M-banking

 

Quando feci il post sull’ M2M (che ha avuto un seguito che non mi aspettavo) e’ nata una discussione sulla possibilita’ degli operatori mobili di fare il lavoro delle banche. Tali tecnologie esistono, anche se non in Italia, e vorrei citare un esempio (non per fare pubblicita’, e’ solo l’unico che mi e’ noto perche’ usa sistemi che contribuisco a far funzionare) , che non solo ha avuto “un certo successo” ma costituisce materia di studio accademica nel mondo finance.

 

Tutto nasce quanto un operatore telefonico europeo , Vodafone,  decide di creare un servizio di m-banking ed m-finance usando il proprio affiliato in Kenya, SafariCom. Il servizio si chiama m-Pesa, dal nome che i soldi hanno in swahili (mi dicono, ma non ne sono certo. Chi parla lo swahili e’ pregato di confermare o smentire. Sarannno migliaia, su questo blog. Chi non conosce lo swahili, oggigiorno?).

 

 

Inizialmente il servizio e’ nato per agire al posto dei “money transfer”: il vantaggio di questo servizio e’ che l’immigrato in Europa puo’ mandare soldi usando la ricarica della propria SIM , che puo’ farlo ad ogni ora e con un costo basso (i normali money transfer si prendono anche l’ 8%) , e che dall’altro lato l’ “agente” non ha bisogno di un ufficio con una connessione di rete ad un mainframe , ma gli basta uno smartphone per controllare la transazione e fornire le piccole transazioni di denaro.

 

 

Insomma, il nostro immigrato manda 50 sacchi oggi, 50 sacchi domani, e cosi’ via. Dall’altro capo, fare l’agente e’ molto semplice, piu’ che fondare una filiale bancaria o aprire un money transfer: basta registrarsi , dare la propria posizione e avere uno smartphone.

 

 

Il servizio nacque per il Kenya, poi si diffuse in Tanzania, oggi sta aprendo in Afghanistan e ci sono gli studi di capacita’ per l’ India.

 

 

Di per se’ sembrava che il servizio dovesse essere semplicemente un sistema innovativo di money transfer Machine to Machine . Cosi’ era disegnato e cosi’ e’ stato: o meglio, cosi’ e’ stato dal punto di vista europeo , nel senso che la rete europea ha visto partire semplicemente un tot di soldi, come previsto.

 

 

La cosa imprevista e’ stata l’effetto che il sistema ha avuto sulle zone rurali: [hanno iniziato a nascere i case Study].

 

 

 

 

 

Cosa e’ successo? Perche’ un simile impatto? E’ successo che in questi paesi le carte di credito erano poco diffuse perche’ non e’ mai stato posato il cavo necessario a farle funzionare.

 

 

Il vero problema non e’ stato che la transazione economica sia possibile anche nelle zone rurali dove il money transfer non funziona. Il problema e’ stato che ad un certo punto ha iniziato a sostituire il sistema bancario nazionale per tutte le zone extraurbane, e ha iniziato a dilagare nelle nazioni circostanti.

 

 

La fantasia africana ha fatto il resto: esistono agenti che voi chiamate e vi raggiungono col motorino, esistono negozi che si fanno pagare in m-Pesa, e l’impatto sull’economia e’ stato cosi’ devastante che sta trasformando le societa’ locali trasformando l’economia.

 

 

C’e’ davvero troppo da dire sugli effetti che questo sistema ha sulla popolazione: c’e’ da dire che in Africa il microcommercio persona-a-persona e’ diffusissimo, significa che la gente va in piazza a comprare e vendere direttamente dalle persone che conosce, (1) e questo ha moltiplicato a dismisura il numero di agenti.

 

 

Attorno ad m-pesa e’ nato poi tutto un universo di applicazioni puramente africane, come mpesapal, l’equivalente di paypal, e i negozi anche nelle zone rurali stanno iniziando ad accettare quasi esclusivamente mpesa. (questo e’ dovuto anche al tasso di criminalita’, BTW).

 

 

Ora, la cosa e’ paradossale per coloro che predicano il microcredito, il microcommercio e il microfinance come alternative alle “malvagie multinazionali”, dal momento che e’ stata proprio una “malvagia multinazionale” del mondo telco ad inventare l’unico modello funzionante capace di avere un REALE impatto sulla macroeconomia nazionale. Intendo dire (se leggete i paper lo vedrete) che le economie di quei paesi stanno DAVVERO crescendo per via di m-Pesa.  Esiste addirittura una categoria di persone dette “m-pesa techenterprenuers” .

 

 

Evidentemente, qualcuno degli ideologi del microcredito e della microfinanza e del “baratto” dovra’ farsi una ragione del fatto che le l’economia che sognano (oddio, in alcuni paesi africani e’ gia’ realta’ da anni) si realizza tramite alcune malvagie multinazionali , dette telco.

 

 

Non voglio dirvi che genere di impatto questo ha avuto sui datacenter, che erano dimensionati per numeri piu’ piccoli e si stanno trovando a gestire il 60% delle transazioni “bancarie” di quattro o cinque nazioni. Certo, sono nazioni che hanno il PIL di una provincia del nord italia, ma se leggete le cifre vi accorgerete che non si scherza.

 

 

Se considerate che si stanno facendo calcoli di capacita’ per mandarlo online in India (posso dirlo qui, e’ un fatto pubblico) , capite subito che presto ci saranno ANCHE i numeri grandi. MOLTO grandi.

 

 

Qual’e’ il vantaggio di questo sistema: lo avrete capito. L’intermediario e’ invisibile. Ovviamente c’e’ un intermediario, ma non ha una faccia. Non dovete andare ad uno sportello, tenere aperto un conto, avere rapporti con un ente invasivo come una banca. No, avete semplicemente il vostro cellulare, ed ogni tanto vi arriva un SMS(2) cosi’:

 

 

Graphic: Christine Daniloff , ®MIT Press.

 

 

 

Ho scelto questa foto perche’ e’ esemplificativa del fatto che basti un cellulare “legacy”, cioe’ una roba che supporta appena il GSM , per far funzionare il servizio. In pratica, con un cellulare e una SIM avete anche il conto corrente in banca, un sistema di pagamento peer-to-peer , UNA CARTA DI CREDITO. Ad un costo bassissimo, cosi’ basso che e’ possibile fare decine di trasferimenti al giorno avendo le spese che un tempo i migranti avevano per inviare una sola tranche di soldi alla famiglia.

 

 

 

Adesso andiamo al punto: voi mi avete detto tempo fa che i  pagamenti via cellulare sono “inevitabili ” e che arriveranno presto. Ora, a prescindere dal fatto che sono gia’ “arrivati” e sono una realta’, la mia domanda e’:

 

 

questa roba ha letteralmente cancellato e sostituito il sistema del credito in quattro paesi africani. Le banche ormai si occupano solo dei pochi ricchi del luogo. I bamcomat sono scomparsi, sostituiti da questi “agenti” che sfrecciano in scooter con lo smartphone e un fascetto di banconote in tasca, capaci di prendere contanti e metterli sul vostro conto oppure di cambiare l’ m-Pesa in contanti (se ancora trovate qualcuno che non li accetti e vuole il cash). Per legge, in questi paesi si e’ deciso che qualsiasi altro sistema analogo debba essere interoperabile, temendo gli impatti sul PIL di una frammentazione del mercato.

 

 

Allora, signori, siamo onesti:

 

 

pensate davvero che le banche europee ed americane accetteranno di essere cancellate da simili sistemi? Certo lo saranno prima o poi, ma davvero pensate che non combatteranno una lunga ed estenuante guerra per fermare questo genere di cose?

 

Andate sui siti del MIT dove si stimano i cash flow di questa roba, e confrontateli col PIL di queste nazioni. Sono arrivati a gestire il 38% del PIL nazionale. Che non e’ enorme, ma ci sono milioni e milioni di persone che dipendono da questa tecnologia. Questi milioni di persone -di solito poveri- non avrebbero mai avuto accesso ad un conto corrente.

 

 

m-Pesa non e’ un vero conto corrente, nel senso che non paga interessi e non consente lo scoperto. Del resto, ha spese bassissime per le operazioni e non necessita di particolari rapporti con uno sportello. Si comporta piu’ come una carta di credito prepagata,  devo dire.

 

 

In ogni caso, tant’e’: poniamoci una domanda. Le banche italiane ed europee secondo voi si lascierebbero sfuggire il 38% delle transazioni economiche?

 

 

Guardate il caso di Amazon: non appena e’ arrivata in Italia, la corporazione dei librai ha fatto approvare una legge che vieta grandi sconti sui prezzi di copertina. Con un rischio simile , secondo voi lascieranno passare un sistema del genere? Le banche SANNO che cosa sta succedendo in quei paesi, ricordate? I giornali italiani NON ne parlano, ma le banche SANNO. Sanno benissimo che non sopravviverebbero, almeno non nella forma attuale.

 

 

Cosi’, non sono ottimista a riguardo, quanto lo siete voi. Sono ottimista perche’ ho sempre pensato che la soluzione ai problemi di fame sia lo sviluppo, e non merda come la “decrescita”, e credo che lo sviluppo tecnologico possa dare risposte importanti, e non solo l’ oroscopo erotico via MMS.

 

 

Ci sono pero’ due domande interessanti che lascio a voi:

 

 

  1. Essere i paesi “finanziariamente piu’ avanzati” sembra essere uno svantaggio. Queste nuove tecnologie, dalla potenzialita’ immensa, si diffondono in paesi dove non ci sono vecchi sistemi finanziari a frenarne lo sviluppo per difendere il proprio business.
  2. In Europa l’ m-commerce e’ all’inizio, l’ m-finance e’ vietato dalle norme vigenti, almeno in Italia dove le banche sono banche e le telco sono telco. Ci scambiamo sms dicendo TVTB e roba tipo le minchiate di Facebook e Twitter. Loro ci stanno basando un intero ecosistema economico. Siamo davvero NOI le economie avanzate, o siamo solo quelle ricche?

 

In queste due domande e’ contenuto l’intero futuro dell’ “occidente progredito”:

 

Se consentiamo alle nostre banche ed all’economia esistente di frenare lo sviluppo tecnologico per mantenere lo status quo, presto ci troveremo ad avere a che fare con economie tecnologicamente piu’ avanzate della nostra.

 

Personalmente, anche se faccio solo un piccolo tassello di questa roba (attualmente, il trasporto SMS), mi sento orgoglioso di quel che faccio. Ci sono persone che quest’anno NON moriranno di fame grazie a questo sistema, e che sarebbero morte senza. A milioni. E si, questo flusso , sul piano “etico”, vale piu’ di tutti i merdosi SMS politici che passano per via di twitter e facebook. Tanti farlocchi invece di parlare del potenziale che la rete ha nel caso delle “primavere arabe” (unica roba che i mass media hanno lasciato arrivare alle loro orecchie), dovrebbe guardare a questa roba, perche’ qui si sfamano persone.

 

 

Dal punto di vista di una banca italiana, invece, suppongo di essere un criminale, un abietto pervertito, un pericolo mortale. I nazisti mi odieranno perche’ sto lavorando per la finanza negroide contro quella ariana. I comunisti mi odieranno perche’ questa roba dovevano farla i proletari uniti e le onlus e invece la sta facendo una malvagya multynazyonale.

 

 

Come scrivo spesso in “Pietre” (lo sto ultimando in questi giorni), “Naamah e’ usa chiamare gli ultimi a se'”.
E se lo dice Naamah, chi sono io per contraddirla? 😉

 

 

Uriel

 

 

 

 

(1) Una cosa buffa dei paesi africani e’ chesono diffusissimi i sistemi che tengono online la lista dei contatti. Il motivo e’ che sembra che l’africano medio superi il numero di contatti in rubrica che le SIM e anche gli smartphones supportano.  A quanto pare un africano medio ha gli stessi contatti di un PR occidentale.

 

I buoni sono buoni

di Franco Berardi Bifo – 16.12.2011 ( da Through Europe)

Il discorso sulla democrazia è concluso. Capitalismo finanziario e democrazia sono incompatibili. La democrazia è stata cancellata e qualsiasi scelta politica che si fondi sulla presupposizione dell’esistenza della democrazia va considerata da questo momento in avanti come collaborazione con la dittatura finanziaria. Viviamo ed agiamo nella sfera di una dittatura feroce, seppure impersonale, anzi tanto più feroce in quanto impersonale. L’azione deve quindi assumere il carattere dell’esodo, dell’abbandono dello spazio dominato dalla dittatura, e dell’appropriazione. Per questo l’occupazione è la forma generale dell’azione. Occupare significa al tempo stesso: compiere un gesto simbolico di denuncia, mettere in moto un processo di riattivazione della solidarietà e riappropriarsi di qualcosa che è necessario per la sopravvivenza.
Ma l’appropriazione deve diventare il paradigma della prossima fase di espansione del movimento, manifestazione specifica dell’insolvenza. Insolvenza significa costruzione delle strutture della sopravvivenza (ristoranti popolari, case collettive, strutture di autoformazione) che ci permetteranno di sottrarci al debito materiale della miseria e al debito simbolico della solitudine, insomma ci permetteranno di cominciare a vivere.
Insolvenza significa anche rifiuto di pagare il debito simbolico che fa del capitale l’orizzonte insuperabile dell’azione sociale: rifiuto di subire e riconoscersi nella semiotizzazione finanziaria del mondo, sperimentazione di altre semiotiche, altre forme di organizzazione del territorio, della produzione, della vita quotidiana.
In particolare dobbiamo sviluppare quelle forme di azione, che già hanno cominciato a manifestarsi, che puntano a disarticolare lo strumento monetario, anello centrale della catena dello schiavismo contemporaneo. Occorre sperimentare forme di scambio indipendente dal dominio monetario. Continua a leggere

Crowdfunding. Microfinanziandoci.

di Virginia Negro (https://pucherourbano.wordpress.com), 15 dicembre 2011

goteo

Abbiamo parlato del crowdsourcing, un nuovo modo di creare/ perfezionare un prodotto collettivamente.

Il crowdfunding si basa sullo stesso paradigma, questa volta però il banco chiama e in comune si mette il denaro, si investe cioè collettivamente in un progetto proposto da un singolo, o da una collettività, il cui fine può andare dalla ricerca scientifica al sostegno dell’arte, al giornalismo partecipativo.

Insomma il capitale è là fuori, tra parenti, amici, amici di amici, nel tam tam di face book, l’importante è saperci fare.  Chi meglio di un  italiano poteva elaborare l’equazione amici=capitale e inventarsi un luogo dove far incontrare donatori e progetti?

L’ informatico Alberto Falossi crea Kapipal, mette in valigia capital & pals e rima collaborazione con soluzione.  Qualcuno ci ha creduto, e pare che funzioni: Obama ha finanziato parte della sua campagna elettorale proprio con donazioni dei suoi elettori, il Louvre ha lanciato l’iniziativa Tous mecenes (tutti mecenati) per riuscire a comprare Le tre grazie di Carnach da un collezionista.

Complichiamo l’algoritmo, al neo-concetto di Kapipal aggiungiamo quello di pro comun (pro=provecho y comun=comune) eil capitale di rischio si trasforma in capitale di irrigazione (il gioco di parole in spagnolo è intraducibile : capital riesgo si trasforma in capital riego), il crowdfunding e il crowdsourcing si ibridano in un contenitore comune plasmato sia sul concetto di finanziamento collettivo che su quello di distribuzione collaborativa del lavoro. Perché l’algoritmo sia efficiente la piattaforma dovrà (far)investire in progetti che abbiano un ritorno collettivo, che generino cultura, innovazione, educazione dando nuova linfa alle risorse comuni. Perché l’algoritmo sia coerente anche la rete stessa dovrà essere “comune”, suscettibile di libero accesso e di ri-appropriazione da parte di qualunque xutente, in poche parole il codice deve essere aperto.  Questa libertà ricorsiva è garantita dalla licenza Creative commons che permette la condivisione di informazioni, conoscenze, processi e risultati. Contenuti digitali che si trasformano grazie all’uso dell’utente.

Il risultato è Goteo, un progetto aperto già nel suo Dna, di paternità attribuibile al collettivo Platoniq, che già si definisce come rete sociale di finanzi azione collettiva e collaborazione distributiva.

Goteo  rappresenta l’alternativa ( o il complemento) di finanzi azione dell’amministrazione pubblica e delle imprese private. La natura del sistema calza con le necessità del nuovo movimento sociale spagnolo nato e cresciuto positivo al virus del bene pubblico libero, che sia fisico, sovrasensibile o digitale.

Fin qui l’operazione sembra perfettamente riuscita, anche i risultati positivi e la realizzazione dei progetti sembrano confermare l’esattezza delle operazioni, la querelle sta però nella definizione stessa del progetto come l’alternativa ( o il complemento) di finanzi azione : forse un coefficiente da aggiungere ai nostri calcoli è la capacità di non dimenticare che il pubblico è un nostro diritto, e che dobbiamo non solo preservarlo e  seminarlo, prendendo coscienza della produttività del nostro essere cittadini ma anche continuare ad esigerlo goccia dopo goccia.

Solo per dare l’idea, tra gli ultimi progetti c’è Bookcamping: un archivio virtuale di libri online completamente gratuiti.

Spiegato dalla blogger Silvia Nanclares, da cui è partita l’idea.

Tu derecho a saber (clicca qui per vedere la video-presentazione del progetto), sarà una pgina web da cui poter richiedere informazioni su qualunque istituzione pubblica.

Virginia Negro

L’esperimento di Worgl

I certificati di lavoro di Worgl

Di questo esperimento abbiamo una testimonianza scritta di Fritz Schwartz. Nel 1932, la ridente cittadina tirolese, Worgl, con 4000 abitanti – questo è quanto racconta Fritz Schwartz – si trovò a subire una pesante deflazione, dovuta alla stretta creditizia varata dalla Banca Nazionale Austriaca; dai 1.100 milioni di scellini, si passo a 900 milioni circa, mettendo così in ginocchio l’economia. Circa 1500 abitanti, cioè oltre il 35% dei suoi 4000, erano disoccupati.

Il sindaco, Michael Unterguggenberger, meccanico ed ex-ferroviere, dopo un accurato lavoro locale di preparazione presso gli imprenditori, commercianti, banca ed abitanti, fa stampare 32.000 scellini sotto forma di “Bestatigter Arbeitswerte”, qualificati, non come denaro, ma come certificati di valore di lavoro.

I “tagli” di questi certificati erano da uno, cinque e dieci scellini, che scadevano dopo un mese; il possessore, però, poteva prorogarli applicandovi, a proprie spese, una marca – acquistabile in Comune – pari all’1% mensile (ossia il 12% annuo) del valore facciale. L’emissione era «coperta» alla pari: una somma uguale di veri scellini era depositata dal Comune nella locale banca di risparmio. In ogni momento, ogni detentore di «banconote del lavoro» (moneta deperibile) avrebbe potuto presentarle all’incasso e riscuotere scellini.

Venne però stabilito che, per questa operazione, la banca avrebbe riscosso un «aggio di servizio» del 2 %. Allo stesso tempo, questi certificati, potevano essere depositati in banca alla pari (riconoscendo ai titolari del deposito un credito pari al valore facciale) ma non fruttavano interessi; la banca, essendo oberata della tassa “di parcheggio”, era quindi  incentivata a prestarli. Poiché il costo di detenzione della moneta deperibile, 1%, era solo la metà del costo del suo cambio in scellini, di fatto nessuno portò mai all’incasso la nuova moneta.

Tutti gli impiegati del Comune, compreso il sindaco, dal luglio 1932 cominciarono a ricevere metà del loro stipendio in moneta deperibile.

Questi certificati cambiano mano mediamente circa 36 volte al mese, sviluppando, nei 14 mesi dell’esperimento un volume di affari 2.5 milioni di scellini, mentre il denaro “buono” retrocede a circa soli 5 passaggi di mano mensili.

Il comune, accettandoli in pagamento delle imposte e servizi, li rispende immediatamente in opere pubbliche, facendo lavorare tutti i disoccupati: vengono costruiti ex novo un ponte sull’Inn, quattro strade, rimodernate le fognature, ampliata la rete idrica.

“A Worgl si lavorava sodo ed a pieno regime, si vive decorosamente, i prezzi sono stabili, il benessere aumenta”, così racconta Fritz Schwartz.

L’esperimento, che funzionava molto bene, desto l’attenzione dei paesi limitrofi, i quali copiarono l’esperienza. Il comune di Kitzuhel, oltre ad aver incominciato ad accettare i buoni di Worgl, ha emesso 3000 scellini di suoi certificati, ed i 300.000 tirolesi circostanti si interessano a questo modello.

Anche qui il tutto finì per l’intervento della Banca Centrale austriaca. Nell’agosto del 1933, arrivano funzionari della Banca Centrale; l’art. 122 della Costituzione Austriaca, riserva alla Banca Nazionale il diritto di signoria, e Worgl ha commesso un’illegalità e viene diffidato a cessarla. Venne emanato un ordine governativo di ritiro dei certificati che scadeva il 15 settembre 1933; il borgomastro ricorre alla corte suprema, riuscendo a guadagnare un altro bimestre, ma il 15 novembre, dello stesso anno, la corte suprema, deposita la sua sentenza, rigettando l’appello ed archiviando l’esperimento.

Di questo “eccezionale” esperimento, se ne parlò ancora nel “circondario”, arrivando finanche in Svizzera, dove il 24 maggio 1933, nella cittadina svizzera di Winterthur, Unterguggenberger ha tenuto un’affollatissima conferenza (si narra di oltre mille persone); questa conferenza doveva essere ripetuta a Ginevra il 3 settembre, ma non potrà farlo perché gli vien ritirato il passaporto per carico pendente.

The Future of Money, un video sul futuro del denaro

“C”è  una classe di gente giovane, intelligente, creativa, appassionata che è stata disillusa dal sistema monetario basato sul debito e che si sta occupando di creare – proprio ora – nuove infrastrutture che permettano ad una moneta peer-to-peer basata sui beni comuni di poter emergere, in parallelo con la moneta esistente. E la fondazione di questa economia è basata sulla fiducia, sulla trasparenza e sulla capacità di autoorganizzazione delle reti distribuite.”  è quanto dice  Venessa Miemis sul blog Emergent by design, in merito al progetto “The Future of Money”.  (video con sottotitoli in italiano)

Open Source Ecology, Quattro anni di progetti in quattro minuti

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=pOGg_uQjvvw]

di Lucia Galasso, Evoluzione culturale   – 20 agosto 2011

(…) Leggendo La Repubblica del 17 agosto 2011, a firma di Jaime D’Alessandro, mi imbatto in un articolo che mi colpisce subito dal titolo “Turbine, trattori e pannelli solari, il kit per una civiltà in miniatura”. Scopro così che esiste l’Open Source Ecology, figlia di quella filosofia di condivisione e miglioramento della conoscenza che è l’Open Source nata dapprima in ambito informatico e poi editoriale (e ora declinata in varie realtà).

L’open Source Ecology è una rete di agricoltori, ingegneri e sostenitori che ha come scopo la creazione di una comunità autosufficiente ed eco-sostenibile. Dal fabbisogno alimentare alla costruzione di trattori e stampanti 3D, tutto è progettato per essere fatto da sé.

Il fondatore è un giovane fisico statunitense, Marcin Jakubowski, classe 1973 (bell’annata il 1973), laureatosi a Princeton con dottorato in fisica all’Università del Wisconsin. Nel 2003 Jakubowski ha deciso che l’agricoltura era la sua vera vocazione, il motivo di questo cambio di rotta risiede in un singolo avvenimento che lui descrive così: «Mi trasferii in Missouri comprando una fattoria e acquistai un trattore ma si ruppe. Allora lo riparai e si ruppe di nuovo, finché alla fine non avevo più soldi per andare avanti. Poter accedere a strumenti low cost fatti con materiali riciclabili e pensati per durare una vita e non una manciata di anni è vitale. Ed è esattamente quello che ho fatto: progettare quel che davvero mi serviva, condividendolo online».

Da qui l’obiettivo di dare vita a comunità autosufficienti, eco-sostenibili e a basso costo; senza per questo rinunciare alle comodità della nostra società contemporanea (come dice quella famosa pubblicità? Il lusso è un diritto di tutti). Una possibile via da intraprendere per una decrescita consapevole.

Il primo passo è portare a termine entro il 2012 il Global Village Construction Set, un enorme laboratorio a cielo aperto in cui vengono assemblati 50 macchinari ritenuti necessari per regalare, partendo da zero, una vita senza rinunce a circa 200 persone. Strumenti essenziali come il trattore o il gruppo elettrogeno, il forno e l’automobile, passando per la turbina, i pannelli solari, la macina, il laser di precisione, la pressa per produrre circuiti stampati, la betoniera, l’altoforno. Tutto assemblabile a prezzi stracciati rispetto a quel che offre il mercato, e in più con alcuni requisiti innovativicome fa notare Eugenio Minucci di Alternativa Sostenibile:

  • si utilizzano materiali a basso costo (una macchina industriale di questo tipo costa otto volte meno di una sua equivalente sul mercato);
  • si persegue una logica modulare nella progettazione (un motore, ad esempio, è predisposto per essere assemblato su diverse macchine)

Di ogni macchinario vengono prodotti almeno tre prototipi testati meticolosamente per poi arrivare alla versione definitiva. Che, su richiesta, può esser acquistata da altri agricoltori.

Nel frattempo il verbo del vivere e produrre in maniera diversa viene diffuso via Web. Lo stile di assemblaggio del Global Village Construction Set è pensato per un facile utilizzo, anche lì dove le risorse e le competenze sono scarse. L’uso dei modelli è infatti semplice da imparare, e la possibilità di consultare online i progetti lo rende ancora più approcciabile. Così il reperimento delle risorse (umane e materiali) sul territorio ha un duplice beneficio: economico e di sostenibilità, dando modo alle persone che lo vivono di potenziare le abilità che le rendono autosufficienti proprio sulla base di quella reciprocità che è alla base della socialità primaria, della famiglia, del vicinato e delle reti relazionali.

Il progetto di Jakubowski, si rifà in qualche modo al Nai Talim – l’educazione pratica all’autonomia – di Gandhi, il cui scopo era di soddisfare i propri bisogni grazie alle conoscenze dei saperi e del saper fare necessari a padroneggiare le tecniche di fabbricazione degli oggetti di uso quotidiano, in modo tale che tutti possano avere un livello di vita soddisfacente.

Di riflessione in riflessione mi è venuto in mente questo passaggio preso dal libro di Serge Latouche “Come si esce dalla società dei consumi”:
“[…] Proseguendo su questa strada, Ingmar Granstedt propone la creazione di laboratori vernacolari con attrezzature sofisticate miniaturizzate. Per il tessile, per esempio ‘si potrebbero raggruppare le operazioni di filatura, di stiramento e di tessitura in un’unica piccola macchina delle dimensioni di un armadio, che potrebbe essere collocata in laboratori vernacolari ed essere messa a disposizione degli abitanti del quartiere. […] Lo stesso vale per le macchine per il riciclaggio della carta, di cui esistono già esemplari abbastanza piccoli e semplici da poter essere trasportati su richiesta e affittati a settimana. A una macchina di questo tipo, collocata nel quartiere o nel comune, potrebbero essere aggiunte taglierine, aggraffatrici e incollatrici, in modo che la gente possa fare da sola blocchi e quaderni. Si potrebbe poi aggiungere una fotocopiatrice e altro materiale semplice da riproduzione’. Sulla linea dell’idea dei “villaggi urbani” di Yona Friedman, la società autonoma sarebbe costituita da una molteplicità di comunità geografiche, ciascuna con un proprio centro e un insieme completo di attività diversificate, nelle quali l’esistenza e le relazioni quotidiane ridiventerebbero umane. Il risultato di questa deindustrializzazione, realizzata grazie a strumenti sofisticati ma conviviali, sarebbe la prova che si può produrre diversamente e che la parte della produzione realizzabile in autonomia, pur non essendo totale, è comunque enorme”, pur non essendo totale, è comunque enorme
”.

Il passo successivo? I FAB Lab creati da Neil Gershenfeld, laboratori di fabbricazione personale. Luoghi in cui invece di comprare o ordinare un prodotto è possibile scaricare o sviluppare la sua descrizione , fornendo all’utente il progetto e le materie prime per farselo da sè. Si parte dalla tecnologia per tornare al lavoro artigiano, non a caso il libro di Gershenfeld inizia così “C’era un tempo in cui educazione, industria e arte erano integrate nel lavoro dell’artigiano del villaggio…

Insomma, questo è il nostro futuro: la fabbricazione in proprio di qualsiasi oggetto d’uso comune come terreno per restaurare i rapporti familiari e sociali, riappropriarsi del tempo libero, liberarsi dal consumismo.

Il Financial Times parla della moneta a scadenza

In un articolo del 15 agosto 2011 sul blog Alphaville nel Financial Times viene data questa notizia:

Neal Soss of Credit Suisse has a note out Monday that speculates about the potency of a few ideas not mentioned by the Fed — but which he thinks could become necessary if fears of a double-dip prove valid and the US economy falls through a trap door into a Japanese deflationary period.

(…..)

Issuing money that depreciates in value over time to spur consumption

Willem H. Buiter, formerly of the European Bank for Reconstruction and Development, coauthored a  paper with the Bank of England’s Nikolaos Panigirtzoglou on liquidity trap solutions. They argued,  “Once in a liquidity trap, there are two means of escape. The first is to use expansionary fiscal policy. The second is to lower the zero nominal interest rate floor. This second option involves paying negative interest on…coin and currency, that is ‘taxing money’, as advocated by Gesell.”

An admittedly simplified way to described the latter scheme is that the monetary authority issues money that, by design, loses its value over time, thereby encouraging spending. The basic idea was advocated in the late nineteenth century by economist (and anarchist) Silvio Gessel, who believed economic downturns were aggravated by wealthy individuals hoarding cash.

Interestingly, this strategy already has been tried on a small scale in parts of the Eurozone. For example, a community currency called the  chiemgauer was introduced in Bavaria, Germany, in 2003, with the intention of promoting local commerce. The chiemgauer is designed to lose 2% of its value every quarter. It has to be “topped up” every three months by purchasing a coupon.

According to a  July 13, 2010 program on National Public Radio (NPR), this “microcurrency” is now accepted by “more than 600 regional businesses — from drugstores to architects…The chiemgauer is not backed by federal or local governments, though some banks are offering loans and checking accounts in the currency.” It is estimated that the chiemgauer circulates three times more rapidly than the euro. Retail chains in the US have experimented along these lines, too. Several drugstore chains reward customers’ purchases of selected items with “money” coupons good for the next purchase at the same store and, critically, good only for a specified period of time. Anyone who has gotten one of these will appreciate the temptation to go back to the store promptly, and buy something!

Per una doppia moneta

Ripubblichiamo un articolo del 2004 che riteniamo di incredibile attualità nell’attuale contesto economico.

di Lanfranco Caminiti (10 Luglio 2004)

In un libro da poco pubblicato, l’economista Benjamin Cohen [University of California, Santa Barbara] si interroga sul «futuro del numero delle monete». Esiste una tesi «riduzionista» in merito: essa considera inevitabile la riduzione del numero delle monete, per la quale giocherebbero le economie di scala e l’erosione della sovranità nazionale connessa alla liberalizzazione della finanza. L’introduzione dell’euro, con la costruzione di un’area politico-monetaria enorme nonostante la «frammentazione» nazionalistica, ne sarebbe un vistoso esempio. Ma Cohen non è d’accordo: è vero che dal punto di vista della «domanda» [cioè, di chi la usa] si va verso una riduzione del numero delle monete, ma è altrettanto vero che chi la «offre», cioè gli Stati, sono interessati a avere una propria moneta, per la possibilità di una propria politica valutaria e monetaria. Come per le lingue ci saranno poche «lingue che contano», così per la moneta ci saranno poche «monete che contano» [dollaro, yen, euro], ma non mancheranno mille lingue e mille monete. [Benjamin Cohen, The Future of Money, Princeton University Press, 2004 – Fabrizio Galimberti, «Il Sole-24 Ore», 4 luglio 2004].

Lo scenario prefigurato da Cohen, della inestinguibile pluralità di monete nazionali e territoriali dentro una tendenza globale a pochi riferimenti monetari «forti», sembra quello di una moltiplicazione di regimi a doppia moneta. In ciascun territorio, alla moneta nazionale si affiancherebbe una moneta transnazionale di riferimento. Un regime, per fare un esempio semplice anche se non esatto, simile a quello vissuto in Italia durante e fino all’introduzione dell’euro come moneta unica con la contemporanea circolazione della lira. Dal 1° gennaio 1999 l’euro era la valuta legale dei Paesi aderenti all’Unione monetaria europea e sostituiva le singole valute nazionali secondo i tassi irrevocabili di conversione fissati dalle istituzioni comunitarie. Fino al 31 dicembre 2001 fu previsto un periodo transitorio durante il quale le singole valute nazionali restavano in vigore. Durante il periodo transitorio, l’euro poteva essere utilizzato solo come moneta scritturale, non essendo ammessa circolazione di monete e banconote. Al termine del periodo transitorio, le singole valute nazionali cessarono di avere corso legale, salva la possibilità, fino al 28 febbraio 2002 per la lira, di continuare ad utilizzare le monete e le banconote in circolazione (periodo di doppia circolazione). In realtà, a me sembra che un regime di doppia moneta sia quello a cui siamo già sottoposti tutti, non certo nel senso della circolazione ma in quello del valore, e dei prezzi. La invisibilità della presenza di una doppia circolazione non indebolisce certo il suo carattere operativo e cogente.

C’è stato un altro momento storico abbastanza recente in cui l’Italia ha vissuto una doppia [e tripla e quadrupla] circolazione monetaria. Nel 1943, in preparazione dello sbarco in Sicilia, gli Alleati costituirono l’AMGOT [Allied Government Occupied Territory]. Tra le varie «divisioni» a cui spettava governare il territorio, fu istituita quella finanziaria, la Financial. Le autorità alleate sapevano che nell’isola ridotta allo stremo anche le banche avevano esaurito la scorta di banconote. Fu perciò istituita una banca militare, l’Allied Military Financial Agency [AMFA} con il compito di emettere cartamoneta destinata alle spese correnti e al soldo dei militari. In tal modo, prima ancora dello sbarco, incominciarono a circolare dollari con il sigillo giallo, per distinguerli da quelli ufficiali con il sigillo blu. C’era pure uno scambio ufficiale con la lira: 100 il dollaro. Al mercato libero, il dollaro raddoppiava. Verso la fine di giugno si aggiunsero le Allied military liras, che sarebbero diventate le «AM-lire» e cominciarono a circolare sin dallo sbarco in luglio. Le Allied Military Line Currency della serie 1943 furono stampate negli Usa da due differenti tipografie, la Bureau of Engraving and Printing [BEP] e la Forbes Lithograph Corporation [FLC]. La differenza è valida solo per l’emissione del 1943. I biglietti si differenziano perché quelli della BEP sono privi di indicazioni dello stampatore, mentre quelli della FLC hanno una piccola «f» nel ricciolo inferiore destro sopra al valore. Una enorme liquidità venne immessa sul mercato con effetti inflattivi. I tagli erano da 1, 2, 5, 10, 50, 100, 500 e 1.000. Sul retro, ogni biglietto pubblicizzava le quattro libertà americane: Freedom of Speech [libertà di parola], of Religion [di fede], from Want [dal bisogno], from Fear [dalla paura]. Contemporaneamente alle AM-lire, gli inglesi fecero un analogo tentativo di emettere moneta di occupazione, pence, scellino e sterlina della British Military Authority, che però ebbero scarsa fortuna per la difficoltà che gli italiani incontrano a conteggiare una moneta suddivisa su base non decimale. I prezzi si infiammarono. A ridosso dello sbarco le banconote furono poi stampate in Tunisia, ma con la conquista di Palermo le autorità statunitensi ebbero a disposizione il Banco di Sicilia, del quale già nei preparativi dell’invasione veniva prefigurato l’impiego come Istituto di emissione. Trasformato in Banca centrale, il Banco di Sicilia guadagnò un potere enorme. Le AM-lire passarono per tutte le mani degli italiani fra il 1943 e il ’45. Quanto meno, il Sud ne fu invaso [Malaparte ne La pelle, scrive che amministravano «i cuori e i corpi»] e progressivamente i territori «liberati», mentre nella Repubblica Sociale continuavano a circolare le lire. Nel 1944 intanto la Banca d’Italia stampò la cosiddetta «serie della Luogotenenza», in cui c’erano anche i biglietti da 500 e 1.000 lire, mai messi in circolazione. Le AM-lire furono dichiarate fuori corso soltanto nel 1950, con la legge del 5 gennaio n. 3 del ministro del Tesoro. [Alfio Caruso, Arrivano i nostri, 2004, Longanesi – http://www.infol.it/monete/money.htm].

È difficile immaginare oggi un controllo totale della massa monetaria, per via della velocità dei suoi movimenti, della globalizzazione, in breve dell’emergere di un suo carattere selvaggio. C’è un carattere permanente, enduring, di «occupazione» nella selvatichezza dei movimenti della moneta finanziaria. Si attenua fortemente la differenza tra mercati interni ed esterni [almeno come li intendeva la teoria classica del ‘commercio estero’], ma si ripropone, e con approfondimento contraddittorio, la questione dei prezzi interni ed esteri, legati come sono i primi alla produzione materiale di beni e i secondi ai movimenti speculativi del plusdenaro [o del capitale finanziario]. I governi reagiscono ai movimenti monetari o tendono a impedirli, ma non possono sempre prevederli né sistematizzarli. La moneta perde vieppiù il suo carattere di rappresentazione di quantità verificate o verificabili [M1], caratterizzandosi come segno di accumulazione, e quindi di speculazione [di falsificazione] [M2, M2 estesa, derivati]. Ovvero s’è già creata una doppia moneta, una come regolatrice dei prezzi ed una come forma della ricchezza. Non esiste quindi una sola serie di valori di equilibrio [parziale o aggregato]. Esistono piuttosto serie diverse di prezzi per serie diverse di quantità [di beni, valori], e quindi l’equilibrio non è più possibile dal lato della produzione e dello scambio, e viene imposto forzosamente dal lato della circolazione [moneta]. Dai conflitti e dagli aggiustamenti tra queste due forme di moneta dipendono la maggior parte degli eventi economici che attraversano la nostra giornata lavorativa [in generale possiamo dire che la maggior parte del lavoro è pagato con moneta interna, più vile, mentre il plusdenaro – la ricchezza – si muove sulla moneta esterna]. La somma dei prezzi [con riferimento a merci e partite] d’ogni nazione è ormai inferiore rispetto la massa monetaria in movimento [in entrata e uscita] e ne mostra in alcuni casi il segno di dipendenza reale dal governo mondiale della moneta. Eppure i prezzi [e le imposte dello Stato] aumentano all’interno, anche se la massa monetaria interna viene tenuta sotto controllo, e anzi, a massa monetaria costante, l’aumento dei prezzi, senza corrispondente aumento di salari e redditi, diventa motore della crescita dei profitti e di una forte ridistribuzione della ricchezza in maniera polarizzata, attraverso anche la distruzione progressiva del risparmio [di quella parte di plusdenaro socializzatasi]. La vanificazione del risparmio [del potere del risparmio] dei lavoratori è la faccia complementare della lotta al potere dei salari. Alla stabilità della moneta come circolante interno non corrisponde la stabilità dei prezzi, in particolare di quelli delle merci immateriali che si formano su un mercato globale [e ciò rende fumoso ogni controllo sui prezzi che può essere solo interno]. La lotta all’inflazione [il controllo del deficit] più che recessione e disoccupazione provoca quindi una riappropriazione di plusdenaro da parte dei maggiori detentori d’esso. [Lavori e merci, prezzi e monete, «deriveapprodi» 12-13, 1996]

Qual è, in breve, la mia proposta? La reintroduzione della lira come «moneta nazionale», ma solo come moneta della contabilità nazionale. Non come moneta circolante. Per il circolante va bene, va benissimo l’euro, per la sua «qualità» di moneta transnazionale, di moneta della cittadinanza europea. È uno straordinario vantaggio per la mobilità dei cittadini e dei lavoratori europei quello di potersi trovare «a casa» dal punto di vista dell’acquisto di beni e di scambio in qualunque luogo europeo. Dal punto di vista della domanda l’euro funziona. Dal punto di vista «politico» l’euro funziona, e probabilmente funzionerebbe di più ancora se vissuto come un circolante dei cittadini, sottratto cioè alla BCE, al «controllo» e al potere della Banca europea centrale e dei suoi gnomi. Si dovrebbe cioè proprio invertire la storia del circolante: per i prezzi interni [e in questo senso, interna può essere considerata l’Europa come spazio politico e di diritti] ci occorre una moneta forte, che tenda a stabilizzare e equilibrare la serie dei valori e dei prezzi e quindi anche il potere d’acquisto dei salari, sottraendoli alle manovre speculative dei prezzi esteri, cioè del plusdenaro. Mentre invece si potrebbe reintrodurre la lira per i rapporti commerciali che l’Italia tiene e terrebbe con il resto del mondo [a cominciare dalle nazioni europee], con il resto delle monete. La lira insomma dovrebbe acquisire fino in fondo una sua dimensione «scritturale»: potremmo comprare e vendere in lire i nostri prodotti: la nostra bilancia commerciale se ne avvantaggerebbe. La lira dovrebbe fluttuare, a seconda delle convenienze. Dovrebbe seguire cioè una sua cambiabilità con lo stesso euro come una qualunque altra moneta e non in maniera «fissa». Nella nostra vita quotidiana questa fluttuazione non avrebbe alcun senso, e solo nella nostra vita «monetaria» acquisirebbe significato. I nostri risparmi dovrebbero essere in euro, le nostre tasse, e insomma non dovrebbe cambiare proprio nulla dal punto di vista della «contabilità sociale». Solo sui prezzi «esteri» avrebbe valore la lira, sull’acquisto e la vendita di beni, servizi, valori. Le obbligazioni e i titoli di Stato dovrebbero essere in lire. I loro rendimenti seguirebbero una doppia oscillazione [quello che, in parte, succedeva con il serpente monetario – il currency snake – dal 1972 prima dell’introduzione dello SME, il Sistema monetario europeo voluto da Francia e Germania nel 1979]: una tra la moneta «interna» [l’euro] e quella «contabile» [la lira], e una tra la lira e le monete del mondo. Io credo che potremmo ricavarne solo vantaggi. E anche i conti pubblici dovrebbero essere in lire. Forse verrà il mal di testa ai ragionieri dello Stato, ma sono pagati apposta. Se uno pensa che i «cervelloni» del Tesoro hanno partorito come proposta «creativa» quella di introdurre il biglietto da un euro invece della moneta di conio – con plauso di non pochi politici – certo prende lo sconforto, ma. Si potrebbe finanziare un ciclo virtuoso di spesa pubblica tutta in lire. E infine, penso che pure il mercato azionario, e i suoi titoli, dovrebbe svolgersi in lire. Anche ai broker verrà il mal di testa, ma pure loro sono pagati apposta. Decidere l’introduzione di una doppia moneta, ripristinare e aggiornare la lira, non contravverrebbe alcun vincolo politico europeo e non tornerebbe indietro la pax monetaria dell’euro. Per un’economia dai caratteri volatili come quella italiana è troppo penalizzante la rinuncia a una propria moneta nazionale. Non siamo la Germania e non siamo la Francia. D’altronde, la Gran Bretagna continua a mantenere la sterlina e a stare nella comunità europea. Un po’ a modo proprio, s’intende.