Open Source Ecology, Quattro anni di progetti in quattro minuti

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=pOGg_uQjvvw]

di Lucia Galasso, Evoluzione culturale   – 20 agosto 2011

(…) Leggendo La Repubblica del 17 agosto 2011, a firma di Jaime D’Alessandro, mi imbatto in un articolo che mi colpisce subito dal titolo “Turbine, trattori e pannelli solari, il kit per una civiltà in miniatura”. Scopro così che esiste l’Open Source Ecology, figlia di quella filosofia di condivisione e miglioramento della conoscenza che è l’Open Source nata dapprima in ambito informatico e poi editoriale (e ora declinata in varie realtà).

L’open Source Ecology è una rete di agricoltori, ingegneri e sostenitori che ha come scopo la creazione di una comunità autosufficiente ed eco-sostenibile. Dal fabbisogno alimentare alla costruzione di trattori e stampanti 3D, tutto è progettato per essere fatto da sé.

Il fondatore è un giovane fisico statunitense, Marcin Jakubowski, classe 1973 (bell’annata il 1973), laureatosi a Princeton con dottorato in fisica all’Università del Wisconsin. Nel 2003 Jakubowski ha deciso che l’agricoltura era la sua vera vocazione, il motivo di questo cambio di rotta risiede in un singolo avvenimento che lui descrive così: «Mi trasferii in Missouri comprando una fattoria e acquistai un trattore ma si ruppe. Allora lo riparai e si ruppe di nuovo, finché alla fine non avevo più soldi per andare avanti. Poter accedere a strumenti low cost fatti con materiali riciclabili e pensati per durare una vita e non una manciata di anni è vitale. Ed è esattamente quello che ho fatto: progettare quel che davvero mi serviva, condividendolo online».

Da qui l’obiettivo di dare vita a comunità autosufficienti, eco-sostenibili e a basso costo; senza per questo rinunciare alle comodità della nostra società contemporanea (come dice quella famosa pubblicità? Il lusso è un diritto di tutti). Una possibile via da intraprendere per una decrescita consapevole.

Il primo passo è portare a termine entro il 2012 il Global Village Construction Set, un enorme laboratorio a cielo aperto in cui vengono assemblati 50 macchinari ritenuti necessari per regalare, partendo da zero, una vita senza rinunce a circa 200 persone. Strumenti essenziali come il trattore o il gruppo elettrogeno, il forno e l’automobile, passando per la turbina, i pannelli solari, la macina, il laser di precisione, la pressa per produrre circuiti stampati, la betoniera, l’altoforno. Tutto assemblabile a prezzi stracciati rispetto a quel che offre il mercato, e in più con alcuni requisiti innovativicome fa notare Eugenio Minucci di Alternativa Sostenibile:

  • si utilizzano materiali a basso costo (una macchina industriale di questo tipo costa otto volte meno di una sua equivalente sul mercato);
  • si persegue una logica modulare nella progettazione (un motore, ad esempio, è predisposto per essere assemblato su diverse macchine)

Di ogni macchinario vengono prodotti almeno tre prototipi testati meticolosamente per poi arrivare alla versione definitiva. Che, su richiesta, può esser acquistata da altri agricoltori.

Nel frattempo il verbo del vivere e produrre in maniera diversa viene diffuso via Web. Lo stile di assemblaggio del Global Village Construction Set è pensato per un facile utilizzo, anche lì dove le risorse e le competenze sono scarse. L’uso dei modelli è infatti semplice da imparare, e la possibilità di consultare online i progetti lo rende ancora più approcciabile. Così il reperimento delle risorse (umane e materiali) sul territorio ha un duplice beneficio: economico e di sostenibilità, dando modo alle persone che lo vivono di potenziare le abilità che le rendono autosufficienti proprio sulla base di quella reciprocità che è alla base della socialità primaria, della famiglia, del vicinato e delle reti relazionali.

Il progetto di Jakubowski, si rifà in qualche modo al Nai Talim – l’educazione pratica all’autonomia – di Gandhi, il cui scopo era di soddisfare i propri bisogni grazie alle conoscenze dei saperi e del saper fare necessari a padroneggiare le tecniche di fabbricazione degli oggetti di uso quotidiano, in modo tale che tutti possano avere un livello di vita soddisfacente.

Di riflessione in riflessione mi è venuto in mente questo passaggio preso dal libro di Serge Latouche “Come si esce dalla società dei consumi”:
“[…] Proseguendo su questa strada, Ingmar Granstedt propone la creazione di laboratori vernacolari con attrezzature sofisticate miniaturizzate. Per il tessile, per esempio ‘si potrebbero raggruppare le operazioni di filatura, di stiramento e di tessitura in un’unica piccola macchina delle dimensioni di un armadio, che potrebbe essere collocata in laboratori vernacolari ed essere messa a disposizione degli abitanti del quartiere. […] Lo stesso vale per le macchine per il riciclaggio della carta, di cui esistono già esemplari abbastanza piccoli e semplici da poter essere trasportati su richiesta e affittati a settimana. A una macchina di questo tipo, collocata nel quartiere o nel comune, potrebbero essere aggiunte taglierine, aggraffatrici e incollatrici, in modo che la gente possa fare da sola blocchi e quaderni. Si potrebbe poi aggiungere una fotocopiatrice e altro materiale semplice da riproduzione’. Sulla linea dell’idea dei “villaggi urbani” di Yona Friedman, la società autonoma sarebbe costituita da una molteplicità di comunità geografiche, ciascuna con un proprio centro e un insieme completo di attività diversificate, nelle quali l’esistenza e le relazioni quotidiane ridiventerebbero umane. Il risultato di questa deindustrializzazione, realizzata grazie a strumenti sofisticati ma conviviali, sarebbe la prova che si può produrre diversamente e che la parte della produzione realizzabile in autonomia, pur non essendo totale, è comunque enorme”, pur non essendo totale, è comunque enorme
”.

Il passo successivo? I FAB Lab creati da Neil Gershenfeld, laboratori di fabbricazione personale. Luoghi in cui invece di comprare o ordinare un prodotto è possibile scaricare o sviluppare la sua descrizione , fornendo all’utente il progetto e le materie prime per farselo da sè. Si parte dalla tecnologia per tornare al lavoro artigiano, non a caso il libro di Gershenfeld inizia così “C’era un tempo in cui educazione, industria e arte erano integrate nel lavoro dell’artigiano del villaggio…

Insomma, questo è il nostro futuro: la fabbricazione in proprio di qualsiasi oggetto d’uso comune come terreno per restaurare i rapporti familiari e sociali, riappropriarsi del tempo libero, liberarsi dal consumismo.

Il Financial Times parla della moneta a scadenza

In un articolo del 15 agosto 2011 sul blog Alphaville nel Financial Times viene data questa notizia:

Neal Soss of Credit Suisse has a note out Monday that speculates about the potency of a few ideas not mentioned by the Fed — but which he thinks could become necessary if fears of a double-dip prove valid and the US economy falls through a trap door into a Japanese deflationary period.

(…..)

Issuing money that depreciates in value over time to spur consumption

Willem H. Buiter, formerly of the European Bank for Reconstruction and Development, coauthored a  paper with the Bank of England’s Nikolaos Panigirtzoglou on liquidity trap solutions. They argued,  “Once in a liquidity trap, there are two means of escape. The first is to use expansionary fiscal policy. The second is to lower the zero nominal interest rate floor. This second option involves paying negative interest on…coin and currency, that is ‘taxing money’, as advocated by Gesell.”

An admittedly simplified way to described the latter scheme is that the monetary authority issues money that, by design, loses its value over time, thereby encouraging spending. The basic idea was advocated in the late nineteenth century by economist (and anarchist) Silvio Gessel, who believed economic downturns were aggravated by wealthy individuals hoarding cash.

Interestingly, this strategy already has been tried on a small scale in parts of the Eurozone. For example, a community currency called the  chiemgauer was introduced in Bavaria, Germany, in 2003, with the intention of promoting local commerce. The chiemgauer is designed to lose 2% of its value every quarter. It has to be “topped up” every three months by purchasing a coupon.

According to a  July 13, 2010 program on National Public Radio (NPR), this “microcurrency” is now accepted by “more than 600 regional businesses — from drugstores to architects…The chiemgauer is not backed by federal or local governments, though some banks are offering loans and checking accounts in the currency.” It is estimated that the chiemgauer circulates three times more rapidly than the euro. Retail chains in the US have experimented along these lines, too. Several drugstore chains reward customers’ purchases of selected items with “money” coupons good for the next purchase at the same store and, critically, good only for a specified period of time. Anyone who has gotten one of these will appreciate the temptation to go back to the store promptly, and buy something!

Terra TRC

This paper will examine The Terra Trade ReferenceCurrency (Terra TRC, hereafter referred to in shorthand as Terra)—a supra-national complementary currency initiative, intended to work in parallel with the current international monetary system to provide an effective mechanism by which to readress important such global issues.

 

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Per una doppia moneta

Ripubblichiamo un articolo del 2004 che riteniamo di incredibile attualità nell’attuale contesto economico.

di Lanfranco Caminiti (10 Luglio 2004)

In un libro da poco pubblicato, l’economista Benjamin Cohen [University of California, Santa Barbara] si interroga sul «futuro del numero delle monete». Esiste una tesi «riduzionista» in merito: essa considera inevitabile la riduzione del numero delle monete, per la quale giocherebbero le economie di scala e l’erosione della sovranità nazionale connessa alla liberalizzazione della finanza. L’introduzione dell’euro, con la costruzione di un’area politico-monetaria enorme nonostante la «frammentazione» nazionalistica, ne sarebbe un vistoso esempio. Ma Cohen non è d’accordo: è vero che dal punto di vista della «domanda» [cioè, di chi la usa] si va verso una riduzione del numero delle monete, ma è altrettanto vero che chi la «offre», cioè gli Stati, sono interessati a avere una propria moneta, per la possibilità di una propria politica valutaria e monetaria. Come per le lingue ci saranno poche «lingue che contano», così per la moneta ci saranno poche «monete che contano» [dollaro, yen, euro], ma non mancheranno mille lingue e mille monete. [Benjamin Cohen, The Future of Money, Princeton University Press, 2004 – Fabrizio Galimberti, «Il Sole-24 Ore», 4 luglio 2004].

Lo scenario prefigurato da Cohen, della inestinguibile pluralità di monete nazionali e territoriali dentro una tendenza globale a pochi riferimenti monetari «forti», sembra quello di una moltiplicazione di regimi a doppia moneta. In ciascun territorio, alla moneta nazionale si affiancherebbe una moneta transnazionale di riferimento. Un regime, per fare un esempio semplice anche se non esatto, simile a quello vissuto in Italia durante e fino all’introduzione dell’euro come moneta unica con la contemporanea circolazione della lira. Dal 1° gennaio 1999 l’euro era la valuta legale dei Paesi aderenti all’Unione monetaria europea e sostituiva le singole valute nazionali secondo i tassi irrevocabili di conversione fissati dalle istituzioni comunitarie. Fino al 31 dicembre 2001 fu previsto un periodo transitorio durante il quale le singole valute nazionali restavano in vigore. Durante il periodo transitorio, l’euro poteva essere utilizzato solo come moneta scritturale, non essendo ammessa circolazione di monete e banconote. Al termine del periodo transitorio, le singole valute nazionali cessarono di avere corso legale, salva la possibilità, fino al 28 febbraio 2002 per la lira, di continuare ad utilizzare le monete e le banconote in circolazione (periodo di doppia circolazione). In realtà, a me sembra che un regime di doppia moneta sia quello a cui siamo già sottoposti tutti, non certo nel senso della circolazione ma in quello del valore, e dei prezzi. La invisibilità della presenza di una doppia circolazione non indebolisce certo il suo carattere operativo e cogente.

C’è stato un altro momento storico abbastanza recente in cui l’Italia ha vissuto una doppia [e tripla e quadrupla] circolazione monetaria. Nel 1943, in preparazione dello sbarco in Sicilia, gli Alleati costituirono l’AMGOT [Allied Government Occupied Territory]. Tra le varie «divisioni» a cui spettava governare il territorio, fu istituita quella finanziaria, la Financial. Le autorità alleate sapevano che nell’isola ridotta allo stremo anche le banche avevano esaurito la scorta di banconote. Fu perciò istituita una banca militare, l’Allied Military Financial Agency [AMFA} con il compito di emettere cartamoneta destinata alle spese correnti e al soldo dei militari. In tal modo, prima ancora dello sbarco, incominciarono a circolare dollari con il sigillo giallo, per distinguerli da quelli ufficiali con il sigillo blu. C’era pure uno scambio ufficiale con la lira: 100 il dollaro. Al mercato libero, il dollaro raddoppiava. Verso la fine di giugno si aggiunsero le Allied military liras, che sarebbero diventate le «AM-lire» e cominciarono a circolare sin dallo sbarco in luglio. Le Allied Military Line Currency della serie 1943 furono stampate negli Usa da due differenti tipografie, la Bureau of Engraving and Printing [BEP] e la Forbes Lithograph Corporation [FLC]. La differenza è valida solo per l’emissione del 1943. I biglietti si differenziano perché quelli della BEP sono privi di indicazioni dello stampatore, mentre quelli della FLC hanno una piccola «f» nel ricciolo inferiore destro sopra al valore. Una enorme liquidità venne immessa sul mercato con effetti inflattivi. I tagli erano da 1, 2, 5, 10, 50, 100, 500 e 1.000. Sul retro, ogni biglietto pubblicizzava le quattro libertà americane: Freedom of Speech [libertà di parola], of Religion [di fede], from Want [dal bisogno], from Fear [dalla paura]. Contemporaneamente alle AM-lire, gli inglesi fecero un analogo tentativo di emettere moneta di occupazione, pence, scellino e sterlina della British Military Authority, che però ebbero scarsa fortuna per la difficoltà che gli italiani incontrano a conteggiare una moneta suddivisa su base non decimale. I prezzi si infiammarono. A ridosso dello sbarco le banconote furono poi stampate in Tunisia, ma con la conquista di Palermo le autorità statunitensi ebbero a disposizione il Banco di Sicilia, del quale già nei preparativi dell’invasione veniva prefigurato l’impiego come Istituto di emissione. Trasformato in Banca centrale, il Banco di Sicilia guadagnò un potere enorme. Le AM-lire passarono per tutte le mani degli italiani fra il 1943 e il ’45. Quanto meno, il Sud ne fu invaso [Malaparte ne La pelle, scrive che amministravano «i cuori e i corpi»] e progressivamente i territori «liberati», mentre nella Repubblica Sociale continuavano a circolare le lire. Nel 1944 intanto la Banca d’Italia stampò la cosiddetta «serie della Luogotenenza», in cui c’erano anche i biglietti da 500 e 1.000 lire, mai messi in circolazione. Le AM-lire furono dichiarate fuori corso soltanto nel 1950, con la legge del 5 gennaio n. 3 del ministro del Tesoro. [Alfio Caruso, Arrivano i nostri, 2004, Longanesi – http://www.infol.it/monete/money.htm].

È difficile immaginare oggi un controllo totale della massa monetaria, per via della velocità dei suoi movimenti, della globalizzazione, in breve dell’emergere di un suo carattere selvaggio. C’è un carattere permanente, enduring, di «occupazione» nella selvatichezza dei movimenti della moneta finanziaria. Si attenua fortemente la differenza tra mercati interni ed esterni [almeno come li intendeva la teoria classica del ‘commercio estero’], ma si ripropone, e con approfondimento contraddittorio, la questione dei prezzi interni ed esteri, legati come sono i primi alla produzione materiale di beni e i secondi ai movimenti speculativi del plusdenaro [o del capitale finanziario]. I governi reagiscono ai movimenti monetari o tendono a impedirli, ma non possono sempre prevederli né sistematizzarli. La moneta perde vieppiù il suo carattere di rappresentazione di quantità verificate o verificabili [M1], caratterizzandosi come segno di accumulazione, e quindi di speculazione [di falsificazione] [M2, M2 estesa, derivati]. Ovvero s’è già creata una doppia moneta, una come regolatrice dei prezzi ed una come forma della ricchezza. Non esiste quindi una sola serie di valori di equilibrio [parziale o aggregato]. Esistono piuttosto serie diverse di prezzi per serie diverse di quantità [di beni, valori], e quindi l’equilibrio non è più possibile dal lato della produzione e dello scambio, e viene imposto forzosamente dal lato della circolazione [moneta]. Dai conflitti e dagli aggiustamenti tra queste due forme di moneta dipendono la maggior parte degli eventi economici che attraversano la nostra giornata lavorativa [in generale possiamo dire che la maggior parte del lavoro è pagato con moneta interna, più vile, mentre il plusdenaro – la ricchezza – si muove sulla moneta esterna]. La somma dei prezzi [con riferimento a merci e partite] d’ogni nazione è ormai inferiore rispetto la massa monetaria in movimento [in entrata e uscita] e ne mostra in alcuni casi il segno di dipendenza reale dal governo mondiale della moneta. Eppure i prezzi [e le imposte dello Stato] aumentano all’interno, anche se la massa monetaria interna viene tenuta sotto controllo, e anzi, a massa monetaria costante, l’aumento dei prezzi, senza corrispondente aumento di salari e redditi, diventa motore della crescita dei profitti e di una forte ridistribuzione della ricchezza in maniera polarizzata, attraverso anche la distruzione progressiva del risparmio [di quella parte di plusdenaro socializzatasi]. La vanificazione del risparmio [del potere del risparmio] dei lavoratori è la faccia complementare della lotta al potere dei salari. Alla stabilità della moneta come circolante interno non corrisponde la stabilità dei prezzi, in particolare di quelli delle merci immateriali che si formano su un mercato globale [e ciò rende fumoso ogni controllo sui prezzi che può essere solo interno]. La lotta all’inflazione [il controllo del deficit] più che recessione e disoccupazione provoca quindi una riappropriazione di plusdenaro da parte dei maggiori detentori d’esso. [Lavori e merci, prezzi e monete, «deriveapprodi» 12-13, 1996]

Qual è, in breve, la mia proposta? La reintroduzione della lira come «moneta nazionale», ma solo come moneta della contabilità nazionale. Non come moneta circolante. Per il circolante va bene, va benissimo l’euro, per la sua «qualità» di moneta transnazionale, di moneta della cittadinanza europea. È uno straordinario vantaggio per la mobilità dei cittadini e dei lavoratori europei quello di potersi trovare «a casa» dal punto di vista dell’acquisto di beni e di scambio in qualunque luogo europeo. Dal punto di vista della domanda l’euro funziona. Dal punto di vista «politico» l’euro funziona, e probabilmente funzionerebbe di più ancora se vissuto come un circolante dei cittadini, sottratto cioè alla BCE, al «controllo» e al potere della Banca europea centrale e dei suoi gnomi. Si dovrebbe cioè proprio invertire la storia del circolante: per i prezzi interni [e in questo senso, interna può essere considerata l’Europa come spazio politico e di diritti] ci occorre una moneta forte, che tenda a stabilizzare e equilibrare la serie dei valori e dei prezzi e quindi anche il potere d’acquisto dei salari, sottraendoli alle manovre speculative dei prezzi esteri, cioè del plusdenaro. Mentre invece si potrebbe reintrodurre la lira per i rapporti commerciali che l’Italia tiene e terrebbe con il resto del mondo [a cominciare dalle nazioni europee], con il resto delle monete. La lira insomma dovrebbe acquisire fino in fondo una sua dimensione «scritturale»: potremmo comprare e vendere in lire i nostri prodotti: la nostra bilancia commerciale se ne avvantaggerebbe. La lira dovrebbe fluttuare, a seconda delle convenienze. Dovrebbe seguire cioè una sua cambiabilità con lo stesso euro come una qualunque altra moneta e non in maniera «fissa». Nella nostra vita quotidiana questa fluttuazione non avrebbe alcun senso, e solo nella nostra vita «monetaria» acquisirebbe significato. I nostri risparmi dovrebbero essere in euro, le nostre tasse, e insomma non dovrebbe cambiare proprio nulla dal punto di vista della «contabilità sociale». Solo sui prezzi «esteri» avrebbe valore la lira, sull’acquisto e la vendita di beni, servizi, valori. Le obbligazioni e i titoli di Stato dovrebbero essere in lire. I loro rendimenti seguirebbero una doppia oscillazione [quello che, in parte, succedeva con il serpente monetario – il currency snake – dal 1972 prima dell’introduzione dello SME, il Sistema monetario europeo voluto da Francia e Germania nel 1979]: una tra la moneta «interna» [l’euro] e quella «contabile» [la lira], e una tra la lira e le monete del mondo. Io credo che potremmo ricavarne solo vantaggi. E anche i conti pubblici dovrebbero essere in lire. Forse verrà il mal di testa ai ragionieri dello Stato, ma sono pagati apposta. Se uno pensa che i «cervelloni» del Tesoro hanno partorito come proposta «creativa» quella di introdurre il biglietto da un euro invece della moneta di conio – con plauso di non pochi politici – certo prende lo sconforto, ma. Si potrebbe finanziare un ciclo virtuoso di spesa pubblica tutta in lire. E infine, penso che pure il mercato azionario, e i suoi titoli, dovrebbe svolgersi in lire. Anche ai broker verrà il mal di testa, ma pure loro sono pagati apposta. Decidere l’introduzione di una doppia moneta, ripristinare e aggiornare la lira, non contravverrebbe alcun vincolo politico europeo e non tornerebbe indietro la pax monetaria dell’euro. Per un’economia dai caratteri volatili come quella italiana è troppo penalizzante la rinuncia a una propria moneta nazionale. Non siamo la Germania e non siamo la Francia. D’altronde, la Gran Bretagna continua a mantenere la sterlina e a stare nella comunità europea. Un po’ a modo proprio, s’intende.

Bitcoin. Come funziona? (II)

Il funzionamento di Bitcoin (II) — prove e conoscenza comune

di Dusty,  il Portico Dipinto ( 17/07/2011)
In un post precedente sono stati esposti alcuni dei concetti crittografici che sono alla base del funzionamento di Bitcoin.

In questo vedremo invece una panoramica del funzionamento ad un livello più alto.

E’ necessario prima di tutto inquadrare i problemi da affrontare per implementare un sistema di transazioni monetarie completamente decentralizzato ed anonimo (o meglio, pseudoanonimo). Il problema principale è quello di riuscire ad avere una “conoscenza comune” delle proprietà della moneta. In particolare tutti devono sapere chi è il proprietario corrente di ogni unità monetaria (per evitare che qualcuno “spenda” del denaro che non gli appartiene), ma bisogna anche sapere che tutti abbiano le stesse informazioni. Ed è necessario sapere che gli altri sappiano che io so che loro sanno… e così via. Più formalmente questo tipo di conoscenza è definito in letteratura come “conoscenza comune1.

In altre parole non mi basta sapere di conoscere i proprietari di ogni moneta ma devo anche contare sul fatto che gli altri siano d’accordo con me, e sapere che io sono d’accordo con loro. Se si riesce ad arrivare ad una tale situazione allora è possibile fare in modo che facciamo tutti riferimento alla stessa storia (delle transazioni) risolvendo quindi il problema di una discordanza su chi è il proprietario di cosa, ma senza fidarsi di nessuno in particolare. Questo è il problema principale che per la prima volta Bitcoin ha risolto in maniera brillante senza dover fare affidamento ad una autorità centrale di cui fidarsi, come normalmente era sempre avvenuto.

L’innovazione chiave per risolvere questa problematica è stata quella di poter dimostrare quante operazioni si sono impiegate per produrre un certo risultato, altrimenti definito come “dimostrazione di lavoro2. In un sistema che implementa questa caratteristica è possibile avere una archivio di transazioni che dimostra avere alle spalle una certa mole di lavoro. A quel punto è sufficiente che la maggior parte degli utenti del sistema accettino come “buono” l’archivio che ha alle spalle il numero maggiore di calcoli che sono stati fatti su di esso. Questo permette di conoscere quale sia il “libro mastro”, e possiamo essere sicuri che è lo stesso usato da tutti gli altri.

Ed in definitiva questo permette di avere una prova di proprietà senza una autorità centrale.

Avendo chiaro questo concetto, una buona parte della complessità di Bitcoin comincia a diventare accessibile.

In un articolo precedente si era accennato al fatto che dei Bitcoin vengono dati in premio a chi riesce a risolvere un particolare problema matematico. Questo problema non serve solo per permettere una distribuzione iniziale delle monete, anzi, non è nemmeno il suo scopo principale. Il suo obiettivo principale invece è quello di dimostrare che un certo elenco di transazioni porta con se il maggior numero di calcoli eseguiti. Quindi se noi cominciamo a lavorare sull’ultima soluzione conosciuta (che ha un elenco di transazioni fino ad un preciso punto nel tempo) partiamo da una documentazione che al momento ha il numero maggiore di calcoli eseguiti su di essa. Il protocollo di Bitcoin specifica che è necessario utilizzare la più “grande” (cioè quella con più calcoli alle spalle), ma come si vedrà questo è nel nostro stesso interesse.

Se pubblichiamo un “aggiornamento”, cioè l’ultimo elenco delle transazioni più quelle più recenti, assieme ad una soluzione allora gli altri utenti sanno che il nostro “libro mastro” porta con se tutto l’elenco dei conti precedenti fino all’ultima soluzione più tutti quelli che abbiamo fatto noi. Di conseguenza se vogliamo reclamare il bonus (in bitcoin) per l’ultima soluzione è bene partire dal “libro mastro” che contiene l’ultima soluzione.

Vediamo quindi di riepilogare e sintetizzare una semplificazione di quello che accade in una rete bitcoin:

  1. Quando un utente vuole trasferire i propri bitcoin a qualcun altro trasmette a tutti un messaggio che contiene la transazione, cioè quanti dei propri bitcoin vanno a chi, e lo firma con la propria chiave privata.
  2. Quando un utente riceve un messaggio che identifica un trasferimento di proprietà (una transazione) come prima cosa verifica che la firma sia valida (vedere l’articolo precedente3 in proposito) e che l’indirizzo di colui che “spende” i bitcoin possieda fondi a sufficienza, cosa che può verificare sul “libro mastro”. Se le verifiche sono positive allora mantiene la transazione e la distribuisce a tutti i suoi contatti.
  3. Gli utenti che vogliono reclamare il premio per una soluzione (cioè i “minatori”) raggruppano tutte le transazioni che possiedono (cioè le nuove più quelle dell’ultimo libro mastro confermato) e creano un problema matematico unico per questo insieme. Poi cominciano a cercare una soluzione ad esso.
  4. Quando qualcuno trova una soluzione la distribuisce a tutti i suoi contatti assieme all’insieme delle transazioni a lui conosciute (cioè l’ultima versione del “libro mastro”). Come per le singole transazioni, ognuno di coloro che la riceve la verifica e, se valida, la distribuisce a tutti gli altri.
  5. I minatori che ricevono una nuova soluzione valida interrompono i calcoli che stavano facendo e prendono l’ultima versione del “libro mastro” come nuovo punto di partenza per cercare una nuova soluzione. Come definito nel punto 3) aggiungono ad esso tutte le nuove transazioni di cui sono a conoscenza e costruiscono un nuovo unico problema matematico da risolvere.

Nella pratica può succedere che a volte diversi utenti troveranno simultaneamente una soluzione e che queste si propaghino all’interno delle varie parti della rete a diverse velocità. I minatori dovranno quindi tenere tutte le ultime versioni dei “libri mastri” in attesa che uno di questi diventi più “lungo” (cioè porti con se un numero di conti maggiore) e quindi definitivo. Dal canto loro gli utenti invece aspetteranno un certo numero di nuove soluzioni dopo una certa transazione è stata accettata per essere sicuri che confermata a sufficienza.

Traducendo i concetti generali sopra esposti nel lessico tipico di Bitcoin avremmo che una nuova soluzione, con il suo blocco di transazioni vecchie e nuove, viene chiamato “blocco”. Il “libro mastro”, cioè tutto l’elenco delle transazioni, con tutte le soluzioni intermedie che dimostrano come sono costruite una sull’altra, viene chiamato “catena dei blocchi” perchè ogni blocco si collega al “libro mastro” precedente, formando quindi una catena.

Ci sono ancora molti dettagli da definire, cosa che vedremo di fare in articoli successivi, ma questo dovrebbe far capire i concetti generali del funzionamento della rete Bitcoin ed alcuni degli elementi fondamentali in gioco.

Dusty


Fonte: traduzione libera dell’articolo Bitcoin overview: proofs and common knowledge

Note:

Debitocrazia, il film

“Debitocrazia” è un documentario greco di Katerina Kitidi e Aris Chatzistefanou,  prodotto grazie alle donazioni dei cittadini in rete.  Il film individua le cause della crisi economica greca e mondiale e propone soluzioni che vengono occultate dai governi e dai media dominanti.  (video con sottotitoli in italiano)

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E’ nata la moneta del futuro. Si chiama Bitcoin

di Goemon, da Bitcoin-Italia 05/07/2011
Un sistema economico in cui i soggetti principali non siano solo le grandi banche e i governi ma anche un gran numero di cittadini connessi in rete, liberamente. Utopia? Certo. Ma anche Linux, una volta, era un’utopia: oggi fa funzionare la maggior parte di internet. Libero, senza grandi poteri, free source e basato sul web: il mondo del futuro (se non si autodistrugge prima) tutto sommato potrebbe anche essere così

Il Bitcoin è una moneta elettronica che unisce tre elementi tecnologici:

1) Il calcolo distribuito: invece di un supercomputer, tanti piccoli computer connessi tra loro, come nel programma SETI@home del 1999 (ricerca di segnali radio extra-terrestri) o in Folding@home del 2000 (analisi di assemblamenti di proteine). I primi usi di questa tecnologia risalgono agli anni ’70, da Arpanet a Usenet e finalmente a Internet.

2) Il peer-to-peer (P2P): non c’è un server centrale ma ciascun utente fa da server a tutti gli altri. Appartegono a questa categoria i programmi di scambio file, da Napster a Torrent.

3) Il trasferimento di moneta tra conti pubblici usando crittografia a chiave pubblica come Pretty Good Privacy (PGP), nato nel ’91. Tutte le transazioni sono pubbliche e memorizzate in un database distribuito.

Tutte queste tecnologie hanno avuto una popolarità immediata, tali erano le genialate dei loro inventori: Shawn Fanning, Sean Parker, Bram Cohen, Phil Zimmermann. Popolarità non vuol dire vita facile: Napster fu comprato e chiuso, il creatore di PGP incriminato. I creatori del Bitcoin sono nascosti da uno pseudonimo giapponese, Satoshi Nakamoto, e nel 2009 hanno realizzato la prima plausibile manifestazione di una “cryptocurrency” open source e globale (e con una licenza del Mit).Complessi algoritmi controllano cioè la creazione della moneta, rendendo teoricamente inutili le banche. L’attività di generazione della moneta elettronica viene definita “mining” (gergo dei cercatori d’oro…) e viene svolto da un software open source che sfrutta la potenza di calcolo della scheda video. Con l’aumento dei bitcoin in circolazione, questa operazione richiede sempre più potenza computazionale. Il loro totale è fissato a 21 milioni (adesso ne sono presenti 6,7 milioni), mimando anche qui la scarsità dell’oro.

Ma quanto vale un bitcoin, in realtà? Nel maggio 2010 un utente di forum, dalla Florida, chiedeva dove poteva comprare due pizze maxi coi suoi 10mila bitcoin (allora equivalenti a circa 40 dollari), suscitando ironie su una pizza così costosa. Con gli stessi bitcoin, adesso, potrebbe comprare un’auto di grossa cilindrata. Il bitcoin infatti a gennaio 2001 valeva 0,2 dollari, a maggio mezzo dollaro, e un mese fa ha sfiorato i 30. Beh, non siamo alle leggendarie azioni Cocacola trovate nella cassapanca del bisnonno, ma un portafoglio bitcoin è memorizzato in un file del computer e resta lì finchè non viene ritrovato.

Il bitcoin è lo strumento ideale per il micropagamento. Oggi donare un dollaro (o un euro) o spenderlo per un servizio si può fare solo passando per una compagnia telefonica (ih Giappone o in Usa) o addirittura per una banca (in Europa), con costi enormi. Con Paypal, ad esempio, su 1 euro quasi il 40% andrebbe in commissione.Il bitcoin è libero, funziona in rete e nessun potere esterno può metterci le mani. Ti permette di donare denaro a WikiLeaks, per esempio, dopo che Visa, Mastercard e Bank of America gli hanno chiuso i conti (permette anche di evadere le tasse, è vero: ma per questo, soprattutto in Italia, non c’era bisogno di aspettare sistemi nuovi…).

E se qualche governo lo vietasse, visto che è così indipendente? In teoria potrebbe farlo, ma in pratica… Sarebbe come riuscire a impedire davvero di scaricare musica “pirata”. Secondo WikiLeaks (28 giugno 2011: vedi) “il bitcoin è una moneta elettronica sicura e anonima. I bitcoin non sono facilmente tracciabili, e sono una veloce e tranquilla alternativa agli altri metodi di donazione. Quando Visa e MasterCard sono felici di dare servizi al Klu Klux Klan ma non a WikiLeaks, è tempo di agire”.

Abbiamo “minato” il nostro primo bitcoin: che cosa ne facciamo ora?Possiamo convertirlo in euro attraverso MtGox per ricevere un bonifico su un conto bancario europeo, o attraverso VirWox per ricevere euro su un conto Paypal. MtGox, al cambio odierno di 14 dollari a bitcoin (ma con una commissione di circa 50 centesimi), un Bitcoin frutterebbe circa 10 euro accreditabili sul conto.Oppure possiamo spenderlo per ricevere beni o servizi. Già ora su www.spendbitcoin.com possiamo cambiare i Bitcoin con buoni-acquisto usabili su Amazon (di qualunque nazione, anche Amazon.it!).Uno dei siti più originali invece è www.forbitcoin.com, dov’e si possono comprare o vendere servizi di ogni tipo: traduzioni, assistenza informatica, creazione di loghi e siti, e anche cose strampalate, come l’ateo pronto a convertirsi e a pregare per te per pochi centesimi, o il tizio che ti scrive lettere e poesie per aiutarti a conquistare (ma anche lasciare) la tua ragazza. E ancora fare i compiti di matematica, farsi ritrarre in versione manga, vendere polline d’api…Non solo acquisti: www.biddingpond.com è uno dei primi esempi di siti di aste, come Ebay, ad avere il bitcoin come moneta. Le offerte in Italia sono ancora poche e poco battute, è frequentato da gente che abita oltreoceano, ma è possibile acquistare tra le altre cose materiale informatico e olio d’oliva.

Bitcoin è “esploso” come visibilità a maggio, coi pezzi dedicatigli dei giornali economici “ufficiali” (Economist, Financial Times, Business Week). Questa popolarità purtroppo nelle ultime settimane ha richiamato anche l’attenzione dei ladri. E’ arrivato il primo malware che ruba portafogli virtuali (più o meno come Serpe nei Simpson…) ed è stato attaccato MtGox, il più grande sito di trading di Bitcoin, costringendolo a chiudere per una settimana per risolvere i suoi problemi di sicurezza.MtGox scambia sui 50mila bitcoin al giorno, il suo immediato rivale, Tradehill, circa 1000. Un sostanziale monopolio, strano in un sistema decentralizzato. E anche nel mining le cose non vanno meglio: Deepbit “mina” un terzo dell’intera rete (4000 Ghash/s sui 12mila del totale).I nuovi ingressi tuttavia sono impressionanti (e hanno reso reso più lenta la creazione di nuovi bitcoin). Fra Usa, Giappone e Europa si calcola che nelle ultime ventiquattr’ore (bitcoinwatch.com) siano stati trasferiti 469.372, 94 bitcoin, circa 20mila all’ora. Se è un inizio, è un buon inizio.

Nasce il progetto Freecoin

Freecoin è un fork di Bitcoin finalizzato a continuare lo sviluppo dell’attuale software ritenuto incompleto sebbene il software sia già stato messo in produzione, per realizzare una suite software per la realizzazione di sistemi monetari peer-to-peer.

http://freecoin.ch

Il progetto è stato presentato da Jaromil Rojo all’Hackmeeting 2011, Firenze 25/06/2011

http://korova.dyne.org/freecoin_hackmeeting2011.pdf