di Ted Greenwaldt, MIT Technology Review n.6 -11 novembre 2010 |
I programmi in rete di David Kobia aiutano le comunità a fronteggiare le catastrofi in tutto il mondo. Il progetto Ushahidi esalta le potenzialità del crowdsourcing, il sogno realizzato dell’intelligenza collettiva, per affrontare alcune delle situazioni più disperate nel mondo. Il suo software scaricabile permette agli utenti di presentare testimonianze dirette raccolte sui luoghi di un conflitto o di un disastro; i resoconti vengono poi organizzati in una mappa. Nelle situazioni in cui le normali fonti giornalistiche e di informazione pubblica non sono disponibili, Ushahidi garantisce agli utenti un sistema di condivisione delle informazioni e di formazione di una opinione politica, di risorse comuni e di soccorso. Ushahidi è stato utilizzato per verificare la regolarità delle elezioni in Sudan, documentare le violenze a Gaza, monitorare le perdite di petrolio della BP e aiutare nell’opera di assistenza durante il terremoto di Haiti.
Ushahidi è nato durante le sommosse popolari che hanno fatto seguito all’elezione presidenziale in Kenya, nel 2007. Il presidente Mwai Kibaki aveva imposto il silenzio ai media dell’Africa orientale e Internet forniva l’unico canale disponibile per le comunicazioni di massa. David Kobia si trovava a Birmingham, in Alabama, a 8.000 miglia di distanza. Esule keniano che aveva abbandonato l’Università dell’Alabama per diventare sviluppatore Web, Kobia stava affannosamente cercando di fare da moderatore in un forum on line, Mashada, che era partito come un’iniziativa personale, ma stava diventando il luogo pubblico di confronto sulla situazione politica in Kenya. Le discussioni sul sito si stavano avvolgendo in una spirale di rabbia e paranoia. Un’agenzia di stampa francese paragonò Mashada a Radio Télévision des Mille Collines, la scellerata emittente radio del Rwanda che aveva alimentato il genocidio nel paese africano nel 1994.
«Essere paragonato a Radio Mille Collines è come sentirsi dare del nazista», afferma Kobin, una persona dall’aspetto tranquillo e dal sorriso aperto. Tormentato dal rimorso e dalla preoccupazione, lasciò Mashada e imboccò con la sua automobile l’Interstate 20 per trascorrere una sobria vacanza invernale con gli amici ad Atlanta. Nelle vicinanze del confine con la Georgia, il suo telefono cellulare squillò. Era Erik Hersman, conosciuto on line, che aveva letto un messaggio di un importante blogger keniano, Ory Okolloh, il quale gli aveva chiesto se conoscesse qualcuno in grado di procurargli il know-how necessario a programmare una mappa Google per monitorare episodi di violenza e distruzione. «Riesci a fare qualcosa del genere?», domandò Hersman. Vedendo una possibilità di riscatto per Mashada, Kobia invertì la marcia e ritornò a Birmingham. Due giorni dopo Ushahidi era pronto.
La versione iniziale era semplice: solo una mappa e un modulo che permettevano agli utenti di descrivere un incidente, selezionare la città più vicina e indicare la posizione, la data e l’ora. Il prodotto non passò sotto silenzio.
«Improvvisamente mi vennero proposte interviste con BBC News o NPR», dice Kobia. Finora Ushahidi – il nome significa «testimonianza» in lingua shawili – ha giocato un ruolo centrale nel coordinare le risposte alle crisi mondiali. Kobia, con l’aiuto di Hersman, Okolloh, la responsabile del programma Juliana Rotich e un numero crescente di programmatori, ha continuato a sviluppare l’originale applicazione on line senza fronzoli in una piattaforma open source scaricabile, che include una cronologia con i passaggi fondamentali, una API per applicazioni su apparecchi mobili e un’architettura che permette di aggiungere nuove funzionalità con programmi ausiliari e di sostenere numerosi protocolli per la mappatura. Ushahidi viene utilizzato in più di trenta paesi, perlopiù da movimenti di base e da organizzazioni per la sorveglianza, per indirizzare i soccorsi verso luoghi particolari, per documentare la corruzione e per monitorare eventi complessi in termini spaziali e temporali.
«Ushahidi è uno dei progetti tecnologicamente più significativi dal punto di vista globale», sostiene Ethan Zuckerman, uno dei fondatori della rete di blog Global Voices e ricercatore al Berkman Center for Internet and Society di Harvard. «Si affida a standard aperti e accetta contributi non solo dal Web, ma anche dagli apparecchi mobili, favorendo la partecipazione di tutti. Inoltre, si evolve con ogni installazione, dando vita a un sistema in grado di aggregare, mappare e autenticare i dati raccolti sul territorio in ambienti del tutto differenti».
La redenzione. Kobia è figlio di un ingegnere civile e di una insegnante ed è cresciuto in Kenya. Nel 1998 si è trasferito in America per studiare informatica all’Università dell’Alabama. Allora, in pieno periodo di fioritura delle aziende dot-com, Kobia lasciò l’università per creare piattaforme editoriali per Time Inc., «Reader’s Digest» e Cygnus Publications e anche per siti con sistemi automatici di prenotazione di viaggi. Grazie a queste esperienze, Kobia ha guadagnato una profonda conoscenza delle infrastrutture on line, che gli ha permesso di allestire rapidamente la prima versione di Ushahidi.
Appena il software fu on line, Kobia venne contattato da NetSquared, una organizzazione senza scopo di lucro che promuove il Web come strumento di cambiamento sociale. I responsabili invitarono il gruppo di Ushahidi a partecipare al Mashup Challenge. Kobia volò a San Jose, in California. Passeggiando tra gli intellettuali anticonformisti di Silicon Valley, Kobia pensava che il suo gruppo di africani avesse ben poche speranze. Con sua grande sorpresa, Ushahidi vinse la competizione. Fu un momento trionfale per Kobia, a cui ancora bruciava la partecipazione al forum di Mashada. «Ero redento», egli spiega.
Al ritorno a Birmingham, Kobia abbandonò le altre attività e si dedicò completamente a Ushahidi, con i finanziamenti di un premio di 25.000 dollari di NetSquared e di una sovvenzione di Humanity United. Successivamente, si assicurò circa 700.000 dollari da investitori sociali come Cisco, Knight e la Fondazione MacArthur. Il risultato è un sistema che garantisce una spettacolare potenza di comunicazione in una semplice interfaccia utente. La piattaforma raccoglie resoconti di incidenti attraverso e-mail, aggiornamenti di situazioni e post di blog; i resoconti possono includere testo, fotografie, audio e video. Per aggregare i messaggi testuali, la piattaforma utilizza FrontlineSMS, un altro programma open source, sfruttando i telefoni cellulari che sono molto più diffusi dei computer nel mondo in via di sviluppo.
I diversi resoconti si incolonnano sullo schermo di un pannello su cui gli amministratori – in genere volontari delle organizzazioni che hanno scaricato i file e li hanno inseriti nel server – possono classificarli e incrociarli con le altre informazioni on line e su stampa. Entro pochi minuti dal loro arrivo, i messaggi ritenuti validi vengono inviati a una pagina Web pubblica, sulla quale appaiono su una mappa sotto forma di puntini colorati che si moltiplicano mano a mano che si accumulano i resoconti provenienti da quella località.
Ushahidi ha permesso di coordinare i soccorsi per il terremoto di Haiti del 2010. Il sistema è nato in risposta alle controverse elezioni keniane del 2007.
In aiuto di Haiti. Dopo il premio di NetSquared, Ushahidi ha giocato un ruolo crescente nelle crisi in quanto le organizzazioni di base tecnologicamente avanzate scaricavano la piattaforma. Ogni nuova installazione teneva conto delle caratteristiche richieste dagli utenti e allo stesso tempo si ingrossava il numero di sviluppatori che collaborava con Kobia. La sfida più ardua si è presentata all’inizio di questo anno. La sera del 12 gennaio del 2010 Kobia ha ricevuto una telefonata urgente da Patrick Meier, responsabile della mappatura delle zone di crisi e delle collaborazioni strategiche di Ushahidi nonché fondatore dell’International Network of Crisis Mappers, un gruppo in rete che mette insieme cartografi, esperti della formazione di immagini e specialisti nella gestione delle situazioni di crisi. Meier si stava chiedendo come la mappatura digitale avrebbe potuto aiutare Haiti a fronteggiare le conseguenze del terremoto che aveva appena colpito il paese.
Kobia ha organizzato un sito Web di Ushahidi per la crisi e in poche ore il sistema ospitava una lunga serie di testimonianze delle sofferenze umane su tutto il territorio (25.000 messaggi testuali e 4.500.000 post di Twitter prima della fine del mese). In collaborazione con il Dipartimento di Stato americano, Kobia ha stipulato un accordo con le aziende di telecomunicazioni haitiane per fornire un codice SMS a quattro cifre per i messaggi d’emergenza. Le organizzazioni umanitarie hanno distribuito il numero su volantini stampati.
Gran parte dei resoconti sugli avvenimenti erano scritti in lingua creola, perciò Ushahidi ha utilizzato come traduttori circa 10.000 haitiani espatriati in America del Nord, dapprima con forme di contatto personalizzato e successivamente in collaborazione con CrowdFlower, un sito Web di crowdsourcing commerciale. Allo stesso tempo, Meier ha chiesto agli studenti della Tufts University di registrare i resoconti a ciclo continuo. I primi soccorritori, tra cui membri dell’esercito statunitense, hanno utilizzato la mappa di Ushahidi per definire le priorità, organizzarsi e raggiungere le persone stremate.
Ushahidi ha avuto un impatto decisivo sulla crisi haitiana e viceversa. Da una parte, Kobia era emozionato nel vedere che il sistema era all’altezza della situazione. Dall’altra, l’impegno ha ridotto il suo gruppo di lavoro quasi allo stremo. «Abbiamo lavorato 20 ore al giorno per un mese», egli dice. «Gli sviluppatori stavano per crollare». Comunque, Kobia si è reso conto che l’organizzazione non ha raggiunto l’obiettivo di creare utilizzatori indipendenti della sua piattaforma.
Da allora, Kobia ha cercato di migliorare l’accessibilità e la semplicità di funzionamento di Ushahidi. Per esempio, un’ìniziativa chiamata Crowdmap distribuisce direttamente le funzionalità di Ushahidi sul Web, in modo che i gruppi locali non debbano installarle sui loro server. Kobia sta anche lavorando a un sistema che utilizza l’apprendimento meccanico e l’elaborazione del linguaggio naturale per stabilire la validità dei dati in arrivo.
Alcune di queste iniziative potrebbero garantire dei profitti. Organizzazioni più grandi sarebbero disposte a pagare per i servizi di Crowdmap o per ottenere la licenza di alcune parti della tecnologia di Ushahidi. Questo passaggio è necessario, spiega Kobia, per assicurare l’indipendenza da istituzioni di beneficenza, verso le quali rimane decisamente diffidente.
«In realtà, non mi piace la politica delle organizzazioni no profit», dice Kobia. «Non hanno mai risolto alcun problema. Anzi, hanno distrutto la libera iniziativa e trasformato gli africani in mendicanti. Una parte dei migliori programmatori keniani sta lavorando per organizzazioni no profit mentre potrebbero dare vita a valide iniziative economiche. L’obiettivo di Ushahidi è di non rimanere fagocitato in questo circolo vizioso».
Per questa ragione, Kobia ha avviato un centro di innovazione allo scopo di galvanizzare la crescente comunità high-tech di Nairobi. «É pieno di talenti straordinari in attesa di essere scoperti», conclude Kobia. «Noi gli diciamo sempre: “Che il loro dovere è partecipare alla vita di comunità e prendere delle iniziative personali”».