Bitcoin, la fine del tabù della moneta

di Denis Jaromil Roio, SanPrecario – 03/01/2014

Il Bitcoin è diventata negli ultimi mesi una delle criptomonete più note, anche in seguito allbicoinLe ampie oscillazioni della sua quotazione in dollari. In questo articolo, uno dei più importanti studiosi di monete digitali e dei relativi algoritmi spiega l’origine e le caratteristiche del Bitcoin. L’articolo originale, in inglese, dal titolo: Bitcoin, the end of the Taboo on Money, è tratto da the Dyndy.net article series:  http://jaromil.dyne.org/writings. Siamo grati all’autore per il permesso. Questa è la prima  traduzione italiana a cura di Andrea Olivieri, che ringraziamo.

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“Le forze più potenti, quelle che ci interessano per la maggior parte, non sono in una relazione speculare e negativa alla modernità , al contrario si muovono su traiettorie trasversali . Su questa base non si deve concludere che si oppongono a tutto ciò che è moderno e razionale, ma che sono impegnati nella creazione di nuove forme di razionalità e di nuove forme di liberazione”.

                                                         A. Negri e M. Hardt , Commonwealth, 2010.

1. Introduzione

Questo articolo non ha lo scopo di illustrare cos’è il Bitcoin: al riguardo ci sono diverse fonti di informazioni, a partire da un bel video di animazione[1] e da un gran numero di scritti e saggi anche accademici, citati in wikipedia[2]; vi è anche una bella drammatizzazione in un episodio della popolare serie televisiva “The Good Wife”[3].

Invece che discutere della funzionalità o della vulnerabilità del Bitcoin o cimentarsi in una sua analisi alla luce delle teorie economiche, in questo saggio vogliamo indagare gli aspetti storici e filosofici legati all’emergere di questa tecnologia. Chi scrive è stato coinvolto per più di due anni nella comunità Bitcoin, impegnandosi nello scambio cooperativo e anche critico tra i suoi nodi.

Il denaro è un mezzo fondamentale su cui costruire e consolidare una sovranità costituente. Questa ricerca discute della necessità e dell’urgenza di tale processo costituente  come una forma di soggettivazione. In ultima analisi questo articolo fornisce un quadro del contesto culturale in cui è stato inventato il Bitcoin e si è sviluppato fino a ciò che è ora, al fine di offrire alcune  chiavi interpretative dei suoi aspetti sociali e politici .

2. Origini 

Nel 1994, quasi due decenni fa, un intervallo di tempo considerevole per l’innovazione digitale, Steven Levy pubblicò sulla rivista Wired un articolo dal titolo “E-Money (Questo è ciò che voglio)”[4] con un’introduzione che non lasciava dubbi al lettore. Riferendosi all’E-Money (Moneta digitale), infatti, scrive:

L’applicazione sensazionale delle reti elettroniche non è il video-on-demand,  ma l’E-Money. Essa andrà a colpire laddove è più importante – il vostro portafoglio. Non solo rivoluzionerà la Rete ma cambierà l’economia globale”.

Per coloro che non conoscono Steven Levy , autore di libri come “Crypto” o “Hackers”, vorrei solo dire che non è il classico tipo visionario: i suoi scritti contengono pochissima fantasia e seguono un approccio giornalistico molto  documentato. In questo articolo, egli descrive il caso di David Chaum “il fondatore barbuto e coda di cavallo di DigiCash” che stava lavorando ad Amsterdam, con lo scopo di “catapultare il nostro sistema valutario nel 21° secolo”. Infatti quasi 20 anni fa, David Chaum era ricercatore al CWI, l’Istituto nazionale di ricerca per la matematica e  l’informatica in Olanda, dove in questi ultimi tempi ho avuto l’onore di spiegare come funziona il Bitcoin[5] davanti a un pubblico di scienziati che hanno lavorato con Chaum, e che onestamente mi hanno fatto sentire abbastanza imbarazzato, finché non ho capito che la modestia è sicuramente una delle loro qualità.

Poiché vorrei iniziare questo articolo partendo da una prospettiva storica, non posso fare a meno di seguire le origini dell’evoluzione che Bitcoin rappresenta a partire dal seminale contributo di Levy.

Ma non è tutto. Bitcoin non è solo “moneta digitale”. La sua nascita e  crescita sono state favorite da una rete di attività che, per alcuni aspetti, condivideva i principi etici e di gestazione di una comunità: sto parlando della comunità hacker.

Bitcoin è apparso per la prima volta agli occhi della comunità hacker in un Slashdot post[6] che, nell’agosto 2010, ha annunciato il rilascio della versione 0.3. In precedenza, Bitcoin era conosciuto solo su mailing list minori, oggi non più funzionanti.

Il post citato ha annunciato la nascita di un software che, attraverso il lavoro distribuito su tutti i partecipanti on line, avrebbe creato alcuni “hash” unici che avrebbero poi potuto essere scambiati come “moneta digitale”. Gli hacker a quel tempo avevano già familiarità con questo concetto poiché era già disponibile un’implementazione simile: si trattava  dell’utilizzo di una cosiddetta “hashcash” per combattere lo spam digitale grazie all’accettazione di un prezzo computazionale su tutti i server di posta elettronica disposti a scambiare e-mail. Anche l’architettura distribuita, o clusterizzata di questo software suonava familiare, dal momento che molti di noi pensavano che questo sarebbe stato una sorta di SETI@Home, un software che distribuisce il lavoro di calcolo necessario per analizzare i segnali dallo spazio raccolti da osservatori della NASA.

3. Eventi memorabili

Nei due anni e mezzo seguiti alla presentazione alla comunità hacker, mi sento di individuare due eventi memorabili che possono aiutarci a capire la progressione storica di Bitcoin.

Gennaio 2011     Blocco finanziario di Wikileaks

Maggio 2011      La rivista Forbes pubblica il suo primo articolo su Bitcoin

Figura 1: Grafici dei prezzi degli eventi memorabili

Nella figura 1 abbiamo inserito questi eventi in  un grafico che mostra il tasso di cambio dollaro/Bitcoin nel suo più grande mercato: il “MtGox”. Il grafico è duplice: nella parte superiore, si mostra il tasso di cambio dollaro/bitcoin e nella parte inferiore si registra il suo tasso di variazione. In tal modo, si evidenzia l’influenza che gli eventi socialmente rilevanti hanno sulla fluttuazione del Bitcoin.

Nel resto di questo articolo farò riferimento a questi due eventi, cercando di spiegare le complesse relazioni che governano gli aspetti sociali e politici di Bitcoin. Il grafico in Figura 1 è probabilmente quello più immediato per collegare la dinamica del tasso di cambio dollaro/bitcoin  con i fenomeni finanziari, la cui modellizzazione astratta riveste scarsa importanza nella mia analisi.

La mia ambizione è di descrivere l’innovazione tecnopolitica di Bitcoin senza seguire i fundamentals come quelli che affollano la maggior parte delle visioni accademiche disciplinari in economia.

Perciò dichiaro il metodo di questa analisi come biopolitico, nel senso che Michel Foucault diede a questa parola: la precoce genealogia di una nuova ragione etica, un’indagine nella sua fase di gestazione attraverso l’analisi dei suoi processi di soggettivazione. Questa è scienza economica post–umanista.

4. Innovazione

4.1 Networked computing 

La proprietà fisica dei simboli influenza in maniera decisiva la struttura dei codici. È maggiormente influenzata da ciò che dal criterio del significato. La struttura di un messaggio riflette il carattere fisico dei suoi simboli più della struttura dell’universo che esso veicola. Questo spiega la famosa frase “Il mezzo è il messaggio”.

Vilem Flusser

Prima di tutto abbiamo bisogno di spiegare al lettore che cosa è di fatto il networked computing, un concetto al quale faremo riferimento anche come clustering.

Il clustering (che possiamo rendere in italiano con l’espressione analisi dei gruppi) è una maniera di approcciare problemi troppo grandi per essere risolti da un singolo computer, ad esempio perché richiedono troppa capacità di calcolo su uno spettro troppo ampio di dati. Clusterizzare un problema significa dividerlo in pezzi più piccoli (chunks) e quindi distribuire questi chunks a differenti unità di calcolo che lavorano tutte per il medesimo scopo, in modo che ognuna ne fa risolva una parte. Significa anche che quei computer che hanno meno lavoro da fare, ad esempio perché non vengono utilizzati in determinati momenti, possono autonomamente offrire il proprio aiuto alla rete cluster di cui sono parte. È possibile immaginare la situazione nella quale, in una singola stanza con 10 computer, solo 5 sono utilizzati, e quei pochi utenti possono beneficiare di una prestazione più veloce grazie al clustering.

Questa non è fantascienza, né una nuova brillante idea, benché non sia mai stata introdotta nel mercato di consumo, con ogni probabilità perché non crea profitto per i produttori di hardware e software. Eppure, ancora nel 2001, quando pubblicammo il sistema operativo gratuito Dyne:bolic[7], la sua funzione di clustering – implementata attraverso la patch del Linux kernel OpenMosix – fu una delle più apprezzate dagli utenti di quel SO. La funzione venne annunciata con lo slogan El computador unido jamas serà vencido e permetteva alle persone di accelerare compiti gravosi su computer lenti (ad esempio il rendering 3d) dividendo il carico computazionale tra una molteplicità di macchine: una situazione perfetta per quei media–lab indipendenti che non hanno denaro per comprare calcolatori e, piuttosto che aggiornare il proprio hardware, tendono ad affidarsi a diverse singole unità poco costose che possono riciclare dalla spazzatura o da donazioni.

Il gestore di cluster OpenMosix in Dyne:bolic è solo un esempio di come il networked computing ha a che fare con gli aspetti economici e politici delle società digitali. Uscendo dal mondo digitale e rientrando in quello fisico, il modo di produzione e distribuzione delle risorse nel networked computing è estremamente attinente al discorso contemporaneo sulla “rete energetica”.

Tornando a Bitcoin, mentre individuiamo un’architettura clusterizzata nella sua adozione di una funzione proof of work[8] siamo ancora molto distanti da comprendere il valore reale che sostiene i Bitcoins. Infatti, il tipo di lavoro richiesto per “estrarre” (mining) i Bitcoins è molto lontano dall’essere connesso con i valori della vita reale: cercare determinati numeri le cui hash iniziano con 6 zeri, per semplificare, non è altro che una ricerca di numeri.

Dobbiamo scavare ulteriormente per capire il senso del Bitcoin mining e dissipare alcuni legittimi dubbi sul suo essere uno spreco di energia. Mentre il suo approccio di networked computing era seducente (gli hacker amano clusterizzare le cose per natura) è difficile convincersi subito del valore reale di una simile operazione: solo pochi all’inizio hanno capito perché uno dovrebbe far andare un simile algoritmo per trasformare elettricità e sistemi tecnologici in numeri in qualche modo spendibili.

4.2 Perché estrarre? 

Il mining è l’atto di creare Bitcoins, fondamentalmente l’atto di trovare questo “minerale algoritmico” e coniarlo in token utilizzabili. Il processo di mining è pertanto remunerativo per coloro che lo intraprendono, eseguendo il software di Bitcoin mining sui propri computer. In parole povere, il mining trasforma elettricità in Bitcoins: i computer cercano numeri che non sono ancora stati scoperti e, appena li trovano, possono essere trasmessi come monete nel network. I miners generano ricchezza, poi la mettono in circolazione a loro discrezione.

Ancora nel marzo 2011 – appena pochi mesi prima che Bitcoin diventasse popolare, e che inevitabilmente si innalzasse il livello di rumore nella discussione su di esso – il/la blogger Mira Luna pubblicò sul suo blog “Trust is the Only Currency” quella che ritengo la migliore analisi critica su Bitcoin. Citerò qui il passaggio finale di questo post, intitolato “Bitcoin: una macchina di Rube Goldberg per comprare elettricità”[9]:

Alla fine, la creazione artificiale del numero limitato di possibili Bitcoins attraverso questo “proof of work” (che crea milioni di hash SHA–256 senza soluzione di continuità) è follia. Tutto ciò di cui hai bisogno è un “proof of limitation” senza la politica – il mercato è stato forse contenuto dal creare troppa moneta troppo velocemente? L’uso da parte di Bitcoin di una soluzione procedurale è la via sbagliata quando tutto ciò che hai bisogno di fare è definire un vincolo attraverso una formula e applicarlo secondo necessità attraverso il tempo, anziché avere ognuno che fa girare continuamente una funzione hash sprecando elettricità. Manteniamo le transazioni pubbliche, poniamo una firma crittografica su di esse, verifichiamole con un modello monetario (money model) e saremo in grado di salvare buona parte di ciò che c’è di buono in Bitcoin. E, naturalmente, usiamo un “bene” che le persone possono capire intuitivamente, qualcosa come … il tempo.

Per approfondire questa critica abbiamo bisogno di spiegare che cos’è questa follia e perché può essere invece considerata un’innovazione interessante. Quando i miners (letteralmente “minatori”, ovvero gli utenti che fanno andare l’algoritmo sulle proprie macchine) eseguono il loro lavoro (quindi consumare elettricità) i Bitcoins appaiono “magicamente”, ma il loro lavoro giova anche alla comunità: rafforzano la rete fiduciaria rendendo i Bitcoins meno facilmente contraffabili.

Il computo del mining, e quindi l’elettricità, servono a rafforzare l’autenticazione di Bitcoin. Ora consideriamo l’energia che era richiesta, prima dell’esistenza di Bitcoin, per autenticare il processo di conio di valute fabbricate con carta e metalli meno nobili. Consiste in una procedura segreta di coniazione, grandi macchinari, un edificio monumentale con mura spessissime e guardie armate intorno al suo perimetro: un tipo di energia instabile, molto difficile da governare, dal momento che ha che vedere con un monopolio della violenza imposto dallo stato sovrano.

Questa particolare energia è sostituita da Bitcoin con un approccio qualitativamente differente: Bitcoin distribuisce ai peers il compito di costruire fiducia nella sua autenticità. Il network computativo dei suoi miners serve come zecca e dissolve il bisogno di violenza in un potere illimitato, irraggiungibile e decentralizzato.

La clusterizzazione della zecca raccoglie l’energia necessaria per istituire e proteggere l’autenticità della valuta.

In altre parole: la partecipazione ha sostituito la violenza nell’adempimento fisico dell’autenticazione della valuta: un modello identificabile quando osserviamo le manifestazioni storiche del piano digitale dell’immanenza.

Questi passaggi ancora lasciano aperto il problema della redistribuzione delle monete coniate: non risolve il problema della condivisione della ricchezza (shared wealth). Ma ora siamo tornati a un problema familiare riguardante il denaro, dopo aver scacciato il rischio di una macchina paradossale, la Rube Goldberg, che avrebbe dissolto il concetto con cui lavora Bitcoin in pura entropia. 

4.3 Scienza della contabilità

L’innovazione più notevole apportata da Bitcoin ha a che vedere con il sistema di contabilità che utilizziamo oggigiorno. La partita doppia è ciò che usiamo oggi per accertare che entrate e uscite corrispondano, fondamentalmente autenticare il flusso di denaro e accertare che “nulla sia duplicato”.

Da una prospettiva storica il sistema a partita doppia è molto antico ed ha subìto poche innovazioni attraverso le epoche: venne descritto da un matematico italiano e frate francescano di nome Luca Pacioli nel suo libro “Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalita” pubblicato nel 1494 a Venezia. La seconda metà del suo libro, dedicata alla geometria, è una sezione intitolata “Trattato de computi e delle scritture” nel quale egli descrive la necessità della matematica nella contabilità. Quei principi non furono certo inventati da Pacioli, ma perlopiù attualizzati, formalizzati e tradotti nel suo trattato, come dimostrato dall’esistenza di un libro precedente, “Della mercatura e del mercante perfetto” di Benedikt Kotruljević, pubblicato in latino alcuni decenni prima, o come suggerito dalla presenza di un’altra figura dietro al suo ritratto nel famoso dipinto attribuito a Jacopo de’ Barbari che è ritenuto essere Albrecht Dürer, un artista e viaggiatore che condivideva la passione di Pacioli per la geometria e il magico.

Tale sistema è ancora, al giorno d’oggi e malgrado i suoi difetti, quello in uso su larga scala in tutto il mondo dalla maggior parte dei sistemi di contabilità. Trattandosi di un sistema che assicura la corrispondenza univoca tra ciò che è scritto e ciò che è reale, può essere visto come l’entrata alla dimensione digitale e può senza dubbio beneficiare dell’innovazione tecnica attraverso gli strumenti digitali. La mia tesi è quindi che Bitcoin è fondamentalmente questa innovazione o, più precisamente, l’attuazione di un’innovazione come il metodo della ricevuta a triplice firma[10]. Citando Ian Grigg:

La ricevuta con firma digitale, con l’autorizzazione completa per una transazione, rappresenta una sfida sensazionale al sistema della partita doppia, almeno a livello concettuale. L’invenzione crittografica della firma digitale conferisce potente forza probatoria alla quietanza, e di fatto riduce il problema di contabilità alla presenza o assenza di una delle ricevute. Questo problema è risolto condividendo i registri – ciascuno degli agenti ha una copia originale. In un certo senso stretto di teoria relazionale dei database, la partita doppia diviene ora ridondante[11].

Il sistema contabile di ricevuta a triplice–firma di Bitcoin rispetta il ruolo originale del denaro come contratto (e direi di linguaggio digitalizzato). Citando la ricerca di Marco Sachy sulla valuta complementare e alternativa:

L’ontologia del denaro è tanto relazionale, astratta e cogente quanto lo sono i contratti in generale, e le possibilità di formulare questi contratti  sono inimmaginabili, tenendo presente che il processo ortodosso di progettazione e creazione di moneta – attingendo alla Dialettica dell’Illuminismo di Adorno e Horkheimer – è arbitrariamente e storicamente determinato.

È la pura sostanza di quei contratti cogenti che il denaro rappresenta e che può essere verificata da dichiarazioni corrispondenti su due registri o, come fa Bitcoin, chiamando l’intero network di peers partecipanti ad essere testimone di ogni contratto e ad agganciarlo in una catena di blocco (blockchain) crittografica. Più semplicemente, questa è contabilità nell’epoca di Bitcoin.

5. Comunità

Al centro della questione… vi è l’idea che le persone dovrebbero progettare da sé le proprie case, strade e comunità. Questa idea… deriva dall’osservare come buona parte dei luoghi meravigliosi del mondo non vennero edificati dagli architetti ma dalle persone.                                                                                                          

Christopher Alexander

Nel discutere di Bitcoin, delle sue qualità intrinseche di creazione di valore in rete che sono appena state accennate, non possiamo ignorare il fatto che questa tecnologia si basa su dinamiche comunitarie al punto che si potrebbe affermare che Bitcoin rende possibile per il denaro diventare un commone non essere più una convenzione gerarchica imposta da un sovrano e dalla sua liturgia di potere.

Ma allora siamo di fonte a una domanda cruciale su Bitcoin: a che scopo? Chi ne beneficia? O, in altre parole, se l’aspetto comunitario di Bitcoin è cruciale (nel senso: distribuzione dei calcoli necessari per la sua autenticazione, condivisione di una valuta comune, una storia comune delle transazioni, un sistema comune per quantificare la ricchezza) per che cosa usano Bitcoin le comunità?

Le prime comunità ad avere utilizzato Bitcoin – esclusa la comunità hacker che di fatto non l’ha mai usato molto come valuta per scambiare beni – sono i capri espiatori perfetti  per coloro che vogliono contrastare Bitcoin. Infatti chiunque voglia assumere un approccio moralistico e impedire l’innovazione di cui stiamo parlando non ha nemmeno bisogno di trattare fastidiosi concetti come la sovranità statale. È molto facile per i cacciatori di streghe enfatizzare il fatto che con Bitcoins è stata acquistata e venduta droga, che i giocatori d’azzardo amano i Bitcoins e che alcuni siti internet dichiarano di accettare pagamenti in Bitcoin per compiere missioni omicide. Campagne di criminalizzazione hanno riempito eccessivamente la copertura mediatica mainstream immediatamente successiva la popolarizzazione di Bitcoin, in Italia abbiamo persino visto popolari profeti dell’ottimismo della rete scagliarsi contro Bitcoin in un batter d’occhio[12].

D’altro canto, parlando di nuove tecnologie, non dovremmo mai affrettarci a giudicare la loro natura e scopi dai loro primi utilizzi. È naturale che coloro che erano esclusi dall’uso di affermate tecnologie cercheranno nuove piattaforme ancora non regolate: i pionieri che si trovano ai margini sono sempre attenti alle possibilità concrete di liberazione offerte da nuove e sconosciute tecnologie. Quando parliamo di tecnologie di comunicazione ciò diventa molto chiaro: ogni genere di comunità marginalizzate e criminalizzate ricorrono a canali di comunicazione meno conosciuti per i loro bisogni, mentre i canali di comunicazione di massa sono ben controllati e in generale dominati dal discorso sterilizzato della maggioranza conforme. Lo stimolo a discutere che cosa muova i proibizionisti nella loro crociata è distante da questo articolo, ma ciò che va affermato è che il potenziale di una nuova tecnologia non può essere studiato, compreso e giudicato facendo riferimento a tali circostanze: gli esempi forniti sui primi utilizzi di Bitcoin sono infatti ingannevoli per ottenere una comprensione equilibrata di questa tecnologia.

Il fatto è che molti hackers amano prendere in giro questa attitudine, unita a un discreto numero di criminali che hanno trovato conveniente usare Bitcoin sin dalle prime fasi della sua popolarità, offrono ancora terreno per la sua mistificazione come “tecnologia del male”.

Essendo coinvolto nella comunità che è cresciuta attorno a Bitcoin posso vedere che essa è composta innanzitutto da giovani idealisti che si ribellano contro lo status quo, soprattutto quando questo è un amministrazione centrale piegata alla corruzione. È chiaro per molti quanto vari contesti siano dominati da monopoli ingiusti, che frenano ogni possibilità di innovazione che sta nelle mani delle generazioni più giovani. La liberazione del mezzo di scambio di valore è un atto a cui facciamo riferimento nei termini di “rottura del tabù del denaro”. Bitcoin ha un ruolo nella storia: la sua epica unisce comunità, nuove riflessioni etiche, nuove appassionate narrazioni, la gloria del mistero attorno alle sue origini. La volontà di liberazione, decentramento e di rottura dell’intermediazione è centrale in Bitcoin – essa è etica e non dovrebbe essere vista come più conflittuale del concreto bisogno di rompere le mediazioni di molte funzioni sistemiche che governano le società moderne. La finanza moderna farebbe meglio a preoccuparsi dei suoi dilemmi da coda–lunga!

Molti vedono in Bitcoin l’opportunità di sfidare il monopolio delle banche sulle transazioni di valore. Buona parte dei beni che per primi sono stati scambiati on–line con Bitcoins – oltre le acque torbide, digitali o meno – sono creazioni artigianali. Il sogno di Bitcoin è l’autonomia dei produttori di contenuti, la possibilità di scambiare liberamente le proprie produzioni, senza affiliazioni, senza intermediari. Dopo tutto, la maggior parte degli operatori in transazioni finanziarie sanno bene che la ragione per la quale i piccoli artigiani non possono accedere ai mercati on–line sono gli alti costi marginali con cui devono confrontarsi se vogliono accettare pagamenti on–line, mentre gli apparati che sono in grado di negoziare il credito con le banche si impongono come intermediari a cui pagare un’imposta.

Come concreto per quanto obliquo indizio al lettore, ecco la mia piccola protesta contro il capitalismo dei flussi, un teso informale che avevo postato sulla lista di discussione di Nettime ancora nell’aprile 2011, appena prima che Bitcoin diventasse popolare con l’articolo pubblicato su Forbes nel maggio di quell’anno. Nel rispondere alle prime critiche di Bitcoin, questa lettera finì per circolare nel forum di Bitcoin come il “Bitcoin Manifesto”, raccogliendo consensi da molti membri della comunità[13]:

Giovedì 7 aprile 2011, a…@aharonic.net ha scritto:

> bitcoins – non è forse nient’altro che una struttura diffusa con cui fare capitalismo?

Questa non è nemmeno la cosa peggiore che ci puoi fare. Puoi fare riciclaggio di denaro sporco, comprare droga online e sex toys, tutto anonimamente. Ma il punto non è questo, perché malgrado la coercizione imposta finora da tutti i tipi di sistemi regolatori, anche gli attuali sistemi monetari ufficiali sono pieni di quella merda, proprio in cima alla torta capitalistica.

Le tecnologie emergenti non dovrebbero mai essere giudicate dall’eccezionale mancanza di buon senso dei loro primi utilizzatori. È come preoccuparsi del concime che fertilizza alcuni splendidi fiori, scartandone i semi.

Ho finalmente capito cos’è davvero bitcoin il 6 aprile (che in qualche modo finisce sempre per essere un giorno magico, eh!): questa ora è la fine del capitalismo dei flussi, che consiste nel monopolio delle transazioni, l’egemonia delle banche sul movimento dei valori e non solo il loro accantonamento, questa mafia dell’uomo–medio che sta strangolando il mondo mentre discutiamo.

Quanto sono nel giusto quei paesi sudamericani che reclamano la “tassazione delle transazioni”, un argomento ripetuto in molti discorsi dei compañeros. Hanno studiato il sistema e capito che c’è un problema cruciale, che deve essere risolto con urgenza. Eppure avrei da obiettare che la tassazione sulle transazioni non può essere la soluzione. La soluzione è eliminare i capitalisti dei flussi.

Se voglio darti del denaro lo darò a te. Tu ed io, punto. È giusto che paghiamo le tasse per le nostre comunità, non fraintendetemi, non si tratta di una rivendicazione da coglioni del Tea party. Ma non è per niente giusto che tutto ciò che facciamo sia nelle mani di terze parti che sono state beccate a truffare molte volte: guardate a quanto successo con gli account Paypal dell’Iraqi Linux user group ancora nel 2004, o anche più recentemente a Wikileaks.

Non abbiamo più bisogno che quei grassi truffatori si intromettano nelle nostre transazioni di valore; il capitale di flusso ha giocato il suo disgustoso ruolo negli insignificanti cicli della storia nei quali se n’è avuto bisogno, ora purtroppo questa gente non mollerà quello che ha accumulato, quindi ha più senso lasciarli da soli e moltiplicare un maggior numero di sistemi monetari che lavorano efficientemente attraverso varie reti e che contano sulla neutralità dell’autenticazione crittografica.

La morte del capitale di flusso è un nuovo stadio per la necrotizzazione del capitalismo. 

Al di là dei punti un po’ declamatori, in questo breve discorso è contenuto un indizio importante: Bitcoin avrà un’importanza centrale per le economie migranti.

Oggi è facile testimoniare l’esistenza di grandi comunità dislocate in giro per il mondo nel disperato tentativo di recuperare sui differenziali di valore territoriale del proprio lavoro. Molti di coloro che lavorano all’estero spediscono denaro alle loro famiglie e comunicano costantemente con esse, un fenomeno naturale grazie al quale il mercato della telefonia e i negozi di trasferimento di denaro prosperano in tutto il pianeta. Questi nodi di comunicazione sono estremamente importanti per i migranti, che non possono vivere senza di essi e che perlopiù finiscono per essere tassati iniquamente per il fatto di usarli. Monopoli come quello di Moneygram o Western Union dichiarano che nessuna commissione viene applicata sulle transazioni, ma i loro tassi di cambio reali a volte nascondono fino al 20% che va a loro profitto.

Tale profitto sulle transazioni è realizzato su un trasferimento di dati che è paragonabile a quello di una telefonata e non è una coincidenza che questi negozi spesso offrano entrambi i servizi. Oggi non c’è ragione per cui questi mercati per le transazioni digitali non dovrebbero essere liberalizzati in maniera simile a quanto accaduto con i monopoli telefonici con il Voice over IP. Questo è un vecchio vettore di evoluzione offerto dalla dimensione digitale e dalla sua progressiva interazione con la realtà che io chiamo immanenza digitale: ecco vacillare un altro schema basato su un’artificiale economia della scarsità!

6. Passione

Ho detto in precedenza che l’epica di Bitcoin unisce in nuove narrazioni di passione.

Per ogni processo di soggettività emergente nella storia, la passione è cruciale. Analisi come quella condotta da Giorgio Agamben su sovranità e gloria mostrano che è stato storicamente possibile codificare la passione (e i suoi misteri) in potere. Attraverso l’analisi dei codici antichi che compongono le leggi e l’etica (celebrando nel frattempo anche la gloria degli angeli), Agamben mostra che il potere (e il mistero) della passione è vicino a quello dell’economia e della sua nascita.

La figura 3 mostra un estratto ASCII dalla Bitcoin block-chain, un tributo che si è irrimediabilmente inscritto nella catena storica degli scambi. Un memoriale dedicato a un leader del “movimento cyberpunk” è letteralmente codificato in una “blockchain” di Bitcoin, decorato con la tipica ironia hacker. Questo è solo un cenno di ciò che potrebbe sembrare un “gioco tra iniziati”, ma è in realtà la profonda traccia di una narrazione condivisa.

L’episodio che storicamente rappresenta la passione in Bitcoin è connesso con un altro progetto che è strettamente correlato al movimento cyberpunk: il suo nome, ora incredibilmente noto, è Wikileaks.

Wikileaks ha fornito a Bitcoin il momento supremo (ϰαιρός) per diventare una priorità  nell’immaginario cyberpunk e in generale in quello degli hackers: sto parlando del blocco finanziario di Wikileaks.

Questo è un estratto del resoconto che lo staff di Wikileaks fa dell’episodio sul loro sito internet, al quale è dedicata una pagina intera:

Dal 7 dicembre 2010 un blocco finanziario arbitrario e illegittimo è stato imposto da Bank of America, VISA, MasterCard, PayPal e Western Union. L’attacco ha distrutto il 95 % dei nostri ricavi. […] Il blocco è al di fuori di qualsiasi giustificabile procedimento pubblico. Manca di qualsiasi supervisione democratica o trasparenza. Lo stesso governo degli Stati Uniti ha scoperto mancare il terreno legale per includere Wikileaks a un blocco finanziario americano. […] L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha apertamente criticato il blocco finanziario contro Wikileaks. […] Il blocco erige un muro tra noi e i nostri sostenitori, impedendogli di unirsi alla causa che hanno scelto di difendere. Viola le leggi della concorrenza e la legislazione sul commercio di molti stati. Isola arbitrariamente un’organizzazione che non ha commesso nessun atto illegale in qualsiasi paese e la taglia fuori dalle sue linee di finanziamento vitale in ogni paese. […]

Negli Stati Uniti le nostre pubblicazioni sono protette dal Primo Emendamento, come è stato ripetutamente dimostrato da un’ampia rappresentanza di autorevoli esperti legali costituzionali statunitensi. Nel gennaio 2011 il Segretario del tesoro, Timothy C. Geithner, annunciava che non vi erano margini per boicottare Wikileaks. In nessuna parte nel mondo vi sono sentenze, e nemmeno accuse, contro Wikileaks o il suo staff.

Il blocco era stato una reazione immediata al rilascio dei “cablegates”, nel quale un’enorme quantità di documenti diplomatici statunitensi riservati era stata pubblicata da Wikileaks. Questo episodio non era piaciuto per niente a un bel po’ di persone potenti in America (verosimilmente Wikileaks ha colpito il complesso militare–industriale del paese in diversi modi). Nonostante ciò l’organizzazione di Wikileaks aveva ricevuto molti apprezzamenti da ogni parte del mondo, anche nella forma di donazioni monetarie. Mentre l’onda mediatica dei cablegates stava riverberando sugli schermi di tutto il mondo, i monopoli di transazione internazionale come Maestro e Visa impedivano a Wikileaks di ricevere donazioni, senza un mandato legale, né un ordine di qualche corte giudiziaria. A Wikileaks venivano anche oscurati i propri domini internet, con l’eccezione di quello registrato in Svizzera.

Gli hackers credono che il mondo può essere cambiato e, se comprendono l’importanza di codici e protocolli, sono anche determinati a giocare su terreni neutrali, che è la condizione affinché i cambiamenti possano realizzarsi. Alcuni lettori potranno considerare gli hacker un po’ naif per il fatto di credere che possa esistere una neutralità della rete, buona parte degli analisti di sistemi, anche nel settore finanziario, hanno riconosciuto la presenza di errori di coda–lunga. Coloro che hanno familiarità con i principi enunciati ne Il Cigno Nero di Taleb concorderanno sul fatto che è impossibile  stabilire la neutralità all’interno di un sistema corrotto, ma per la comunità hacker in senso ampio, il blocco finanziario di Wikileaks è stato un momento in cui si è consumato in modo del tutto nuovo un tradimento profondo della fiducia. Quindi è stato un momento cruciale per la crescita di Bitcoin: molti hackers iniziano proprio in quei giorni a farne uso, ritenendo che sia, razionalmente, generosamente, la cosa da fare. La crescita di Bitcoin inizia allora, e come si può vedere nella Figura 1 fu 5 mesi prima dell’articolo di Forbes che lo avrebbe reso popolare. 

7. Gloria

La gloria, in teologia come in politica, è ciò che prende il posto dell’inconcepibile vuoto che è l’inoperosità del potere; tuttavia è questo davvero inconcepibile vuoto che coltiva e alimenta il potere (o meglio, ciò che l’apparato del potere trasforma in nutrimento).

Giorgio Agamben 

Ogni forma di valuta, sin dall’inizio delle sue forme primordiali, ha avuto a che fare con la grammatica del potere. È la fondazione di una sovranità e la sua gloria che giustifica la fiducia condivisa in una  forma simbolica di circolazione del valore. L’investimento del potere nella valuta, soprattutto quando non è sostenuto da valori minerali, è codificato in mistero e gloria.

Bitcoin non è esente da tali dinamiche: innova il modo in cui il digitale diviene tangibile, un ruolo di alto potenziale perturbativo. Pertanto, anche quando sceglie l’iconografia della sua propria valuta, la comunità di Bitcoin evidenzia una rottura politica.

L’intrigante mistero del suo evanescente autore Satoshi Nakamoto, potrebbe sembrare un dettaglio, ma non per la nostra analisi: è invece di importanza centrale per il mito di Bitcoin e per quello delle future critto–valute. Bitcoin non ha una singola autorità monetaria, ma un patto condiviso e la razionalità di fondo di un algoritmo matematico – il sogno intangibile della neutralità. Essendo deflattivi, i Bitcoins esistono in uno spettro finito di possibilità, una quantità di valore sempre più difficile da estrarre. Nessuno può creare più Bitcoins della quantità che è stato stabilito sia creata all’inizio, per il sommo orrore degli economisti moderni che guardano alla moneta legale come uno strumento necessario per muoversi nelle acque agitate della contemporaneità, e davvero con buone ragioni. Ma in Bitcoin non c’è gerarchia: nel senso che letteralmente non vi è nessuna origine sacralizzata (ἱεραρχία), nessun destino scritto, o sovrano unico, o intento nascosto nella sua essenza.

Bitcoin promette di essere il mezzo neutrale per un’economia basata sulla partecipazione, non l’editto di un re, una banca centrale, o i loro intermediari autorizzati – tuttavia, va detto, Bitcoin ha creato nuovi ricchi, coloro che hanno creduto  prima di altri nella promessa di questo algoritmo. La rottura offerta da questa nuova prospettiva sul denaro non ha a che fare con l’uguaglianza o il benessere, potrebbe non beneficiare la società o permetterci di uscire dalla crisi: è un reclamo per la neutralità della rete.

Un tale mezzo, dobbiamo anche ammettere, incarnerà la libertà di mercato della scuola economica austriaca. La Banca Centrale Europea ha prodotto nell’ottobre 2012 un’analisi della schema Bitcoin che afferma:

Le radici teoriche di Bitcoin possono essere rintracciate nella scuola austriaca di economia e nella sua critica all’attuale sistema della moneta legale e agli interventi assunti dai governi e da altre agenzie i quali, secondo questo punto di vista, determinano esasperazione degli affari e massiccia inflazione.

Questa visione dovrebbe essere presa con le pinze: può esagerare le ambizioni di Bitcoin, che è innanzitutto la riuscita implementazione di un sistema di scambi di valore nell’ambito digitale, il cui successo è dovuto alle dinamiche biopolitiche che stiamo esplorando in questo articolo. Tuttavia, l’interpretazione del suo ethos in fieri non è distante dalla realtà. È paradossale come, in un’epoca in cui assistiamo al fallimento di buona parte delle teorie economiche della scuola di Vienna, ci confrontiamo con narrazioni che le mistificano e le popolarizzano sull’onda di innovazioni tecniche e trasformazioni funzionali. Ma questo è un modo riduzionista di descrivere Bitcoin e dipende in maniera stretta dall’adozione di categorie universali: sono convinto che un simile metodo di analisi non permette la ricerca e la comprensione che stiamo tentando qui. Quindi facciamo un passo indietro e guardiamo alla simbologia di Bitcoin.

Se guardiamo alla storia delle icone utilizzate per coniare denaro, troveremo un lungo flusso di simboli di leadership: teste o corpi di umani o di animali che raccontano o significano il potere di scienziati, governanti, educatori, giudici o di uno stato–nazione. Molti sono i simboli di gerarchia che governano il conio e l’autenticazione della valuta, così come simboli di benessere e di mappe geografiche. Mi asterrò qui da iniziare un’analisi di tali simboli utilizzati nel passato, ma voglio osservare che Bitcoin ha e avrà una simbologia differente per glorificarsi.

La simbologia di Bitcoin riflette i valori condivisi della comunità che la sottende. Se ci fosse una persona che la rappresenta, questa sarebbe il suo misterioso creatore Satoshi Nakamoto, ma il fatto che egli non esista veramente rende le cose molto più interessanti. Uno dei primi simboli di Bitcoin era l’alpaca, e ad esempio il modello qui presentato viene da una vecchia discussione su un forum e a suo modo intende celebrare i primi artigiani ad aver venduto le proprie creazioni sul mercato Bitcoin.

Come esperimento, in un precedente articolo per la comunità di Bitcoin avevo suggerito l’uso di un trono vuoto come simbolo ponte tra l’iconografia classica, moderna e post–umana. L’immagine di un trono vuoto preparato (ἑτοιμασία τοῦ θρόνου) è un’icona che si trova nell’Antico Testamento e in vari testi incluse le Upanishad, un’icona sacra il cui valore “…non è mai così potente come quando il trono è vuoto”, commentava una volta l’archelogo Charles Picard. Il trono vuoto era usato sulle monete coniate nell’era Augustea ed esemplari scolpiti di esso si trovano a Cnosso e a Roma.

Ma la reazione della comunità Bitcoin a un tale antico simbolo di potere, malgrado il fatto che poteva rappresentare l’assenza di Satoshi Nakamoto, è stata negativa. Qualcuno ha commentato che “forse un trono vuoto spezzato sarebbe stato anche meglio, simboleggiando la rottura del vecchio potere”, qualcun altro ha suggerito che “un Bitcoin fisico dovrebbe avere uno specchio nel mezzo. Bitcoin è tutto centrato sull’individuo”, e ancora un altro suggerimento: “Bitcoin è mercuriale –  imprevedibile. È il folle dei tarocchi e la pietra di paragone. Trasforma gli elettroni di base in oro. Sovverte e svaluta tutte le norme e le convenzioni. Il folle è il simbolo perfetto per Bitcoin”. Molti hanno anche acclamato l’uso della maschera di Guy Fawkes, già adottata da Anonymous, dal fumetto e dal film V for Vendetta.

La gloria dietro a Bitcoin è perlopiù avvolta nel mistero, rivolta contro l’ingiustizia tirannica, rivendicazione dei diritti individuali, potere della distribuzione, rottura della mediazione, auto–determinazione. Ma anche, voglio affermare con forza, dalla presenza trasversale di un sentimento comunitario e la gioiosa consapevolezza che un potente processo si sta dispiegando nella storia: coloro che partecipano hanno la possibilità di esprimere sé stessi nella loro diversità, piuttosto che nell’uniforme, sterile e onnipresente linguaggio aziendale dell’economia.

 

Dopo la fase nella quale la Moltitudine ha costruito il suo corpo nel linguaggio, il ciclo di conflitti che si apre vedrà la Moltitudine impegnata nella costruzione del suo corpo oltre al linguaggio.

Christian Marazzi

8. Popolarità

Ora dovrebbe essere chiaro che un tale processo di soggettivazione come quello che stiamo descrivendo non è la semplice emergenza di una nuova tecnologia innovativa, non è solo λόγος su τέχνη, va ben oltre. L’enorme popolarizzazione di Bitcoin è la prova che le dimensioni di questo processo di soggettivazione sono multiple e non possono essere comprese adottando una singola narrazione, e ancor meno usando le categorie dell’analisi economica.

La popolarità di Bitcoin ad oggi è enorme e sta ancora crescendo: questo è un risultato della progressione biopolitica descritta sopra e la sua iscrizione in un particolare contesto, non è una qualità di Bitcoin soltanto. Bitcoin è radicato nei movimenti di protesta che hanno accompagnato la crisi finanziaria dal 2009 ad oggi, vale a dire il movimento Occupy. Benché vi siano ragioni per celare questo fatto per coloro che accolgono l’incondizionato e strumentale successo di Bitcoin, è importante registrare storicamente ciò per capire cosa potrebbe accadere in futuro.

La scena culturale attorno a Bitcoin è modellata attorno a nuovi valori che, malgrado le molte insidie, incarnano la ribellione contro “Il Sistema”. Nel corso dell’ultima conferenza di Bitcoin in Europa abbiamo visto chiaramente che quelle persone che sono vicine al progetto sono senza dubbio interessate alla visione d’insieme: sono consapevoli che una critica sistemica è il fulcro dell’esistenza di Bitcoin, al punto che il titolo della prossima conferenza non si limiterà a Bitcoin ma sarà “unSystem” conference (non–Sistema) e vedrà tra i relatori Anonymous, Occupy London, Voina[14] e Birgitta Jónsdóttir[15].

Essere popolari significa anche essere ramificati, divisi, replicati, clonati, ricombinati e infine appropriati dalla gente: un’icona popolare nutrirà la mente della cultura popolare senza consumare sé stessa, ma confondendo la sua autenticità nell’esistenza di nuove istanze popolari. Questo sta già accadendo con Bitcoin con conseguenze molto interessanti. Considerando che la sua popolarità sta soprattutto nella comunità degli hackers (o dovremmo dire, dei giovani cyborgs?), la ramificazione di Bitcoin sta facendo nascere molte interessanti implementazioni tecniche, che sono sia capaci di funzionare su larga scala che esplorare approcci insoliti alla moneta e al networking.

Tra le prime ramificazioni di Bitcoin troviamo alcune realizzazioni ironiche di essa: come la moneta di Cosby con la partecipazione della famosa stella televisiva Bill Cosby con un computer, o Carrots – solo carote, o Weed che era una valuta corrispondente al valore della birra tailandese preferita dal suo sviluppatore.

Ma vi sono anche ramificazioni serie di Bitcoin, sia complementari che alternative ad essa, e possiamo aspettarcene altre in futuro: NameCoin (la cui funzionalità è registrare nuovi domini di rete) o LiteCoin (che può essere estratta sulle stesse macchine dedicate al mining di Bitcoin senza interferenze) sono validi esempi.

Una ramificazione particolarmente interessante è Freicoin[16] che si innesta sulle idee  di Silvio Gesell per un sistema monetario con zero interessi sul credito: il valore della valuta “decade”, nel senso che con il passare del tempo perde valore. Freicoin non può funzionare come l’accantonamento di valore, una pratica comune tra gli utilizzatori di Bitcoin, quindi circola più velocemente. Implementando questa caratteristica, chiamata “demurrage”, questa è oggi una delle più promettenti gemmazioni di Bitcoin, almeno in teoria.

Con il mio personale progetto nella galassia Bitcoin, una cosa chiamata Freecoin[17], ho iniziato a documentare i fenomeni di gemmazione di Bitcoin sin dai loro inizi e ho promosso nella comunità la “configurabilità di questo codice genetico” e in generale l’uso di possibilità di personalizzazione  per le tecnologie che sottendono Bitcoin. Sono convinto che, mentre Bitcoin rappresenta una rottura politica unica con il vecchio establishment di governo del denaro, non ne rappresenti la soluzione finale.

Il bisogno di valute digitali basate su ricevute a triplice–firma non può essere semplicemente soddisfatto solo da Bitcoin. Tuttavia, rafforzato dalla popolarità e da tutte le conseguenze che abbiamo esplorato qui, Bitcoin potrebbe elevarsi sul lungo termine a riferimento fisso per le future implementazioni: è realistico predire che il suo valore aumenterà in futuro. 

9. Conclusioni 

È arrivato il momento di spiegare il titolo di questo articolo, cioè che Bitcoin sta rompendo il tabù sul denaro. Per molti anni abbiamo dato il denaro per scontato, senza nemmeno mettere in discussione la sua configurazione, senza analizzare la contabilità in termini sistemici. Lo abbiamo usato e ne siamo stati usati. Per parafrasare Georg Simmel, abbiamo fatto di noi stessi degli “esseri mediati”, gli intermediari tra il denaro e la creazione e la soddisfazione dei nostri stessi desideri.

Proprio come un tabù tanto vicino a noi da farci girare dall’altra parte, abbiamo evitato di porci la questione di cosa faccia esistere il denaro. Negli scorsi 50 anni e più la gente ha accettato quietamente la trasformazione del denaro in qualcosa di più astratto, lontano dalle mani di chiunque, che diventava di fatto solo un numero nei database delle banche, un gesto di interazione con computer che sanno più di quanto sappiamo noi sulle nostre proprietà. Diventato per alcuni “la radice di ogni male”, quasi una religione per altri, in entrambi i casi il denaro è stato troppo importante per essere messo in discussione e la sua evoluzione troppo naturale per essere intralciata dalle masse. È un sistema che permea la maggior parte se non tutte le interazioni della società umana, perlomeno nel mondo occidentale, così lo presupponiamo neutrale e, in ogni caso, non metteremmo mai in discussione la sua esistenza.

Buona parte delle analisi politiche studiano le dinamiche relative alla distribuzione del denaro, le sue relazioni con il lavoro, l’accumulazione, valori d’uso e valori di scambio. Gli universali hanno governato l’intero discorso attorno all’ingegneria monetaria e modelli matematici sono stati il metodo per spiegarne gli aspetti. Evidente eccezione a ciò, stanno le analisi sociologiche come quella di Max Weber che valutava la relazione tra etica e denaro attraverso i mutamenti storici della società. Ancora, ad oggi, solo pochi hanno osato guardare più attentamente nei sistemi valutari e nelle loro implicazioni biopolitiche, senza indossare gli occhiali protettivi degli universali storici stabiliti: questo è stato un tabù auto imposto per molti ricercatori e professionisti, la dissezione di questo mezzo, proprio come un corpo morto che non siamo autorizzati a studiare.

Ora che il denaro sembra morto o morente, è il momento di osare questa dissezione. Potrebbe essere che, superando questo tabù, troveremo modi per cambiare le cose su scala più ampia, soprattutto considerando la troppo a lungo dovuta linea di innovazione nel campo della contabilità che deve ancora essere applicata.

Infine, vi sono prove della rottura che sto indicando, sulla scia di molte nuove valute nate dopo Bitcoin: con tutta l’ironia e l’irriverenza implicite. Le porte sono state lasciate aperte dall’uomo misterioso: Satoshi il folle, Satoshi il santo, ha attraversato la linea che stava di fronte a tutti. Non c’è più un tabù sul denaro. Bitcoin non ha davvero a che fare con la perdita di potere di pochi governi, ma con la possibilità per molte persone di sperimentare nuove sovranità costituenti.

10. L’autore 

Denis Roio, noto anche col suo nickname da hacker Jaromil, è un artista, attivista e sviluppatore di software presso Dyne.org. Le sue creazioni sono segnalate dalla Free Software Foundation e redistribuite da diversi sistemi operativi GNU/Linux e BSD in tutto il mondo, ed è anche un attivo divulgatore nell’ambito della teoria dei media. Jaromil pubblica arte concettuale in forma digitale dal 2000, ha guidato  le attività R&D presso il Netherlands Media Art Institute per 6 anni, è stato insignito del premio Vilem Flusser nel 2009 e della borsa di studio nel programma 40 under 40 per i giovani leader europei nel 2012. Attualmente sta scrivendo la sua tesi di dottorato del Planetary Collegium M–Node presso la NABA di Milano.

11. Bibliografia

• Agamben, G., 2007, “Il Regno e La Gloria”, Neri Pozza

• Ascott, R., 2003, “Telematic Embrace”, Univ. California press

• E.C.B, 2012, “Virtual Currency Schemes”, European Central Bank

• Flusser, V., 2002, “Writings”, Minnesota Univ. press

• Foucault, M., 1979, “Cours au Collège de France 1978-1979”, Feltrinelli

• Fumagalli A., Marazzi, C., Zanini A.,  2003, “La Moneta nell’Impero”, Ombre Corte

• Grigg, I., 2005, “Triple Entry Accounting”, Systemics Inc.

• Levy, S., 1994, “E-Money”, Wired USA, issue 2.12

• Lietaer, B., 2001, “The Future of Money”, Random House

• Nakamoto, S., 2009, “Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System”, Bitcoin website

• Negri and Hardt, 2010, “Commonwealth”, Harvard Univ. press

• Sachy, M., 2012, “The empowering potential of complementary currencies and alternative payment systems”, Silent University Tate Modern

• Simmel, G., 1900, “Philosophie des Geldes”, DigBib.org 

[1] Video introduttivo a Bitcoin “We Use Coins” http://www.weusecoins.com

[2] References for the Bitcoin entry on Wikipedia http://en.wikipedia.org/wiki/Bitcoin#References

[3] The Good Wife TV series on CBS, season 3 episode 13, recap:  http://blogs.wsj.com/speakeasy/2012/01/16/the-good-wife-season-3-episode-13-bitcoin-for-dummies-tv-recap/

[4] Articolo di Levy su Wired:  http://www.wired.com/wired/archive/2.12/emoney.html

[5] Software Freedom Day, 2011, video:  http://www.youtube.com/watch?v=hdNRw-LWDUY

[6] Slashdot post su http://news.slashdot.org/story/10/07/11/1747245/Bitcoin-Releases-Version-03

[7] Homepage di dyne:bolic GNU/Linux OS:  http://www.dynebolic.org

[8] Vedi anche http://it.wikipedia.org/wiki/Proof-of-work. Alcuni termini specialistici sul tema trattato (proof of work, hash e hashes, Bitcoin mining, token) non sono mai stati tradotti in italiano. A tal fine si rimanda al  link alla relative voce di Wikipedia in italiano che è piuttosto esauriente (ndt.)

[9] Articolo di blog su http://trustcurrency.blogspot.nl/2011/03/bitcoin-rube-goldberg-machine-for.html

[10] In inglese, “triple-signed receipt method” (ndt).

[11] Grigg, 2005 – http://iang.org/papers/triple_entry.html

[12] Persone come Riccardo Luna, ad esempio, un difensore televisivo dell’innovazione della rete e digitale in Italia, hanno iniziato una crociata mediatica contro quello che definiscono “il web oscuro”

[13] Bitcoin forum, “Bitcoin Manifesto” su https://bitcointalk.org/index.php?topic=5671.0

[14] Un gruppo russo di artisti di strada molto conosciuto per i suoi lavori di arte performativa provocatori e politicamente impegnati.

[15] Membro dell’Assemblea Costituzionale del Parlamento Islandese ed ex membro di Wikileaks

[16] ”Freicoin: a peer-to-peer digital currency delivering freedom from usury” http://freico.in

[17] ”Freecoin is not a currency, but a suite to create P2P currencies” http://freecoin.ch


 [F1]Ho aggiustato e fatto un po’ di correzione bozze sul tuo testo

Il fenomeno Bitcoin: moneta alternativa o moneta speculativa?

di Gianluca Giannelli e Andrea Fumagalli, SanPrecario – 17/12/2013

Negli ultimi mesi, una bolla seculativa ha interessato il Bitcoin, la moneta digitale lanciata dalla galassia hacker alternativa nel 2009 come possibile nuovo strumento monetario per realizzare scambi privati, al di fuori del controllo dei potentati creditizi-finanziari. E’ stato scritto che il Bitcoin potrebbe rappresentare una minaccia al sistema della moneta “fiat”, quella emessa dalle Banche Centrali. Ma è proprio così? E’ possibile pensare a circuiti finanziari alternativi?

 * * * * *

Arricchimento, clamore, volatilità. Queste le parole associate, di recente, al fenomeno “Bitcoin” (BTC) e, in generale, delle monete virtuali o criptomonete, come vengono definite.

Molti, anche in Italia, soprattutto nell’ultimo mese, ne hanno sentito parlare. Pochi ancora sanno cosa sono. Tutti però le associano a possibilità di ricchezza improvvisa.

Il BTC e le altre circa 40 monete nate in sua emulazione, sono semplicemente file criptati ovvero sequenze alfanumeriche (numeri e lettere) generate da computer – a seguito della esecuzione e risoluzione di un determinato algoritmo –  collocati all’interno di una rete “peer to peer”.

L’algoritmo è specifico per ogni “moneta”.

Esistono anche “suite” per la creazione di monete “fai da te”: algoritimi che generano algoritmi, che generano stringhe.

L’idea di per se non è nuova; già le istituzioni governative e bancarie nazionali, da diverso tempo, hanno intrapreso la strada di attribuire valore monetario a sequenze di numeri create artificialmente sulla base delle dinamiche del debito/credito statale, aziendale e personale. L’algoritmo è ovviamente diverso; in questo contesto la sua funzione è assolta dalle percentuali di riserva delle banche, dai tassi di interesse e dalla semplice decisione (il… “fiat” non “lux” ma “currency”) di generare moneta. Il “quantitative easing” della Fed, (Banca Centrale USA) ad esempio, genera 85 miliardi di dollari al mese. L’Ltro della BCE, ne è un altro esempio, se pure con leggere differenze rispetto al primo.

Oggi, dopo la fine di Bretton Woods, assistiamo alla completa smaterializzazione della moneta. Il suo valore, convenzionalmente fissato nel 1944 a Bretton Woods dalla parità fissa con l’oro nel rapporto di 35 dollari US per oncia d’oro, è decaduto. Da moneta “merce” e moneta “oro” si passa alla moneta come “puro segno” (Marx), passaggio che, grazie al processo di finanziarizzazione, ha di fatto ridotto il peso dei diritti di signoraggio e anche la possibilità da parte delle Banche Centrali di controllare in toto la massa monetaria in circolazione e il moltiplicatore creditizio e finanziario che ne consegue.

La moneta, in questo modo, si smaterializza del tutto. Oggi la moneta non è più una merce o un bene. Non esiste più un’unità di misura del valore della moneta, come il metro per la lunghezza o il chilogrammo per il peso. A prescindere dal fatto che esistono ancora i monopoli di emissione e i diritti di signoraggio, a prescindere dalla struttura proprietaria, in quanto non più un bene, la moneta non può neanche essere definita bene comune. Con la fine degli accordi di Bretton Woods, il valore della moneta non è più determinato esclusivamente da chi la emette. La sovranità monetaria (nazionale o sovranazionale, che sia), la cui governance è il compito della Banca Centrale, tende a perdere sempre più significato.

Sino alla crisi del fordismo, l’istituto della Banca Centrale ha avuto il compito di esercitare un controllo puntuale e diretto sulla quantità di banconote e monete coniate dalla Zecca nazionale. Ma il 95% della moneta circolante è oggi erogato da banche private nella forma di prestiti o attività speculative; su questa quota della moneta circolante la Banca Centrale ha solo un controllo molto indiretto tramite l’imposizione della riserva obbligatoria sull’ammontare dei depositi. Ciò significa che, nonostante la Banca Centrale possa unilateralmente e autonomamente fissare i tassi d’interesse e imporre una riserva obbligatoria alle banche, la quantità di moneta in circolazione è sempre meno controllabile dalla stessa Banca Centrale. In un sistema capitalistico che si basa su un’economia finanziaria di produzione, la quantità di moneta esistente viene endogeneamente determinata dal livello di attività economica che si registra e dall’evoluzione delle convenzioni finanziarie che regolano il mercato internazionale della finanza e delle valute. La Banca Centrale può solo cercare di aumentare o di ridurre la massa monetaria circolante, ma nulla più. Tale possibilità viene oggi ulteriormente ridotta dal nuovo ruolo che hanno assunto i mercati finanziari, sia nel finanziare l’attività di investimento (tramite le plusvalenze generate), sia come creatori di titoli altamente liquidi (definita “near money”, “quasi moneta”).

Di fatto, in modo paradossale, i poteri discrezionali delle Banche Centrali sono tanto più diminuiti quanto più esse stesse sono diventate istituzioni politicamente indipendenti. Di conseguenza, i poteri gestionali del settore bancario e, tramite la regolazione dei tassi d’interesse, dell’intero sistema economico della Banca Centrale sono sempre più ancillari alle dinamiche che si svolgono sui mercati finanziari e quindi sempre più dipendenti dalle oligarchie che li dominano.

Ciò significa che nel bio-capitalismo cognitivo, la moneta e la determinazione del suo valore non è più sotto il controllo della Banca Centrale, cioè dell’istituto che, formalmente, la emette. Nel momento stesso in cui la moneta è pura moneta segno, essa sfugge a ogni controllo pubblico. La moneta perde lo stato di “bene di proprietà pubblica”. Il suo valore viene determinato, di volta in volta, dall’operare dell’attività speculativa dei mercati finanziari. Le sue funzioni di mezzo di pagamento e unità di conto (misura del valore), nonché di riserva di valore e di strumento di finanziamento dell’attività di accumulazione /valorizzazione, sfuggono a qualsiasi controllo. Nel momento in cui la sua quantità e le modalità di circolazione vengono determinate dalle convenzioni che si determinano sui mercati finanziari,sempre più concentrati, la moneta è ostaggio delle aspettative che le oligarchie (o meglio, la dittatura delle oligarchie) dei mercati finanziari di volta in volta è in grado di esercitare. Oggi, possiamo affermare che la creazione di moneta-finanza è esatta espressione del comunismo del capitale. Ne è riprova il fatto che le scelte statuali di politica monetaria sono in funzioni della dinamica finanziaria. Gli stessi tassi d’interessi non sono più controllabili in toto dalla politica monetaria.

La moneta contemporanea è, dunque, espressione del biopotere finanziario, in quanto il suo valore è determinato dalle convenzioni finanziarie che la governance dell’espropriazione del  comune è, di volta in volta, a secondo delle condizioni, in grado di imporre.

Nel caso delle cripotmonete, la novità principale risiede nella sostituzione nel soggetto decisionale: non più istituzioni deputate, (assai poco) democraticamente, alla gestione della politica monetaria e finanziaria, bensì la moltitudine dei singoli individui che decidono di produrre o “estrarre” le “stringhe” con i loro computer in rete e quella di singoli individui che decidono (fidandosi) di riconoscere valore monetario a quelle stringhe generate.

In un’epoca macchinico-algoritmica come quella in cui viviamo, non deve stupire che la moneta non si stampi più ma si generi e che la fiducia non sia più riposta nell’agire umano ma nella correttezza formale di un algoritmo eseguito da macchine e/o da decisioni di elite tecno-finanziarie.

Proprio la sfiducia nell’agire etico e politico è alla base della nascita delle criptomonete. Il dipendere delle monete tradizionali da soggetti istituzionali le cui decisioni non sono più ritenute tutelanti l’individuo e la sua libertà, ha spinto i creatori delle criptomonete e i loro principali fautori a cercare detta tutela nella azione imparziale delle macchine.

Per molti di essi anche il processo democratico potrebbe – anzi, dovrebbe – essere sostituito da decisioni algoritmizzate eseguite con imparzialità da computer.

La giustizia è imparzialità, e la politica, che non appare più in grado di attuarla, deve essere sostituita da macchine il cui comportamento non è condizionato da particolarismi di alcun genere.

Anche le esperienze politiche della cosiddetta “democrazia elettronica” vanno in questa direzione, pur non prevedendo la completa sostituzione – per ora – del “data processing” alla decisione collettiva.

Peccato, però, che la politica – nella sua accezione orientata all’equità sociale – sia, al contrario, proprio scelta di “parzialità” e che la giustizia sociale possa determinarsi solo dell’assunzione di decisioni di “parte” che privilegino cioè la riduzione delle condizioni di sfavore in cui i molti versano rispetto ai pochi (sempre più ricchi).

Invece di mutare la politica, la si elimina e ci si affida ad un “regolatore elettronico” nella soluzione dei problemi di convivenza collettiva, che vengono ricondotti alla sola maggiore o minore libertà dell’individuo.

In quest’ottica, la moneta creata da algoritmi rischia di essere concepita di fatto come neutrale al sistema di produzione e distribuzione della ricchezza.

La società del “problem solving”, dell’esistenza individuale, sta lentamente soppiantando la società del benessere collettivo di matrice otto-novecentesca. Dall’assunto che solo in un società giusta l’individuo può star bene, si passa all’assunto che solo se l’individuo sta bene si potrà avere una società migliore.

E’ chiaro che la tecnologia – in particolare quella sviluppatasi dagli anni ‘70 con il passaggio dall’era del transistor a quella del chip e, di lì a poco, della rete – ha effettivamente donato il fuoco prometeico all’individuo necessario per la sua liberazione dalle vecchie soggettivazioni e il suo assorgere ad assoluto ontologico, connotato dall’imperativo esistenziale della massimizzazione del piacere e del profitto, e che trova la propria traduzione nel dispositivo ideologico dell’individualismo proprietario.

La logica del linguaggio macchina con il suo procedere per soluzioni di algoritmi, finisce per influenzare anche la relazione dell’individuo con la realtà rappresentata, per l’appunto, come “problematica” e alla quale relazionarsi, quindi, in termini di ricerca di soluzioni piuttosto che come esperienza da vivere.

Anche l’ “altro”, gli “altri”, assumono connotato problematico in luogo di quello di incontro e opportunità di condivisione politica ed etica di relazioni umane volte alla liberazione del desiderio e la soddisfazione dei bisogni.

La promessa della tecnologia non si esaurisce in un fuoco istantaneo: quella donata da Prometeo è di origine divina, quindi inesauribile. Promette un futuro oltre ciò che mantiene nel presente, spingendo il desiderio dell’individuo oltre i limiti dell’uomo, oltre i suoi confini biologici verso l’ibridizzazione di una nuova specie. L’uomo “incorpora” (in senso letterale) la tecnologia, quanto la tecnologia stessa innesta l’uomo nelle sue meccaniche sistemiche.

Forse le biotecnologie, la bionica e, in generale, le interfacce neurali uomo/macchina rappresentano il confine attuale di questa mutazione. Forse sarà l’alba di una nuova fase dell’evoluzione dell’uomo al quale la tecnologia promette, in cambio, la soluzione del grande mistero della morte.

Ma, quando si guarda l’abisso anche l’abisso guarda dentro di noi …

Nel frattempo, nel presente, già profonde sono le mutazioni avvenute.

Non stupisce che, dagli anni ’90, finanza e tecnologia abbiano stretto un sodalizio nel reciproco sviluppo, al quale il diritto, in tutte le sue articolazioni, non ha fatto altro che fornire legittimazione alle nuove libertà dell’individuo tecnocratico votato al profitto e, dietro il cui imperativo e dispositivo libertario, vecchie e nuove elite di potere hanno riproposto, in chiave neoliberista, modalità di controllo e segregazione sociale.

Non stupisce neanche come, nel caso delle criptomonete, sia proprio la tanto agognata libertà dell’individuo a determinare l’attuale fase della loro evoluzione in una direzione alquanto diversa, forse, da quella inizialmente ipotizzata.

Il Bitcoin nasce come moneta – prodotta da reti “peer to peer” in modo decentrato e anonimo – da utilizzare per la funzione principale della moneta ovvero come mezzo di scambio. Sin dalla sua origine – circa 4 anni fa – tuttavia, il suo valore è stato definito dalla rapporto di conversione con il dollaro USA, al quale si sono poi aggiunte nel tempo altre valute quali Euro, Sterlina inglese, Rublo russo e Yuan cinese. Il BTC quindi rientra anch’esso nel sistema del dollar index anche se, non avendo valore legale, non è riconosciuto e attuato alcun cambio con le citate valute.

Circa la sua diffusione quale mezzo di pagamento, dalla sua nascita un numero sempre maggiore di esercizi commerciali – in gran parte del commercio elettronico ma non solo – lo ha accettato nelle transazioni, sempre ancorando il prezzo dei beni e servizi al loro valore in dollari, ancora oggi valuta internazionale di riferimento. Come noto il BTC è anche il mezzo di pagamento più diffuso in rete per le transazioni illegali che avvengono nel cosiddetto “deep web” ove sono considerate valore aggiunto l’anonimato e la (apparente) irrintracciabilità degli attori delle transazioni.

Fino a circa 3 anni fa, il valore del BTC era di 9 dollari USA, a mala pena sufficiente a coprire i costi necessari alla sua generazione da parte di coloro che con i loro computer decidevano di entrare nella rete “peer to peer” necessaria alla produzione o, come si dice, “estrazione” della stringa/moneta.

I costi erano relativi all’allestimento di un computer in grado di elevata capacità di calcolo e a quelli (non irrilevanti) della corrente elettrica.

Due caratteristiche insite nell’algoritmo del BTC (e comune a tutte le criptomonete) ne rendevano rischioso ulteriormente l’investimento: il numero finito di stringhe estraibili – massimo 21 milioni per il BTC – e l’incremento progressivo della difficoltà di estrazione delle “stringhe”, relazionato al numero totali estratto e alla quantità e capacità di elaborazione complessiva progressivamente espressa dalla rete. Questo, al contempo, lasciava intendere che, all’avvicinarsi del raggiungimento dei 21 milioni di stringhe estratte, il valore del Btc dovesse necessariamente aumentare a condizione, ovviamente, della sua reale ed effettiva diffusione come mezzo di pagamento. In caso contrario, al termine, sarebbero rimaste solo… stringhe alfanumeriche.

Alcuni articoli della stampa specializzata avevano attirato l’attenzione di un pubblico sempre maggiore determinando da un lato un aumento di addetti all’estrazione e dall’altro un aumento degli esercizi che lo accettavano come mezzo di pagamento. Il valore, di conseguenza, registrava incrementi giungendo, nell’ottobre del 2013, a valere circa 200 dollari.

È nel corso del 2013, per l’appunto, che il Bitcoin esce dalla nicchia di “nuance tecnologica di geek e nerd tecnolibertari o di coloro che quando vedono qualcosa Apple hanno un’eccitazione superiore alla media degli individui”, per divenire strumento di investimento speculativo.

Il mercato si arricchisce di soggetti e funzioni che ne aumentano l’articolazione, strutturandola.

In tutti i casi – e per tutte le funzioni assolte – l’obiettivo degli individui è trarre probabile futuro profitto dall’investimento di denaro nel presente.

Con l’aumento della difficoltà di generazione delle “stringhe” – insita, come detto, nell’architettura stessa dell’algoritmo – il processo era divenuto più oneroso per i singoli utenti a patto di non “upgradare” di continuo l’hardware. Erano, così, sorte società con siti specializzati nel “segmentare” la rete in unità più piccole chiamate “pool” ove gruppi specifici di utenti potessero cooperare e divedersi le monete generate. I “pool” attuavano una cooperazione ristretta all’interno della più generale cooperazione della rete complessiva, consentendo anche a utenti con hardware non eccessivamente dimensionati di poter ricevere, in un tempo minore, la moneta estratta grazie alla potenza computazionale dell’intero pool al quale avevano aderito.

Questo, in cambio di un piccola commissione – “fee” – da conferire all’atto del trasferimento della moneta dal “pool” al portafoglio elettronico residente sul proprio computer. Ma, con il passare del tempo e l’aumento della difficoltà, anche questo non risultava più sufficiente in questa “corsa all’oro” del terzo millennio.

Aziende fornitrici di hardware iniziano, così, la progettazione e produzione di periferiche specifiche per l’estrazione di BTC.

Parallelamente sul versante finanziario proliferano siti di società “cambia valute” specializzate nel cambio del BTC con le valute ufficiali e con altre criptomonete. Ognuna con le proprie quotazione della moneta che possono registrare, tra esse, anche differenziali del 10%. Il guadagno consiste nel ricavato pagamento del “fee” (analogo a quello visto in precedenza) e dalla possibilità di investire nel mercato stesso le riserve valutarie – valute “fiat” e digitali – depositate dagli utenti presso i siti “cambia valute” per effettuare le transazioni. Un pò come operano le banche con i “giorni di valuta” nei movimenti dei conti correnti della clientela.

Alcune società di brokeraggio si specializzano anche nel trading finanziario, consentendo di “tradare” il BTC al pari di qualunque valuta del mercato Forex, con annessa possibilità di utilizzo della leva finanziaria. Il Forex è noto per essere il mercato più “liquido”, di grandi volumi e speculativo esistente (il volume giornaliero delle contrattazioni è superiore a 1,5 trilioni di dollari US. Esso è, in ordine di grandezza, maggiore dei mercati azionari e obbligazionari mondiali messi insieme. La Borsa Valori di New York, per esempio, ha un volume di contrattazioni giornaliere di circa 30 bilioni di dollari. Si calcola che, oggi, il 90% delle transazioni su questo mercato sono di natura speculativa).

Non mancano, inoltre, società di investimento pronte a lanciare derivati specifici sul BTC in grado di assicurare i detentori o produttori/estrattori dalle fluttuazioni future del suo valore, analogamente a quanto accade per le materie prime o per i prodotti agricoli e o alimentari.

Così come, altri broker inaugurano specifici “CFD/BTC” (“contract for difference” sui BTC), strumenti finanziari con leva finanziaria, commerciabili nel circuito finanziario telematico “OTC” (“over the counter”).

Il bitcoin entra nella sua dimensione di asset di investimento speculativo, passando così dal “bit” informatico, che ne aveva caratterizzato il passato, al “tick” finanziario che ne rappresenta il presente (il “tick” di negoziazione è la variazione minima tra due prezzi che possono essere immessi sul mercato e rappresenta la frazione di un’unità predefinita della valuta in cui il titolo è negoziato. Es.: cambio EU/USD 1,38001 – il “tick” è la quinta cifra dopo la virgola).

Nella metà dello scorso mese di novembre, il BTC raggiunge la quotazione massima di 1.240 dollari US mentre un specifico fondo di una società di investimento – nato nei dodici mesi precedenti – faceva, nel contempo, registrare un “ritorno” di ben il 4847% dell’investimento.

Un ruolo decisivo nell’impennata del valore del BTC registrata tra ottobre e novembre è attribuita all’entrata nel mercato di operatori finanziari cinesi, per quanto la sua diffusione in Cina era già datata ma limitata alla sola produzione/estrazione. In questo caso, non si sarebbe trattato solo di investimento speculativo ma anche un modo di acquisire capitali dall’estero, in aggiramento delle rigide norme valutare del Governo cinese, e per poter effettuare operazioni di mercato “non visibili” in yuan e dollari. Il tutto utilizzando come “cortina fumogena” il grande interesse dei teen-ager cinesi per il BTC quale mezzo di pagamento per siti “vari” di intrattenimento digitale.

Tanto clamore e arricchimento hanno alla fine destato l’interesse delle singole autorità monetarie nazionali.

Le reazioni sono raggruppabili in due tipologie generali: da un laico “no problem basta che si paghino le tasse sulle plusvalenze” da parte degli occidentali, ad un assoluto divieto emesso della Banca Centrale Cinese a tutti i soggetti istituzionali di utilizzare le monete elettroniche come valuta nelle transazioni o come forma di investimento finanziario da consigliare alla propria clientela.

Ma chissà che, con il vento riformista annunciato dal governo Cinese in queste settimane – e che dovrebbe prevedere anche una certa deregolamentazione e decentralizzazione del mercato finanziario interno, detto divieto non si sterilizzi, di fatto, in futuro.

Tuttavia, la conseguenza immediata del divieto è stata la decisione di Baidu (l’equivalente cinese di Google) di non accettare più i bitcoin come mezzo di pagamento.

Il crollo del BTC dei giorni successivi passando dai 1240 dollari US agli 800 potrebbe aver rappresentato l’uscita dal mercato di “spaventati” operatori o l’avvio di una fase speculativa al ribasso o… un mix di entrambe .

In questi giorni è in “rally” tra gli 950/850 dollari US mostrando segni di ripresa ma sempre di estrema volatilità.

Scenario futuro? Impossibile a dirsi oggi.

Quel che è certo è che il futuro sarà esito complessivo dell’azione, spesso contrastante, di tutte le forze che agiscono sul mercato. Sicuramente tali esiti saranno fuori dal controllo degli ideatori e dei primi fanatici sostenitori del BTC, riaffermandosi in questo la considerazione che non basta assicurare le libertà all’individuo per avere una società necessariamente libera.

Alcune considerazioni.

Per quanto non prevedibili gli sviluppi futuri, il bitcoin non sembra essere un fenomeno transitorio; potrà, certamente, mutare in altro e/o dar luogo ad altro,  ma ha introdotto un precedente indietro al quale non sarà possibile tornare.

Sono oltre 40 le criptomonete nate a seguito del BTC che cercano di emularne il percorso – ivi cmpresi gli aspetti speculativi altamente remunerativi – riuscendo ad attrarre investimenti di coloro per i quali entrare nel mercato di estrazione del BTC è ormai troppo tardi ma che cercano ugualmente di far fortuna. Il Litecoin –LTC – è la seconda moneta per dimensione anche se molto lontana dai valori del BTC. Se quest’ultimo viene paragonato all’oro, sicuramente LTC può essere considerato l’argento. Comincia anch’esso a entrare nella fase della finanziarizzazione anche se a livello embrionale (si può commerciare solo su un numero limitato di siti) e con andamenti correlati a quelli del BTC. Esistono già anche cambi reciproci BTC/LTC. Il principale ostacolo alla diffusione delle altre monete è determinato attualmente proprio dal BTC, interessato a disinnescare sul nascere qualunque ipotesi concorrenziale.

Tuttavia, nel contempo, sono sorte “suite” per la creazione di criptomenete “fai da te”, per cui le possibilità di proliferazione aumentano esponenzialmente. Si andrà da quella creata come business puro a ipotesi più “socially o mutually” di criptomonete per comunità specifiche (versione hi-tech del braccialetto con le palline dei villaggi vacanze ma “politically correct” o “antagonist” o “green” o quel che vi pare…). L’importante che sia “cool” e “in” nell’ambiente di riferimento, ovvero che si trovino persone disposte a condividerne ed accettarne il valore.

È facile ipotizzare un andamento non dissimile a quanto accaduto in passato con le distribuzioni del sistema operativo open source linux. Del resto, l’ambiente di riferimento per entrambi  – criptomonete e opensource – è il medesimo. Oggi, si contano centinaia di versioni di Linux così come, domani, potrebbero contarsi centinaia di cripotomonete. Quale di esse, però, sarà la futura Ubuntu delle monete? E il mondo “legacy” starà a guardare? Nasceranno i Microsoft e Apple delle cripomonete? E si formeranno “utenti” e “u-tonti” di monete come, oggi, ci sono dei software?

È di pochi giorni fa la notizia che JPMorgan ha registrato un proprio brevetto di moneta digitale da utilizzare nel mercato dell’e-commerce; un mercato che solo negli USA, nel 2012, ha registrato vendite per 224 miliardi di dollari.

Mentre “Bofaml” (Bank of America Merrill Lynch), sempre di recente, ha individuato la soglia di 1.300 dollari quale target price futuro del BTC, pur se stimato sulla base di premesse e assunti metodologici non propriamente rigorosi connessi al dimensionamento e penetrazione del mercato del e-commerce su scala mondiale, al valore dell’oro e al volume delle transazioni registrate dalle società di trasferimento internazionale di valuta.

Il valore del BTC sarà determinato, con molta probabilità, dall’allinearsi o meno della doppia natura della moneta quale mezzo di scambio e riserva di valore, funzioni che attualmente sembrano, invece, agire in modo contrapposto. I possessori di BTC, così come coloro che ancora li estraggono (al pari di altre criptomonete), non li usano per comprare beni e servizi ma li trattengono nella prospettiva di un aumento del loro valore rispetto al dollaro attribuendo, quindi, alle critpomonete anche la funzione di riserva di valore.

Questa considerazione è confortata dall’estrema volatilità del valore delle monete elettroniche all’interno di un trend comunque rialzista, nonché dalla condizione, insita nell’algoritmo, di una possibilità di generazione limitata del loro numero complessivo. Non spendere le monete determina una ridotta diffusione del loro uso e dei servizi connessi alla commercializzazione che amplificherebbe, autoalimentadole, le tendenze deflazioniste della moneta stessa. La forte riduzione degli scambi di BTC per acquisto di beni e servizi – registrata dai mesi di luglio e agosto in poi  – è la conferma che la moneta sta assumendo e concentrando in se la sola funzione di asset di investimento speculativo, deprimendo la sua funzione di mezzo di pagamento. Solo l’aumento di tal funzione, e quindi della diffusione nell’uso concreto del BTC, potrà contribuire – al verificarsi di altre condizioni – a conferire stabilità al valore della “stringa” e aumentarne la credibilità come “moneta”.

Tra le condizioni favorevoli vi è senza dubbio quella di un aumento in qualità e quantità della infrastruttura per l’utilizzo del BTC come mezzo di pagamento. Su questo punto, iniziative di “venture capital” hanno già scommesso sui possibili sviluppi collocando investimenti sia in “start-up” specifiche che nel consolidamento e diversificazione delle aree di business di aziende già operanti nel mercato BTC. Le aree di business individuate non comprendono solo implementazioni nell’uso della moneta ma anche le prospettive aperte dall’uso esteso della tecnologia stessa del BTC, grazie alla quale costruire e diffondere nuovi standard e infrastrutture critiche delle comunicazioni telematiche per nuovi scenari di sviluppo delle transazioni on-line.

Questi scenari di ulteriore articolazione e sviluppo del mercato legato alla criptomoneta rischiano, tuttavia, di tradursi in un’occasione di ristrutturazione di un segmento di mercato del capitalismo finanziario con l’apertura di nuove aree di business frutto di quelle medesime logiche che il BTC voleva – almeno nelle sue origini e in parte dei suoi sostenitori – combattere. Certo potrà aver sortito una piccola mobilità sociale data dall’arricchimento improvviso di taluni ma, ben poca cosa rispetto alle promesse di liberazione dei molti che ne avevano salutato la nascita.

Se effettivamente il BTC è il prodotto della rete, lo stesso non può dirsi per il suo valore in dollari. Questo sembra piuttosto, e in prima istanza, l’esito di uno sfruttamento da parte di “alcuni” della risorsa cooperativa messa a disposizione dai “molti”. L’alto valore in dollari finisce, paradossalmente, da un lato per deviare dalla giusta direzione la cooperazione e, dall’altro, per consolidarne la sussunzione. E questo grazie alla (non tanto illusoria) possibilità di arricchimento individuale.

La dinamica finanziaria che sta alla base del valore del BTC sta, attualmente, riproducendo analoga dinamica dei rapporti di forza esistenti nel mondo della produzione e delle monete reali. Quel che si voleva evitare affidando alle macchine la generazione della moneta si è, invece, riproposto nella modalità di attribuzione del suo valore in dollari. Chi o cosa determina il valore? Chi o cosa nel mercato BTC ha preso il posto delle istituzioni governative nella determinazione del valore e delle sue oscillazioni?

Ironia della sorte: la moneta nata per scongiurare l’inflazione rischia di scomparire per deflazione.

Ma è nella natura anch’essa profondamente individualista dei molti che si nasconde la condizione stessa di tale sussunzione. Sussunzione che è rappresentata dal combinato alto valore in dollari del BTC e dal suo contemporaneo accantonamento e non utilizzo. Sussunzione che è resa possibile dalla ricerca della massimizzazione del profitto individuale, oltre la logica e il fine ultimo che aveva la moneta all’atto della sua ideazione e della scelta di partecipare alla sua creazione.

La moneta da strumento è divenuta fine in sé del processo di cooperazione moltitudinario. Anzi, per meglio dire, di una parte della moltitudine; quella, giova ricordarlo, tecnologicamente molto più alfabetizzata della media, parametro questo ormai indispensabile per definire le nuove caratteristiche della povertà relativa e della capacità di sopravvivenza nella società contemporanea e, in ultima analisi, anche parametro dirimente per una concreta attuazione di politiche del “comune”.

La capacità di elaborazione espressa dalla rete “peer to peer” che estrae i BTC è, già da tempo, superiore a qualsiasi rete analoga mai messa in esercizio. Vien da chiedersi se tale potenza di calcolo si sarebbe potuta ottenere per il raggiungimento di un obiettivo collettivo, ad esempio la ricerca della cura di una malattia. In altre parole, gli individui che attualmente stanno cooperando per prodursi BTC da tenere nei computer in vista di un aumento del loro valore in dollari, avrebbero messo a disposizione le loro risorse per un obiettivo non direttamente a loro vantaggio?

Il valore in dollari del BTC e la sua natura speculativa attuale sembrano, infine, anche essere conseguenza di errati presupposti insiti nella concezione alla sua stessa base.

Il suo ancoraggio di fatto al valore del dollaro, ne aveva da sempre connotano l’esistenza nei termini di affiancamento e non sostituzione delle monete legali. Anche la stessa promessa di immunità al processo inflattivo sarebbe risultata alquanto compromessa dall’essere il valore dei beni e servizi – eventualmente pagati in BTC – determinato prioritariamente dal loro valore espresso in dollari che, come tali, non ne sono immuni. Quindi, se da un lato il BTC è sottoposto a dinamiche deflattive endogene, esso è – nel contempo – soggetto a dinamiche inflattive esogene o da contagio. Questo in quanto il BTC non si mostra come moneta esito di una specifica e propria modalità di organizzazione della produzione e della società, quanto piuttosto si mostra anche’esso quale esito del modo di produzione capitalistico nella sua odierna configurazione tecno-finanziaria e biocognitiva.

Quattro anni fa, ad esempio, una pizza costava 9 dollari e, poichè un BTC era pari a 9 dollari, con un BTC si poteva comprare una pizza. Oggi la stessa pizza costa 9,50 dollari e, ipotizzando immutato il rapporto dollaro/BTC (ovvero ipotizzando di neutralizzare la spinta deflattiva endogena del BTC, cosa che sappiamo non sta accadendo nella realtà speculativa attuale essendo il rapporto BTC/dollaro pari a 900 a 1), occorrerebbero pertanto più BTC per acquistare quella stessa pizza.

Detta in altri termini, l’essere la relazione BTC/merce mediata dalla relazione dollaro (o valute “fiat”/merce) implica che anche il BTC si caratterizzi, in ultima analisi, come una variante delle monete del capitale.

Questa considerazioni assumono rilevanza per le riflessioni sulla possibilità di creazione di una “moneta del e per il comune” e sulla possibilità o meno di assumere a tale scopo il BTC o altre cripomonete.

La moneta è effetto, prima che causa, di una determinata configurazione della società, delle dinamiche di soggettivazione in essa agenti e dei rapporti di forza e di potere operanti.

Un ipotetico valore della moneta del comune dovrebbe rappresentare e contenere il valore della cooperazione sociale quale modo di produzione e distribuzione della ricchezza nella sua accezione più ampia, e non meramente economica nè monetaria, e la cui forza dovrebbe muovere verso la distribuzione piuttosto che nella concentrazione o accumulazione.

Così,  la potenza del denaro, attraverso la moneta, andrebbe “liberata” piuttosto che moltiplicata.

Così come, del resto, liberati andrebbero i desideri di vita delle singolarità verso modalità di soddisfacimento dei bisogni situati e qualificati da una “etica del comune”.

Ma proprio per questo il “comune”, inteso come non proprietà, potrà, in futuro, rappresentare un contropotere monetario. A tal fine, diventa sempre più imprescindibile attivarsi nella costruzione di circuiti finanziari alternativi non riconducibili alla legge dei poteri forti finanziari, oggi egemoni. Pensare di poter regolamentare i mercati finanziari per ricondurli sotto un controllo pubblico è pura illusione. La sfida va portata al massimo livello della governance finanziaria attuale. E questa sfida genera la necessità di  riappropriarsi della moneta non come “bene comune” ma, appunto, come “common”, ovvero come espressione e misura del valore di quella cooperazione sociale o general intellect che, oggi, viene espropriata dal divenire rendita dei profitti e soggetta alla misura (variabile) dettata dai rapporti di forza imposti dal ricatto dei mercati finanziari.

Come il reddito di base è la forma di remunerazione del comune, esito dell’agire rivendicativo-conflittuale del lavoro vivo precario, così, oggi più che mai, la moneta può essere espressione e misura di questo stesso comune (cooperazione sociale e general intellect), contropotere al comunismo,  selettivo, iniquo, gerarchico del capitalismo finanziario.

È ora che i precari comincino a immaginare anche forme di autogestione finanziaria.

Bitcoin. Come funziona? (II)

Il funzionamento di Bitcoin (II) — prove e conoscenza comune

di Dusty,  il Portico Dipinto ( 17/07/2011)
In un post precedente sono stati esposti alcuni dei concetti crittografici che sono alla base del funzionamento di Bitcoin.

In questo vedremo invece una panoramica del funzionamento ad un livello più alto.

E’ necessario prima di tutto inquadrare i problemi da affrontare per implementare un sistema di transazioni monetarie completamente decentralizzato ed anonimo (o meglio, pseudoanonimo). Il problema principale è quello di riuscire ad avere una “conoscenza comune” delle proprietà della moneta. In particolare tutti devono sapere chi è il proprietario corrente di ogni unità monetaria (per evitare che qualcuno “spenda” del denaro che non gli appartiene), ma bisogna anche sapere che tutti abbiano le stesse informazioni. Ed è necessario sapere che gli altri sappiano che io so che loro sanno… e così via. Più formalmente questo tipo di conoscenza è definito in letteratura come “conoscenza comune1.

In altre parole non mi basta sapere di conoscere i proprietari di ogni moneta ma devo anche contare sul fatto che gli altri siano d’accordo con me, e sapere che io sono d’accordo con loro. Se si riesce ad arrivare ad una tale situazione allora è possibile fare in modo che facciamo tutti riferimento alla stessa storia (delle transazioni) risolvendo quindi il problema di una discordanza su chi è il proprietario di cosa, ma senza fidarsi di nessuno in particolare. Questo è il problema principale che per la prima volta Bitcoin ha risolto in maniera brillante senza dover fare affidamento ad una autorità centrale di cui fidarsi, come normalmente era sempre avvenuto.

L’innovazione chiave per risolvere questa problematica è stata quella di poter dimostrare quante operazioni si sono impiegate per produrre un certo risultato, altrimenti definito come “dimostrazione di lavoro2. In un sistema che implementa questa caratteristica è possibile avere una archivio di transazioni che dimostra avere alle spalle una certa mole di lavoro. A quel punto è sufficiente che la maggior parte degli utenti del sistema accettino come “buono” l’archivio che ha alle spalle il numero maggiore di calcoli che sono stati fatti su di esso. Questo permette di conoscere quale sia il “libro mastro”, e possiamo essere sicuri che è lo stesso usato da tutti gli altri.

Ed in definitiva questo permette di avere una prova di proprietà senza una autorità centrale.

Avendo chiaro questo concetto, una buona parte della complessità di Bitcoin comincia a diventare accessibile.

In un articolo precedente si era accennato al fatto che dei Bitcoin vengono dati in premio a chi riesce a risolvere un particolare problema matematico. Questo problema non serve solo per permettere una distribuzione iniziale delle monete, anzi, non è nemmeno il suo scopo principale. Il suo obiettivo principale invece è quello di dimostrare che un certo elenco di transazioni porta con se il maggior numero di calcoli eseguiti. Quindi se noi cominciamo a lavorare sull’ultima soluzione conosciuta (che ha un elenco di transazioni fino ad un preciso punto nel tempo) partiamo da una documentazione che al momento ha il numero maggiore di calcoli eseguiti su di essa. Il protocollo di Bitcoin specifica che è necessario utilizzare la più “grande” (cioè quella con più calcoli alle spalle), ma come si vedrà questo è nel nostro stesso interesse.

Se pubblichiamo un “aggiornamento”, cioè l’ultimo elenco delle transazioni più quelle più recenti, assieme ad una soluzione allora gli altri utenti sanno che il nostro “libro mastro” porta con se tutto l’elenco dei conti precedenti fino all’ultima soluzione più tutti quelli che abbiamo fatto noi. Di conseguenza se vogliamo reclamare il bonus (in bitcoin) per l’ultima soluzione è bene partire dal “libro mastro” che contiene l’ultima soluzione.

Vediamo quindi di riepilogare e sintetizzare una semplificazione di quello che accade in una rete bitcoin:

  1. Quando un utente vuole trasferire i propri bitcoin a qualcun altro trasmette a tutti un messaggio che contiene la transazione, cioè quanti dei propri bitcoin vanno a chi, e lo firma con la propria chiave privata.
  2. Quando un utente riceve un messaggio che identifica un trasferimento di proprietà (una transazione) come prima cosa verifica che la firma sia valida (vedere l’articolo precedente3 in proposito) e che l’indirizzo di colui che “spende” i bitcoin possieda fondi a sufficienza, cosa che può verificare sul “libro mastro”. Se le verifiche sono positive allora mantiene la transazione e la distribuisce a tutti i suoi contatti.
  3. Gli utenti che vogliono reclamare il premio per una soluzione (cioè i “minatori”) raggruppano tutte le transazioni che possiedono (cioè le nuove più quelle dell’ultimo libro mastro confermato) e creano un problema matematico unico per questo insieme. Poi cominciano a cercare una soluzione ad esso.
  4. Quando qualcuno trova una soluzione la distribuisce a tutti i suoi contatti assieme all’insieme delle transazioni a lui conosciute (cioè l’ultima versione del “libro mastro”). Come per le singole transazioni, ognuno di coloro che la riceve la verifica e, se valida, la distribuisce a tutti gli altri.
  5. I minatori che ricevono una nuova soluzione valida interrompono i calcoli che stavano facendo e prendono l’ultima versione del “libro mastro” come nuovo punto di partenza per cercare una nuova soluzione. Come definito nel punto 3) aggiungono ad esso tutte le nuove transazioni di cui sono a conoscenza e costruiscono un nuovo unico problema matematico da risolvere.

Nella pratica può succedere che a volte diversi utenti troveranno simultaneamente una soluzione e che queste si propaghino all’interno delle varie parti della rete a diverse velocità. I minatori dovranno quindi tenere tutte le ultime versioni dei “libri mastri” in attesa che uno di questi diventi più “lungo” (cioè porti con se un numero di conti maggiore) e quindi definitivo. Dal canto loro gli utenti invece aspetteranno un certo numero di nuove soluzioni dopo una certa transazione è stata accettata per essere sicuri che confermata a sufficienza.

Traducendo i concetti generali sopra esposti nel lessico tipico di Bitcoin avremmo che una nuova soluzione, con il suo blocco di transazioni vecchie e nuove, viene chiamato “blocco”. Il “libro mastro”, cioè tutto l’elenco delle transazioni, con tutte le soluzioni intermedie che dimostrano come sono costruite una sull’altra, viene chiamato “catena dei blocchi” perchè ogni blocco si collega al “libro mastro” precedente, formando quindi una catena.

Ci sono ancora molti dettagli da definire, cosa che vedremo di fare in articoli successivi, ma questo dovrebbe far capire i concetti generali del funzionamento della rete Bitcoin ed alcuni degli elementi fondamentali in gioco.

Dusty


Fonte: traduzione libera dell’articolo Bitcoin overview: proofs and common knowledge

Note:

E’ nata la moneta del futuro. Si chiama Bitcoin

di Goemon, da Bitcoin-Italia 05/07/2011
Un sistema economico in cui i soggetti principali non siano solo le grandi banche e i governi ma anche un gran numero di cittadini connessi in rete, liberamente. Utopia? Certo. Ma anche Linux, una volta, era un’utopia: oggi fa funzionare la maggior parte di internet. Libero, senza grandi poteri, free source e basato sul web: il mondo del futuro (se non si autodistrugge prima) tutto sommato potrebbe anche essere così

Il Bitcoin è una moneta elettronica che unisce tre elementi tecnologici:

1) Il calcolo distribuito: invece di un supercomputer, tanti piccoli computer connessi tra loro, come nel programma SETI@home del 1999 (ricerca di segnali radio extra-terrestri) o in Folding@home del 2000 (analisi di assemblamenti di proteine). I primi usi di questa tecnologia risalgono agli anni ’70, da Arpanet a Usenet e finalmente a Internet.

2) Il peer-to-peer (P2P): non c’è un server centrale ma ciascun utente fa da server a tutti gli altri. Appartegono a questa categoria i programmi di scambio file, da Napster a Torrent.

3) Il trasferimento di moneta tra conti pubblici usando crittografia a chiave pubblica come Pretty Good Privacy (PGP), nato nel ’91. Tutte le transazioni sono pubbliche e memorizzate in un database distribuito.

Tutte queste tecnologie hanno avuto una popolarità immediata, tali erano le genialate dei loro inventori: Shawn Fanning, Sean Parker, Bram Cohen, Phil Zimmermann. Popolarità non vuol dire vita facile: Napster fu comprato e chiuso, il creatore di PGP incriminato. I creatori del Bitcoin sono nascosti da uno pseudonimo giapponese, Satoshi Nakamoto, e nel 2009 hanno realizzato la prima plausibile manifestazione di una “cryptocurrency” open source e globale (e con una licenza del Mit).Complessi algoritmi controllano cioè la creazione della moneta, rendendo teoricamente inutili le banche. L’attività di generazione della moneta elettronica viene definita “mining” (gergo dei cercatori d’oro…) e viene svolto da un software open source che sfrutta la potenza di calcolo della scheda video. Con l’aumento dei bitcoin in circolazione, questa operazione richiede sempre più potenza computazionale. Il loro totale è fissato a 21 milioni (adesso ne sono presenti 6,7 milioni), mimando anche qui la scarsità dell’oro.

Ma quanto vale un bitcoin, in realtà? Nel maggio 2010 un utente di forum, dalla Florida, chiedeva dove poteva comprare due pizze maxi coi suoi 10mila bitcoin (allora equivalenti a circa 40 dollari), suscitando ironie su una pizza così costosa. Con gli stessi bitcoin, adesso, potrebbe comprare un’auto di grossa cilindrata. Il bitcoin infatti a gennaio 2001 valeva 0,2 dollari, a maggio mezzo dollaro, e un mese fa ha sfiorato i 30. Beh, non siamo alle leggendarie azioni Cocacola trovate nella cassapanca del bisnonno, ma un portafoglio bitcoin è memorizzato in un file del computer e resta lì finchè non viene ritrovato.

Il bitcoin è lo strumento ideale per il micropagamento. Oggi donare un dollaro (o un euro) o spenderlo per un servizio si può fare solo passando per una compagnia telefonica (ih Giappone o in Usa) o addirittura per una banca (in Europa), con costi enormi. Con Paypal, ad esempio, su 1 euro quasi il 40% andrebbe in commissione.Il bitcoin è libero, funziona in rete e nessun potere esterno può metterci le mani. Ti permette di donare denaro a WikiLeaks, per esempio, dopo che Visa, Mastercard e Bank of America gli hanno chiuso i conti (permette anche di evadere le tasse, è vero: ma per questo, soprattutto in Italia, non c’era bisogno di aspettare sistemi nuovi…).

E se qualche governo lo vietasse, visto che è così indipendente? In teoria potrebbe farlo, ma in pratica… Sarebbe come riuscire a impedire davvero di scaricare musica “pirata”. Secondo WikiLeaks (28 giugno 2011: vedi) “il bitcoin è una moneta elettronica sicura e anonima. I bitcoin non sono facilmente tracciabili, e sono una veloce e tranquilla alternativa agli altri metodi di donazione. Quando Visa e MasterCard sono felici di dare servizi al Klu Klux Klan ma non a WikiLeaks, è tempo di agire”.

Abbiamo “minato” il nostro primo bitcoin: che cosa ne facciamo ora?Possiamo convertirlo in euro attraverso MtGox per ricevere un bonifico su un conto bancario europeo, o attraverso VirWox per ricevere euro su un conto Paypal. MtGox, al cambio odierno di 14 dollari a bitcoin (ma con una commissione di circa 50 centesimi), un Bitcoin frutterebbe circa 10 euro accreditabili sul conto.Oppure possiamo spenderlo per ricevere beni o servizi. Già ora su www.spendbitcoin.com possiamo cambiare i Bitcoin con buoni-acquisto usabili su Amazon (di qualunque nazione, anche Amazon.it!).Uno dei siti più originali invece è www.forbitcoin.com, dov’e si possono comprare o vendere servizi di ogni tipo: traduzioni, assistenza informatica, creazione di loghi e siti, e anche cose strampalate, come l’ateo pronto a convertirsi e a pregare per te per pochi centesimi, o il tizio che ti scrive lettere e poesie per aiutarti a conquistare (ma anche lasciare) la tua ragazza. E ancora fare i compiti di matematica, farsi ritrarre in versione manga, vendere polline d’api…Non solo acquisti: www.biddingpond.com è uno dei primi esempi di siti di aste, come Ebay, ad avere il bitcoin come moneta. Le offerte in Italia sono ancora poche e poco battute, è frequentato da gente che abita oltreoceano, ma è possibile acquistare tra le altre cose materiale informatico e olio d’oliva.

Bitcoin è “esploso” come visibilità a maggio, coi pezzi dedicatigli dei giornali economici “ufficiali” (Economist, Financial Times, Business Week). Questa popolarità purtroppo nelle ultime settimane ha richiamato anche l’attenzione dei ladri. E’ arrivato il primo malware che ruba portafogli virtuali (più o meno come Serpe nei Simpson…) ed è stato attaccato MtGox, il più grande sito di trading di Bitcoin, costringendolo a chiudere per una settimana per risolvere i suoi problemi di sicurezza.MtGox scambia sui 50mila bitcoin al giorno, il suo immediato rivale, Tradehill, circa 1000. Un sostanziale monopolio, strano in un sistema decentralizzato. E anche nel mining le cose non vanno meglio: Deepbit “mina” un terzo dell’intera rete (4000 Ghash/s sui 12mila del totale).I nuovi ingressi tuttavia sono impressionanti (e hanno reso reso più lenta la creazione di nuovi bitcoin). Fra Usa, Giappone e Europa si calcola che nelle ultime ventiquattr’ore (bitcoinwatch.com) siano stati trasferiti 469.372, 94 bitcoin, circa 20mila all’ora. Se è un inizio, è un buon inizio.

Nasce il progetto Freecoin

Freecoin è un fork di Bitcoin finalizzato a continuare lo sviluppo dell’attuale software ritenuto incompleto sebbene il software sia già stato messo in produzione, per realizzare una suite software per la realizzazione di sistemi monetari peer-to-peer.

http://freecoin.ch

Il progetto è stato presentato da Jaromil Rojo all’Hackmeeting 2011, Firenze 25/06/2011

http://korova.dyne.org/freecoin_hackmeeting2011.pdf

 

Bitcoin. Come funziona? (I)

Il funzionamento di Bitcoin (I) — concetti di base

di Dusty, Il Portico Dipinto (15/06/2011)
Questo è il primo di una serie di articoli che mi propongo di preparare per spiegare il funzionamento di Bitcoin da un punto di vista più tecnico.

Il prerequisito per comprenderne il funzionamento è conoscere le basi della crittografia a chiave pubblica per cui ne verranno qui forniti i concetti principali.

Come prima cosa è importante capire una delle cose fondamentali: nella rete Bitcoin tutto quello che avviene è pubblico e non crittografato. In particolare il sistema funziona, e funziona bene, senza una entità centrale, proprio perchè tutte le transazioni che avvengono sono pubbliche. La privacy deriva dal fatto che le entità che effettuano le transazioni sono definite per mezzo di indirizzi Bitcoin, che sono composti da una particolare sequenza di numeri e lettere (a titolo di esempio l’indirizzo per fare donazioni a questo sito: 1DHoxhPDnLNyYtpPpG4JMenF7yLPye78Mf). Cioè un sistema del tutto analogo al funzionamento di alcune banche svizzere che utiilzzano conti “cifrati”. In realtà i conti non sono cifrati ma sono definiti semplicemente dal loro numero, senza rendere pubblico chi ne è il proprietario.

Nel momento in cui si stabilisce la proprietà di un certo indirizzo (ad esempio perchè reso pubblico, come avvenuto poco sopra) è possibile ricostruire tutte le sue transazioni, ad esempio attraverso il sito blockexplorer.com. Di conseguenza più che di anonimato dovremmo parlare di pseudoanonimato.

Il motivo per cui è importante conoscere le basi della crittografia a chiave pubblica è che alcune delle sue caratteristiche sono componenti di base in Bitcoin, ma vengono sfruttate per garantire la correttezza delle operazioni e dell’integrità del sistema, non per occultarne il contenuto.

I protocolli definiti sono stati verificati con cura dai più grandi esperti di crittografia e dalla grande comunità degli hacker di tutto il pianeta.

Primo concetto: firma digitale a chiave pubblica

In un mondo digitale come è possibile firmare visto che chiunque può mettere qualunque dato su di un dispositivo di memorizzazione?

Come una firma convenzionale, una firma digitale per essere tale deve soddisfare le seguenti caratteristiche:

  1. Prova d’identità: solo io posso produrre la mia firma, e quindi vedere la mia firma equivale ad una prova che avvallo quanto firmato.
  2. Non ripudiabilità: dopo aver firmato non posso più negare di averlo fatto.
  3. Non trasferibilità: la firma su di un documento non può essere messa su di un altro documento facendo finta che io abbia firmato quest’ultimo.

Questi tre obiettivi sono perfettamente raggiungibili in un mondo digitale, e, aggiungerei, anche in una maniera molto più sicura di quella convenzionale. Una firma tradizionale è relativamente facile da falsificare mentre una firma digitale è praticamente impossibile.

Vediamo ora come è possibile avere questo risultato: come prima cosa si generano una coppia di chiavi, una pubblica ed una privata. La chiave privata va mantenuta segreta, mentre si comunica a tutti la chiave pubblica. Si utilizza poi un algoritmo a chiave pubblica che fa parte di una determinata infrastruttura a chiave pubblica (PKI)1 che prende in input:

  1. Un messaggio che vogliamo firmare (chiamiamolo da ora in poi M1)
  2. La propria chiave privata, che chiameremo SK1

e fornisce in output una firma, che chiameremo SIG1. Le infrastrutture a chiave pubblica sono progettate in modo che il loro uso e la generazione della firma sia semplice e rapido.

A questo punto, se qualcuno vuole verificare se abbiamo veramente firmato il messaggio M1 deve solo verificare che esista una certa relazione matematica (che dipende dal tipo di algoritmo utilizzato) tra esso, la mia chiave pubblica (che appunto, è nota a tutti) e la mia firma SIG1. Anche questa operazione viene effettuata in maniera rapida e completamente automatico dalla PKI.

Cosa ci assicura che questo procedimento soddisfa le tre caratteristiche della firma di cui sopra?

Le prime due sono garantite dal fatto che è praticamente impossibile riuscire a produrre una firma SIG1 senza conoscere la chiave privata SK1. Allo stesso modo, dedurre la chiave privata SK1 dalla chiave pubblica sarebbe così dispendioso da un punto di vista computazionale che anche avendo la possibilità di utilizzare tutti i computer del mondo per questa operazione sarebbero necessari migliaia di anni di calcoli.

Di conseguenza il fatto di poter rapidamente calcolare SIG1 è la prova che possediamo la chiave privata corrispondente alla chiave pubblica e che abbiamo deciso di utilizzarla per firmare il documento M1.

Lo stesso procedimento soddisfa il criterio 3 (non trasferibilità) perchè la firma SIG1 è funzione del messaggio stesso che stiamo firmando. Questo implica che essa cambia per ogni messaggio che firmiamo e quindi la firma SIG1 del documento M1 non è valida per un differente documento M2 in quanto la relazione matematica prima indicata non sarà verificata per {M2, SIG1, chiave pubblica} ma solo per {M1, SIG1, chiave pubblica}.

Per poter verificare una firma dovremmo produrre una firma SIG2 tale che la relazione matematica {M2, SIG2, chiave pubblica} stia in piedi, ma questo è appunto impossibile per chiunque a meno di conoscere la mia chiave privata.

Evitiamo di entrare nel dettaglio dello specifico algoritmo che viene utlizzato per non appesantire la spiegazione ed anche perchè per poterne capire il funzionamento è necessario avere conoscenze matematiche (algebriche per la precisione) abbastanza avanzate. Come accenno possiamo dire questi algoritmi sfruttano le proprietà della aritmetica modulare2 e dei numeri primi. Possiamo aggiungere che per implementare una architettura a chiave pubblica si utilizza una classe di funzioni conosciuta come “funzioni unidirezionali3 4. Tali funzioni hanno queste caratteristiche:

  • Dato x, è facile calcolare f(x)
  • Dato un valore V uguale ad f(x) con x sconosciuto, è difficile trovare un x tale che f(x) = V. Detto in termini matematici è difficile invertire f.
  • Data una particolare informazione riguardo f (nel nostro caso rappresentata dalla chiave privata), diventa invece “facile” invertire f.

Quale è il ruolo giocato dalle firme a chiave pubblica in Bitcoin?

Vengono utilizzate per dimostrare alla rete di essere i proprietari di un indirizzo A1 (A1 corrisponde in effetti alla chiave pubblica) ha realmente autorizzato il trasferimento di una certa quantità di moneta a dei nuovi indirizzi. Tutti gli altri nodi della rete saranno in grado di verificare che tale trasferimento è stato autorizzato dal vero proprietario controllando la relazione matematica prima descritta tra la chiave pubblica di A1, il messaggio che descrive il trasferimento e la firma su quest’ultimo. E se i conti non tornano allora tutti i nodi, seguendo le specifiche del protocollo di Bitcoin, ignoreranno il trasferimento e non lo trasmetteranno agli altri nodi della rete, di fatto ignorandolo.

Secondo concetto: funzioni hash crittografiche

In crittografia una funzione hash5 è una funzione che prende un input di qualunque dimensione e calcola in maniera deterministica un output di lunghezza fissa basato sull’input, ma tale che la relazione tra l’input e l’output sembri “casuale”. Inoltre deve essere impossibile immaginare quale sarà il risultato dell’output o avere una qualche idea della sua caratteristica senza eseguire tutti i passi della funzione stessa.

Per dire la cosa in maniera più semplice possiamo chiamare l’output della funzione hash un “sunto” dell’input (chiamato preimage in inglese), e viene comunemente denominato anche “impronta digitale” (digest in inglese).

Un esempio (semplice, non crittografico) di funzione hash con cui si ha familiarità è quello del codice fiscale: viene costruito sulla base dei nostri dati personali. Si hanno conflitti, cioè due codici fiscali uguali, quando due persone con un nome e cognome simili sono nati nella stessa città e nello stesso giorno.

In crittografia le funzioni hash devono avere caratteristiche molto più forti. Deve essere veramente difficile riuscire a trovare una relazione tra classi di input e classi di output senza dover eseguire la funzione nella sua interezza per ogni input, cioè senza “scorciatoie”. Una conseguenza è che con una funzione hash crittografica piccoli cambiamenti dell’input non devono portare a piccoli cambiamenti dell’output. Al contrario sono progettate in modo che anche minime differenza nell’input cambiano in maniera radicale il risultato. Da un punto di vista più formale le funzioni hash crittografiche devono presentare queste caratteristiche:

  1. Dato un certo digest deve essere difficile trovare un input che dato in pasto alla funzione restituisce quel digest. Questa caratteristica viene chiamata “[first] preimage resistance6. E’ importante notare che dato che l’input (preimage) può essere arbirtrario e di qualunque lunghezza mentre l’ouput (digest, o hash) ha dimensione prefissata ci sono un numero infinito di input che danno un tale output.
  2. Dato un certo input è difficile trovare un altro input che mi fa ottenere lo stesso digest. Questa caratteristica viene definita “second preimage resistance”.
  3. In genere è difficile trovare diversi input che producono lo stesso digest. Questi casi vengono definiti “collisioni”, e questa caratteristica viene quindi definita come “resistenza alle collisioni”.

Nota bene: da un punto di vista crittografico si definisce “difficile” un processo il cui numero di passi per essere eseguito è di ordine esponenziale nella dimensione dell’input. “Facile” quando invece il numero dei passi è di ordine polinomiale.

Come esercizio per il lettore verificare come il calcolo per costruire il proprio codice fiscale non soddisfi nessuno dei tre requisiti appena descritti 🙂

Uno degli usi delle funzioni hash è quello di oscurare alcuni dati in modo da limitare l’uso che se ne può fare. Ad esempio la gran parte dei siti web (questo compreso) non memorizza la password degli utenti nel suo database, ma un “hash” della password. In questo modo possono verificare lo stesso se un utente ha la password corretta ma se qualcuno riesce ad accedere al database non riesce a conoscere le password degli utenti ma solo i loro hash, inutili allo scopo di carpire le credenziali.

Nel mondo di Bitcoin è qui che entrano in gioco i “miner”: i bitcoin, cioè le monete che vengono scambiate nella rete, vengono generate di continuo e date in proprietà a chi riesce a risolvere un particolare problema matematico. Questo problema può essere definito come chi riesce a risolvere il primo problema del “preimage resistance” descritto poco sopra.

Nella fattispecie, invece di trovare un input che corrisponda perfettamente ad un certo hash, l’obiettivo è quello di trovare un risultato “parziale”, cioè un risultato che soddisfi solo in parte un particolare hash, ad esempio solo su di un sottoinsieme dei caratteri che lo compongono. Maggiore è il numero dei caratteri che deve soddisfare il requisito, maggiore è la difficoltà a trovare il particolare input. E date le caratteristiche delle funzioni hash, l’unico modo per risolvere il problema è fare tutte le prove possibili.

Qui entra quindi in gioco uno dei parametri più importanti per i miner e cioè il numero di calcoli che si riesce ad effettuare per unità di tempo: più è alto, più velocemente si troverà una soluzione e più velocemente quindi si guadagnerà il premio in palio.

Ma per ora è tutto perchè abbiamo messo fin troppa carne al fuoco: questi sono i requisiti per capire il resto del protocollo, che approfondiremo in seguito.

Dusty


Fonte: traduzione libera dell’articolo Explaining – not setting – Bitcoin straight

Note: