrogeno dall’acqua promette un’altra risorsa abbondante di energia.”

“Di passaggio, permettetemi di citare ancora un’altra fonte di abbondanza: le reti di relazioni umane positive in comunità amorevoli, che generano sentimenti di pace, appagamento, amore, felicità e altre gratificazioni psichiche che si sottraggono alla quantificazione.”

(Da “Abbondanza e Logica Generativa dei Commons” di Roberto Verzola, discorso di apertura dei Verdi delle Filippine per il Flusso III.)

Il messaggio di Roberto mi sembra essere: “Sì, ci sarà il picco del petrolio e sarà un problema, ma sarà un problema solo se in risposta saranno adottate le tecnologie energetiche sbagliate.  Se abbracciamo l’efficienza energetica e le tecnologie energetiche rinnovabili che scendono rapidamente di prezzo, allora non ci saranno problemi, ci sarà abbondanza, e questo senza citare un’abbondanza non misurabile di buoni sentimenti derivanti da relazioni umane positive.” (Esattamente cosa intenda Roberto con il termine “discesa” non mi è chiaro).

Da economista ecologico trovo queste idee inquietanti in questo tipo di congresso.  Sembrano contraddire al 100% le tesi sui “Limiti della Crescita” sviluppate in origine dagli studi commissionati dal Club di Roma negli anni ’70 e successivamente aggiornate e confermate studio dopo studio.

Posso accettare in pieno la possibilità di un’abbondanza non misurabile di buone sensazioni derivanti da relazioni umane positive … anche se il fatto che  tale possibilità si realizzi in qualche modo dipende dal nostro successo, o mancanza di successo, nel ri-sviluppare i Commons e la messa in comune come base delle relazioni umane … tuttavia la nozione di un’abbondanza di abbondanza materiale io davvero non la ritengo credibile.  Questo significa voler ignorare il fatto che il Pianeta Terra ha una capacità di sostegno ecologico limitata e tutti gli studi dimostrano che l’abbiamo considerevolmente oltrepassata.

Argomenti a sostegno

Torniamo alle questioni di fondo. Innanzitutto come spieghiamo e misuriamo quale produzione materiale ha luogo? Un buon modo per farlo consiste nel prendere la quantità di energia che è applicata ai processi economici, aggiustare la misura dell’energia in rapporto all’efficienza con la quale l’energia è trasferita alla trasformazione di materiali e di “roba” che viene incorporata nei prodotti. Così si ottiene una misura della quantità di “lavoro” impiegato nella produzione materiale, dove il termine “lavoro” non è un riferimento al lavoro umano bensì alla fisica dell’applicazione dell’energia alla trasformazione e al trasporto dei materiali, processi fisici che sono soggetti alle leggi della termodinamica.

Così la quantità di produzione materiale nell’economia è collegata a quanta energia viene utilizzata E a quanto efficientemente è utilizzata.

Infatti questo modo di considerare la produzione, e la crescita della produzione, funziona più che bene quando è applicato a dati reali. Due autori, Ayres e Warr, hanno utilizzato quest’ottica allo studio della crescita nell’economia USA. Tra il 1900 e il 1975 essa offre una spiegazione quasi perfetta dell’andamento della crescita della produzione materiale.

Vedere http://www.helsinki.fi/iehc2006/papers2/Warr.pdf  [Questo link sostituisce quello indicato nell’originale e che pare non più attivo http://www.iea.org/work/2004/eewp/ayres-paper1.pdf – il contenuto dovrebbe essere lo stesso – n.d.t.]

Ora vi è ancora spazio in questo modello perché l’ingegno umano migliori l’efficienza con cui l’energia è trasferita alla produzione.  E c’è dello spazio per la produzione immateriale, che potrebbe aumentare. Ma la produzione immateriale deve essere inserita e incorporata nei processi materiali e anche nelle cose; persino un taglio di capelli richiede forbici, un locale, una sedia, illuminazione …

E quando si tratta di produrre cose materiali, non si può continuare ad accrescere l’efficienza del trasferimento di energia ai processi produttivi, e neppure si può continuare ad aumentare gli apporti di energia, specialmente in una fase della storia in cui la concentrazione di energia resa possibile dal bruciare fonti di energie costituite da combustibili fossili comincia a scemare a causa dell’esaurimento, al superamento del picco della produzione di petrolio, del picco del gas, del picco del carbone … (per non citare il picco dell’uso dell’atmosfera che abbiamo superato da un po’ di tempo).

Il limite delle fonti rinnovabili (di energia)

Ma che dire delle energie rinnovabili? Possono essere la base dell’ “abbondanza”, cioè la tesi di Roberto con la quale non concordo?

Dobbiamo affrontare il fatto chiave che c’è un limite assoluto alla quantità di energia solare e di energie rinnovabili disponibili, indipendentemente da quanto ingegnosamente ed economicamente progettiamo l’infrastruttura per impossessarcene e indipendentemente da quanto siamo in gamba come giardinieri e progettisti di permacoltura per impossessarcene attraverso le piante.

La “logica generativa dei Commons” deve vedersela con il fatto che l’energia della luce solare grezza a mezzogiorno di un giorno senza nuvole è di 1000 W per metro quadrato, ma si tratta di 1000 W per metro quadrato di are orientata verso il sole, non per ogni metro quadrato di terra.  Per ricavare l’energia per metro quadrato di terra in Inghilterra, dove vivo, dobbiamo correggere i nostri calcoli in funzione dell’inclinazione tra il sole e la terra, che riduce l’intensità del sole di mezzogiorno a circa il 60% del suo valore all’equatore. E naturalmente non è sempre mezzogiorno. E ovviamente in Inghilterra, e i molti altri luoghi, il cielo è spesso nuvoloso. In una tipica località inglese il sole splende solo nel 34% delle giornate diurne.

Globalmente la radiazione solare in arrivo è pari a 122 Petawatt, quantità che è di un ordine di grandezza di quattro volte superiore rispetto all’energia primaria totale utilizzata dall’umanità, ma data la bassa densità con cui ricade sull’intero pianeta, raccoglierla per i processi produttivi è un processo a costosa intensità energetica.  Molte delle idee attuali per raccogliere l’energia solare per l’uso umano presuppone che possiamo farlo mediante biomasse e piante in base alla fotosintesi.  Forse la permacoltura ha davvero molto da offrirci, ma non può risolvere il fatto che in Inghilterra, considerata la copertura delle nuvole e tutti gli altri problemi, ci sono solo 100 watts che ricadono in media su ogni metro di terreno piatto da raccogliere mediante le piante.  Né l’ingegno umano e la logica generativa dei Commons può fare molto riguardo al fatto che le piante migliori, ad esempio, in Europa, possono convertire soltanto il 2% di tale energia solare in carboidrati.

E in più è bene ricordare che gli esseri umani si impossessano già del 30-40% della Produzione Primaria Netta del pianeta (biomassa) sotto forma di cibo, foraggi, e combustibile con il legno e i residui dei raccolti che forniscono il 10% dell’utilizzo globale umano dell’energia.  Anche un aumento relativamente contenuto che porti l’umanità a utilizzare la biomassa fino al 50% della produzione di biomassa del pianeta comprometterebbe e distruggerebbe apporti estremamente importanti dell’ecosistema.  Infatti, a causa della crisi del clima,  abbiamo bisogno di utilizzare la biomassa per togliere l’anidride carbonica dall’atmosfera.  Lo spazio di manovra, ammesso che esista, è molto scarso.

Cose simili si possono dire delle risorse di energie rinnovabili. Sì, fanno parte del futuro; sì, fanno parte di ciò che è necessario; sì, l’ingegno può accrescere la loro efficienza nel raccogliere energia. Ma no, non possono e non potranno mai fornire “abbondanza” se per abbondanza intendiamo abbondanza di produzione materiale.

Con l’attuale utilizzo umano dell’energia, globalmente a circa 13 Terawatt nel 2005 come parametro, dobbiamo prendere atto del fatto che, dopo l’energia solare

“Nessun’altra risorsa energetica rinnovabile può offrire più di 10 TW. Stime generose di fattibilità tecnica massima (le percentuali economicamente accettabili sarebbero molto inferiori) sono meno di 10 TW per l’eolico, meno di 5 TW per le onde oceaniche, meno di 2 TW per l’energia idroelettrica e meno di 1 TW per l’energia geotermica, quella delle maree e quella delle corrente oceaniche.” (Vaclav Smil “Energy in Nature and Society: General Energetics of Complex Systems” MIT Press, 2008, pagg. 382-383).

Riconsideriamo dunque la tesi. L’abbondanza materiale esige abbondanza di energia per compiere il lavoro fisico della trasformazione e del trasporto della materia per trasformare buone idee e progetti in prodotti disponibili agli utilizzatori.  Al momento l’umanità utilizza circa 13 TW di energia e la disponibilità di tale quantità è destinata a ridursi in misura molto spettacolare.  Indipendentemente da quanto abili noi siamo, la quantità che possiamo sostituire con le rinnovabili è anch’essa rigidamente limitata … un’infrastruttura di energia rinnovabile richiederà una quantità considerevole di energia per essere realizzata e dovrà concentrare flussi di energia naturale dispersa su vaste aree geografiche. Inoltre questi flussi naturali di energia sono essi stessi soggetti a limiti assoluti di disponibilità.

Conclusione

La mia conclusione è che, parlare di abbondanza sia un messaggio molto fuorviante.  I Commons hanno molto da offrirci, condividere idee senza i vincoli della proprietà intellettuale ci aiuterà, ci aiuteranno anche la condivisione di energia e produzione scarse e accordi e infrastrutture di produzione di gruppo, condividere potrà portarci a relazioni umane con molte gratificazioni psicologiche ed emotive. In tal senso possiamo descrivere i Commons come “aventi una logica generativa”. Ma l’ “abbondanza” non è un messaggio con il quale concordo, se intesa si intende, o si implica vada intesa, abbondanza di produzione materiale.  Secondo me l’uso del termine “abbondanza” è un’immagine fuorviante del futuro verso il quale ci stiamo dirigendo.

L’abbondanza di informazioni su come potremmo fare le cose non è la stessa cosa che l’abbondanza di cose; è un’abbondanza di ricette, non un’abbondanza di cibo.

Da Socialforge – Un laboratorio di creazione sociale

http://www.socialforge.org

Fonte: http://p2pfoundation.net/Abundance_of_Food_vs_the_Abundance_of_Recipes

Originale: p2pfoundation

Traduzione di Giuseppe Volpe

© 2012 Socialforge – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

El socialismo del siglo XXI. La economía de equivalencias

Entrevista a Heinz Dietrich 7/4/2004 (I).
Luis Juberías Gutiérrez (Avant)

Luis Juberias Gutièrez: Teorizando un socialismo para el SXXI, el Nuevo Proyecto Histórico, has dicho en tus escritos que éste consistía en democracia participativa y economía de equivalencias, ¿podrías aclararnos cuál es esta alternativa económica?

Heinz Dieterich: Una sociedad superior, una sociedad diferente a la existente necesita poner una nueva institucionalidad cualitativamente diferente a la existente.

La democracia es una parte de la discusión sobre la nueva institucionalidad socialista, pero no presenta mayores problemas teóricos, porque la evolución de la democracia desde los griegos, el despotismo oriental, la monarquía constitucional, etc., hasta la nueva democracia, esto es fácil de entender: la gente quiere democracia real participativa. El segundo aspecto es mucho más complicado: la economía.

En efecto, la debilidad fundamental de las propuestas autodefinidas como izquierda ha sido la incapacidad para definir una economía cualitativamente diferente a la economía nacional de mercado o como la tendríamos que llamar con más precisión “crematística de mercado”. De ahí que todas las críticas que escuchas al capitalismo o terminan en Keynes, Tobin o Stiglitz.

Tenemos un problema de 200 años, cuando se forma la escuela clásica (Ricardo, Smith), todos coincidían que el único valor de un producto, una mercancía es el trabajo socialmente necesario que representa. Pero la comprensión teórica correcta del problema de una economía justa, era difícil, porque no había las condiciones objetivas para convertir el conocimiento de la nueva institucionalidad económica socialista en una economía operativamente posible.

Se necesita la condición objetiva de conocimiento de poder calcular el
valor, hoy solucionado con la matemática de matrices, la condición tecnológica de poder procesar los datos, actualmente a nuestra disposición con la informática, y la condición política, una sociedad en la cual el objetivo sea dar igual nivel de vida a todos los ciudadanos, y esto es sólo posible en una sociedad no capitalista, pues la elite económica no te permite hacer una economía en la cual esfuerzos laborales iguales son intercambiados, porque todo el sistema se basa en el poder económico, y no en el intercambio democrático ético.

-Perdone, ¿por qué llaman de equivalencias a un sistema económico que opere sobre la base del valor trabajo?

Equivalencia viene, por una parte, de valor, que entendemos por cantidad de tiempo. Lo que importa aquí es cantidad, no importa el trabajo concreto. Lo importante es el tiempo de trabajo que necesitas para producir esos valores. Por otra parte, equivalencia significa valores iguales. Una economía de equivalencias es una economía en la cual los intercambios y las gratificaciones de los sujetos económicos se hacen sobre valores iguales, es decir, sobre esfuerzos laborales, cantidades de trabajo aportados a la generación de la riqueza social. Y en esto radica la justicia.

-Bueno, pero ¿vale igual el trabajo de un trabajador no cualificado, que el de un trabajador con capacidad técnica, que ha “invertido” en capital humano, según la terminología al uso?.

Este problema ha sido discutido en el socialismo “realmente existente”, como el problema del trabajo cualificado frente el simple. Por ejemplo, el ingeniero debería ganar más que el mecánico y éste más que el barrendero. En el socialismo europeo esto se solucionó argumentando que un mayor esfuerzo, una mayor formación profesional debería tener alguna gratificación material y así se hizo, pero con límites políticos. Por ejemplo, en la URSS y en Cuba la desproporción en la ganancia estaba limitada. Esto debe mantenerse en la fase de transición al socialismo del siglo XXl, porque necesariamente será desigual y luego surgen los problemas de la fuga de cerebros (un serio problema en Cuba). Esto se puede solucionar reconociendo que estamos en una fase de transición y que por lo tanto ciertas injusticias no se pueden abolir rápidamente.

El ideal de justicia de que todos tengan la misma gratificación por el mismo esfuerzo laboral, a mi juicio, sólo se consigue en el comunismo. Para que esto suceda no es suficiente la voluntad, sino que se exigen unas condiciones objetivas. Para que cada uno pueda aportar lo mismo con igual esfuerzo, necesitas niveles semejantes de alimentación, educación, participación, etc., es un proceso de voluntad política y de condiciones practicas que te hacen una sociedad homogéneas en cuanto a realizar y aportar más o menos lo mismo.

Mientras esto sea un proceso inacabado, creo que es necesario resolver el problema del estímulo a través de alguna gratificación material de aquellos que realizan un trabajo más peligroso, los que se esfuerzan más y los que tienen más conociminetos.

-En esta idea de una economía sin mercado, en que el valor de las cosas se fije en función del trabajo incorporado, ¿ qué mecanismos de información podrían suplir la que proporciona, con todas sus distorsiones, la dinámica oferta-demanda, ¿cómo se determinaría entonces cuánto y qué se produce?

La Escuela de Escocia, vinculada al Partido Socialista de los Trabajadores, fija que una economía planeada estratégicamente en sus macroindicadores sería mucho más rápida en su respuesta a las cambiantes demandas de la sociedad que el actual sistema de mercado. La hipotesis que manejan es que hoy el sistema de información a través de computadoras te permite hacer mucho más realista y rápido en preveer y reaccionar a los cambios de la demanda.

En el capitalismo es catastrófico el mecanismo de adaptación al mercado. No hay una institución que determine cuanto se va a invertir y cuánto será absorbido.

Esto es lo que produce las crisis, que son irresolubles. El costo social de ese mecanismo de adaptación en la economía de mercado, que destruye a quien se haya equivocado o que tenga menos poder, es muy alto. Los escoceses afirman que una buena planificación democrática macroeconómica a través de la informática seria mucho menos costoso y rápido, comparado con el mercado.

-De acuerdo, tenemos los principios para ordenar la vida social sobre bases nuevas. ¿Cómo llegamos allí? ¿Quién es el sujeto histórico que puede realizar este proyecto?

Cuando Marx y Engels determinan en el manifiesto comunista que el sujeto liberador es la clase obrera, fue una interpretación correcta en su monento, porque dentro de las clases sociales que estaban en movimiento para la previsible revolución de 1848, la clase obrera era la más explotada. Pero hoy en día no tiene sentido mantener esa posición. Habrá múltiples sujetos de liberación que se definen por su aportación práctica y teórica a la liberación, y aquí entra el término de la vanguardia. ¿Y quién es hoy la vanguardia?

Cualquier determinación formal como que la vanguardia es la clase obrera, las mujeres, los indígenas, los afroamericanos, etc., es un determinación formal sin sentido. Porque serían criterios aristocráticos que aplicaramos en definir la vanguardia. En el feudalismo, la vanguardia es aquel que tiene sangre azul, no tiene que ver con sus méritos, sus virtudes, y no tiene nada que ver con la
eficencia del liderazgo de la sociedad. Necesitamos utilizar un criterio
material, con lo cual no digo que Marx tuviera un criterio formal. Hoy por la diversificación de la sociedad, hay muchos sujetos buscando su liberación a nivel de pueblos sin estado (Catalunya, País Vasco), a nivel de género, étnico, etc. Todos estos sujetos de la sociedad global están buscando vías de convertirse en sujeto; dejar de ser entes oprimidos por entes más poderosos, y por lo tanto, todos esos sujetos tiene en común la lucha por una vida en democracia real y justicia. Esta la gran potencia que tenemos hoy en el planeta y que tenemos que saber aprovechar.

-¿Habrá algún sujeto más avanzado, que indique el camino a los demás, que sea “vanguardia”?

La vanguardia va a ser aquel sujeto que entienda mejor la situación objetiva, que sepa explicar mejor a la población cual es la situación efectiva, porque de allí se deriva la vía posible de liberación. Y, a su vez, va a ser el sujeto que dé ejemplo. La doble vertiente análitica y didáctica, y luego falta la práctica.

La gente actúa y aprendre por el ejemplo. Quien va a conducir el proceso va a ser quien tenga autoridad moral, que adquieres mediante la determinación. Es el concepto de hegemonía en Gramsci, que la gente entienda que tal sujeto expresa sus necesidades y problemas, y ofrece mejores vías de solución mejor que otro sujeto. Por ejemplo, en Londres la vanguardia era la gente que protestaba contra la guerra de Iraq y la retaguardia era Blair. Se produce una separación entre la autoridad moral i la institucional. Y en un proceso democratizador desde abajo, serán esas personas que adquieran la autoridad moral, las que serán la vanguardia.

*Agradecemos la oportunidad de hacer esta entrevista a Defensem Cuba y a Víctor Reixach, de Berria,  por su colaboración