La moneta (del) comune. Intervento di Stefano Lucarelli

Summer School: la moneta (del) comune, commenti a Christian Marazzi

di STEFANO LUCARELLI

Il tema della rendita e del biopotere è stato immediatamente declinato da Christian Marazzi come un problema che risponde a una domanda che credo si possa formulare nel modo seguente: di che moneta ha bisogno la soggettività costituente per non essere assoggettata?

I passaggi logici che vanno dai concetti di rendita e di biopotere fino ad una domanda del genere li do per scontati. Ricordo solo che quando ci riferiamo alla rendita lo facciamo a un certo livello dello sviluppo capitalistico – che abbiamo definito capitalismo cognitivo e finanziarizzato. Essa va dunque compresa tenendo conto del fenomeno del divenire rendita del profitto. Il biopotere è un’espressione presente in Foucault che chiama tutti in causa, poiché rinvia alla dicotomia soggettività/assoggettamento, quella dicotomia che caratterizza una forma della sovranità a questo stadio di sviluppo del capitalismo, che sempre Foucault ha chiamato governamentalità. Intendo qui la governamentalità come una peculiare evoluzione della sovranità che cerca di imbrigliare le soggettività, lasciando le briglie in talune circostanze, per valutare e conoscere la produttività, la creatività, che si può dare al di fuori delle forme tradizionali del comando, per poi ritirare le briglie. In tal senso la governamentalità partecipa di una certa forma di libertà, che presuppone che noi (in quanto soggettività costituenti) ci liberiamo da questa modalità di partecipazione ad una forma non autentica (cioè capitalistica poiché funzionale al regime di accumulazione contemporaneo) di libertà.

Di che moneta ha bisogno la soggettività costituente per non essere assoggettata, per non limitarsi ad una libertà non autentica? Ciò che qui è innanzitutto rilevante è che ci poniamo questa domanda in un momento in cui l’Europa monetaria va sgretolandosi a causa delle sue contraddizioni monetarie e istituzionali, o meglio istitutive, o ancora meglio biopolitiche. La stessa Banca Centrale Europea partecipa della governamentalità, la subisce. Di questo ha già parlato Christian Marazzi. Queste carenze istituzionali vanno analizzate in un particolare orizzonte, l’orizzonte dei movimenti sociali che dovrebbero sottrarsi a qualsiasi ripiego sovranista, nel pieno di un processo costitutivo che deve restare aperto. E che quindi comporta una comprensione cosciente della moneta innanzitutto, e della moneta, si è detto, come Comune. Dire moneta come Comune significa nominare un processo in divenire; pertanto siamo dinanzi ad una espressione che si accompagna a stati confusionali che dobbiamo fronteggiare.

Il punto di partenza che ho deciso di assumere per la comprensione della moneta è antico ma non per questo inutile: mi sono posto pertanto il problema dell’uso proprio e dell’uso improprio della moneta. Per questo voglio leggere e commentare un brano tratto dall’opera di Aristotele. Aristotele parte da una costatazione: la moneta sembra la ricchezza stessa. Se la moneta fosse effettivamente ricchezza sarebbe il più perfetto oggetto del desiderio. Ma la sua natura è di essere interamente legge.

«Infatti, il più delle volte si ritiene che la ricchezza consista in una quantità di moneta, giacché è la moneta ciò su cui sembra concentrarsi il commercio. E tuttavia, accade una buona volta che la moneta appaia invece come peculiare “nonsenso”, cioè come qualcosa la cui natura è di essere interamente legge – e non qualcosa che sorga da sé e in vista di sé -, dal momento che, quando coloro che ne fanno uso l’hanno effettivamente scambiata, essa non ha più alcun valore, e nemmeno è di una qualche utilità per le necessità della vita. E in effetti, un uomo ben provvisto di moneta può trovarsi a mancare degli alimenti a lui necessari. Ma sarebbe davvero assurdo che la ricchezza fosse tale che un uomo ben provvisto di essa si trovasse a morire di fame, come Mida nel mito: al quale, per via della sua ingorda preghiera, tutto ciò che gli veniva offerto si trasformava in oro.»[1]

Quindi moneta e legge hanno dei tratti comuni. Quali? Quali sono gli elementi specifici di una legge. Stiamo riferendoci alla legge in senso aristotelico, cioè a qualcosa che non può essere limitato alla sovranità intesa come imposizione di un certo comportamento ad una popolazione. Quando la moneta è usata in modo proprio, essa ha la stessa costitutiva inappropriabilità che è propria della legge. Se una legge non è semplicemente un comando volto a realizzare una coazione a ripetere, nessuno deve appropriarsene. Si potrebbe anche dire nel modo seguente: un processo costituente moltitudinario deve sempre lasciare aperti spazi di mediazione. Affinché la moneta non si muti in un dispositivo di assoggettamento essa deve mantenere una costitutiva inappropriabilità. La legge, proprio perché sempre inappropriabile, lascia aperto il desiderio persistente di farla propria. Qui sta il tratto del Comune, che è radicalmente altro dal gesto di imposizione. È possibile immaginare una moneta di questo tipo? Una moneta che lasci la soggettività libera dall’assoggettamento. Cioè, detto in altri termini, esiste la possibilità che la moneta non sia “denaro come capitale”, “denaro come comando monetario”? Il denaro, come ci insegna la lettura dei Grundrisse, «è la dimostrazione che il movimento del valore è pura precarietà, che la sua solidità è solo tendenziale e riesce solo a determinarsi nel continuo alternarsi fra medietà sociale del lavoro necessario e sua sovradeterminazione forzosa» (Antonio Negri, Marx oltre Marx, Feltrinelli, 1979, p. 51). Il denaro è qui ciò che la moneta non deve essere. Siamo di fronte ad un uso improprio della moneta, sebbene appropriato per la struttura capitalistica fondata sullo sfruttamento. Da uno sfruttamento che è costituito immediatamente dal modo in cui si convive con il denaro stesso. Cosa è la precarietà del valore? Esattamente la tensione riferita alla rendita sociale, su cui Christian Marazzi si è soffermato in conclusione del suo intervento. La precarietà del valore ci dà subito, immediatamente, al livello del denaro, l’immagine di un riconoscimento di una lotta per determinare ciò che è valore. Il riconoscimento comune di ciò che è valore comporta sempre la possibilità di un’appropriazione violenta (un’espropriazione), cioè il piegarsi alle esigenze della valorizzazione capitalistica. La solidità del denaro è solo tendenziale e riesce solo a determinarsi nel continuo alternarsi fra medietà sociale del lavoro necessario e sua sovradeterminazione forzosa. Il lavoro necessario non è semplicemente lavoro astratto che all’interno del processo produttivo viene imposto dal tipo di socializzazione capitalistica, dalla capacità di mettere in relazione i soggetti assoggettandoli, ma può essere riconosciuto come soggettività rivoluzionaria, come lavoro vivo che abbiamo imparato a non appiattire solamente all’interno delle mura della fabbrica a questo stadio del capitalismo. Dal lavoro vivo espresso come soggettività può partire una messa in discussione dei processi di valorizzazione capitalistici, anche del criterio di valore, quindi anche del denaro per riaffermare una diversa moneta.

Gli aspetti inaggirabili della moneta, nel suo uso proprio, quel suo partecipare alla costitutiva inappropriabilità e al desiderio persistente di farla propria che fa sì che la moneta e la legge siano considerate un tuttuno da Aristotele, andrebbero declinati secondo il metodo della tendenza antagonista. Ora il punto è che istituire una moneta comune che determina antagonismo, io credo che sia una contraddizione; ma non solo una contraddizione logica, proprio una contraddizione reale. Quindi stiamo procedendo bene: la contraddizione reale è porsi dinanzi al problema della moneta pretendendo di istituire una moneta comune che determini l’antagonismo. Proprio per questo, proprio perché la sfida delle soggettività, la sfida di una moltitudine è nell’istituzione di una moneta comune che determini un antagonismo, può aprire ad un processo istitutivo di una moneta che preservi l’antagonismo, quello che nell’epoca fordista era fossilizzato negli spazi di mediazione conquistati dalle lotte. Che tipo di spazi di mediazione possiamo aprire?

Su questo piano la moneta ha dei tratti comuni con il linguaggio, che nasce proprio dal desiderio di appropriarsi dell’interdetto e che comunque deve mantenere una libertà. Nel momento in cui il linguaggio viene fossilizzato ed imposto non è più un linguaggio, ma è un linguaggio di tipo orwelliano, rappresentato ottimamente nel film di Kubrick Arancia Meccanica. Il linguaggio del potere, la regola che blocca dinanzi alle possibilità creative.

A questo punto giunge la frattura: io non conosco delle pratiche rivoluzionarie, anche di fronte a questa crisi, che dal basso pretendano di costituire una moneta nel senso su indicato. L’immagine di una moneta che colga la sfida del metodo della tendenza antagonista è davvero difficile da rendere: una misura che mantenga in sé esplicitamente l’espressione di una dismisura che ogni volta va svelata, al di là delle pratiche sovrane presenti nel capitalismo. Vi è un suggerimento presente in Foucault, che rinvia a un saggio provocatorio di Klossowski, La moneta vivente, un testo su cui non ho però avuto modo di riflettere adeguatamente. Si tratta di un punto di vista che non funziona allo stesso modo della critica dell’economia politica, sebbene sia anch’esso critico della storia data. Credo che porre il problema di una moneta vivente voglia dire cercare di rappresentare – non certo nel senso politico­-istituzionale, ma quantomeno dal punto di vista estetico (della percezione sensoriale) – una moneta che rompa con l’uso capitalistico della moneta, che aspiri ad istituire una misura che serba in sé una dis-misura che ogni volta va svelata, e che non legittimi le pratiche sovrane dello sviluppo capitalistico.

Devo allora fermare il mio ragionamento al punto in cui sta il mio lavoro di economista. Presento dunque in questa sede un lavoro di ricerca al quale sto partecipando, e che è coordinato da Massimo Amato e Luca Fantacci, due studiosi dell’Università Bocconi per nulla bocconiani, i quali sono impegnati a Nantes nell’implementazione di una moneta che funzioni a partire dal principio del clearing. Si tratta di una moneta comune.

La domanda di partenza, la percezione del problema, è la stessa: cosa caratterizza il comando monetario? Il denaro, la moneta capitalistica, il comando monetario nel capitalismo cognitivo-finanziarizzato diremo noi, è improntato al principio della liquidità. Come scrive André Orléan, «il mondo della liquidità è un mondo artificiale, regolato dalle convenzioni. Esso istituisce una temporalità e delle forme di valutazione che rompono con i tempi produttivi e i vincoli della gestione delle imprese. […] Il capitale ha una natura contraddittoria. Esso è l’articolazione di due logiche specifiche, l’impresa e la speculazione. Per noi, la forma “mercato finanziario” non è allora una forma neutra. La liquidità esprime la volontà di autonomia e di dominio della finanza»[2]. Ecco ciò che è il principio della liquidità a questo stadio del capitalismo: un principio che ha guidato una struttura istituzionale in cui diviene centrale la compravendita dei debiti e dei crediti, dei privati e, poi, di conseguenza, degli Stati. Cosa accade se nel capitalismo diventa centrale il ruolo dei mercati finanziari, cioè se il risparmio collettivo è drenato dalle Borse? Accade che il finanziamento dell’economia si sposta dal settore bancario a quello borsistico. Ne deriva che, come ha ribadito Christian Marazzi nel suo intervento, la Banca Centrale si trova in qualche modo costretta ad assecondare la domanda di liquidità proveniente da posizioni debitorie via via crescenti. Il principio della liquidità amplia la gamma della creazione monetaria secondo le logiche dei mercati finanziari, logiche convenzionali in cui alle ondate di euforia seguono prolungati momenti di panico, nei quali – nel nome della liquidità – domina la tesaurizzazione. Oggi, anche grazie agli interventi paventati dal Governatore Centrale Mario Draghi, le convenzioni finanziarie si vanno riorganizzando mentre si consolida il divenire rendita – credo si possa dire così – degli stessi Stati nazionali. Infatti quando la possibilità di realizzare plusvalenze si fonda su una bolla del debito sovrano, si assiste alla completa etero-direzione della finanza pubblica nazionale. In questa dinamica la tecnocrazia è funzionale alle logiche finanziarie che scommettono su quei processi di riconoscimento della rendita sociale che partecipano della dismisura espressa dalle soggettività. La disgregazione dello Stato Sociale presente (ma soprattutto futuro) è la base su cui si fonda il rilancio della operatività dei mercati finanziari. Perché ho parlato di Stato Sociale futuro? L’operaismo ci ha insegnato che il welfare state, prima di degenerare nella lottizzazione legittimata dal sistema dei partiti e funzionale alla disgregazione delle rivendicazioni sociali più coscienti, è una struttura istituzionale che si afferma solo a partire dalle lotte di classe. In tal senso esso è anche il frutto di una capacità di immaginare un’altra società, di godere dunque di una rendita sociale. In questo processo costituente sta anche la necessità un’espansione monetaria necessaria a finanziare lo sviluppo sociale (parafrasando Schumpeter la moneta è qui il complemento di una particolare innovazione che non è prodotta dal sistema industriale, ma dalla società). Il rovesciamento di questa moneta in denaro, in comando monetario sulla composizione di classe (nella terminologia presente in Primo Maggio) è sempre possibile.

Contro il principio della liquidità si erge il principio del clearing, un principio chiaramente espresso da John Maynard Keynes a Bretton Woods nel 1944[3]. Christian Marazzi ha notato che la moneta del Comune non ha a che fare con la moneta comune. Tuttavia egli è approdato al termine del suo intervento ad una rilettura di Keynes in chiave rivoluzionaria, ad una nuova declinazione del keynesismo di cui abbiamo bisogno: un keynesismo che conduca ad investire nella cultura, nella socialità, nella sanità, nell’istruzione, cioè in un modello antropogenetico.

In ogni scritto di Keynes si può riscontrare un’innata pratica rivoluzionaria, una vera e propria potenza costituente, la stessa che si può riscontrare nelle sperimentazioni linguistiche di Virginia Woolf, negli atteggiamenti provocatori di Vanessa Bell, nelle picconate che Lytton Strachey riserva alla società vittoriana nelle sue biografie sugli Eminent Victorians… insomma Keynes è prima di tutto un Bloomsbury, e da omosessuale scandalizzerà lo stesso Bloomsbury group quando deciderà di sposarsi con una donna, la ballerina russa Lydia Lopokova.

La sua prima opera A Treatise on Probability è caratterizzata dall’idea che dinanzi all’incertezza ciò che conta non è tanto il calcolo delle probabilità in senso classico, ma il funzionamento degli effettivi processi cognitivi e di credenza associati all’uso dei concetti di causa e caso. La logica della probabilità è studiata da Keynes da un punto di vista pratico – direi del potere costituente della parola – è il punto di vista del discorso ordinario, non quello del linguaggio artificiale della logica formale. D’altro canto la stessa General Theory è una trappola teoretica tesa agli economisti ortodossi, i quali a partire da semplici identità contabili impossibili da rifiutare sul piano logico (X=C+I), si trovano ingarbugliati in categorie psicologiche per loro del tutto nuove, come la propensione marginale al consumo, o la trappola della liquidità, o la stessa efficienza marginale del capitale, che li costringono a riconoscere le funzioni sociali degli aggregati economici, l’intreccio fra capitalismo ed incertezza radicale, sino a giungere – senza di fatto nominarle – alle classi sociali tra loro in conflitto. Nella General Theory, in un certo modo, Keynes si fa beffa della scienza economica, riempendola di categorie politiche pronte a mandarla in tilt. Come ha scritto Toni Negri nel suo John M. Keynes e la teoria capitalistica dello stato nel ’29 (in AA.VV. Operai e Stato, Feltrinelli 1975, p. 86): «quando si dice domanda si dice classe operaia, si dice movimento di massa che ha trovato una identificazione politica, si dice possibilità di insurrezione e di sovversione del sistema».

Keynes indica la necessità di tenere a bada i bisogni relativi, cioè quei bisogni che esistono soltanto in quanto la loro soddisfazione ci fa sentire superiore ai nostri simili. Egli si adopera per costruire l’adeguata struttura istituzionale volta a perseguire l’eutanasia del potere oppressivo e cumulativo del capitalista di sfruttare il valore di scarsità del capitale, unico contesto in cui poter governare la socializzazione di una certa ampiezza degli investimenti, senza che lo Stato si assuma la proprietà degli strumenti di produzione. Non solo, giunge ad immaginare un sentiero di sviluppo in cui un’equa distribuzione dei redditi, un elevato tasso di accumulazione del capitale e un giusto controllo demografico possano condurre gli uomini a cambiare il proprio codice morale considerando spregevole l’amore per il denaro. Poco importa a mio modo di vedere che questa progettualità sia anche sorretta dalla paura che nel pieno della crisi economica il conflitto di classe possa condurre ad una crisi sociale e politica.

Per tutti questi motivi non escluderei a priori che il principio del clearing riscontrabile in Keynes sia la strada da seguire per istituire la moneta appropriata al modello antropogenetico richiamato da Christian Marazzi nel suo intervento (la moneta del Comune).

Il progetto di moneta locale così come è stato pensato per Nantes dall’equipe coordinata da Massimo Amato e Luca Fantacci si compone di un circuito creditizio e di un circuito monetario, integrati[4]. Una delle condizioni necessarie affinché questa struttura funzioni è che vi sia un tasso di interscambio locale fra le imprese che non sia trascurabile. La moneta che viene istituita è una moneta locale, con un tasso di cambio fisso 1:1 nei confronti dell’Euro che tuttavia non è convertibile in altre valute. Nel concreto è una moneta di conto che non svolge la funzione di riserva di valore.

Il circuito creditizio è concepito come una camera di compensazione per agevolare gli scambi fra le imprese. La camera di compensazione, o clearing union è una banca municipale (specificamente prevista nel sistema giuridico francese), una banca che offre semplicemente il servizio di coordinare le imprese nelle loro compravendite. Presso la clearing union ciascuna impresa ha un conto corrente, denominato in moneta locale, che può essere utilizzato per pagare e ricevere pagamenti da altre imprese partecipanti. Ciascuna impresa è creditrice o debitrice nei confronti di tutte le altre attraverso la camera di compensazione. Detto in altri termini si viene a costituire una struttura volta alla compensazione multilaterale dei pagamenti.

Per ogni singola impresa, il saldo può dunque essere, di volta in volta, negativo o positivo. Tuttavia, l’obiettivo è che vi siano tendenzialmente conti in pareggio. Per assicurare il raggiungimento tendenziale di questo obiettivo, sono fissati massimali sugli squilibri ed è previsto che siano pagati oneri non solo sui saldi negativi ma anche, simmetricamente, sui saldi positivi; infatti crediti eccessivi creano sempre debiti eccessivi per qualcun altro (si tratta dello stesso meccanismo progettato da Keynes a Bretton Woods in un contesto macroeconomico in cui il problema era quello dei rapporti commerciali far Stati diversi.).

Alternativamente, le imprese hanno la possibilità di utilizzare i saldi positivi per remunerare i propri lavoratori, alimentando così il circuito monetario locale (vedi la Figura 1 sotto).

A questo livello del ragionamento si pone la possibilità di pensare ad un primo spazio politico di mediazione (e di rivendicazione), in cui possa realizzarsi fra lavoratori ed imprese una contrattazione di secondo livello in moneta locale: il salario diverrebbe nuovamente funzionale alla tenuta della domanda effettiva a livello locale, e conquisterebbe, in qualche modo, una sua indipendenza.

I lavoratori sono dotati di un borsellino elettronico che consente loro di utilizzare la moneta locale per effettuare acquisti presso le imprese partecipanti. Nella misura in cui un lavoratore non spenda tutta la sua moneta locale presso le imprese, una parte del saldo residuo è periodicamente trasferita a un’organizzazione non profit a sua scelta fra quelle che partecipano al circuito.

Emerge a questo livello del ragionamento un secondo spazio di mediazione politico – come ha suggerito Andrea Fumagalli in una discussione avvenuta a Bergamo ospitata dai compagni di BgReport. Infatti non è detto che alle associazioni non-profit del progetto originario non si possa sostituire una cassa municipale per i servizi sociali. Il precariato metropolitano potrebbe così rivendicare uno spazio di rappresentanza diretta[5]. Né è detto che debbano essere i lavoratori i soggetti su cui grava questo incentivo al de-cumulo, cioè l’esigenza di spendere la moneta: potrebbero essere direttamente le imprese a versare moneta alla cassa municipale per i servizi sociali.

In questo modo, la moneta locale entra nel secondo sottocircuito, in cui le organizzazioni non-profit (nella versione originale) e la cassa municipale per i servizi sociali (nella variante proposta da Andrea Fumagalli), anch’esse dotate di un apposito borsellino elettronico, spendono presso le imprese le somme che hanno ricevuto.

E qui si apre un’altra possibilità istitutiva laddove dalla cassa municipale per i servizi sociali dipendano gli investimenti necessari a realizzare il modello antropogenetico prefigurato da Christian Marazzi nel suo intervento. Ciò comporterebbe una moneta dotata di una temporalità diversa, sebbene sempre sottratta alle forme del comando capitalistico.

Il sistema così congegnato fa sì che la moneta locale sia sempre disponibile in misura adeguata a sostenere le esigenze degli scambi locali; circoli più rapidamente della moneta ufficiale, dal momento che chi la detiene ha sempre un incentivo a spenderla; contribuisca ad attenuare la situazione paradossale, tipica delle crisi, in cui ci sono beni invenduti e capacità di lavoro non valorizzata in presenza di bisogni insoddisfatti.

Voglio concludere questa mia nota richiamando un passo elaborato durante il lavoro di inchiesta del gruppo sulla moneta della rivista Primo Maggio: «Se riteniamo che la forma-stato oggi palesemente dispiegata abbia la sua origine nell’ideologia della crisi e nel programma restrittivo da quella indotto, che questa ideologia abbia fornito il terreno costituente dei nuovi rapporti tra partiti, che essa sia la base storicamente determinata del compromesso storico, che sia la giustificazione del potere emarginante, riuscire a ribaltare tutto questo ed imporre quindi non un ritorno alla vecchia forma conflittuale dei rapporti tra partiti ma dei ‘vincoli dal basso’ al capitale, non è cosa da poco. A maggior ragione oggi che l’imperialismo più svagato, quello di Jimmy Carter, a differenza dei ragionieri ottusi del Fmi, ha capito che in Italia il sistema di valori e di comportamenti che si vuole oggi governare accoppiando pratica dell’austerità e ordine, è più forte di quanto si creda. E che allora tanto vale (questo è l’attuale indirizzo di Carter) sganciare quattrini, iniettare denaro-comando a più non posso tramite la grande banca privata internazionale. Cominciamo a farlo diventare ‘denaro come denaro’, a trasformare questo potere sul lavoro altrui in potere sui propri bisogni, sui propri spazi di organizzazione e di cultura, molla di sviluppo della nuova composizione di classe; cominciamo a strappare al ‘sistema dei partiti’ i poteri residui sulla riproduzione delle classi ed a determinarlo dal basso invece, in modo da garantire i sistemi di valori e i comportamenti che la nuova composizione di classe ha legittimato nelle lotte degli ultimi mesi»[6].


[1] Aristotele, Politica, Libro I, 1257b 8-17, traduzione di Massimo Amato in Massimo Amato, L’enigma della moneta, Et.Al., 2010, p. 245.

[2] Cfr. André Orléan, Le pouvoir de la finance, Odile Jacob, 1999, p. 12, citato nella introduzione mia e di Andrea Fumagalli ad André Orléan, Dall’euforia al panico. Pensare la crisi finanziaria e altri saggi, ombre corte, 2010, p. 12.

[3] Cfr. John Maynard Keynes, Eutopia. Proposte per una moneta internazionale, a cura di Luca Fantacci, Et.Al., 2011.

[4] Cfr. Massimo Amato e Luca Fantacci, Come salvare il mercato dal capitalismo, Dozelli, 2012, pp. 157-191.

[5] Cfr. ad esempio Andrea Fumagalli, Lavoro. Vecchio e nuovo sfruttamento, Punto Rosso 2006, pp. 174-178.

[6] Sergio Bologna , a cura di, La tribù delle talpe, Feltrinelli, 1978, p. 40. Sul gruppo sulla moneta di Primo Maggio si può leggere il mio saggio “Sentieri interrotti: il lavoro del gruppo sulla moneta di Primo Maggio”, in Cesare Bermani, La rivista Primo Maggio (1973-1989), Roma, DeriveApprodi, 2010, pp. 111-137.

Pretendiamo un’amministrazione più aperta

[ted id=1558 lang=it]

Cosa possono imparare i governi dalla rivoluzione della trasparenza sui dati? In questo entusiasmante discorso, Beth Noveck, ex vice CTO alla Casa Bianca, condivide la sua visione sulla praticità della trasparenza — collegare cittadini e burocrazia, condividere i dati, creare una democrazia veramente partecipativa. Immaginate una società tutta da scrivere…

La moneta (del) comune. Intervento di Christian Marazzi

Summer School: la moneta del comune

di CHRISTIAN MARAZZI

A me sta il compito di tentare di inquadrare la situazione così come si è venuta a determinare recentemente fino alle ultime decisioni prese dalla BCE. Quando si seguono le vicende monetarie e finanziarie si viene travolti dal divenire della situazione e molto spesso non si riesce a riflettere oltre queste stesse questioni finanziarie. La colonizzazione finanziaria della mente è qualcosa di reale, ma credo che almeno su tre cose sia importante soffermarsi:

la prima questione è come si è arrivati a queste ultime misure prese dalla BCE in questi giorni e con gli effetti euforici che hanno provocato sui mercati;

la seconda ha a che fare con il rompicapo della moneta unica. Come ci posizioniamo noi di fronte al dilemma relativo alla sopravvivenza dell’Unione Monetaria Europea?;

il terzo punto credo che sia un inizio di riflessione su questa categoria che abbiamo buttato lì, ma che mi sembra potenzialmente interessante per lo meno sotto un profilo politico, la moneta del Comune.

Come si è arrivati a queste misure in sede BCE, prese quasi all’unanimità ma con l’opposizione della Bundesbank, di intervenire in modo illimitato sul mercato secondario dei titoli pubblici al massimo a tre anni, con una serie di misure collaterali. Questa decisione era già circolata tra la fine del mese di Luglio e il 2 di Agosto, al vertice di Bruxelles. Per arrivare a questo compromesso all’interno del Board della BCE, era stato necessario, per lo meno per Draghi, cedere sulla questione delle condizionalità aggiuntive da accompagnare a qualsiasi forma di aiuto ai Paesi che ne hanno bisogno, l’Italia e la Spagna. Io credo che questa concessione, necessaria per ottenere il consenso della maggioranza nel Board della BCE, sia una concessione alla Bundesbank, agli ortodossi più incalliti, e che sia importante. Credo che sia questa la cosa più importante in realtà da sottolineare. La maggiore flessibilità della politica monetaria della BCE è altrettanto importante, ma bisogna considerare che questi interventi nel mercato delle obbligazioni pubbliche e dei titoli sovrani non sono stati presi per la prima volta. Sono misure attuate già l’anno scorso, sia nei confronti dell’Italia che della Spagna. Sono state poi riprese, con l’iniezione di 1000 miliardi, fra Dicembre ed inizio Febbraio, da parte della BCE. I precedenti ci dimostrano anche che queste misure sono durate quanto sono durate. Non sono state risolutive, insomma, dei problemi strutturali che affliggono l’Eurozona. Ci siamo confrontati da due anni a questa parti con una specie di finanziarizzazione emergenziale: credo che tutti condividano la conoscenza dei problemi fondamentali dell’architettura dell’Euro, però allo stesso tempo vediamo che si continua a procedere con misure di emergenza, tentativi di guadagnare tempo; ma non sappiamo bene per cosa si stia guadagnando tempo. Qual è l’orizzonte temporale di questo processo? Siamo in presenza di misure emergenziali e del diffondersi di una netta sensazione che i problemi fondamentali dell’Eurozona non siano per niente risolti. Perché questo movimento sincopato sul piano delle politiche monetarie? Quest’ultima misura viene a coronamento di una fase in cui di nuovo l’Euro ha rischiato un collasso. Abbiamo assistito a un frazionamento dello spazio finanziario europeo. C’è stato un vero e proprio ripiegamento di tipo sovranista-bancario; è diminuito moltissimo il cross border lending, cioè il prestito tra le banche di Paesi diversi sul mercato all’ingrosso, con cui le banche si finanziano correntemente; si è assistito in questi mesi a una fuga di capitali dalla Spagna e dall’Italia molto importante. Gli operatori finanziari hanno lavorato su un’ipotesi di spaccatura dell’Euro. A partire da questa ipotesi hanno posto un premio al rischio che è molto elevato e si sono attivati per uscire dai Paesi periferici per mettersi al riparo da questa eventualità. Sappiamo che questa fuga di capitali, per un meccanismo che sta all’interno della zona Euro e che si chiama Target 2, ha comportato un aumento impressionante della posizione debitoria della BCE sulla banca maggiormente creditrice, la Bundesbank, si parla di 727 miliardi (c’è anche chi dice che questo non dovrebbe causare problemi nel caso in cui dovesse collassare l’Euro); è difficile immaginare una situazione in cui i cittadini dei Paesi indebitati non si trovino a subire le pressioni dei creditori, laddove veramente si dovesse uscire dall’Euro. Quello che voglio dire è che la BCE in questi mesi ha dimostrato di non avere più il controllo sui tassi di interesse, tanto è vero che abbiamo una divergenza fra i tassi di interesse nei vari Paesi  (quando il progetto dell’Euro doveva consistere in una convergenza dei tassi di interesse dei Paesi membri). Questo significa che la BCE non può far fronte al proprio mandato, alla stabilità del sistema, anche se esso è inteso nel senso ortodosso del controllo dell’inflazione. Da questo punto di vista la situazione è grave tanto quanto lo era l’anno scorso. Oltre all’incremento del costo del denaro per le imprese e i cittadini, vi è la consapevolezza della crescita di un movimento politico di rifiuto dell’Euro all’interno dei vari Paesi. A questo proposito io credo che un movimento anti-Euro sia molto più forte e pericoloso in Germania, cioè nei Paesi forti, non nei Paesi deboli. Nei Paesi deboli non mi pare ci sia un’avversione popolare all’Euro, se mai c’è un’avversione alle politiche di austerità indotte dal funzionamento dell’Euro. In questa situazione una mossa da parte della BCE ci voleva. Draghi è dunque stato da una parte abile, dall’altra parte a me sembra che queste misure (che vedremo quanto dureranno e che sono senza dubbio impressionanti – pensate che la Banca Svizzera sta facendo ormai da un anno interventi illimitati sul mercato dei cambi per evitare la rivalutazione del franco, interventi che al momento non si sono tradotti in inflazione immobiliare come molti di noi temevano) non reggeranno, per una ragione semplice: non sta funzionando in Inghilterra, dove questa politica di intervento da parte della Banca Centrale è in corso da tempo, non mi sembra che abbia funzionato in modo splendido neanche negli Stati Uniti dove questa politica è ricorrente. Bisogna tener conto che i benefici di questa misura sicuramente sono tutti per le grandi banche tedesche e francesi; infatti l’aumento del valore dei titoli pubblici dei Paesi periferici permette alle banche tedesche e francesi che hanno in bilancio ancora parecchi di questi titoli di rivalutarli. Abbiamo a che fare con una partita all’interno del mondo finanziario e bancario. L’aggiungersi di misure di condizionalità oltre a quelle già introdotte con il fiscal compact in questi ultimi mesi non è uno scherzo. Nessuno sa bene quali saranno queste condizionalità, credo che varieranno da Paese a Paese e che ci sarà una sorta di fine tuning, di regolazione flessibile a seconda di quante riforme, o meglio controriforme, sono state realizzate qui e là, ma, da questo punto di vista, ancora non si sa cosa potrà succedere. Vi è poi la questione della sovranità: vedremo come si pronuncerà la Corte Costituzionale tedesca di Karlsruhe il 12 Settembre, sembrerebbe già abbastanza incredibile che dovesse considerare incostituzionale la creazione di questo secondo “Fondo salva Stati”, il Financial Times scrive che uscirà un sì al Fondo ma con queste condizioni aggiuntive[1]. Certo che per un Governo tecnocratico che assume il vincolo dei mercati e che si trova a dipendere da altre condizionalità sembra incredibile: da questo punto di vista la questione della sovranità nazionale sembra non esistere. Esiste se mai un ritorno alla sovranità bancaria, ma questo tende alla frammentazione. Questo pone un problema serio: da una parte un vuoto di sovranità nazionale politico, di margini di manovra per decidere della politica monetaria, della politica economica sul piano nazionale, e dall’altra frazionamento e nazionalizzazione delle politiche bancarie, quindi ulteriore divergenza.

Io mi sono espresso più volte sull’ipotesi della rottura dell’Euro. Quando si critica l’Euro sembra che si critichi l’Europa. Ma andiamoci piano! Qui non si vuole criticare l’Europa come nostro orizzonte, come nostro spazio identitario, come nostro spazio di lotta, si critica l’Euro come “gabbia d’acciaio”, come “camicia di forza”, che, come ho appena finito di dire, non ha spazi di socializzazione né di generalizzazione della lotta di classe. D’altra parte la caduta dell’Euro sembra andare di pari passo al ritorno di una politica sovranista, al ritorno delle monete nazionali, al ritorno del Sistema Monetario Europeo, che avevamo visto tra 1979 e il 1992, monete nazionali collegate l’una all’altra con tassi fissi, aggiustabili annualmente, per dare più ossigeno alle politiche nazionali. Da una parte questo Euro, che a me non piace, dall’altra una spaccatura dell’Euro nel nome di un ritorno alle sovranità nazionali. Qui non si può dire delle due l’una. Siamo di fronte ad un problema sul quale dobbiamo esprimerci. Nei prossimi mesi sono convinto che partirà una grossa mobilitazione, e che sarà incasinata e confusa e difficile anche da definire politicamente secondo gli schemi attuali, contro le politiche introdotte dall’Euro. Come ci staremo dentro?  Da una parte credo che dovremo essere molto determinati nella critica di questo Euro, una moneta attuata e pensata secondo la teoria neoliberale, monetarista, dall’inizio alla fine, da Robert Mundell in poi, la teoria delle zone monetari ottimali, la quale è basta su delle ipotesi di cui una è particolarmente saliente: che vi sia mobilità perfetta del fattore lavoro. Questo è a mio modo di vedere il progetto dell’Euro, cioè creare un grande bacino di forza-lavoro migrante. La condizione migrante ha a che fare con quella che secondo me è una delle ragioni del mantenere in vita questo Euro. L’Euro sta determinando un effetto di dumping salariale, di fuga non solo di capitali, ma anche di persone, dai Paesi più malmessi. Questa nostra critica all’Euro è anche un’occasione di porre la questione dell’alternativa fra sovranità sovranazionale e sovranità nazionale. Viviamo in una sovranità caratterizzata dalla crisi della rappresentanza, una sovranità tecnocratica, che non ha nulla a che fare con la diversità degli interessi radicati nel mondo, nella vita, nel lavoro e nel non-lavoro. Questo significa affrontare la questione della linea di fuga (non mi piace l’espressione terza via) da questo dilemma, da questo rompicapo “Euro-non Euro”, ponendo la questione della moneta del Comune.  Voglio porre una differenza fra “moneta comune” e “moneta del Comune”. La prima (la moneta comune) ha a che fare con il piano proposto da Keynes a Bretton Woods. L’idea è quella di istaurare una moneta di conto, un Bancor sovranazionale che funga da veicolo di potere d’acquisto fra i Paesi che si scambiano beni e servizi. Non è di per sé una cosa nuova, diciamo che è meglio dell’attuale situazione, sempre che ci si muova nella direzione keynesiana. Per arrivare a questo bisognerebbe spaccare l’Euro e ritornare alle monete nazionali.

Io credo che parlare in termini di moneta del Comune sia più corretto per quanto ci riguarda perché pone la questione in termini radicalmente diversi. Cosa è la moneta del Comune? È quella moneta che dà espressione e riconosce ciò che è comune nella moltitudine, diciamo così, in uno spazio politico, sociale, demografico quale è oggi l’Europa. Quindi io non so. Ho sentito mesi fa Michael Hardt presentare il libro che ha scritto con Toni sulle diverse forme della soggettività (Comune. Oltre il privato e il pubblico, Rizzoli 2010). Costruire oggi un progetto, come dire, di insubordinazione, di mobilitazione, che riguardi l’uomo indebitato, l’uomo securizzato, o l’uomo mediatizzato, l’uomo rappresentato, credo abbia a che fare con la costruzione della “moneta del Comune”, credo sia un buon punto di partenza. Ragionare sulla “moneta del Comune” potrebbe significare partire da qui, partire da una definizione soggettiva di cosa è il Comune, di cosa è il Comune oggi. Cosa è che ci accomuna?

C’è il fatto che stiamo subendo dei processi di espropriazione, di privatizzazione di beni che sono essenziali (le public utilities sono indubbiamente uno degli obiettivi dei processi di privatizzazione perché grantiscono delle entrate continue a chi ne acquista il controllo, la possibilità di sfruttarle). Partiamo allora da qui.

Occorre però anche definire la “moneta del Comune” come processo. Niente di nuovo, ma ribadiamolo solo per non illuderci sul possibile esito di questo processo. Certo a me non dispiacerebbe immaginare un Euro con l’effige Common. La moltitudine ha bisogno di avere una sua espressione monetaria e non solo in negativo. In questo processo bisognerà confrontarsi, prendere delle scelte in termini di alleanze. Uno dei motivi per i quali in questi anni c’è stata una divergenza dal punto di vista dei debiti pubblici è stato un certo tipo di interpretazione del keynesismo. Una delle cose di cui si è parlato più lungamente è questa: i Paesi che oggi sono più compromessi dal punto di vista dell’indebitamento pubblico sono i Paesi che hanno più investito in infrastrutture legate ai trasporti, alle strade e alle ferrovie (per esempio la Grecia). Questa è una cattiva interpretazione di quello che è il keynesismo di cui noi oggi abbiamo bisogno. Noi abbiamo bisogno di investimenti, ma gli investimenti nelle così dette grandi opere sono un disastro, opere in cui il lavoro vivo, il lavoro salariato, rappresenta il 25% dei costi totali, e si concentra solo nella fase finale del processo (mediamente 10 anni). Infatti si tratta di opere ad alta intensità di capitale. Non è questo il tipo di keynesismo di cui noi oggi abbiamo bisogno. Abbiamo invece bisogno di investimenti nell’immateriale. C’è tutto un territorio nel quale investire, non nell’hardware o nel software, ma nel cognitivo, nella nostra possibilità di essere cognitivamente autonomi. Credo anche che questo tipo di keynesismo rientri perfettamente in quel modello economico antropogenetico di cui io sono sempre più convinto. Io credo che l’occidente possa tenere rispetto ai Paesi emergenti solo se investe nella cultura, nella socialità, nella formazione e nella sanità. Questi sono i quattro settori su cui indirizzare gli investimenti. Non mi sembra che si stia andando in questa direzione. Il liberismo montiano mi sembra proprio che vada nella direzione di un rilancio delle così dette grandi opere come la TAV.

Non è facile portare avanti il discorso sul capitalismo contemporaneo come capitalismo cognitivo, non tanto dinanzi alle critiche, ma proprio dal punto di vista dei soggetti: il confronto con i soggetti protagonisti della Primavera araba, oppure dei riot inglesi non conduce a facili declinazioni della categoria del “lavoratore cognitivo”. Come fare a riconoscere la produttività di questi soggetti in un’economia che ha generalizzato la conoscenza? Credo che dobbiamo comunque tenerci su questo terreno, non perché dobbiamo scegliere un soggetto (non è mai stato così anche quando si parlava di operaio massa). Più che il lavoratore cognitivo la figura più rappresentativa della nostra società mi pare essere il precario flessibile, comunque la centralità del cognitivo rispetto alle rivendicazioni dei prossimi mesi n on è da mettere in discussione.

Si parla di project bonds (meno in questi ultimi mesi), di obbligazioni emesse per poter finanziare le grandi opere. A me sembra interessante contrapporre a questi project bonds delle cose simili ma che si pongano il problema di uno sviluppo locale sostenibile. La questione ambientale è all’ordine del giorno. In questo discorso va anche compreso il tema della rendita sociale. Perché parlare di rendita sociale invece che di reddito di cittadinanza? Non tanto per cambiare cosmesi: il capitalismo finanziario è un capitalismo che produce una rendita, ma una rendita che rinvia ad una produttività dei legami sociali e della cooperazione; è un’affermazione monetaria di quello che noi consideriamo essere il nostro contributo all’economia, alla vita… un contributo che è fatto di lavoro e di sofferenza che non è riconosciuto, come non è riconosciuto il lavoro riproduttivo delle donne. Da questa prospettiva non si può pensare che i lacci alla finanza rimettano le cose a posto. Pensare ad una de-finanziarizzazione del capitalismo contemporaneo è una contraddizione in termini: il nostro problema non è certo quello di eternizzare il capitalismo finanziario, ma di partire da questo livello di sviluppo e sviluppare delle lotte che siano a questa altezza e preferibilmente proiettate in avanti. Parlare di rendita sociale è un modo di tenere insieme i due corni del dilemma: il bio-valore da una parte e la sua forma monetaria.


[1] Il 12 Settembre 2012 la Corte Costituzionale tedesca ha approvato il fondo salva Stati. Tuttavia ha posto una serie di condizioni sull’operatività del fondo; in particolare stabilisce che i due rami del Parlamento tedesco siano informati delle decisioni dell’Esm e fa sapere che l’esposizione della Germania al fondo salva Stati non deve superare i 190 miliardi di euro senza il via libera del Bundestag, la Camera Bassa. La barriera da 190 miliardi di euro al contributo della Germania all’Esm, anche se non sembra sufficiente per un bailout di Spagna e Italia, non spaventa i mercati europei che dopo la sentenza della Corte tedesca si sono subito rafforzati. A Piazza Affari il Ftse Mib testa il massimo della mattinata a quota 16.416 punti e sale dell’1,17%. In rialzo anche il Cac40 (+0,79%), il Dax (+0,40%) e l’Ibex (+1,35%). Unica eccezione il Ftse 100 (-0,30%).

Come Internet trasformerà (un giorno) il governo

[ted id=1546 lang=it]

Il mondo open-source ha imparato a trattare il flusso di nuove idee, spesso divergenti, utilizzando servizi di hosting come GitHub — allora perché non possono farlo i governi? In questo discorso stimolante Clay Shirky mostra come le democrazie possano imparare da Internet a essere non solo trasparenti, ma anche a sfruttare le conoscenze di tutti i cittadini.