Una civiltà modello open source

di Alessia Maccaferri (Sole24ore) 24 marzo 2013

Cosa te ne fai di un PhD in Energia da fusione se non sai fare nulla di concreto? Così è partita la piccola rivoluzione di Marcin Jakubowski. Come ha raccontato a Ted Talks, il ragazzo americano di origine polacca ha acquistato un trattore in Missouri e si è messo a coltivare la terra. Ma presto si è accorto che i mezzi appropriati per fare una fattoria sostenibile, come aveva in mente lui, non esistevano. Il suo trattore, per esempio, lo lasciava spesso a piedi e lui non riusciva a ripararlo da solo. Così si è messo a costruire macchine molto robuste, modulari, efficienti, low-cost, fatte di materiali provenienti dalla zona. Le ha testate e ha pubblicato online i modelli 3D, gli schemi, i video con le istruzioni tecniche e i preventivi. In poco tempo migliaia di persone, da ogni parte del mondo, hanno voluto conoscere la sua Open Source Ecology, dove si intrecciano il fenomeno del Do-it-yourself, la sostenibilità ambientale e la redistribuzione dei mezzi di produzione.

Nel 2010 lui – che si definisce agricoltore e tecnologo – ha lanciato Global Village Construction Set, finito tra le migliori invenzioni del 2012, secondo «Time». Si tratta di un kit di costruzione, fatto di 50 macchine industriali che consentano la creazione di una civilizzazione su piccola scala. Dal trattore alla mietitrice, dal forno all’auto, tutti i progetti nascono in open source, con la partecipazione di persone da ogni parte del mondo. Le macchine vengono testate in Missouri e poi chiunque può scaricare le istruzioni per rifarsi la macchina da sé. Il costo è otto-dieci volte inferiore a quelle in commercio.

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Delle 50 macchine previste 25 sono già state realizzate. Un trattore può essere costruito in sei giorni, mentre in un solo giorno si possono piantare un centinaio di alberi o si possono pressare cinquemila mattoni. Ci hanno creduto in tanti al punto che a ottobre 2011 una campagna fondi su Kickstarter ha raccolto 63mila dollari e anche Shuttleworth Foundation ha finanziato il progetto.

Il presupposto teorico, sostiene Jakubowski, è che «l’hardware possa cambiare la vita delle persone in modo tangibile» e «se si abbassano le barriere alla coltivazione, costruzione e produzione si può liberare un grande potenziale umano». Non solo nei Paesi in via di sviluppo, ma al Gvcs guardano con interesse anche agricoltori, costruttori e imprenditori americani.

E anche in Italia c’è un folto gruppo di appassionati, stimolati dall’associazione Isees (Iniziativa per lo sviluppo ecologico, economico e sociale) che promuove il progetto Gvcs. E da un garage a Padova sta per nascere la prima impresa, Bottega 21, che vuole mettere sul mercato la Ceb Press, la Compressed Earth Block Press, una pressa che consente di fare in due giorni diecimila mattoni, sufficienti per costruire una casa di cento metri quadrati ecosostenibile. Non solo per l’origine dei materiali ma perché consente di produrre in loco senza costi per l’ambiente. Ma non tutto va liscio. «Se vogliamo rendere commerciabili queste macchine dobbiamo, in Europa, confrontarci con la marcatura Ce – spiega Jacopo Amistani, laureando in sociologia, che si autodefinisce “smanettone” – e questo rende le cose molto complicate dal punto di vista burocratico».

Insieme ad Alvise Antonio Giacon, laureato in Diplomazia, e a Damiano Dalla Lana, designer, lui vuole ideare altre macchine, per esempio per la lavorazione della canapa, attività che finora si dimostra essere improduttiva. L’obiettivo è creare macchine efficienti e poco costose per mietere e decorticare la canapa sui campi, in modo da ricavarne olii alimentari, cellulosa, legno per la bioedilizia. «Con queste macchine potremmo ridare nelle mani del contadino la possibilità di lavorare questa risorsa così preziosa», spiega Amistani. Non solo. «Vogliamo dimostrare che l’imprenditoria veneta – conclude Amistani, che parlerà a Tedx a Ginevra il 17 aprile – sta rialzando la testa, con orgoglio». Come nel Nord-Est di cinquant’anni fa si riparte dal garage. E, come nel Missouri di oggi, si costruisce un’economia con un senso nuovo.

Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2013-03-22/civilta-modello-open-source-200855.shtml

Benvenuti nel paese kibbutz “Dal pecorino al ristorante qui tutto si gestisce in comune”

di Jenner Meletti   lunedì 18 marzo 2013
Un modello socio-territoriale che riproduce almeno alcuni aspetti del movimento Transition Town: folklore a parte, ha senso? Magari si. La Repubblica, 18 marzo 2013 (f.b.)
SUCCISO(Reggio Emilia) – C’era l’affettatrice rossa, la mitica Berkel. C’erano le tavole di cioccolato da tagliare con il coltello, le caramelle, l’olio, il vino, la farina bianca e quella gialla. Una volta alla settimana arrivava la frutta. Ma nel 1990 Bruno Pietri chiuse la sua bottega, perché non poteva stare dieci ore dietro il bancone per servire tre o quattro clienti al giorno. Figli e nipoti che venivano a trovare i genitori portavano su le provviste comprate all’Iper di Reggio, che costavano la metà. A fianco c’era il bar di Domenico Bragazzi — anche lui sugli ottant’anni — con il biliardo in mezzo alla sala. Quattro tavolini, con i vecchi che facevano venire sera con un caffè al mattino e un bicchiere di vino al pomeriggio. Chiusero assieme, la bottega e il bar. Non c’era altro, a Succiso, 980 metri sul livello del mare, 60 abitanti d’inverno e 1.000 d’estateE allora i ragazzi (di allora) e gli adulti si trovarono alla Pro loco e decisero di reagire. «Mettiamoci tutti assieme, in una cooperativa. Qui l’iniziativa privata non regge più. Se vogliamo trovare un caffè, il pane fresco e soprattutto un posto dove trovarci assieme, dobbiamo costruircelo da soli».
Dario Torri, presidente della coop Valle dei Cavalieri, nel 1990 aveva 27 anni. «Quelli di città — racconta — hanno tutto sotto casa e non possono capire. Un paese dove al mattino non senti il profumo del pane è un paese che non esiste. Il primo giorno di neve guardi fuori dalla finestra e dici: che bello. Ma se non hai un bar dove andare, per trovare gli amici e fare una partita e due chiacchiere, dopo tre giorni rischi di impazzire». Allora non sapevano, quelli della Pro loco, di avere inventato «la cooperativa di paese», o «cooperativa di comunità», come vengono chiamate adesso queste realtà. «Forse somigliamo — dice Dario Torri — ai kibbutz, perché anche qui l’associazione è volontaria e la proprietà è comune. Certamente, dopo più di vent’anni, possiamo dire di avere fatto una cosa importante: abbiamo salvato il paese».Trentatré soci, sette dipendenti fissi e altri stagionali. «Stipendi sui 1.000 euro al mese, che sono più alti di quelli di città, perché non hai l’affitto da pagare. I soci invece sono tutti volontari. La nostra è stata una scoperta semplice: in un paese spopolato, un’attività singola non può reggere. Ci vuole un legame fra tutte le iniziative. Noi siamo partiti dall’ex scuola elementare, che era stata chiusa perché aveva solo 8 bambini. Qui abbiamo costruito la bottega di alimentari, il grande bar, una sala convegni che in inverno diventa la piazza del paese, un agriturismo con 20 posti letto e un ristorante. Ma abbiamo capito che, oltre alle cose indispensabili bisogna offrire anche le eccellenze. E così ci siamo messi a produrre il pecorino e la ricotta dell’Appennino reggiano. Sessanta
quintali all’anno, venduti in bottega o serviti al ristorante. E abbiamo costruito anche la “scuola di montagna”, per insegnare ai giovani che i monti non sono solo piste e skilift ma anche boschi, alpeggi, rifugi e camminate con le ciaspole alla ricerca di pernici e caprioli». Il fatturato della Valle dei Cavalieri, che fa parte di Legacoop, è di 700.000 euro all’anno.

Nel paese che doveva morire è difficile oggi trovare momenti di pausa. Albaro al mattino porta i bambini a scuola nel capoluogo (Ramiseto, a 20 chilometri), col pulmino della cooperativa. Otto bimbi in tutto, dalla materna alle medie. Poi passa in farmacia a prendere le medicine ordinate dal medico e fa la spesa per la bottega. Al pomeriggio prepara il pecorino, al sabato sera fa il pizzaiolo al ristorante. Giovanni cura i pascoli e le 243 pecore di razza sarda. Emiliano è il cuoco del ristorante, Maria tiene il negozio, Piera fa la cameriera, Fabio e Davide lavorano con la ruspa o l’escavatore o fanno le guide per le escursioni nel parco nazionale dell’Appennino tosco emiliano. «Ma tutto il paese, e non solo i soci — dice il presidente Dario Torri — è pronto a dare una mano. Quando si debbono preparare tortelli e cappelletti per il ristorante o le tante feste di paese che facciamo ogni anno, nonne e zie vengono a lavorare gratis».

È conosciuto anche in Giappone, il paese — cooperativa. L’altro giorno è salito quassù il professor Naonori Tsuda, docente di economia all’università di St. Andrew’s di Osaka, che studia le “cooperative di comunità” in tutto il mondo. «Ci ha raccontato che un’iniziativa come la nostra esiste in Australia. Ci ha detto che, come gli australiani, dovremmo chiedere la gestione di un piccolo ufficio postale, che da noi eviterebbe un viaggio di 20 chilometri per ritirare la pensione». Altre cooperative di paese sono nate nel reggiano (“I briganti di Cerreto”) e in altri borghi italiani a rischio estinzione. Tante sono case chiuse e i camini spenti anche nelle altre frazioni di Ramiseto. «A Fornolo, Poviglio e Storlo i bar e le botteghe hanno chiuso e i paesi sono andati in malora. E questo sta succedendo in migliaia di borghi italiani, soprattutto quelli degli Appennini. A Succiso invece non c’è una casa in vendita e al ristorante prepariamo diecimila pasti all’anno. Non abbiamo niente da insegnare. Solo un consiglio: se il bar abbassa la serranda, se il forno resta spento, reagite subito».

Come funziona il Sardex

Nel 2010 nasce a Serramanna (CA) ad opera di tre amici trentenni una srl che vuole riproporre il circuito di credito commerciale svizzero WIR nell’isola sarda, una forma di mutuo credito tra PMI. Ad oggi (2013) sono circa un migliaio le imprese che si scambiano beni e servizi in crediti Sardex, con una previsione di transato per il 2013 superiore ai 12 milioni di €.

Che cosa è il Sardex?

Sardex e le economie complementari

di Valerio Valentini (Byoblu.com) – 24/01/2013

Nel 2009, in provincia di Cagliari, quattro ragazzi danno vita ad una start-up. Che però non è soltanto una delle tante aziende che nascono in Italia e che sono destinate, il più delle volte, ad un rapido decesso. Quest’azienda si chiama Sardex e rappresenta un sistema economico complementare a quello tradizionale. Ma non solo. Sardex è anche un nuovo modo di concepire l’economia, è la dimostrazione che si può tornare a coniugare i rapporti commerciali con quelli sociali, rifiutando le follie del capitalismo sfrenato che ci ha condotto questa miseria. Umana, oltreché finanziaria.

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=Qdg9MfXEs_0#!”

 Abbiamo qui, ospite del blog, Carlo Mancosu, uno dei quattro fondatori di Sardex.

  Che cos’è Sardex?

Sardex è un circuito di credito reciproco tra aziende. Il suo funzionamento è abbastanza semplice, in quanto funziona esattamente come una camera di compensazione. Le aziende si iscrivono al circuito, dopodiché gli viene aperto un conto all’interno della camera di compensazione stessa e le aziende possono acquistare e vendere i propri beni e servizi all’interno della rete. Con una particolarità: utilizzando un’unità di conto interna, che nel nostro caso si chiama Sardex. Ogni Sardex equivale ad 1 euro.
Come funzionano gli acquisti e le vendite? Funzionano in questa maniera: ad ogni azienda è accordata la possibilità di andare in rosso entro una certa cifra, sul proprio conto. Nel momento in cui si fanno degli acquisti, il proprio conto Sardex scende per un importo equivalente agli acquisti e per recuperare questi acquisti non si dovrà far altro che vendere i propri beni e servizi ad uno dei membri della rete che ne faccia richiesta.
Oltre a questo programma – che è un programma “b to b”, vale a dire “business to business”, quindi tra aziende – che è stato il punto di partenza del progetto, oggi abbiamo affiancato un programma che abbiamo chiamato “business to employ”, quindi “b to e”. Questo programma permette anche ai dipendenti delle aziende di avere un conto all’interno della piattaforma Sardex, e di ricevere ciò che oggi le aziende per mancanza di liquidità non riescono più a dare, ovvero dei benefit, dei rimborsi, o delle anticipazioni sulle retribuzioni future. Quest’ultima parte è piuttosto importante, perché attraverso le anticipazioni sulle retribuzioni future, i dipendenti delle nostre aziende possono affrontare delle spese improvvise. Ad esempio può capitare che si debbano cambiare i pneumatici, si debbano fare dei lavori di ristrutturazione a casa piuttosto che affrontare delle visite specialistiche. Ebbene, ottenendo un’anticipazione dal proprio datore di lavoro in crediti Sardex, si affronta questa spesa senza dover ricorrere al credito tradizionale, quindi ad una finanziaria, e neppure andando a erodere i propri risparmi. Questo naturalmente va ad incidere anche sul piano economico della comunità, in quanto quella parte di potere d’acquisto del dipendente, la cui vita è legata a quella delle piccole imprese del suo territorio, si lega al territorio anch’esso. E così la ricchezza rimane ancorata al luogo si vive e si lavora.
Poi ci sarà una terza fase, che avvieremo, se tutto va bene, entro la metà di quest’anno. Si tratta della fase cosiddetta “b to c”, ovvero “business to consumers”. So che la parola “consumers” è un po’ brutta, nel modo in cui la si usa comunemente. Ma con “consumers” in realtà noi ci riferiamo ai cittadini: anche loro potranno entrare all’interno della rete. E la domanda che viene spontanea un po’ a tutti è: ma i cittadini cosa daranno alle imprese? Daranno forse la cosa più preziosa che hanno, ovvero il loro consumo critico e il loro potere d’acquisto. Quindi anche loro, decidendo di spendere i propri euro all’interno della rete riceveranno un pay back, quindi diciamo una ricarica in moneta complementare, spendibile all’interno della rete. Questo è molto più efficace di uno sconto, perché mentre lo sconto è una cosa a perdere e soprattutto gli euro che rimangono in tasca al consumatore spesso vengono spesi in attività che poi non lasciano nulla sul territorio, al contrario questa ricarica crea un affare futuro per un’altra azienda del circuito.
Ecco: molto in breve, questo è il funzionamento.

 Quindi se io sono un libero professionista o un commerciante, per poter entrare in questo circuito, come devo muovermi e cosa devo fare?

La prima cosa da fare è senz’altro richiedere un incontro attraverso il forum di contatto del nostro sito, perché l’ingresso di ogni azienda avviene seguendo vari step. Non tutti possono entrare in qualsiasi momento nel circuito, perché noi badiamo molto alla crescita armonica del circuito medesimo. Quindi per prima cosa incontriamo l’azienda, ci conosciamo. Anche perché uno dei nostri obiettivi è rivalutare le relazioni personali che sono altrettanto importanti e spesso son foriere di relazioni economiche. Ci incontriamo con l’imprenditore, dunque, e facciamo un’analisi dei precedenti bilanci della sua azienda, analizziamo con loro le loro spese, e soprattutto il loro potenziale inespresso.
Spiego meglio il concetto di potenziale inespresso: in economia l’unica domanda che generalmente viene tenuta in considerazione è la domanda che è coperta da beni finanziari, cioè da moneta. In realtà i nostri bisogni spesso vanno oltre alla nostra copertura finanziaria; altrettanto spesso c’è un’offerta di prodotti che non trova collocazione nel mercato e quindi è quella che il professor De Soto definisce “dead capital”, ovvero capitale morto. Noi non facciamo altro che prendere questo capitale e trasformarlo in liquidità utile all’impresa.
Quindi, come dicevo, analizziamo insieme questo capitale inespresso (quanti prodotti non trovano collocazione sul mercato, quanto tempo inutilizzato ha l’azienda …), lo incrociamo con la disponibilità di beni e servizi all’interno del circuito, dopodiché capiamo effettivamente quanto, fin da subito, quell’azienda può lavorare all’interno della rete. Se i tempi sono maturi, ovvero se c’è un effettivo spazio di mercato in questo momento nel circuito per quell’azienda, procediamo con l’iscrizione. Diversamente l’azienda viene tenuta in stand-by e viene ricontattata nel momento in cui il mercato richiederà i suoi beni e servizi. Questo perché, ovviamente, noi offriamo un servizio professionale, e l’ingresso nel circuito ha un costo: dunque non ce la sentiamo di far affrontare un costo, soprattutto in questo periodo in cui la liquidità viene a mancare, ad un’azienda che poi non avrà effettivi benefici dall’inserimento nella rete.

 Quindi, ricapitolando: io sono un commerciante che produce elettrodomestici piuttosto che ortaggi e mi rivolgo a voi. Pago una sorta di quota di iscrizione. Voi valutate se il mio ingresso nel circuito del Sardex è compatibile con le attività economiche degli altri iscritti e, se mi ritenete compatibile, io posso entrare a tutti gli effetti nel circuito. Da quel momento, quindi, le mie spese su quel territorio potrò farle non più soltanto in euro, cioè la moneta che tutti utilizziamo, ma anche, parzialmente e a mia discrezione, in Sardex. Cioè, per fare un esempio concreto, se poi io vado dal dentista e questi mi chiede 5 mila euro per una protesi odontoiatrica, posso pagare 2 mila euro in moneta corrente e 3 mila euro in servizi e beni equivalenti a 3 mila Sardex, fermo restando che ogni Sardex vale un euro.

Esatto. Anche se in realtà accade molto più spesso che le transazioni avvengano completamente in crediti Sardex. Mi spiego meglio. Noi abbiamo una regola fondamentale che, in pratica, prevede questo: sino a mille euro di valore commerciale, per contratto, tutte le aziende, per quanto riguarda i rapporti interni al circuito, sono obbligate ad effettuare la vendita completamente in Sardex. Superata questa soglia, ogni azienda indica una percentuale di compensazione minima che intende applicare ai pagamenti al di sopra di mille euro. Sulla base della nostra esperienza, in ogni caso, posso affermare che il circuito funziona molto meglio quando le aziende danno una disponibilità al 100%.
Però c’è una cosa importante: noi facciamo in modo che le aziende non si scoprano troppo. Bisogna sempre tener presente che, anche per gli aderenti al circuito, ci sono spese che non sono affrontabili in Sardex, perché il “socio di maggioranza”, cioè lo Stato italiano, non accetta i Sardex; di conseguenza noi tendiamo a dare delle soglie di garanzia alle aziende, per cui studiamo assieme quello che è l’importo di beni e servizi che l’azienda può mettere a disposizione del circuito durante un anno. Una volta che abbiamo stabilito insieme qual è questa soglia, essa non è altro che una percentuale del totale del fatturato. Quindi per i servizi questa percentuale può arrivare anche al 25%, mentre, per i beni materiali, soprattutto per il commercio, questa soglia si aggira tra il 10 ed il 15%. Questo permette alle aziende di usufruire dei vantaggi ma di non squilibrarsi troppo nel proprio cash flow.

 Come faccio a racimolare il primo gruzzolo di Sardex, entrando nel circuito? Quanti sono, cioè, i Sardex che mi vengono attributi come base di partenza, e come li ottengo?

Innanzitutto, essendo una camera di compensazione, tutti i saldi partono da zero. In realtà non c’è nessun gruzzoletto di Sardex all’inizio, nel senso che per accumulare i Sardex devi effettuare delle vendite. Quello che noi, per conto delle aziende aderenti al circuito, concediamo, è un piccolo affidamento, se così lo vogliamo chiamare. Ovvero la possibilità di “andare sotto” nel proprio conto. Quindi c’è un’analisi del merito creditorio, rifacendoci però al senso etimologico di “credito”, quindi nel significato di “fiducia”: cioè la fiducia che la rete accorda all’azienda. Per fare questo noi abbiamo dei parametri, effettuiamo dei calcoli; in definitiva l’affidamento è sempre una porzione della disponibilità commerciale annuale che l’azienda c’ha dato. Per fare un esempio: se un’azienda ci dà disponibilità di 20 mila euro dei propri beni e servizi, l’affidamento sarà una percentuale sui 20 mila euro. Questa percentuale viene calcolata in base a tutta una serie di parametri: dal merito creditizio tradizionale a tante altre cose, tra cui ad esempio la vendibilità di quel bene o servizio all’interno della rete. Mi spiego meglio: è chiaro che se una persona vende carburanti o gas avrà un affidamento più alto perché il suo bene è più facilmente piazzabile all’interno della rete, quindi avrà più facilità a recuperare qualora vada in debito; invece una persona che vende barchette di legno fatte con gli stecchini – ammesso che in questo momento riuscissimo ad accoglierlo – probabilmente avrebbe un affidamento piuttosto piccolo.
Quindi, in sostanza, se un aderente decide di vendere, come prima azione, all’interno del circuito, maturerà dei crediti attraverso le sue vendite. Se un aderente deciderà di acquistare il suo conto Sardex andrà in rosso e per ripagare avrà 12 mesi di tempo per vendere i propri beni e servizi per un quantitativo equipollente. Naturalmente noi facciamo tutta una serie di operazioni affinché in questi 12 mesi ci sia la possibilità di vendere i propri beni e servizi e quindi di non incorrere, alla scadenza dei 12 mesi, in un pagamento in moneta corrente.

 E per estinguere questo debito c’è un tasso di interesse?

Assolutamente no, non c’è nessun tasso di interesse. E anzi la questione degli interessi è una cosa piuttosto importante all’interno della camera di compensazione. Il trattamento di debitori e creditori all’interno della camera di compensazione è simmetrico. Questo perché, innanzitutto, non si parte da dei depositi, cioè il creditore non ha depositato nulla, contrariamente a ciò che avviene nel sistema bancario. In secondo luogo, se – come succede nel sistema finanziario attuale – si continuano a dare dei premi di tesorizzazione, e si premiano quindi le aziende in credito affinché facciano crescere il proprio credito anziché rimettere in circolazione la moneta, di fatto non si fa altro che impedire ai debitori di estinguere il proprio debito. Perché, ripeto, la somma dei debiti e dei credito è sempre uguale a zero.
All’interno di Sardex, invece, attraverso l’assenza di interessi, abbiamo due spinte, che nel sistema tradizionale sono contrapposte, ma che nel nostro circuito convergono verso un punto di equilibrio. Perché da una parte il creditore sarà portato a spendere il più presto possibile i propri crediti per non incorrere nell’inflazione dovuta all’unità di conto interna con la valuta ufficiale, che è soggetta a inflazione. Dall’altra parte il debitore farà di tutto per ripagare in beni e servizi il proprio debito di modo da non avere esborso in moneta corrente.
Questo, secondo me, oltre a creare dell’equilibrio, ha sancito il successo di Sardex per l’altissima velocità di circolazione dei crediti. Abbiamo calcolato che nel 2012 ogni credito Sardex è passato di mano almeno 6 volte, contro le 1,2 dell’euro. Quindi questo impulso dovuto all’assenza di interessi da una parte, e dall’altra al grande interesse del debitore nel ripagare il proprio debito, ha creato un vero e proprio circolo virtuoso.

 Quindi un sistema molto dinamico. Ma come è nata questa iniziativa?

Nasce sotto la spinta di tutta una serie di considerazioni, che sono perlopiù personali: in parte di natura territoriale, in parte di natura sistemica. Diciamo che nel 2007 sapevamo quello che sarebbe successo. Non perché siamo dei veggenti, ma perché in realtà si sapeva benissimo che sarebbe esplosa la crisi dei sub-prime. Dunque sapevamo che la finanza con i suoi prodotti, con la sua “quasi-liquidità”, e con le cartolarizzazioni, avrebbe cerato dei grossi problemi. E poiché il centro del sistema era proprio il settore bancario, questo problema si sarebbe trasformato presto in credit crunch. L’altra ragione, che è territoriale, è che io vivo in Sardegna, una regione che era già in una situazione di credit crunch. Quindi quando è esplosa la crisi finanziaria e si son veramente chiusi i rubinetti, non c’erano davvero più parole quello che era un credit crunch elevato al quadrato. Una situazione davvero drammatica.
Queste analisi erano accompagniate, inoltre, da una riflessione più intima: nel sistema monetario attuale, il valore del danaro è dato dal suo sottostante, ovvero dai beni e servizi che esso permette di acquistare. E questi beni e servizi, nonostante la crisi finanziaria, non sarebbero comunque venuti a mancare. Il giorno prima e il giorno dopo la caduta di Lehman Brothers, infatti, mio padre s’è svegliato come giorno per andare a lavoro, le aziende erano aperte e hanno prodotto: nulla, nella loro quotidianità, era davvero cambiato. Quindi la loro capacità produttiva, la loro capacità di produrre valore, era rimasta invariata.

Stai insomma dicendo che quella nata nel 2008 è una crisi più di consumi che di produzione.

Diciamo che è una crisi di domanda, come molto spesso succede. Ma è soprattutto una crisi di mezzi finanziari di produzione, nel senso che se io non ho il credito alla base che mi permette di produrre, difficilmente riuscirò a produrre, quindi difficilmente riuscirò a dare lavoro, e dare salari: e quindi non riuscirò ad aumentare la domanda.
Poi però è intervenuta la crisi dei debiti sovrani, che ha colpito soprattutto quelle nazioni, come l’Italia, il cui social welfare è piuttosto forte. Spesso in queste nazioni è elevato anche lo spreco, non lo metto in dubbio, però se posso permettermi di esprimere un parere su questo piano di austerità estrema, non ho dubbi nel ritenere che non ha cerato dei benefici. I dati sono abbastanza chiari: sostanzialmente il debito pubblico italiano lo scorso anno è cresciuto di 100 miliardi di euro; contemporaneamente, un abbassamento dello spread di 200 punti base non ha fatto altro che portare un risparmio, in prospettiva, di 6 miliardi il primo anno, 12 il secondo e 18 il terzo. Quindi non andare ad alimentare politiche per la crescita sicuramente non aiuta.

Infine c’è un’altra ragione che ci ha spinto a lanciarsi nel progetto di Sardex. Io vivo in una regione, che è la Sardegna, come vi dicevo, che è vittima di epiteti storico piuttosto degradanti: gli Spagnoli ci definivamo “pocos, locos y malunidos”, cioè “pochi, pazzi e disuniti”, e in Sardegna per lungo tempo pensare di parlare di collaborazione era un’utopia. Tutto dicevano che i sardi non sarebbero mai stati capaci di collaborare. Noi eravamo intimamente convinti, invece, che ci fosse una forte esigenza di collaborazione, e infatti ne abbiamo dato dimostrazione, perché siamo riusciti a metter insieme, in questo sistema di Srdex, oltre 900 aziende. E accanto a queste 900 aziende abbiamo cominciato la sperimentazione con i dipendenti, e anche lì c’è stata una forte voglia di fare rete. Questo perché contrariamente a ciò che si pensa, le economie di rete sono evidentemente il futuro dell’economia. Si è sempre parlato di economia di scala, si è sempre parlato di crescita e di gigantìasi. Io invece la giagnatìasi la vedo come una malattia, perché inevitabilmente porta ai transfert e ai monopoli: tutte cose che fanno male al mercato. Noi non vogliamo questo. Noi siamo fermi sostenitori del mercato. Un mercato di libera concorrenza e non viziato dai fallimenti.

Quindi abbiamo cercato di combattere questi luoghi comuni, e di fare economia di rete. E direi con un discreto successo. Anche perché l’iniziativa è stata piuttosto innovativa, e del resto quando si parla di danaro sappiamo che si tocca il dogma per antonomasia della nostra società. Cito sempre Sant’Agostino quando parlo di danaro, facendo un parallelismo con quanto lui, nelle Confessioni, diceva in riferimento al tempo: “Se nessuno me lo chiede so che cos’è, ma se qualcuno me lo chiede, non so rispondere”. Lo stesso avviene esattamente per il danaro: se io chiedo alla gente cos’è il danaro, la gente non mi sa rispondere, però intimamente, utilizzandolo ogni giorno, è convinta di sapere cosa sia. Il grande fraintendimento è confondere il segno con il valore: il danaro è il segno, ma non è il valore. E quindi agire su questo tipo di tematica, e comunque avere il successo che, molto umilmente, nel nostro piccolo abbiamo avuto, mi fa ben pensare che la Sardegna invece possa essere la fucina di questo cambiamento.

 Nella vostra logica, che è poi quella che vi ha portato a creare il Sardex, credo di poter riscontrare due elementi innovativi rispetto a quella che è la comune dialettica politico-economica alla quale siamo abituati ad assistere in questi anni. Il primo è che non è vero che è impossibile creare un sistema alternativo a quello del capitalismo sfrenato che ci ha portati a questa crisi. E il secondo elemento innovativo, e in parte complementare al precedente, è che non è vero che in un mondo ormai così globalizzato, questa globalizzazione è ormai un tabù intoccabile, un fenomeno irreversibile che va accettato a priori: se ci si organizza in maniera intelligente si può tornare ad un’economia su scale ridotte. Che garantisce anche dei vantaggi. Ad esempio ho letto un intervento di una grande intellettuale sarda, che è Michela Murgia, la quale parlava proprio del valore sociale, lei lo definiva addirittura pedagogico, di questa iniziativa. Questo perché Sardex ha permesso ad aziende che vivevano nello stesso comune, spesso a pochi chilometri di distanza, di conoscersi: aziende che in precedenza non conoscevano l’una i servizi che l’altra poteva offrire, e che invece attraverso il Sardex, questa sorta di rete di conoscenze oltreché di servizi, hanno potuto, in qualche modo, unire le forze. Magari il produttore di beni alimentari ha scoperto che nello stesso paese c’era una ditta di trasporti, e si sono messi d’accordo per trasportare frutta e verdura nel paese vicino. Mi rendo conto che sono esempi magari banali, ma sono anche molto indicativi.
In realtà, voi avete dimostrato che per certi versi, un’alternativa è possibile. Quello che mi chiedo è: questo esperimento ha dato già dei frutti a oltre 3 anni dalla sua creazione? Portaci un po’ dentro a quelli che sono i dati, le cifre del Sardex!

Certo. Però prima, se posso, vorrei fare un piccolo inciso sulla globalizzazione.

 Prego.

Purtroppo oggi “globalizzazione” è un termine abusato. Diciamo che se Sardex esiste è anche grazie alla globalizzazione, perché è proprio grazie alla rete, principalmente, al world wide web e alle grandi possibilità che ci ha dato, abbiamo potuto realizzare il progetto. Ti faccio presente che Sardex nasce nel 2009, e l’adsl nel mio piccolo paese arriva proprio in quell’anno. Non è un caso: prima di allora non avremmo neanche potuto pensare di fare il Sardex

 Quindi avete preso quanto di positivo c’era in questo fenomeno, mi pare di capire.

Sì, diciamo che la globalizzazione delle idee, lo scambio, la valorizzazione delle diversità che si oppone all’omogeneizzazione, dovrebbero essere il vero fulcro dei processi di globalizzazione. Del resto anche noi ci siamo ispirati ad altre esperienze: abbiamo potuto conoscere, e l’abbiamo fatto innanzitutto online l’esperienza di WIR. WIR, per chi non lo sapesse, è il più grande circuito di credito reciproco presente al mondo, che conta in Svizzera oltre 65 mila piccole e medie imprese. Abbiamo potuto, grazie alla rete, accedere a dei testi a cui non avremmo potuto accedere diversamente, perché non erano presenti nelle nostre biblioteche. Quindi tutto ciò che è globalizzazione della conoscenza, condivisione del proprio patrimonio dei saperi, è una cosa importante.
Venendo ora alla tua domanda, e perdonami per l’inciso, Sardex oggi può definirsi un esperimento andato a buon fine, perché abbiamo chiuso l’anno passato con oltre 4 milioni di crediti transati. Ma ciò che colpisce non son tanto questi 4 milioni, che riferiti all’economia sarda, e ancor più all’economia italiana, sono cifre molto modeste. Se infatti ci riferiamo alle piccole realtà che fanno parte del circuito, alcuni di loro sono riusciti ad aumentare il loro fatturato del 10-20%; in tanti hanno ripreso finalmente ad avere fornitori di prossimità, quindi si è incentivato il km 0. E si sono portati avanti dei valori che sono difficilmente misurabili attraverso l’econometria, ma che sono sicuramente misurabili in termini di qualità della vita e qualità del prodotto. Faccio un esempio su tutti che è quello della ristorazione: molti ristoratori, per via della stretta creditizia, avevano iniziato a rivolgersi alle grandi catene di distribuzione perché queste ultime fornivano delle dilazioni molto ampie, quindi fungevano quasi da banche. Attraverso il circuito Sardex, invece, in cui i pagamenti sono immediati, questi ristoratori hanno potuto rivolgersi a imprenditori vicini a loro, aumentare la qualità del servizio, e spesso aumentare anche il prezzo di vendita di quel servizio, anche in moneta corrente. Quindi i benefici si sono riflettuti non solo sul nostro piccolo mercato complementare, perché quei ristoratori son diventati più efficienti anche nel mercato in euro.
Oltretutto, operare in Sardex permette alle aziende di migliorare il proprio bilancio: e migliorare il proprio bilancio significa presentarsi in banca e poter mostrare i propri conti in ordine, e di conseguenza avere un rating più alto e più facilità di accesso al credito, anche tradizionale. Diciamo che l’altra cosa che colpisce, è il graphos sociale, che mi dispiace di non poter mostrare ora. Infatti, attraverso lo strumento fantastico che google ha messo a disposizione, cioè le fusion tables, abbiamo sott’occhio il nostro graphos sociale: e vedere cosa siamo riusciti a costruire in questi 3 anni fa davvero paura. C’è anche un altro riscontro, molto significativo: cioè la crescita del circuito sui 3 anni, che è impressionante. Tanto per dare delle cifre: il primo anno abbiamo fatto 300 mila euro di transato, il secondo anno abbiamo fatto 1,2 milioni e l’anno scorso abbiamo fatto oltre 4 milioni. Siamo su un ritmo di crescita di oltre il 300%. L’altro dato è che nei primi 15 giorni di gennaio 2013 abbiamo fatto più di 300 mila crediti di transato: quindi in 15 giorni abbiamo fatto più di quanto non avessimo fatto il primo anno. E questi son senz’altro dei dati più che incoraggianti.

E tra l’altro Sradex potrebbe anche costituire un’alternativa economica dal grande valore legale. Perché spesso l’imprenditore, ormai in tutt’Italia, per non dire in tutta Europa, nel momento in cui si trova a corto di liquidità e le banche non concedono mutui, si rivolge a chi di liquidità ne ha tanta, e cioè alla criminalità organizzata. Quindi nel piccolo, ovviamente, un’alternativa anche a questo fenomeno, che sembra anche questo irreversibile, forse può esserci.

Sì, rispetto a questo tema, ci tengo a sottolineare che c’è tanta legalità in Sardex, perché tutte le transazioni sono sempre accompagnate da fattura, da numero fattura e da data fattura, quindi da un documento. Questo naturalmente può facilitare l’emersione del cosiddetto sommerso, perché in questa maniera, trovando un modo conveniente di far commerciare le aziende, queste ultime sono portate a fare fattura e a versare le imposte. E questo ritengo sia un altro elemento importante, perché spesso i luoghi comuni portano a dire: “Ah, questo sistema fagociterà il nero, fagociterà l’evasione fiscale”. No, in realtà è tutto l’opposto, perché tutte le nostre transazioni son tracciate e ogni transazione è accompagnata da un documento.

 Quindi avete anticipato quanti, in Europa e anche in Italia, volevano tassare la transazioni o quantomeno rendere digitalizzate, e quindi facilmente tracciabili, tutte le transazioni al di sopra di una certa cifra. Voi li avete battuti sul tempo.

Sì, noi abbiamo fatto questo. C’è da dire che la mia opinione rispetto al contante è che il contante debba ancora rimanere in circolazione, anche perché non si può pensare di punire uno strumento per l’uso che ne viene fatto. Io non posso proibire il coltello perché qualcuno accoltella le persone. Allo stesso modo non posso punire il contante perché qualcuno fa un uso sbagliato del contante. Il contante è uno strumento che oggi permette di vivere a tante persone che hanno difficoltà,per via del digital divide, ad utilizzare strumenti elettronici. Ed è forse anche l’unico contatto, ancora, col feticcio materiale di ciò che il denaro forse un tempo è stato.

 Ma la vostra iniziativa, il Sardex, è attiva solo in Sardegna o si sta espandendo?

In realtà, dopo aver, come dicono i tecnici del settore, validato il modello, e soprattutto dopo che questo modello è stato ripreso spesso dai media, non solo regionali ma anche nazionali, ci sono arrivate molte richieste da parte di gruppi di imprenditori da altre regioni d’Italia e d’Europa per poter attivare circuiti simili anche in altre aree. E quindi siamo partiti con un progetto di replicabilità, che ci vede al fianco di imprenditori locali: infatti è molto importante per noi che siano imprese del posto a lanciare questo tipo di iniziativa nel territorio in cui poi andranno ad operare, perché il tessuto su cui circuiti simili si fondano non è soltanto di tipo economico, ma anche e soprattutto socio-culturale.

Il primo duplicato è partito lo scorso anno ed è Sicanex.net, in Sicilia, quindi un altro contesto insulare. La sta portando avanti una persona che poi, nel tempo, è diventato un mio caro amico, che è Andrea Seminara: un filosofo che per lungo tempo si è occupato di risparmio energetico ma soprattutto di abbattimento di emissioni di Co2, in linea con i progetti di social repsonsability di Legambiente. E così ha potenziato l’iniziativa dando molta importanza alla sostenibilità del progetto dal punto di vista ecologico, rilanciando temi come il km 0. Stiamo partendo, adesso, anche in Piemonte: il progetto si chiamerà Piemex.net: siamo naturalmente in una fase ancora di preparazione, in quanto la preparazione di questo tipo di attività è piuttosto lunga. E poi abbiamo decine di progetti in lista, pronti a partire.

Chiaramente stiamo misurando i passi e ci si muoverà con queste persone un po’ alla volta in modo da poter far crescere questi circuiti in maniera armonica. E tutto questo, chiaramente, con la chiara speranza che un domani, una volta che ognuno di questi circuiti sarà solido sul proprio territorio, tutti quanti si possano incontrare in una piattaforma, in una sorta di meta circuito, o di intercircuito che dir si voglia, che permetta ai vari circuiti, alle aziende, alle reti dei vari circuiti, di scambiare il proprio surplus commerciale, in cambio di ciò che nella propria regione non viene prodotto. Eviteremo chiaramente di far viaggiare bottigliette d’acqua e ci scambieremo, come diceva Grillo un tempo, le ricette dei biscotti; però laddove io ho il mare, e il Piemonte non ce l’ha, io sono in grado di offrire vacanze e magari il Piemonte è in grado di offrirmi i prodotti di industria manifatturiera che in Sardegna sono difficilmente reperibili.

 Quindi una logica economica soggetta anche a parametri di sostenibilità ambientale e sociale. Quello che mi chiedo è: avete trovato, o temete di trovare, delle resistenze da parte degli organismi ufficiali, sia regionali, sia nazionali, sia internazionali, che siano la Banca Centrale Europea piuttosto che la Banca d’Italia, piuttosto che qualche ministero? Questi enti come guardano alla vostra esperienza: con timore, con sospetto, con fiducia?

Per quanto concerne l’Unione Europea, è uscita lo scorso anno la normativa sui sistemi di pagamento nella quale i Lets – Local Exchange Trading Systems, che è esattamente ciò che noi facciamo – non vengono inclusi. Lo stesso si può dire per il “paper” che è uscito ultimamente sulla moneta elettronica. C’è però un grande interesse: l’Unione Europea ha finanziato progetti di monete sia di scopo, quindi monete legate all’ecologia, sia monete di altro genere, soprattutto nel nord Europa. C’è grande interesse perché queste monete vanno ad agire laddove la moneta ufficiale non riesce ad agire: esse non minacciano, ma in realtà complementano e completano l’azione della moneta ufficiale. Non temiamo particolari ostacoli, proprio perché, vista la difficoltà del momento, questo tipo di sistemi stanno, almeno per quanto riguarda le nostre aziende, dando ossigeno alle piccole e medie imprese, creando relazioni e senso di comunità. E difficilmente si può andare contro questo tipo di obiettivi che, se andiamo a vedere, sono gli stessi obiettivi di Europe 2020, quindi sono gli stessi obiettivi che l’Unione Europea sta cercando di perseguire.
Poi c’è il sistema bancario tradizionale, e anche lì secondo me ci sono delle sinergie e sicuramente ciò che noi facciamo aiuta anche loro da un certo punto di vista, perché andando a migliorare le prestazioni delle aziende, e andando migliorarne i bilanci, rendiamo più facile e meno rischioso anche il mestiere delle stesse banche. Noi siamo in contatto con alcune di loro, principalmente con banche di credito cooperativo, nel resto d’Italia, che svolgono in realtà un lavoro molto prezioso perché è un lavoro ancora legato alla conoscenza: il direttore della banca di credito cooperativo conosce tutti i suoi clienti e i rispettivi business, conosce le aziende, e loro svolgono un lavoro che secondo me è complementare al nostro, e quindi non solo non penso che ci saranno ritorsioni da quel mondo, ma potrebbero esserci, secondo me, ampi margini di collaborazione.

 Ti ringrazio, e penso di poterti rivolgere questo ringraziamento a nome dei lettori del blog. In bocca al lupo e buona continuazione.

Grazie, a presto.

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