Il Consumatore contro la Comunità

di Mark Winston Griffith (da Tom Paine Common Sense 31.03.2005)

 

La proprietà della casa, per la destra vero e proprio pilastro e feticcio della propria società ideale, può essere invece un concreto ostacolo alla costruzione della comunità e della partecipazione.

“Una società di proprietari”. Grazie al presidente Bush, quelle due parole rotolano sulla lingua come fossero una sola. Ma ci sono momenti in cui la nozione di proprietà trama contro l’idea di società: specialmente quando si confrontano nella vita quotidiana delle città americane. Quello di cui l’America ha davvero bisogno è una politica che accenda il sentimento comunitario e la cooperazione fra cittadini, anziché semplicemente insegnar loro a investire la vita nell’ American Dream. La Società dei Proprietari vuole essere la risposta del XXI secolo al New Deal o alla Great Society: programmi dove il governo aveva un ruolo definito nel migliorare la vita degli americani. Programmi che avevano dei difetti, certamente, ma che promuovevano il lavoro e la responsabilità collettiva. Spingevano gli americani a porre al centro il benessere della comunità, a considerare il proprio destino personale come inestricabimente legato a quello del prossimo. Quando il Presidente Bush parla della sua Ownership Society, invece, offre un programma che esalta le possibilità del singolo consumatore. La proprietà della casa ne è un esempio perfetto. Pilastro centrale della società dei proprietari, la proprietà della casa è abitualmente dipinta come la più alta forma di cittadinanza alla quale gli americani dovrebbero aspirare. Questa valorizzazione è sostenuta da una notevole quantità di studi sulla proprietà. L’ossessione inizia con la teoria secondo cui la casa della singola famiglia rappresenta un investimento fondativo per la comunità. Ciò significa, prosegue la teoria, che i proprietari sono meno propensi a muoversi, saranno portati alla manutenzione della proprietà, all’attenzione per l’ambiente del quartiere, di quanto non siano i loro pari, ma inquilini in affitto.

Eppure in tutti i miei anni di impegno in organizzazioni per lo sviluppo economico – oltre ad essere io stesso proprietario di casa – ho visto anche come la proprietà possa spingere la gente a concentrarsi su di sé, a spese della comunità che gli sta intorno. Nei miei dodici anni a capo di un’organizzazione di base a Central Brooklyn, la maggior parte dei gruppi di proprietari di casa con cui sono entrato in contatto erano del tipo NIMBY ( Not In My Backyard). Erano più appassionati ed efficienti nell’organizzare giri per le case in pietra caratteristiche della zona, e a bloccare vari progetti cittadini in partenza, anziché ad iniziare qualunque programma di beneficio sociale. Alle assemblee del mio condominio, sono regolarmente trascinato in discussioni in buona fede coi miei colleghi proprietari, inevitabilmente orientate a proteggere il valore della nostra proprietà e i nostri interessi. Quando penso a me stesso in modo ristretto, come proprietario di casa, il mio cortile diventa l’universo. Qualunque cosa, dalla cacca di cane sul mio prato alle case popolari all’angolo, diventa una minaccia. Vengo colto da impulsi di autodifesa, reazionari e gretti che non sapevo di avere. Siamo chiari: aumentare la possibilità che le famiglie a basso reddito possiedano una casa è senza dubbio uno degli elementi più importanti per la costruzione del benessere, utilizzati dai professionisti dello sviluppo economico comunitario in tutto il paese. In un’economia dove tante persone si sentono escluse, la proprietà della casa spesso offre alle famiglie un rifugio, una fetta di dignità e un modo per esercitare controllo sulle proprie vite e il proprio ambiente. Ma è comunque fuorviate fare della proprietà della casa un feticcio, conferendole virtù mistiche di misura del valore dell’individuo per la società, in base a ciò che possiede. Se lo scopo della Ownership Society del presidente Bush è quello di creare soggetti che siano responsabili, membri attivi della società, abbiamo davvero bisogno di una leadership nazionale che sappia distinguere il consumismo dalla cittadinanza.

La proprietà della casa è una scommessa di alto profilo. Proponendo un’idea individualista come quella dei buoni scuola o delle assicurazioni private per la sicurezza sociale, la politica interna americana isola sempre più vite familiari e vicende economiche che un tempo erano esperienze condivise da tutti. Contemporaneamente, la nostra cultura incoraggia i ceti operai e medi a concentrare la propria sicurezza finanziaria nella casa familiare. In queste condizioni, l’impegno civico non direttamente legato agli interessi della proprietà diventa un lusso che pochi si possono permettere. Programmi come la American Dream Downpayment Initiative (ADD), approvata all’unanimità dal Congresso nel 2003 con enorme sostegno bipartisan, offrono sostegni al pagamento degli interessi per famiglie a basso reddito. Ma se la ADD è un’iniziativa valida, sia questa che altri programmi per la proprietà della casa si concentrano esclusivamente nell’ungere gli ingranaggi del mercato immobiliare. Anziché accettare solo i paradigmi del mercato, i progressisti dovrebbero guardare alla Ownership Society per quello che realmente è. Così gli strumenti potrebbero diventare nelle mani dei professionisti di sviluppo locale mezzi per promuovere modelli come i land trusts o le cooperative a proprietà indivisa, forme di proprietà alternative che consentano agli abitanti di condividere e diffondere sia i rischi che i benefici della proprietà. Nello stesso modo, quando si parla di rimuovere gli ostacoli all’accesso alal casa in proprietà, i legislatori dovrebbero tutelare e aggiornare il Community Reinvestment Act e introdurre leggi di giustizia economica contro gli impedimenti discriminatori e strutturali del mercato della proprietà e dell’affitto, come i mutui ad alto costo predatori. Quando parlano di società dei proprietari, i leaders locali, politici, religiosi, dovrebbero parlare della responsabilità dei proprietari di casa verso i propri vicini, di come si possano usare il capitale e la posizione sociale per ricostruire la comunità che ci sta attorno. Forse, allora, la proprietà di casa potrà essere usata per ispirare qualcosa di più elevato del “Prenditi ciò che è tuo”.

traduzione di Fabrizio Bottini per Eddyburg

Intervista a Yochai Benkler

 

di OmniaCommunia

Milano, 10 maggio 2007. Yochai Benkler presenta il suo libro “La ricchezza della Rete” e noi lo intervistiamo a lungo su produzione orizzontale, commons, proprietà intellettuale e social software. Ecco le sue risposte.

Cos’è la produzione orizzontale (commons-based peer production)? Come trasforma il modo in cui guardiamo all’economia?

Gli elementi in gioco sono due: i commons (beni comuni) e la produzione orizzontale. La parola “commons” si riferisce a un modo di organizzare le risorse. Strade, marciapiedi e piazze sono commons. Significa che tutti possono usarli entro un dato insieme di norme oppure senza alcuna regola, senza chiedere il permesso a nessuno. La produzione basata sui beni comuni può essere commerciale o non commerciale. Per esempio, qualcuno che tiene uno spettacolo in piazza per raccogliere denaro sta seguendo un modello commerciale basato sui commons: sta usando uno spazio comune, a differenza di quello che farebbe in un teatro.

“Produzione orizzontale” si riferisce invece a un fenomeno di cooperazione su larga scala dedicato a un certo progetto o problema. Ciò che caratterizza la produzione orizzontale è che essa rappresenta un modello alternativo di organizzare la gente, rispetto a quelli delle aziende e del mercato. Più che rispondere al comando manageriale o al sistema dei prezzi, i produttori orizzontali (i pari) organizzare le loro attività tramite motivazioni sociali e comunicazione.

L’avvento della produzione basata sui commons in generale, e della produzione orizzontale in particolare, crea un nuovo settore all’interno dell’economia dell’informazione e della conoscenza. Dà vita a nuove fonti di competizione per le imprese consolidate, ma anche a nuove opportunità per quelle imprese che sapranno adattarsi abbastanza rapidamente. I desideri che esaudisce sono vecchi, come il bisogno di enciclopedie, ma lo fa in forme nuove. Inoltre fornisce alle persone cose completamente nuove, in particolare forme di espressione tramite parole, suoni e immagini.

In che modo libertà di espressione e libertà politiche possono essere migliorate da media digitali open access e many-to-many (da molti a molti)?

Ciò che conosciamo, il modo in cui conosciamo, quello che pensiamo del mondo e il modo in cui riusciamo a immaginarlo sono cruciali per la libertà individuale e la partecipazione politica. Il fatto che oggi così tanta gente possa parlare, e che si stia raggruppando in reti di citazione reciproca, come la blogosfera, fa sì che per ogni individuo sia più facile farsi ascoltare ed entrare in una vera conversazione pubblica.

Al contempo, sulla Rete ci sono un sacco di sciocchezze. Ma incontrare queste assurdità è positivo. Ci insegna a essere scettici, a cercare riferimenti incrociati e più in generale a trovare da soli ciò che ci serve. La ricerca di fonti differenti è un’attività molto più coinvolgente e autonoma rispetto alla ricerca della risposta da parte di un’autorità. Quindi ora, quando entriamo nel mondo, adottiamo due atteggiamenti politicamente interessanti. Innanzitutto vediamo le cose con gli occhi di chi può commentare ciò che vede in una piattaforma politica di un certo peso. E lo facciamo con uno sguardo da critici scafati, invece che da credenti.

Quali forze politiche, in Europa e America, stanno supportando produzione sociale, libertà digitali e riduzione della protezione monopolistica garantita da brevetti e copyright?

Credo che ci troviamo di fronte all’emergere di un movimento per l’accesso globale alla conoscenza che rappresenta la risposta alle spinte degli anni Ottanta e Novanta in direzione dell’estensione di brevetti e copyright in ogni aspetto dell’innovazione e della creatività e della loro integrazione nel sistema globale del commercio tramite gli accordi Trips all’interno della Wto. Di questo movimento fanno parte alcune alleanze sorprendenti. Un primo elemento è costituito dalle organizzazioni tradizionali della società civile: associazioni di consumatori e gruppi per i diritti civili che percepiscono l’importanza della partecipazione degli individui alla produzione del loro ambiente informazionale.

Un altro elemento è rappresentato dai programmatori. L’emergere del movimento del free software ha portato più di un milione di informatici, soprattutto negli Stati uniti e in Europa, alla consapevolezza di subire gli effetti di copyright e brevetti, e li ha politicizzati in modi che per gli ingegneri del passato sarebbero risultati estremamente atipici. Gli scontri su musica e video, insieme alle disponibilità su larga scala di strumenti che rendono qualunque teenager un potenziale creativo (e un potenziale criminale) hanno guidato il movimento degli studenti per la free culture e quello dei Creative Commons.

Al contempo, le maggiori aziende di tecnologia dell’informazione stanno comprendendo che l’ecosistema legale all’interno del quale si trovano a operare sta alzando i costi che esse devono sopportare senza dar loro alcun vantaggio reale. Molte aziende di It si trovano a spendere milioni di dollari in brevetti che hanno solo scopi difensivi, e a doversi preoccupare della possibilità che i loro standard vengano trafugati dal possessore di un brevetto, oppure che chi detiene un diritto di proprietà intellettuale li citi in giudizio per cifre astronomiche a causa di una tecnologia da loro sviluppata.

Anche alcuni paesi in via di sviluppo, in particolare il Brasile, hanno cominciato a fare causa comune con questa grande coalizione sotto la sigla “A2K” – Access to Knowledge. Si tratta di un movimento molto simile a quello apparso negli Stati uniti tra il 1999 e il 2001, quando organizzazioni della società civile e compagnie tecnologiche cominciarono a formare una lobby che per quasi un decennio ha prevenuto l’approvazione di leggi o regolamenti che facessero gli interessi degli incumbent dell’economia industriale dell’informazione. Inoltre è simile al movimento europeo contro la brevettazione del software. Ma ora sta raggiungendo dimensioni globali.

Il 2006 è stato l’anno del social networking e del web 2.0. Credi che finiranno come la bolla delle dot-com o che sia davvero possibile cavarne un sacco di denaro, come sembrano inclini a credere Google e Murdoch?

Innanzitutto, non dovremmo confondere l’esplosione del folle stock market con un fallimento del decollo di internet. Non scordiamocelo: Google, Amazon, eBay, eccetera sono tutte aziende sorte prima e durante e rimaste in vita dopo l’esplosione della bolla. Le pratiche sociali ed economiche dell’industria dell’informazione sono cambiate e il risultato è stato un aumento enorme del valore e della produttività delle aziende. Non prendiamo la Bolla 1.0 soltanto come un periodo di inganni. È stata una fase di crescita, innovazione e sviluppo enormi, che è finito soffocato da avidità e follia. È la seconda parte, non la prima, a essere collassata.

Credo insomma che web 2.0 e social networking rappresentino una combinazione di innovazioni fondamentali – alle quali dedico molto spazio nel mio libro – e di inganni e tentativi di fare un sacco di soldi in poco tempo. Prima o poi, non possiamo sapere se fra uno o cinque anni, un bel po’ di gente diventerà avida e sconsiderata e perderà denaro. Ma ciò non renderà meno reali o meno stabili i nuovi modelli economici, l’innovazione e la crescita. Per cui sì, credo che ci sia un intero schieramento di modelli economici attorno ai commons informazionali. Alcune imprese stanno già facendo grandi guadagni, altre ci stanno gettando un sacco di soldi e c’è molta incertezza. Ma il cambiamento cruciale in direzione della decentralizzazione del capitale umano e fisico e le opportunità rappresentate dall’integrazione di questi esseri umani dotati di nuove capacità all’interno delle pratiche sociali ed economiche ci saranno ancora.

I principi della teoria liberale della giustizia richiedono che le amministrazioni pubbliche e le istituzioni educative utilizzino software libero/open source?

No, non credo che si debbano derivare scelte così specifiche dalla teoria liberale. Le amministrazioni hanno molte responsabilità, incluso assicurare l’uso di software eccellente, per esempio utilizzabile dai bambini come dagli studenti. Se il free software non risponde a queste caratteristiche, allora è legittimo che un governo decida di non usarlo.
Però credo che le istituzioni pubbliche ed educative non debbano avere pregiudizi in favore dei modelli proprietari solo perché esistono e sono stati oggetto di attività di lobby.

Devono verificare le applicazioni disponibili e pensare a lungo termine, riflettendo sull’alfabetizzazione informatica e su quanto la differenza tra i due modelli possa aumentare nei ragazzi la consapevolezza relativa a ciò che stanno usando e a come usarlo. Se una piattaforma rischia di diventare monopolistica o se le capacità del sistema vengono azzoppate affinché aderiscano alle esigenze dell’industria, come nel caso dei cosiddetti trusted system, allora sì: l’uso di sistemi aperti acquisisce grande valore e può diventare una strategia cruciale.

Tuttavia ci sono altri aspetti che supportano l’adozione del free software. Lo sviluppo, per esempio, è fortemente influenzato dal software libero perché quest’ultimo facilita la nascita di un mercato interno per i programmatori, che possono quindi partecipare al mercato globale dei servizi software in modo più immediato rispetto a quanto potrebbero fare se conoscessero solo i sistemi proprietari e quindi per l’accesso alla competizione dipendessero dalle licenze. La Difesa e i sistemi della sicurezza nazionale tendono a utilizzare free software, in parte per la sua robustezza, ma soprattutto perché garantisce indipendenza da qualunque azienda e possibilità di adattare il software alle proprie esigenze.

Per riassumere: ci sono molti buoni motivi per adottare il software libero, nelle scuole e in qualunque altro luogo. Dal mio punto di vista, l’impegno a favore di un’infrastruttura comune e aperta, incluso il livello del software, è coerente con l’impegno in direzione della libertà e della giustizia. Questo impegno dovrebbe informare le decisioni pubbliche, ma non sono certo che debba sovrastare altre considerazioni politiche.

El Socialismo del Siglo XXI, en Wikipedia

De Wikipedia, la enciclopedia libre

El Socialismo del siglo XXI es un concepto ideado por Heinz Dieterich Steffan, a partir de 1996[1], y muy difundido desde el 30 de enero de 2005, por el Presidente de Venezuela, Hugo Chávez en ese entonces desde el V Foro Social Mundial. En el marco de la revolución bolivariana, Chávez ha señalado que para llegar a este socialismo habrá una etapa de transición que denomina como Democracia Revolucionaria.

Hugo Chávez expresó “Hemos
asumido el compromiso de dirigir la Revolución Bolivariana hacia el
socialismo y contribuir a la senda del socialismo, un socialismo del
siglo XXI que se basa en la solidaridad, en la fraternidad, en el amor,
en la libertad y en la igualdad”
en un discurso a mediados de 2006. Además, este socialismo no está predefinido. Más bien, dijo Chávez “debemos transformar el modo de capital y avanzar hacia un nuevo socialismo que se debe construir cada día”[2].

A su juicio por las condiciones presentes en el actual mundo globalizado, esta transición será bastante prolongada. Dentro de este concepto sería definitivamente el socialismo el camino a seguir, contrario al neoliberalismo.

Dice el gobierno venezolano y sus partidarios que habrá que realizar
una transformación profunda de la estructura social, económica y
política, pero que no se puede pretender acelerar torpemente la
dinámica de los cambios estructurales. También se ha hecho un llamado a
generar la discusión sobre el tema, para abrir cauces a este sistema de
vida propuesto y en proceso de desarrollo en la región.

Estructura Ideológica

Dieterich, en su obra Socialismo del Siglo XXI se funda en la visión de Karl Marx sobre la dinámica social y la Lucha de clases, pero supera la dialéctica que funda el pensamiento marxista, influído por el filósofo Enrique Dussel y su Filosofía de La Liberación (de hecho menciona a Dussel al principio de la obra). Dieterich es partidario de la Democracia participativa y directa, con lo que se aparta de la teoría de la Dictadura del proletariado de Marx, asumiendo posturas que pudieran llegar a asemejarse al socialismo libertario.

Heinz Dieterich critica a Marx por no haber ideado un sistema económico viable para la sociedad comunista y por establecer un modelo estático y absoluto de la sociedad ideal. En cambio, dentro de lo que denomina Socialismo del Siglo XXI no existe una estructura absoluta y final sobre lo que debe ser una sociedad sin clases sociales Lo que separa determinantemente al marxismo del Socialismo del Siglo XXI es que este último no tiene como fin la instauración de un estado por sobre los ciudadanos.

Praxis Teórica

Al contrario del marxismo,
Dieterich no establece un modelo único y absoluto para lograr una
sociedad democráctica, participativa, socialista y sin clases sociales.
Más bien establece un marco metodológico para elaborar lo que denomina El Nuevo Proyecto Histórico (NPH) con la ayuda del Bloque Regional de Poder (BRP) que serían las sociedades o comunidades que apoyen al NPH de una determinada sociedad; que actualmente sería la Revolución bolivariana de Venezuela

Economía de Equivalencias

Dieterich en el Socialismo del Siglo XXI propone un modelo económico que no esté basado en el precio de mercado, fundamento de la Economía de mercado y del Capitalismo, fuente de las asimetrías sociales y de la sobre explotación de recursos naturales, según su punto de vista.

Propone lo que denomina una Economía de valores fundado en el valor del trabajo que implica un producto o servicio y no en las leyes de la oferta y la demanda. Este valor del trabajo
se mediría sencillamente por el tiempo de trabajo que demanda un
determinado producto o servicio; además de los valores agregados a
dicho trabajo, es decir, el tiempo de trabajo que se usó para producir
las herramientas o servicios que se emplean en el trabajo mismo, lo
cual a su vez lleva a un ciclo complejo de tiempos de trabajo sumados
recíprocamente. Para solucionar el problema práctico que implica la
teoría de la Economía de valores, propone usar la llamada Rosa de Peters
La aplicación de este tipo de economía, según el punto de vista de
Dieterich, pondría fin a la explotación del ser humano contra el ser
humano y quitaría poder e influencia a los grandes capitalistas, lo
cual produciría una verdadera democracia económica y social;
donde no se impondrían los intereses de las grandes empresas por sobre
el interés general de la sociedad, algo que sucede en todas las
democracias según Dieterich.

El proyecto de Economía de valores no está profusamente detallado en el Socialismo del Siglo XXI
ni considera el grado de complejidad de determinados trabajos, que
exigen especializaciones científicas, y cuyo tiempo de trabajo no puede
ser valorado de la misma manera que los trabajos no especializados.
Tampoco considera el valor físico de producción energética por sobre el consumo energético de un determinado trabajo (en inglés conocido como EROEI),
algo fundamental para el desarrollo social, tecnológico y humano de una
sociedad. Esto proyecta una economía de equivalencias donde es igual el
trabajo de un carbonero (por ejemplo) al de un científico nuclear o al
de un psiquiatra, lo cual ha originado una de las principales criticas
a este tipo de economías, ya que el incentivo para estudiar ciencias se
pierde y el desarrollo tecnológico y científico de la civilización se
estanca

Constante Reformulación

Heinz Dieterich Steffan, al final de su obra, llama a un debate abierto y constructivo para mejorar el proyecto del Socialismo del Siglo XXI, lo cual indica que dicha ideología sigue reformulándose.

Dieterich actualmente es el asesor principal del presidente venezolano Hugo Chávez[3], lo cual lo convierte en el principal ideólogo de la Revolución bolivariana y en el actor principal de dicha revolución.

Recientemente Dieterich ha expresado que la economía mixta es el medio para llegar al Socialismo del siglo XXI[4] Lo cual indica la versatilidad pragmática de dicho socialismo.

Hugo Chávez Y El Socialismo del Siglo XXI

Actualmente el gobierno de Hugo Chávez es el único que está implementando avanzadamente el Socialismo del Siglo XXI, también mandatarios como Rafael Correa de Ecuador y Evo Morales de Bolivia han manifestado que seguirán el rumbo de este tipo de socialismo.

La idea del socialismo del Siglo XXI ha ido tomando caracteres
tradicionalmente socialistas en los últimos años, especialmente en 2005 y 2006.
Chávez ha llegado a decir que previamente “llegaba a pensar (…) en un
capitalismo con rostro humano, o el capitalismo social, una tercera vía
entre socialismo y capitalismo. El paso de los años me convenció que
eso era imposible: un capitalismo humano es una contradicción en sí
mismo”.[5]

A comienzos de 2007, el presidente venezolano mostraba sus
referencias teóricas, frente a la cúspide eclesiástica de su país
expresó «Les recomiendo a los obispos que lean a Marx, a Lenin, que
vayan a buscar la Biblia para que vean el Socialismo en sus líneas, en
el viejo y nuevo testamento, en el sermón de la montaña.»[6]. En el mismo acto, Chávez afirmó compartir ideas trotskistas, como la revolución permanente.[7].

Críticas

Existen algunos críticos al Socialismo del Siglo XXI, generalmente provienen de sectores tanto de la derecha como de la izquierda. Algunos marxistas lo consideran un socialismo falaz[8][9] y la derecha estima que se basa en ideas caducas y perimidas[10].

Desde diversos sectores sociales e ideológicos allegados a la acción
y movimientos populares de base se alega que no es posible hablar
seriamente de un socialismo del siglo XXI si antes no se realiza una
crítica profunda del “socialismo real
que existió el pasado siglo en Rusia y el Este Europeo y así como de
otros modelos estadocéntricos, porque si no se establecen las causas de
su fracaso se pueden repetir los mismos y terminar en un nuevo fracaso
que convierta la situación en algo peor que el problema que se buscaba
solucionar[cita requerida].

Referencias

  1. Entrevista a Heinz Dieterich
  2. Los errores del estalinismo burocrático frente al Socialismo del Siglo XXI y “Socialismo Siglo XXI”.
  3. El intelectual alemán que asesora a Hugo Chávez
  4. “Si
    la propiedad del Estado fuese socialismo, ya con (el rey) Carlos V
    tendríamos socialismo en América Latina, porque cuando llega la Corona
    Española a América, toda la propiedad de la tierra, el subsuelo y lo
    que está arriba es patrimonio del rey, pero eso era feudalismo, no
    socialismo. La única vía posible es una economía mixta, que tendría
    tres sujetos, el Estado, la empresa privada y la propiedad social, como
    cooperativa”
    más en Heinz Dieterich: “Economía mixta es la vía al socialismo del siglo XXI”
  5. http://www.emancipacion.org/modules.php?name=News&file=article&sid=791 Socialismo a la venezolana, adiós a la tercera vía.
  6. Chávez instó a funcionarios de la Iglesia Católica venezolana a ocupar su lugar
  7. Transcripción del discurso presidencial del 8 de enero de 2007
  8. ¡Proletarios
    del mundo, uníos y alerta contra los que en nombre del socialismo
    quieren encausarlos tras los bloques latinoamericanos de poder, los
    genios del surplus mundial, los generales descífrotas, la revolución
    por etapas y subfases de coexistencia estratégica y los saltos
    cuánticos!
    (con generales descífrotas hace referencia a Hugo Chávez) más en Algunas consideraciones acerca de “El socialismo del siglo XXI” de Heinz Dieterich Steffan
  9. Los
    especuladores y acaparadores, los grandes capitales, la burguesía
    apéndice del imperio y parasitaria de los Estados nacionales han
    encontrado en el renegado Heinz Dieterich un gran aliado.
    Recientemente, 19/02/07 (días de carnaval), en una entrevista realizada
    por un periódico de circulación nacional, Ultimas Noticia, Dieterich
    disfraza su retorica con harapos difíciles, por el pueblo, de
    identificar. En ella, dice lo siguiente: “Estatizar la propiedad
    privada no lleva al socialismo”…”Si la propiedad del Estado fuese
    socialismo, ya con (el rey) Carlos V tendríamos socialismo en América
    Latina, porque cuando llega la Corona Española a América, toda la
    propiedad de la tierra, el subsuelo y lo que está arriba es patrimonio
    del rey, pero eso era feudalismo, no socialismo. La única vía posible
    es una economía mixta, que tendría tres sujetos, el Estado, la empresa
    privada y la propiedad social, como cooperativa”
    más en Dieterich, un Zar de la manipulación
  10. En
    síntesis: tiene escaso sentido tomarse demasiado en serio el Socialismo
    del siglo XXI en un plano teórico, aunque sí cabe medir con tino su
    función política. No aporta nada nuevo en el nivel de la teoría, y en
    tanto se entiende lo que sus promotores plantean, es claro que nos
    hallamos frente a un retroceso intelectual a los postulados de aquellos
    a quienes Marx llamaba “socialistas utópicos”, es decir, al retroceso
    hacia una concepción arcaica de sociedad, con intercambios económicos
    primitivos. No obstante, como ya sugerí, el Socialismo del siglo XXI
    renueva un mito que se niega a morir.
    más en Socialismo: fracaso y mito

Enlaces externos