Il denaro sacro feticcio

Riflessioni sul rapporto con il denaro nella nostra società

di Eugène Enriquez

Nessuno può negare che il denaro faccia parte del mondo profano. Da quando è diventato l’equivalente generale supremo (ciò a cui tutto fa capo e in cui tutto si riassume) favorendo lo scambio generalizzato delle merci (e di ogni servizio o anche di ogni condotta umana suscettibile di essere quantificata, cioè di prendere la forma di una merce) e svolgendo un ruolo essenziale nei processi di distinzione e di gerarchia, esso si insinua nei pori della società e le imprime il suo stile 1. Una persona senza denaro non può essere né un produttore né un consumatore. Agli occhi di molti perde, nelle nostre società, la qualità di essere umano e si vede relegato al rango di strumento inutile.

Ma non ci si può limitare a questo carattere banale, direi triviale (sebbene comporti implicazioni fondamentali), perché il denaro appartiene, in modo altrettanto evidente, alla sfera del sacro. Bastino alcune citazioni tratte dai migliori autori e da importanti testi sull’argomento 2: il denaro è “il Dio visibile” (Shakespeare), “il denaro è parola del diavolo” (Lutero), il denaro è “il solo culto attuale” (Heine), il denaro è “uno dei grandi misteri del mondo” (Ernst Jünger), “i santuari dei tempi moderni sono le borse” (Emile Zola). Concludiamo con due frasi celebri: “Lascia che ti abbracci, tu che sei ciò che v’è di meglio, al di là di qualunque gioia… tali sono le tue bellezze e i nostri amori”, esclama il Volpone di Ben Jonson. “Quando non lo si nomina, è lui che si nomina. Quando non lo si presenta, è lui che si presenta. Quando non lo si pensa, è a lui che si pensa”, dichiara Péguy, fine analista delle apparizioni fantomatiche (e per questo particolarmente efficaci) del denaro.

Il denaro quindi rientra in parte nella sfera del sacro, di ciò che si deve venerare e non toccare, di ciò che fomenta il desiderio di trasgressione, del “numinoso” (per usare il termine di R. Otto) 3, in altre parole dello spaventevole e del fascinoso, di ciò che è impossibile da padroneggiare (nonostante il desiderio che suscita). Questo numinoso, per quanto remoto, può sempre essere messo con riti appropriati al servizio delle persone e queste, infatti, non vi rinunciano volentieri. In “Dall’orda allo Stato” avevamo insistito sulla comparsa di due nuovi sacri trascendenti nelle nostre società moderne (sempre associati al dominio della Ragione): lo Stato e il denaro, che progressivamente hanno sostituito il Sacro divino e il Sacro regale. Facciamo notare che questi nuovi sacri sono non soltanto trascendenti (nella misura in cui determinano le nostre condotte, sono i segni di una sovranità che può esigere tutto da noi e sono insieme solenni e maledetti), ma anche immanenti, dal momento che intervengono nella nostra vita quotidiana attraverso apparati (banche, amministrazioni, ecc.) che non possiamo ignorare.

Sono quindi in una zona intermedia in cui non si esprime direttamente né la legge divina (esclusivamente trascendente nelle nostre religioni monoteiste) né la legge umana, risultante dagli sforzi collettivi dell’insieme delle generazioni. Questa zona intermedia (che si compromette naturalmente col profano) è particolarmente inquietante e minacciosa. Essa non ci consente di distinguere la condotta giusta da adottare (a differenza del rispetto della legge divina, che si esprime tramite una liturgia e un rituale codificati, e della legge umana, che si esprime mediante il rispetto delle convenzioni – leggi, norme, costumi- sociali). Ognuno si ritrova nella situazione dell’uomo di campagna descritto da Kafka nel racconto Davanti alla legge, che si chiede se deve entrare per la porta aperta, ma sorvegliata, o deve attendere. Dobbiamo sottometterci agli apparati come se esprimessero la legge divina o esaminarli criticamente, dal momento che incarnano soltanto la legge umana? Bisogna manifestare un rispetto incondizionato per lo Stato (che realizza “l’unità nella diversità della società civile” e si presenta come realizzazione dello “Spirito assoluto” Hegel) o lo si può contestare e proporre nuove istituzioni? I Sacri trascendenti-immanenti approfittano della loro ambiguità.

Ma spingiamoci ancora oltre: se il termine sacer ha assunto progressivamente il significato di “inviolabile, intoccabile, rispettabile”, dobbiamo ricordare, come segnala Giorgio Agamben in un suo interessante libro 4, che, nell’antico diritto romano, l’homo sacer era colui che nello stesso tempo era sacrificabile e inviolabile. Il nostro sacro-trascendente-immanente deve essere adorato o al contrario ucciso, distrutto perché gli uomini possano vivere secondo la legge umana? Lo Stato e il denaro non ci dicono che, nelle loro pieghe più intime, si nasconde il germe della loro stessa distruzione? L’interrogativo assume una tonalità ancora più angosciosa, se teniamo a mente l’insegnamento della psicoanalisi, ovvero che sadismo e masochismo non si oppongono in modo radicale e l’odio è l’espressione sia del masochismo che del sadismo (come ha mostrato magistralmente M. Enriquez) 5. Allora questo principio di autodistruzione, questa pulsione di morte autoaggressiva, si può accompagnare, e spesso si accompagna, a una allo-aggressività, a una aggressività rivolta verso l’esterno.

Lo Stato come il denaro possono distruggerci con molta più facilità in quanto – a differenza dei sacri puramente trascendenti, che non intervengono nella vita umana (almeno in termini ideali, perché in uno Stato teocratico accade l’inverso) – possono invadere, governare la nostra vita inerme e “assalirci”, tanto più che non disponiamo di anticorpi adeguati a proteggerci dal loro potere. Occorre dunque che teniamo a mente questa possibilità di un’attività mortifera da parte loro. Evocare il sacro, non significa ancora parlare del feticcio, nonostante la vicinanza delle due nozioni. “Feticcio”, infatti, deriva dal portoghese fetisso o feitizo e significa, come afferma Littré, un oggetto “fatato”, incantato e per questo motivo venerato (J. Poullion) 6. Nella sua opera sui Culti degli dei feticci, il presidente Des Brosses scriveva già nel 1760 7: “I Negri della costa occidentale d’Africa, e anche quelli dell’entroterra fino in Nubia, regione confinante con l’Egitto, hanno come oggetto d’adorazione certe divinità che gli Europei chiamano feticci, termine coniato dai nostri commercianti in Senegal sulla parola Fetisso, vale a dire cosa fatata, incantata, divina o che emette oracoli, dalla radice latina fatum, fanum, fari.

Questi feticci divini sono il primo oggetto naturale che una nazione o un individuo scelgono e decidono di far consacrare nel corso di una cerimonia dai loro sacerdoti: un albero, una montagna, il mare, un pezzo di bosco, un masso, ecc.”. E’ stato il presidente Des Brosses, per primo, ad aver attirato l’attenzione dei ricercatori su questo fenomeno (su questo oggetto) e sul culto che gli è indirizzato, ipotizzando (benché egli l’abbia rilevato presso i Neri) che tutte quante le religioni discendono da un feticismo primitivo, stadio arcaico della religione. Hegel, da parte sua, attribuisce il feticismo soltanto ai Neri: gli Africani, scrive, “innalzano alla dignità di genio qualunque cosa immaginino eserciti un influsso su di loro… E’ in questo che consiste il feticcio”. Ma “il potere del feticcio e sul feticcio è illusorio” e “il potere del Negro sulla natura è soltanto un effetto dell’immaginazione, un dominio immaginario” 8. La concezione di Des Brosses, e più ancora di Hegel, sa di colonialismo. L’Africano? incapace di oltrepassare “l’antitesi iniziale tra uomo e natura” è e resterà un (buon?) selvaggio che è importante civilizzare. I principali etnologi prenderanno le distanze da questa nozione e dall’immaginario di inferiorità che essa veicola. Marcel Mauss la condannerà in maniera definitiva: “La nozione di feticcio deve scomparire per sempre dalla scienza, essa non corrisponde a nulla di definito… l’oggetto che funge da feticcio non è mai un oggetto qualunque, scelto arbitrariamente, ma è sempre definito dal codice della magia o della religione”, e aggiunge: “Quando si scriverà la storia della scienza delle religioni e dell’etnografia, si rimarrà stupiti dal ruolo indebito e fortuito che una nozione come quella di feticcio ha svolto nei lavori teorici e descrittivi. Essa corrisponde a un clamoroso malinteso tra due civiltà, l’africana e l’europea; suo unico fondamento è una cieca sottomissione all’uso coloniale, alle lingue franche parlate dagli Europei sulla costa occidentale” 9.

Stando così le cose, per quale motivo continuare a riferirsi al feticcio e al feticismo? Senza dubbio, per una di quelle astuzie della ragione di cui la storia è piena: questa nozione, elaborata nel tentativo di capire e caratterizzare società primitive, ha avuto un vero e proprio ritorno (o capovolgimento) quando la si è impiegata per provare a rischiarare certi aspetti misconosciuti (primitivi, arcaici?) delle società occidentali. A. Comte ha elaborato una teoria del feticismo con l’obiettivo di comprendere “il significato permanente di una reazione dell’uomo alla propria situazione originaria”, il che gli ha poi permesso “di affermare che c’è un solo spirito umano e la sua logica ammette variazioni ma non varianti”; il feticismo, se riconosce (ed è un errore) il prevalere dell’affettività sull’intelligenza, esprime nondimeno una “attività speculativa” che sarà superata soltanto “nello stadio scientifico” 10. I primitivi fanno quindi parte della comune umanità e il feticismo può essere considerato come “il primo sforzo” dell’attività dello spirito umano. Per comprendere le società occidentali, bisogna dunque prima di tutto comprendere l’attività feticista come derivante da leggi logiche che “si rispettano fin nei sogni” (gli psicoanalisti non saprebbero dir meglio!). Il feticismo non è una credenza assurda, irrazionale. Uno psicologo come A. Binet 11 noterà più tardi, studiando il feticismo in amore, come esso riveli una tendenza all’astrazione. Eppure non sono stati né Comte né Binet (malgrado l’interesse dei loro lavori) ad aver dato al feticcio e al feticismo, in Occidente, i suoi caratteri di nobiltà, bensì i due più grandi pensatori del mondo occidentale, coloro che hanno definitivamente cambiato la nostra visione del mondo: Marx e Freud. Ricordiamo alcuni passi famosi di Marx allorché analizza il carattere feticcio della merce: “Ma la forma valore e il rapporto dei prodotti del lavoro non hanno nulla a che fare con la loro natura fisica. È soltanto un determinato rapporto sociale tra uomini che riveste qui la forma fantastica di un rapporto tra cose. Per trovare un’analogia con questo fenomeno, bisogna rinvenirla nelle nuvole del mondo religioso. Là, i prodotti del cervello umano sembrano indipendenti, dotati di corpi particolari in comunicazione con gli uomini e tra di loro. La stessa cosa accade per i prodotti della mano dell’uomo nel mondo mercantile.

È quel che si può chiamare il feticismo applicato ai prodotti del lavoro, nel momento in cui si presentano come merci” 12. Così per Marx il feticismo svuota e reifica (naturalizza) un rapporto sociale, e questa è del resto la tendenza costante della società capitalistica, che nega i rapporti sociali reali (sempre da decifrare), li maschera con l’ideologia per trasformarli in leggi naturali incontestabili (così la legge dell’offerta e della domanda e i vincoli “naturali” del mercato che occultano i processi di dominazione, sfruttamento e alienazione). Marx così ci fa percepire direttamente la dinamica sottostante alla società borghese capitalista. Anche Freud studia la società borghese, sebbene non nei suoi aspetti economici, ma in ciò che le dà un altro impulso (altrettanto necessario): la relazione sessuale. Egli conosceva il lavoro di Binet sul “feticismo in amore” e aveva letto con interesse la sua frase “tutti siamo più o meno feticisti in amore e c’è una dose costante di feticismo anche nell’amore più regolare”.

Certo, egli andrà oltre e indicherà che “il feticcio, quando viene incontrato la prima volta, ha già saputo attirare l’interesse sessuale”, mostrerà che i sostituti sessuali “possono in verità essere paragonati al feticcio nel quale il selvaggio incarna il suo dio” 13 e che “il feticcio – sostituto del fallo della donna nega un’assenza” 14. Il feticismo si trova dunque al centro dei rapporti d’amore e, se è esistito “presso i selvaggi”, continua, in maniera centrale, a svolgere il suo ruolo nelle nostre società. Dire che le società occidentali sono (almeno in parte) società feticiste significa quindi che esse presentano aspetti nascosti dei “continenti neri”, per usare l’espressione di Freud. Mentre si vedevano vestite di “lino bianco” (Hugo) splendente, si trovano confrontate con ciò che avevano prima proiettato sui neri (dopo Des Brosses e Hegel in particolare) e che non avevano voluto riconoscere come uno degli elementi della loro trama. Capovolgimento prodigioso che, come ogni capovolgimento, non ha ancora smesso di produrre i suoi effetti. Ma che gli Occidentali di oggi (e non di una volta, come riteneva Comte) possano avere attività feticiste, non dimostra ancora che il denaro sia diventato il sacro feticcio trascendente-immanente di cui abbiamo rilevato la traccia. Ci occorre procedere oltre ed esaminare alcune caratteristiche del denaro per vedere come può diventare un feticcio, ossia trasformarsi in un dio di cui gli individui possono farsi fedeli.

  • Il denaro come cristallizzazione del desiderio
  • Il denaro come una forma che struttura tempo e spazio nella società
  • Il trionfo dei mezzi sui fini, ovvero come il mezzo diventa fine
  • Il senso di colpa diviene forza motrice
  • La scomparsa dell’alterità e l’annullamento dell’Uomo

Il denaro come cristallizzazione del desiderio

Marx, da analista perspicace qual era, aveva già insistito nei manoscritti del 1844 sul denaro come “realizzazione del desiderio” e nei Grundrisse sul denaro come “sogno realizzato”. Poniamo, come dice Bachelard e d’altronde tutti gli psicanalisti, che “l’uomo sia un essere di desiderio e non di bisogno”. Non espliciteremo granché questo postulato, che è alla radice dell’attuale interpretazione dello psichismo (anche se si deve a Hegel questa visione dell’uomo). Sia nel caso che questo desiderio sia fondato sulla mancanza, come pensano gli psicoanalisti (mancanza insostenibile, che aspira senza tregua alla completezza e non la raggiunge mai, il che impedisce al desiderio di trovare un giorno o l’altro l’oggetto ultimo della sua soddisfazione e l’obbliga a ridestarsi costantemente), sia che esso sia la prova della volontà umana di ricercare un godimento sempre maggiore, è incontestabile che l’uomo è mosso meno da ideali che dalla tendenza a realizzare il programma del principio di piacere, che gli garantisce la sua esistenza e la sua identità. In quanto essere di desiderio, l’uomo è mosso dal desiderio di riconoscimento da parte degli altri (desidera il desiderio degli altri); aspira a che i suoi desideri, quali che siano, possano essere accettati e presi in carico dagli altri, il che rinforza il suo narcisismo di vita come di morte; vuole inoltre mettere in atto il suo sogno narcisistico di onnipotenza, la sua volontà di dominio del mondo e degli altri che potrà sublimare più o meno bene nelle attività socialmente valorizzate. Sono dunque i suoi fantasmi (messa in scena dei desideri), il suo immaginario, le sue pulsioni di vita come di morte che lo conducono ad affrontare le difficoltà, attraverso i mari in burrasca, a trasformare la natura ostile e a renderla propizia, a inventare i miti che gli assicurano una genealogia prestigiosa. Ora che fa il denaro? Il denaro è un trasformatore (o se si preferisce un agente di trasformazione). Tutti i desideri che sono dell’ordine della qualità, dell’intuizione, del non dicibile o del difficilmente dicibile, segnati da un movimento continuo (che, ad un tempo, fonda l’essere umano ma lo accascia, perché la ricerca sfrenata è faticosa e pericolosa), vengono dal denaro cambiati in bisogni che appartengono al registro della quantità, del razionale, dell’esprimibile. Se il desiderio è poetico (in quanto manifesta la capacità autopoetica dei soggetti, la loro propensione a crearsi “continuamente” e a costruire nuove forme), il bisogno è prosaico. Se il desiderio appartiene al campo dell’immaginario, il bisogno fa parte del campo del reale immediato.

Questa trasformazione è operata dal denaro nell’attimo stesso in cui diventa un equivalente generale. Ogni cosa può essere tradotta in denaro ed essere messa su un mercato (persino le relazioni affettive possono essere monetizzate, ci ha insegnato Garry Becker). Il desiderio è quindi canalizzato e investito in ciò che è, insieme, lo strumento, il linguaggio e l’oggetto comune. Assumendo questa configurazione, il desiderio diviene misurabile e si annulla in quanto tale. Non si esprime più nella sua verità, ossia nel suo aspetto mobile, fluttuante, anche totalitario, assume invece l’aspetto regolato, sistematizzato, sterilizzato che gli consente di essere riconosciuto e accettato dalla società. Perde le sue qualità di rapporto tra individui e gruppi situati storicamente e socialmente per diventare un rapporto tra le cose (intercambiabilità degli individui, intercambiabilità degli oggetti). Questo accade perché il denaro è prima di tutto e fondamentalmente un oggetto.

Ogni centratura sull’oggetto pone in primo piano l’idea d’oggetto di soddisfazione; chi dice oggetto di soddisfazione rinvia alla soddisfazione del bisogno e dunque alla morte progressiva del desiderio. (Hegel non si era sbagliato scrivendo che le merci e il denaro rappresentavano il desiderio morto). Questo movimento è, a parere di G. Simmel 15, “una delle tendenze principali della vita: la riduzione della qualità alla quantità ritrova la sua rappresentazione al livello più alto e con una perfezione unica nel denaro”. Ma il denaro non è soltanto un agente di trasformazione, un oggetto (capace di essere amato), è anche un potente motore. Se non si tiene conto di questa caratteristica, si perde di vista l’essenza stessa del denaro. Il denaro non è mai un oggetto inerte nel quale va a estinguersi la soddisfazione del bisogno. È un oggetto vivo che produce degli effetti. Il denaro ha un’energetica propria. B. Franklin aveva colto bene quest’aspetto, e non è un caso che Weber abbia ricordato la sua parabola: “Ricordati che la potenza genitale e la fecondità appartengono al denaro. Il denaro genera denaro e il denaro generato può generarne in misura maggiore, e così via” 16. Il denaro sorge come sostituto di un fallo che tutti cercano e nessuno afferra. Permette di negare la castrazione simbolica, dunque di rigenerare il fantasma dell’onnipotenza (messo a dura prova dal principio di realtà) e di dare una soddisfazione illusoria alle esigenze dell’io ideale che persegue sempre la realizzazione dei desideri infantili di onnipotenza. Rinforza così un narcisismo incapace di mettersi in discussione (e di accettare la finitezza) e la volontà di dominio rabbiosa e piena di odio. Apporta una rassicurazione all’individuo sulla sua identità, offrendogli anzitutto il beneficio più apprezzabile: l’influenza sugli altri.

Perché in una società del denaro, chi ha soldi, chi fa soldi, può mettere gli altri, chi più chi meno, alla sua mercé. È per questo che il denaro genera inevitabilmente denaro. E questo a prescindere dai modi. Al tempo di Marx si poteva scrivere: D (denaro) M (merci) D (denaro); oggi, che il mondo è diventato un vero e proprio “casino finanziario” (per riprendere l’espressione resa popolare da M. Allais e C. Castoriadis), si tratta di fare soldi senza passare attraverso la merce. Il denaro produce denaro senza produrre ricchezza. Dà così a colui che ne è il padrone influenza e potere sugli altri. Il denaro quindi è amato in quanto simbolo di potenza fallica. Oggi è diventato un feticcio e un dio incarnato. Per uno straordinario paradosso, questo denaro che aveva ucciso il desiderio, lo fa risorgere dalle sue ceneri. Perché il denaro ottenuto può essere amato (come ogni dio) con passione, con dismisura. Perché procura soddisfazioni enormi e suscita il desiderio di nuove soddisfazioni. Il desiderio continua a porre le sue esigenze e non si ferma mai. Sombart, l’economista austriaco, diceva: “Il capitalismo ha solo un ventre”. Dimenticava che esso non cerca soltanto di che nutrirsi: ricerca potenza e la ottiene. Ricerca godimento e crede di ottenerlo. In questo rassomiglia ai libertini di Sade, che si accorgevano di essere sempre “imbrogliati” e di dover continuamente moltiplicare gli orgasmi e i delitti, senza potersi mai fermare. Perché il godimento si nega a chi lo cerca disperatamente. Ma pochi lo sanno e in una società capitalista ancora meno. Il denaro diventa così un motore assoluto, ma per nulla funzionale, posseduto com’è dall’ubris (insieme di passioni) che si è proiettata in esso e che può portare alle situazioni più folli (al dominio come alla sconfitta).

Il denaro come una forma che struttura tempo e spazio nella società

Si può, senza che risulti azzardato, stabilire un paragone tra il denaro e il mito. Soprattutto grazie ai bei lavori di J.-P. Vernant, sappiamo che il mito è, per un aspetto, una parola intensa che suscita nell’ascoltatore “un processo di comunicazione affettiva con le azioni drammatiche che formano la materia del racconto” e una messa in azione, conseguenza della mimesis nella vita quotidiana del messaggio contenuto nel mito; il mito è la traduzione dei fantasmi individuali e collettivi più primitivi che riguardano la possibilità stessa dell’esistenza, e apre al gioco della vertigine e dell’eccesso, ma è anche un sistema concettuale che consente agli individui di una società di pensare ordinatamente le relazioni della natura e della società e di assicurare la funzione simbolica. Senza questa funzione, i membri di un gruppo sarebbero incapaci di pensare in maniera “unificata”, di sottomettersi alla stessa episteme, di sviluppare un medesimo paradigma pratico, di mettere in atto un immaginario sociale comune. Il denaro, per parte sua, non è soltanto l’oggetto delle pulsioni e dei desideri, ciò che innesca le passioni più folli, come si è già visto: è il segno dell’intellettualizzazione della società, come avevano colto Comte e Binet e prima ancora lo stesso Balzac, il quale si era accorto che “lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo veniva sostituito mano a mano dallo sfrutta 17 mento dell’uomo da parte dell’intelligenza” 18. È a G. Simmel che dobbiamo la messa in luce di questa caratteristica del denaro: “Nella misura in cui il denaro diviene assolutamente commensurabile e l’equivalente di ogni valore, si eleva ad altezze astratte, ben al di sopra dell’intera diversità degli oggetti. Ne diventa ancor più estraneo, tanto che le cose più distanti trovano in esso un comundenominatore ed entrano in contatto le une con le altre” 19. Gli uomini passano “dal loro albero alla foresta e al Dio della foresta”, come affermava Comte con un’espressione immaginifica.

Questo processo di astrazione (che permette il passaggio dai bracciali di cuoio alle monete lidie, alla moneta fiduciaria e alle carte di credito, se ci è consentita una tale abbreviazione di passaggi) è fortemente sostenuto dalla strana complicità che lega il denaro con due categorie essenziali dell’intelletto umano: il tempo e lo spazio. Tutti oggi conoscono la massima di Franklin: “il tempo è denaro”, ampiamente commentata da Max Weber. Non tutti ne hanno inteso le reali implicazioni. Una è evidente: ogni uomo, in un’economia capitalista (e non in un’economia di mercato, che esiste dal tempo dei Fenici), può vendere la sua forza lavoro intellettuale o manuale, in ogni istante, in cambio di un compenso, più o meno proporzionato ai suoi sforzi. Un’altra implicazione è facilmente osservabile dal momento dell’invenzione dell’usura e in seguito del credito; ogni istante può permettere a chi dispone di somme monetarie di vederle fruttare, senza svolgere un lavoro, per il solo effetto del tempo d’esercizio dell’usura e del credito. Il tempo si converte così in denaro e il denaro diviene la misura del tempo. Ciò che si coglie meno, o resta celato, è il fatto che il denaro è creatore di tempo. Ci accorgiamo facilmente che il possesso di denaro permette di liberare del tempo da dedicare a ciò che ci piace, alla riflessione (se i cittadini greci facevano lavorare gli schiavi, era anche per poter avere del tempo per loro, per non essere assoggettati al tempo che passa), alla convivialità e alla vita domestica. Ma c’è di più: il denaro crea un tempo storicizzato. Le società sviluppate in cui le persone hanno soldi non vivono nello stesso tempo delle società non sviluppate o in via di sviluppo. I primi vivono nel XXI secolo, gli altri vivono nel XVIII o nel Medioevo, gli uni vivono al ritmo delle e-mail, del fax, dei telefonini, del trasporto aereo, gli altri al ritmo delle stagioni e dell’aratro. Le società sviluppate vivono sia nell’urgenza (gli italiani lo dicono spesso: il domani sarà costruito dalle nazioni più veloci, cfr. i lavori di P. Virilio) 20 che nel futuro. Gli altri vivono in una certa “lentezza” e nell’attimo presente. (Gli abitanti delle favelas in Brasile non pensano al futuro. “Il futuro è oggi o domani, dopo… non si sa”, ci disse un favelado). I primi vivono in un mondo di servizi e in un universo via via più immaginario e virtuale, gli altri in un mondo della produzione e in un universo terribilmente reale. Gli Occidentali vivono in un tempo monocrono (E. T. Hall) 21, mentre gli altri sono immersi in un tempo policrono. Se il tempo monocrono è quello degli orologi, tempo lineare che s’impone a tutti e s’inscrive in una prospettiva pragmatica e non ontologica dell’esistenza, il tempo policrono reca l’impronta della simbolica sociale e si caratterizza per la molteplicità dei fatti che si dipanano simultaneamente. Il secondo sta a significare che la vocazione dell’uomo è di condurre a buon fine tutte le sue “transazioni”, rispettando le norme della società (che si esprimono nelle feste, nei riti e in una concezione del sacro), anziché mediante un’adesione a orari fissi, senza significati esistenziali. Infine gli Occidentali possono e vogliono vivere. Il tempo è il tempo della carriera, del godimento, della vita tout court; gli altri lottano, molto spesso, per sopravvivere. In ogni momento si chiedono: come farò ad andare avanti? Il tempo non è più un tempo “vissuto”, è un tempo “combattuto” e rischia di portare con sé sempre nuovi dolori e di sfociare nella morte. “Il tempo è denaro” significa dunque che il denaro è l’elemento discriminante della vita e della morte. Genera quindi una concezione della storia dell’umanità, e decreta in modo razionale chi ha diritto di vivere e chi invece ancora lotta per questo diritto.

Il denaro ha così un rapporto con lo spazio e su questo punto G. Simmel (ben commentato da J. Ph. Bouilloud) 22 è stato ancora una volta un precursore. La vita del denaro si sviluppa in spazi appositi: spazi di mercato, banche, assicurazioni, istituti di protezione sociale. Ma il denaro crea anche degli spazi. Separa i poveri dai ricchi (periferie e zone residenziali), gli uomini con uno status elevato da quelli di status umile (col risultato di rinsaldare le differenze). Ogni persona nella sua classe sociale conosce i suoi “perimetri” d’esistenza e non sconfina nei territori altrui (alcuni vanno all’Opera, altri nei bistrot, ecc.), nessuno abita il medesimo territorio e ognuno sa dove sarà accolto o, viceversa, rifiutato. Per mezzo del tempo e dello spazio, il denaro crea così un mondo ordinato, in cui ognuno trova il suo posto (che non sempre gli si confà naturalmente), un modo d’essere che soddisfi il bisogno di classificazione e previsione degli esseri umani. Senza il tramite opérateur del denaro, la società occidentale non avrebbe mai potuto fare della razionalità strumentale ciò che ordina la vita sociale.

Il trionfo dei mezzi sui fini, ovvero come il mezzo diventa fine

Cristallizzazione del desiderio, fattore d’astrazione, il denaro possiede una forza notevole. Diventa, come pensava Simmel, “il valore più assoluto”. “Il valore del denaro in quanto mezzo aumenta di valore in quanto mezzo, fino a che diventa un valore assoluto e considerato fine in sé” 23. Il mezzo è divenuto fine. La gerarchia sociale non ha più bisogno di appoggiarsi sull’affetto, il riconoscimento, la deferenza o il prestigio, bensì sulla capacità degli individui di padroneggiare una scienza dei mezzi (cfr. l’illuminante commento di S. Moscovici a Simmel) 24. Il denaro favorisce quindi una centratura sui mezzi, sulla domanda “come” e consente di svuotare la domanda esistenziale che preoccupa molto gli uomini e a cui non amano rispondere: “Perché?”, qual è il senso di ciò che sto facendo? Consentendo di dimenticare la questione dei fini o più precisamente facendo del mezzo un fine in sé, il denaro ha favorito la vittoria della razionalità strumentale a discapito della razionalità dei fini (assai più complessa da definire e stabilire). Così facendo, permette, come mostrato da Simmel e Moscovici, un risparmio di fatica (è assai più semplice interessarsi a un mezzo, la cui essenza è manipolabile, che a un fine, il quale può essere oggetto di una riflessione senza fine). Permette di far funzionare il principio del minimo sforzo enunciato da Zifp, secondo il quale ogni uomo cerca di minimizzare gli sforzi da compiere per raggiungere uno scopo stabilito, o, ancora, il principio di tendenza alla riduzione di tensione evocato da Freud. Questa focalizzazione sul mezzo divenuto fine-valore assoluto rafforza il carattere del denaro come feticcio che nelle nostre società poggia, per di più, sulla trasformazione progressiva, operata dal denaro stesso, delle relazioni umane e sociali in rapporti reificati: ci si identifica col mezzo adorato, ci si trasforma anche in mezzi (gli uomini sono oggi ossessionati da un’idea: sono spendibile e monetizzabile?) dimenticando che siamo un fine in sé. Questa trasformazione del denaro in fine e dell’uomo in mezzo è perlopiù occultata. Si può capire Montesquieu che scriveva: “E’ quasi una regola generale che ovunque vi siano dei costumi dolci fiorisca il commercio, e ovunque vi sia il commercio vi siano dei costumi dolci. Il celebre S. Johnson esclamava: “Ci sono pochi modi più innocui di passare il tempo dell’impiegarlo a guadagnare denaro”. Colpisce di più leggere in Keynes queste frasi: “La possibilità di guadagnare denaro e di costruire una fortuna può canalizzare certe inclinazioni pericolose della natura umana su una strada in cui sono relativamente inoffensive… è preferibile che l’uomo eserciti il suo dispotismo sul suo conto in banca che sui suoi concittadini” 25. Ad ogni modo, il feticcio ha una virtù straordinaria: può essere adorato e allo stesso tempo negato, il che gli conferisce una forza incommensurabile.

Il senso di colpa diviene forza motrice

Le nostre società giudaico-cristiane sono società del senso di colpa. Dai tempi di Lutero e di Calvino e dopo Freud, questo è divenuto evidente a tutti. Il debito inestinguibile contratto verso Dio è forza motrice. Costringe a risarcirlo e a sapere che occorrerà continuare a pagare, senza sperare di vedere un giorno il credito estinto. Bisogna assumere la parola “debito” nel senso letterale. Se agli albori del giudaismo come del cristianesimo, si tratta di un debito mistico, di un debito morale fondato sul peccato originale per il quale non c’è alcuna redenzione e che condanna l’uomo al lavoro e la donna alla sofferenza (“ Tu lavorerai col sudore della tua fronte”, “Tu partorirai nel dolore”, ci dice la Bibbia), non è più così ai nostri giorni: il debito si è laicizzato, è un debito in denaro, poiché “la storia capitalista è modellata sul mito teologico” (A. Amar) 26. D’altra parte questo debito è concretizzato nella contabilità in partita doppia inventata dai lombardi: “Il denaro, ci dice A. Amar, è caratterizzato dal segno del debito. Laddove si trova, è registrato col segno meno. La negazione che esso contiene è rivelata dalla notazione stessa che l’esprime. Nella contabilità in partita doppia, il denaro materialmente ricevuto è registrato nel debito del conto cassa; il capitale, le riserve, i benefici, ossia i beni propri di un’impresa, sono iscritti nel passivo del bilancio, nella colonna dei debiti”. “Colui che riceve, deve”, ecco la regola fondamentale, faticosamente elaborata verso il XIV secolo. (e d’altronde cos’è il capitalismo se non un immenso sistema di indebitamento?). Bisogna dunque lavorare ogni giorno, fare continuamente soldi per rimborsare quel che non potrà essere rimborsato. Calvino ha insistito su questo punto: il peccatore ignora se farà parte della schiera degli eletti, deve lavorare per la maggiore gloria di Dio e, se vi riesce, considererà questo esito come un segno “possibile” della sua elezione; dal momento che Dio non può dimenticare che sulla terra trionfano quelli che lui non chiamerà a sé. Così, grazie a questa speranza, il protestante (e tutti quelli che si comporteranno come lui) può riprendere il controllo del suo destino. Lavorerà, s’indebiterà, ma nello stesso tempo, facendo soldi, spera di piegare il desiderio di Dio verso di sé. Il denaro diventa ciò che J. Pouillon, con una formula efficace, ha chiamato “il feticcio, trappola per gli dei”, perché si tratta sempre di cercare di dominare, manipolandolo, ciò che fondamentalmente ci sovrasta e ci governa. Il sentimento di colpa, segno di un debito, favorisce così il desiderio di produrre denaro, di dargli un potere perché sembra sempre possibile usare questo potere (perlomeno così si pensa) per propiziarsi Dio o dominare gli uomini. Nei fatti è l’avventura capitalista, intimamente connessa all’esplodere dell’individualismo, che rende ogni uomo (e non ogni collettività, come pensava il popolo ebraico) colpevole, e che contribuisce all’instaurazione del denaro come feticcio; e come ogni feticcio, sembra che serva agli uomini, in realtà li assoggetta alla propria legge.

La scomparsa dell’alterità e l’annullamento dell’Uomo

Marx aveva notato la sparizione di tutti i legami sociali e la loro sostituzione con il “pagamento in contanti” e aveva denunciato “le acque ghiacciate del calcolo egoista”. Simmel ha insistito sulla distanziazione tra gli esseri umani: “Mentre nell’epoca precedente lo sviluppo l’uomo doveva scontare le sue rare relazioni di dipendenza per la ristrettezza dei suoi legami personali e sovente per il fatto che un individuo era insostituibile, troviamo oggi una compensazione alla molteplicità delle relazioni di dipendenza nell’indifferenza che possiamo manifestare verso le persone con cui siamo in rapporto e nella libertà che abbiamo di sostituirle” 27. Si può andare oltre e dire che il denaro ci fa entrare nel regno della perversione, dove gli altri ci sono non solo indifferenti, ma diventano manipolabili, da buttare o eliminare in caso di bisogno, e dove il denaro ci allontana dalla nevrosi. Perversi sadici, perversi apatici, com’erano i libertini di Sade, crescono comodamente nella nostra società. Sade aveva previsto il mondo della “venalità diffusa”. Non ne siamo distanti. Le donne dovevano essere le prime colpite, entrando nel mondo della prostituzione, ma Sade si rendeva ben conto che, coinvolte coloro che, per definizione, sono l’esempio stesso dell’alterità, gli uomini stessi saranno presi un giorno nella bufera. Il regno del denaro infatti consiste nel far scomparire l’umano dalla scena sociale sostituendo rapporti con oggetti, rapporti sterilizzati, igienici, a rapporti tra uomini che hanno un corpo che respira, sente, traspira, esala. Nuovo capovolgimento: il denaro, assimilato dagli psicanalisti alla materia fecale, rende, come abbiamo appena visto, i rapporti sociali inodori se non inesistenti. Il denaro in definitiva si vendica degli umani che avevano creduto di dominarlo: si comporta come un vampiro che come tale (ossia in quanto essere immortale, senza immagine di sé e onnipotente) è capace di prendere tutto e non dare nulla. La sola differenza, tuttavia (e non è piccola), è che il vampiro è soltanto il prodotto della nostra fantasia, mentre il denaro è un prodotto della nostra azione che è diventata autonoma, si è trasformata in feticcio e da “trappola per gli dei” si è tramutata sottilmente in “trappola per gli uomini”.

Note:

1 Tocqueville dà bene conto di questi processi: “Nelle nostre società, da quando il denaro ha acquistato una singolare mobilità, passando di mano in mano senza sosta, e trasformando la condizione degli individui, innalzando o abbassando la famiglia, non c’è quasi più nessuno che non sia obbligato a fare sforzi disperati per cercare di conservarlo o acquisirlo. La brama di arricchirsi a ogni costo, il gusto degli affari, l’amore del guadagno, la ricerca del benessere e dei piaceri materiali sono dunque le passioni più comuni” (La democrazia in America (1835), Rizzoli, Milano 1992).

2 Cfr. in particolare: E. Borneman, Psychanalyse de l’argent, tr. fr., Gallimard, Parigi 1978; P. Lantz, L’Ar-gent?, la Mort, L’Harmattan?, Parigi 1988; S. Moscovici, La fabbrica degli dei, Il Mu-lino, Parigi 1988; S. Moscovici, La fabbrica degli dei, Il Mu-lino, Bologna 1991.

3 R. Otto, Il Sacro, Feltrinelli, Milano 1992. 4 G. Agamben, Homo Sacer, Einaudi, Torino 1995.

5 M. Enriquez, Aux carrefours de la haine, Epi, Parigi 1984.

6 J. Pouillon, Fétiches sans fétichisme, Gallimard, Parigi 1970. Abbiamo fatto ampio uso di questo testo, al quale faremo spesso riferimento. Ci siamo ispirati anche al bell’articolo di M. Tibon-Cornillot: “Fétiches d’Occi-dent”, Connexions, nº 30, 1980.

7 Citato in Nouvelle Revue de psychanalyse, nº 2, op. cit.

8 Citato in M. Tibon-Cornillot?, “Fétiches d’Occident”, op. cit. 9 Citato in J. Pouillon, Féti-ches sans fétichismes, op. cit.

10 Citato in Nouvelle Re-vue de psychanalyse, nº 2, op. cit.

11 A. Binet, “Le Fétichisme dans l’amour”, citato in J.-P. Pontalis, Présentation, Nouvelle Revue de psychanalyse, nº , op. cit.

12 K. Marx, Il Capitale, 1º sezione, parte IV, Utet, Torino 1980 (trad. nostra).

13 S. Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), Bollati Boringhieri, Torino 1975.

14 S. Freud, “Il Feticismo” (1929), in La Vita sessuale, Bollati Boringhieri, Torino 1970.

15 G. Simmel, Filosofia del denaro, Utet, Torino 1984.

16 Citato in M. Weber, L’Etica? protestante e lo spirito del capitalismo, Rizzoli, Milano 1991.

17 J.-P. Vernant, “Ragione del mito”, in Mito e società nell’antica Grecia, Einaudi, Torino 1991.

18 H. de Balzac, citato in S. Moscovici, La fabbrica degli dei, op. cit.

19 G. Simmel, Filosofia del denaro, op. cit.

20 Citiamo il suo ultimo libro: La Bomba informatica, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000.

21 E.T. Hall, La dimensione nascosta, Bompiani, Milano 1996.

22 Cfr. l’articolo di J.-Ph. Bouilloud in J.-Ph. Bouilloud e V. Guienne (a cura di), Questions d’argent, Desclée de Brouwer, Parigi 1999.

23 G. Simmel, Filosofia del denaro, op. cit.

24 S. Moscovici, La fabbrica degli dei, op. cit.

25 Queste tre citazioni sono tratte da A. O. Hirschman, Le passioni e gli interessi, Feltrinelli, Milano 1990.

26 A. Amar, “Essai psychanalytique sur l’argent”, in E. Borneman, Psychanalyse de l’argent, op. cit.

27 G. Simmel, Filosofia del denaro, op. cit.

Confronto tra moneta convenzionale ed alternativa

La moneta convenzionale

La principale caratteristica del denaro convenzionale è il tasso d’interesse. L’interesse è unanimemente definito un pagamento per denaro ottenuto a prestito. Oggi, i tassi d’interesse sono in larga misura definiti dalle banche centrali acquistando e vendendo titoli di stato. In diversi paesi, i tassi d’interesse possono essere definiti sulla base di svariati fattori economici: inflazione, occupazione, crescita economica.

L’inflazione è dovuta un aumento dell’offerta di moneta che risulti eccessivo rispetto alla domanda di liquidità. L’aumento del livello generale dei prezzi determina una perdita di potere d’acquisto della moneta: con la stessa quantità di denaro si può cioè acquistare una minore quantità di beni e servizi.

La deflazione è, in economia, un calo dei prezzi, ovvero l’opposto dell’inflazione. Le cause della deflazione sono individuabili in una scarsa domanda di beni e servizi che provoca, in ossequio alla legge economica della domanda e dell’offerta, un’inevitabile diminuzione del livello dei prezzi. Consegue a tale fenomeno che le imprese non riescono a collocare sul mercato parte della produzione, sia essa di beni o di servizi, e sono, pertanto, costrette a diminuire la produzione ed a licenziare i dipendenti ormai in esubero (emblematico è il caso della crisi del 1929 che colpì gli USA e passata alla storia come “Grande Depressione”).

Solitamente, le banche centrali aumentano il tasso d’interesse per ridurre le pressioni inflazionistiche e lo riducono per stimolare l’economia ed incrmentare l’inflazione. Così facendo, rendono il denaro più o meno costoso da ottenere a prestito. Se il denaro è poco costoso, è più probabile che i prezzi aumentino (inflazione) dal momento che è più facile averne a disposizione; se è più costoso, l’inflazione tende a placarsi e l’economia a rallentare. La quantità di moneta in circolazione, che a sua volta dipende dal suo tasso d’interesse determina quindi, processi di inflazione e deflazione.

Questo meccanismo (tasso d’interesse basso=inflazione, tasso d’interesse alto=deflazione) influenza il livello di occupazione di un paese. Se per esempio un paese volesse controllare l’inflazione potrebbe decidere di diminuire il livello di occupazione e viceversa. In che maniera? Semplicemente aumentando, tramite la banca centrale che quindi svolge un ruolo fondamentale, il tasso d’interesse e quindi stimolando un decremento degli investimenti. L’incremento dei salari e dell’occupazione determina un aumento dell’inflazione, che ha effetti di ridistribuzione del reddito(nel senso che i ricchi saranno un pò meno ricchi e i poveri un pò meno poveri..)

E’ chiaro quindi, che il grande capitale teme le politiche inflazionistiche e le cuse che lo generano, che sono essenzialmente l’occupazione e l’incremento dei salari(conseguentemente i sindacati sono i primi loro nemici..) Ovviamente, l’inflazione non è sempre un bene per i lavoratori e i più poveri, e un male per i ricchi. Un’inflazione estrema può avere effetti catastrofici sulle classi lavoratrici; e anche livelli medi d’inflazione possono essere problematici per chi ha un reddito fisso e non è dotato di potere contrattuale, nè tutelato da procedure di contrattazione collettiva.

Il denaro convenzionale è fonte di speculazione monetaria, al punto che una moneta può perdere attualmente una buona parte del suo valore nel giro di qualche ora, per effetto della speculazione o di semplici “rumors”. In un epoca di mercati globali, questa situazione monetaria instabile, a livello mondiale, ha determinato numerose crisi economiche, che hanno colpito non meno decine e decine di paesi negli ultimi decenni (la più recente è stata l’ARGENTINA, all’inizio del 2002….). Appare evidente quindi che il denaro ha perso la sua funzione principale cioè quella di favorire lo scambio delle merci e la circolazione dei beni.

La moneta è diventata uno strumento di dominio e di controllo delle popolazioni e dei paesi più poveri, per lo più è anche gestito da una oligarchia che detiene il vero Potere. Infatti gli Stati che sono indebitati in dollari debbono restituire molti più soldi; questo ha significato indebitarsi ulteriormente con il Fondo Monetario Internazionale, innescando una spirale del debito che ha avuto come conseguenza “i programmi di aggiustamento strutturale” che impongono ai paesi in cui sono disperatamente necessari investimenti reali produttivi, le più rigide condizioni neoliberiste. Uno degli ingredienti fissi della ricetta neoliberista degli “aggiustamenti strutturali” imposta ai paesi più poveri è la totale liberalizzazione dei movimenti di capitale, che porta a un incremento dei volumi della speculazione di breve termine, il cosiddetto “hot money”.

Quindi ecco che molto spesso non è necessario inviare truppe militari per controllare le risorse di un paese o di un popolo, basta semplicemente attuare delle politiche monetarie, tramite le Banche Centrali e il Fondo Monetario Internazionale, che impongano determinate regole ossia regole che agevolino il grande capitale e costringano la gran parte della popolazione a lottare per il vivere quotidiano.

Questi, in sintesi sono gli svantaggi della moneta convenzionale:

La moneta convenzionale non ha solo svantaggi, naturalmente. Mentre è ancora a corso legale ed è moneta principale di un paese ha alcuni enormi vantaggi rispetto alle monete complementari: è accettato ovunque, è accettato da tutti (si è obbligati ad accettarlo a causa del suo status di moneta a corso legale!), è convertibile in altre valute e così via. Tuttavia, ha anche enormi svantaggi che spesso la maggior parte di noi non vede come tali perchè non ci ha mai pensato. Eccone alcuni:

  • E’ permanentemente scarso

Deve mantenere il suo valore ed ha necessità di essere sufficiente abbastanza da permettere di acquistare merci e servizi disponibili. Non ha nulla a che fare con il bisogno di mezzi di scambio delle persone. Coloro che non hanno denaro sono invisibili al mercato e quindi sono marginalizzati.

  • E’ costoso

Ogni unità di denaro convenzionale è basato su un’unità di debito. Questo debito deve essere restituito con un interesse e con un interesse composto, cioè con un interesse sull’interesse. Il denaro per restituire l’interesse non viene mai emesso dal sistema monetario, cosicchè può essere ottenuto solo attraverso ulteriore debito, o attraverso l’aumento di coloro che si indebitano. L’interesse è applicato ai prezzi di tutto ciò che compriamo, con la conseguenza di avere prezzi al consumo più elevati.

  • Promuove la disonestà e la corruzione

Si può ottenere denaro senza fare nulla che abbia valore intrinseco (speculazione, prestito ad interesse, scommesse, ecc.) e così le persone tendono a concentrarsi sul “fare soldi” piuttosto che sul produrre/fare qualcosa che abbia un valore reale. E’ solitamente ben più facile fare soldi con mezzi disonesti che tramite lavoro onesto. Quando non si hanno soldi spesso l’unica scelta è quella di provare ad ottenerli disonestamente.

  • Si allontana da dove viene generato

Il denaro convenzionale non conosce confini e leggi. Esso sfugge via e viene attratto dai “centri del denaro” (centri finanziario, grandi imprese commerciali, ecc..)

  • Distrugge le economie locali

Le merci prodotte a costi più bassi altrove sostituiscono le merci prodotte localmente. Ciò inoltre provoca un irrazionale trasporto delle merci per tutto il mondo, che fa aumentare il consumo di preziosi combustibili fossili e che genera maggiore inquinamento.

  • Promuove la competitività

La scarsità di soldi significa che tutti dobbiamo combattere per ogni cosa. La necessità di rimborsare l’interesse significa che dobbiamo mangiare altri per evitare di essere mangiati.

  • Causa una crescita cancerosa

Le banche hanno continuamente necessità di creare più denaro di quello che è richiesto per restituire i prestiti fatti loro cosicchè possono restituire l’interesse su quei prestiti. E’ questo meccanismo che da origine all’imperativo di sviluppo della nostra economia. Ci deve essere un’espansione continua dei denaro di credito delle banche oppure l’economia entra in depressione. Questa crescita irrazionale porta ai problemi ambientali che tutti sperimentiamo.

  • Redistribuisce la ricchezza dai poveri ai ricchi

L’usura è lo strumento usato dai ricchi per succhiare ricchezza dai poveri e dalle classi medie e darla alle classi benestanti. Ecco perchè i ricchi diventano sempre più ricchi…

  • Genera povertà

Mentre permette ad alcuni di diventare super-ricchi, manda in miseria la maggior parte degli altri. La povertà è causata da una mancanza di denaro e non da una mancanza di lavoro. La necessità di mantenere scarso il denaro e l’usura assicurano che il denaro costantemente fluisca verso coloro che hanno già denaro.

  • Causa degradazione sociale e culturale

L’eliminazione delle opportunità di scambio e di relazione locale porta le persone a focalizzare l’attenzione sulle modalità di ottenere soldi fuori da un contesto comunitario. Le comunità locali crollano sotto il peso dell’indebitamento a favore di entità esterne alle comunità.

La moneta alternativa

In una cultura dove i mezzi di scambio sono dominati da monete nazionali e sovra-nazionali, moltissima gente non riesce ad apprezzare la forza intrinseca delle monete progettate per usi locali e regionali. Di fronte alla crescente incapacità del presente sistema monetario di soddisfare i bisogni delle persone e dell’ambiente, l’adozione di monete comunitarie (in inglese “community currencies”) può contribuire a dare soluzione a molti problemi.

Alcuni dei principali vantaggi dovuti alla loro adozione sono:

  • l’accresciuto volume di moneta nell’area locale
  • l’accresciuta liquidità nell’area locale
  • l’accresciuto accesso ai mercati locali
  • l’accresciuta possibilità di sostituzione di prodotti importati con prodotti di fornitori locali
  • le accresciute possibilità di occupazione
  • l’accresciuta importanza delle attività tradizionalmente sottovalutate
  • lo scoraggiamento delle attività distruttive per l’ambiente
  • l’accresciuto supporto per lo sviluppo di piccole imprese
  • l’accresciuta forza e intensità delle relazioni sociali ed in generale lo sviluppparsi di una tendenza economica opposta all’attuale modello basato sulla “crescita e crollo”.

Secondo il South African New Economics Network (SANE), le monete comunitarie potrebbero avere i seguenti effetti in un sistema economico:

  • fornire mezzi di scambio nelle comunità locali che hanno poca valuta convenzionale
  • far incontrare bisogni locali e produzione
  • promuovere attività economiche ed occupazione informale
  • promuovere modalità di baratto multilaterale
  • proteggere le comunità locali dall’ instabile sistema mondiale dei prezzi e dei tassi di interesse
  • tagliare i legami con le economie nazionali e globali che impediscono la produzione ed il commercio locale
  • far muovere il sistema economico dalla competizione alla cooperazione.

tratto da un testo del SANE (Rete Sudafricana della Nuova Economia) – traduzione di magius

DynCarpooling

DynCarpooling è una ipotesi di applicazione software dedicata alla gestione del carpooling dinamico.

Il carpooling, secondo la definizione di Wikipedia, un termine inglese traducibile come “auto di gruppo”, una modalità di trasporto che consiste nella condivisione di automobili private tra un gruppo di persone, con il fine principale di ridurre i costi del trasporto. È uno degli ambiti di intervento della mobilità sostenibile. Uno o più dei soggetti coinvolti mettono a disposizione il proprio veicolo, eventualmente alternandosi nell’utilizzo, mentre gli altri contribuiscono con adeguate somme di denaro a coprire una parte delle spese sostenute dagli autisti.

Normalmente il carpooling è da intendersi come un sistema statico, ovvero vi è una differenza temporale tra il contatto e l’effettivo “passaggio” sull’auto del carpooler offerente. Infatti la maggior parte dei sistemi consistono in un database web in cui vi sono offerte di percorsi da parte di individui proprietari di auto, che – per mezzo del sistema – possono essere contattati da individui sprovvisti di auto per formare l'”equipaggio” del carpool.

Il carpooling dinamico è invece la formazione “istantanea” dell’equipaggio di viaggio, una sorta di autostop mediato da tecnologia. Vediamo come potrebbe funzionare un sistema di carpooling dinamico:

Il DynCarpooling usa una delle caratteristiche del sistema di telefonia mobile GSM: la localizzazione per mezzo delle celle. In pratica essendo in possesso di un semplice telefonino è possibile simulare le funzioni di autolocalizzazione di un navigatore GPS, cioè fornire la propria posizione georeferenziata con un approssimazione minore rispetto a quella GPS. Un esempio di applicazione è la funzione “My Location” nella recente versione di Maps Mobile.

La possibilità di essere localizzati via cellulare potrebbe permettere la costruzione di un database interrogabile dinamicamente: sia gli utenti interessati a ricevere un passaggio (“passeggeri”) che quelli interessati a dare un passaggio (“autisti”) potrebbero essere registrati su un database (per esempio con interfaccia web) che permetta l’accesso via SMS. Sia la registrazione iniziale, che l’inserimento dei percorsi, che le richieste di passaggi potrebbero essere fatte via SMS.

Ipoteticamente un passeggero dotato di telefonino, che si trova per strada via SMS potrebbe quindi indicare al sistema la sua posizione di partenza (“in questo momento sono su Via XXX”), la sua richiesta di posizione di arrivo (“voglio andare in Via YYY”) e chiedere se ci sono potenziali autisti interessati a dargli un passaggio (“dimmi tutti gli utenti iscritti al servizio che vanno a Via YYY”). Gli utenti autisti nel momento in cui si mettono in viaggio avranno invece inserito via SMS la via di partenza e la via di arrivo del proprio itinerario.

Il sistema quindi confronta la via inserita dal passeggero con le vie in cui sono posizionate ad un dato momento i telefonini degli utenti autisti presenti in quel momento in città, per individuare l’utente autista più vicino che ipoteticamente abbia un itinerario che preveda il passaggio per la Via YYY. Il calcolo dell’ipotesi di passaggio è effettuata dal sistema attraverso il calcolo di un itinerario tipo dalla via di partenza alla via di arrivo degli utenti autisti attraverso un sistema di navigazione GPS.

Il sistema quindi provvede ad inviare un SMS al passeggero ed all’autista, fornendo una via ed un numero civico per l’appuntamento, che sia vicina alla posizione del passeggero e che sia lungo l’itinerario ipotetico dell’autista.

I due utenti quindi inviano SMS di conferma e si incontrano. Se è previsto, il passeggero accredita un importo concordato in traffico telefonico sul cellulare dell’autista.

Perchè è necessaria l’innovazione monetaria?

Tre comuni Malintesi, tre minacciosi Risultati, tre possibili Soluzioni

di Margrit Kennedy

In questo intervento mi occuperò della domanda: “Perchè è necessaria l’innovazione monetaria?” Per prima cosa, descriverò tre malintesi che la maggior parte delle persone ha riguardo al denaro; dopo spiegherò tre risultati di questi malintesi, e poi offrirà tre possibili soluzioni in termini di innovazione monetaria. Cosa è il denaro? Vediamo prima la bella notizia. Il denaro è una delle innovazioni più ingegnose dell’umanità . Aiuta lo scambio di beni e servizi e scavalca le limitazioni del baratto, creando quindi la possibilità di specializzazione, che è alla base della civilizzazione. Perchè allora abbiamo un problema rispetto al denaro? Ecco allora la brutta notizia. Nel corso della maggior parte della storia, la circolazione del denaro si è sempre basata sul pagamento di interessi. E l’interesse porta all’interesse composto (N.d.T.: l’interesse composto è l’interesse sull’interesse). L’interesse composto porta ad una crescita esponenziale. E la crescita esponenziale a sua volta è insostenibile. Di conseguenza, per capire come il nostro sistema monetario ha sempre funzionato come una “macchina invisibile di demolizione” sin dall’inizio, è utile capire i tre malintesi basilari che quasi tutti hanno circa il denaro.

Malinteso n.1: la Crescita

Fig.1 – Tipologie fondamentali dei modelli di crescita. Il denaro con interesse ed interesse composto può crescere indefinitivamente.

1. Per capire il Malinteso della Crescita, cioè del “Denaro basato sull’interesse che può crescere indefinitivamente”, dobbiamo sapere che ci sono tre schemi di crescita diversi per genere. La curva “A” rappresenta il normale schema di crescita che esiste in natura. Esattamente come succede con le piante o gli animali, cresciamo abbastanza velocemente durante le prime fasi della nostra vita, poi cominciamo a farlo un po’ più lentamente e smettiamo di crescere fisicamente quando arriviamo a una misura ottimale. La curva “B” rappresenta lo schema di crescita lineare. Ad esempio, più macchine producono più beni, più carbone produce più energia, ecc.

Questo schema di crescita non è molto importante per la nostra analisi. Dev’essere chiaro, però, che in una pianeta non infinito anche questo schema creerà problemi alla fine. La curva “C” rappresenta la crecita esponenziale, lo schema di crescita più importante e di solito meno compresa. Può essere descritto come l’opposto esatto di quello della curva “A”, nel senso che la progressione avviene molto lentamente all’inizio, poi accelera continuamente e alla fine cresce in una maniera quasi verticale. Nel regno fisico, questo schema di crescita si verifica solitamente quando le cose non funzionano, quando c’è malattia, soprattutto malattia che porta alla morte. Il cancro, per esempio, segue uno schema di crescita esponenziale e, usando questa analogia, l’interesse può essere visto come il cancro nel nostro sistema sociale ed economico. In quanto è basato sull’interesse e sull’interesse composto, il nostro denaro si raddoppia a intervalli regolari, segue uno schema di crescita esponenziale: ad un interesse composto del 3% ci si mette 24 anni, al 6% ci vogliono 12 anni, al 12% 6 anni. Un centesimo di euro investito nell’anno 0 ad un interesse del 5%, nell’anno 1990 avrebbe il valore di 134 miliardi di lingotti d’oro, al prezzo dell’oro di quest’anno, con un peso complessivo uguale a quello di tutta la Terra, praticamente una cosa impossibile.

Il Malinteso n.2: la Trasparenza

2. Il Malinteso della Trasparenza può essere sintetizzato così: “L’interesse si paga solo quando si prendono soldi in prestito.” Quello che rende difficile la piena comprensione dell’impatto del meccanismo degli interessi sul nostro sistema economico consiste nel fatto che la maggior parte delle persone pensa che l’unica cosa che deve fare è di evitare di prendere soldi in prestito, così non dovrà pagare interessi. Quello che non comprendono è che ogni prezzo che paghiamo include una certa quantità di interesse. La proporzione esatta varia in basa alle relazioni tra capitale e lavoro impiegato, costi di manutenzione, costi amministrativi ed altri costi sui beni e servizi che compriamo. Questa varia (N.d.T.: i dati si riferiscono alla Germania, in base ai dati raccolti da M. Kennedy e H. Creutz) da una componente di interesse del 12% per la raccolta dei rifiuti, (perchè qui la quota di capitale è relativamente bassa mentre quella di lavoro fisico è particolarmente alta) ad un 38% per l’acqua potabile, fino a un 77% nel caso dell’affitto di una casa popolare (oltre i 100 anni, che è il periodo di tempo che le case in Germania di solito durano). In media paghiamo un 40% circa di interesse su tutti i prezzi di beni e di servizi. Nel medioevo la gente pagava al padrone feudale la “decima”, cioè il 10%, sulle proprie entrate o su ciò che produceva. Sotto questo aspetto, erano più benestanti allora rispetto a noi, che diamo oggi quasi la metà di ogni euro che guadagniamo a coloro che possiedono capitale, come spiegherò nell’argomentazione riguardo al seguente malinteso.

Il Malinteso n.3: l’Equità

Fig.2 – Comparazione tra interessi pagati ed interessi ricevuti dalle famiglie. La comparazione mostra che vi sono grandi disparità.

3. Il Malinteso dell’Equità si fonda sull’affermazione che: “Tutti sono trattati allo stesso modo in questo sistema monetario.” Siccome tutti devono pagare interesse quando prendono soldi in prestito e ricevono interesse dai risparmi, siamo tutti ugualmente benestanti nell’attuale sistema monetario. Ma questo non è vero, perchè ci sono enormi differenze rispetto a chi guadagna e chi paga in questo sistema. Confrontando i pagamenti di interessi con i guadagni da interessi in dieci gruppi uguali di 2,5 milioni di famiglie in Germania, la figura dimostra che l’80% della popolazione paga almeno il doppio di quello che riceve, il 10% riceve poco più di quello che paga e il restante 10% riceve più del doppio dell’interesse che paga, che è poi la quota che l’80% perde. Questo illustra una delle ragioni meno comprese sul perchè i ricchi diventano più ricchi e i poveri, più poveri. In Germania, nell’anno 2004, questo ammontava a un trasferimento di circa 1 miliardo (!) ogni giorno da coloro che lavorano per guadagnare soldi a coloro che possono “far lavorare da soli i propri soldi”. Ma avete mai visto soldi lavorare? In altre parole, nel nostro sistema monetario permettiamo l’operazione di un meccanismo di ridistribuzione nascosta che sposta continuamente denaro dalla grande maggioranza a una piccola minoranza, creando una polarizzazione sociale che, nel corso del tempo, eroderà qualsiasi democrazia.

Risultato n.1: Inflazione Continua

Come conseguenza di questo difetto nel nostro sistema monetario, tra il 1950 e il 2001 ogni Marco tedesco ha perso l’80% del suo valore, cioè, in altre parole, il valore di 1 Marco è stato in realtà di 20 Pfennig. Ed il Marco era la moneta più stabile del mondo. Per la maggior parte della gente, l’inflazione sembra una parte integrale di qualsiasi sistema monetario, quasi “naturale” visto che non c’è nessun paese nel mondo senza inflazione. Siccome l’inflazione è data per scontata, gli economisti e la maggior parte della gente crede che gli interessi servono per controbattere l’inflazione, mentre in realtà l’interesse è la causa più importante dell’inflazione. Circa due anni dopo ogni rialzo dell’interesse, segue un rialzo dell’inflazione. Di conseguenza, se potessimo abolire l’interesse, riusciremmo ad abolire anche l’inflazione. Nell’attuale sistema monetario stiamo affrontando una scelta gravissima: o il collasso economico o quello ecologico. Solo quando i debiti pubblici e privati aumentano, seguendo la crescita patologica del sistema monetario, l’economia può funzionare. Questo significa che ci serve crescita economica a quasi qualsiasi costo, preparando così un collasso ecologico di proporzioni senza precedenti.

Risultato n.2: Enorme Sbilancio tra Indicatori Economici
Fig.3 – Ammontare annuale della ricchezza espressa in Marchi tedeschi, dal 1950 al 1995. Tutti i dati sono corretti in base all’inflazione (Fonte: M. Kennedy e H. Creutz).

Un secondo risultato del sistema basato sugli interessi è che esso porta ad una crescita particolarmente ineguale in diversi settori dell’economia. Paragonando tre diversi indicatori di crescita tra il 1950 e il 1995 in Germania, scopriamo che gli Assets (N.d.T: beni) Monetari (avallati dall’equivalente quantità di debito) sono cresciuti 461 volte, il Prodotto Interno Lordo è cresciuto 141 volte e il Reddito Netto da Stipendi (dopo l’applicazione di tasse) è aumentato solo 18 volte, ed attualmente si è abbassato dopo il 1980 al livello degli anni settanta. Se il nostro corpo riuscisse a crescere 18 volte dal periodo di pochi mesi dopo la concezione fino alla maturità , la nostra testa crescesse 461 volte, mentre le nostre gambe crescessero solo 18 volte, questo verrebbe chiamato malattia. Ma poche persone comprendono che queste cifre indicano una malattia grave nel nostro sistema economico, la mancanza di discussione pubblica su questo problema è la prova della nostra ignoranza estesa su argomenti monetari.

Risultato n.3: Instabilità Monetaria

Fig.4 – Ammontare delle transazioni finanziarie dal 1974 al 2001. Il grafico evidenzia l’enorme sproporzione tra transazioni economiche reali e speculative. (Fonte: Bernard Lietaer / BIS).

Un terzo risultato è che il sistema monetario basato sulla crescita esponenziale e sull’interesse, crea un’instabilità monetaria di alto livello. Contrariamente a misure come il metro o il chilo, il valore della nostra moneta varia da giorno a giorno. Guardando a come funziona questa variabilità , il volume globale di transazioni monetarie speculative tra 1974 e 2000 è cresciuto del 97%, mentre solo ci è stato solo un 3% di incremento delle transazioni in beni e servizi, incluso il turismo. Nel 2001 il volume quotidiano di scambi commerciali ha superato i 2.000 miliardi di dollari mentre negli anni ’70 ammontava a 20-30 miliardi. Ciò che rende la situazione così pericolosa è che tutte le riserve di valuta e di oro di tutte le banche centrali del mondo ammontano solo al volume delle transazioni svolte in sette o otto ore di attività commerciale, uno tsunami che indugia nell’orizzonte del nostro sistema finanziario globale, visto che non c’è praticamente nessuna istituzione che abbia riserve sufficienti a intervenire in una situazione di crisi. La piccola tendenza al ribasso a partire dall’anno 2000 è il risultato dell’introduzione dell’euro che ha posto fine alla speculazione valutaria nei paesi europei.

E’ necessario un cambio di prospettiva

Fig.5.

Oggigiorno gli economisti di tutto il mondo trattano il denaro come un’asta metrica neutrale che, per come lo intendono, non ha nessun ruolo decisivo nelle decisioni economiche. Un recente studio del Club di Roma dimostra che ciò è errato. Il denaro è tutt’altro che neutrale. Anzi, fa da aspirapolvere succhiando costantemente risorse da certe regioni con ritorni più bassi e ridistribuendole alle regioni con ritorni più alti, per il momento questa è la Cina, con tutti gli effetti devastanti che ciò porta alla cultura, all’ecologia e alla società nelle aree coinvolte. Ciò che ci serve oggi è un ridimensionamento del denaro per riuscire finalmente a usare il pieno potenziale di una delle più ingegnose invenzioni dell’umanità , per aiutare a realizzare il sogno di mettere a disposizione di ognuno su questa terra le necessità basilari della vita. Una prima soluzione sarebbe quella di sostituire l’interesse – la ricompensa per il creditore – con un “demurrage” o “tassa di appropriazione”, un costo dovuto per il possesso dei soldi (N.d.T. inteso come fisico possesso delle banconote). Un principio questo, che già applichiamo alla maggior parte degli altri servizi, come ad es. il costo per l’uso della carrozza ferroviaria, quando viaggiamo in treno. Nessuno riceverebbe una ricompensa per liberarsene, per rimetterlo in circolazione, ma pagherebbe un piccolo canone dovuto all’uso quotidiano. E’ praticamente questo che dobbiamo fare con il denaro per risolvere molti dei problemi che sono stati creati dal sistema dell’interesse.

Soluzione n.1: Denaro senza Interesse – L’esempio di Woergl

Fig.6 – Fatti e risultati relativi all’emissione di schillings da parte dal Comune di Woergl in Austria nel 1932 (Fonte: M. Kennedy e V Spielbichler).

Tra il 1932 e il 1933 la piccola città austriaca di Woergl iniziò uno dei primi esperimenti-modello, basati sulle teorie economiche contenute nel libro di Silvio Gesell “L’Ordine Economico Naturale” (1916). A fronte di un equivalente ammontare di schillings ordinari depositati nela banca cittadina, il Comune di Woergl mise in circolazione 5.490 schillings in “Certificati di Lavoro”. Questa valuta perdeva l’1% del valore ogni mese. Un bollo del valore dell’1% doveva essere incollato sul Certificato per mantenerlo in validità . Ciò ebbe come conseguenza che i Certificati di Lavoro circolarono 463 volte nei successivi 13,5 mesi, facilitando la creazione di beni e servizi di valore uguale a 5.490 x 463 (giorni), cioè 2.283.840 milioni di schillings. In un periodo storico in cui nella maggior parte dei paesi europei c’era una perdita di posti di lavoro, il Comune di Woergl ridusse il tasso di disoccupazione del 25% su base annua. Il reddito da tasse locali crebbe del 35% e gli investimenti per lavori pubblici del 220%. La tassa di circolazione del denaro, incamerata dal Comune, che causò un passaggio di mano delle banconote cosi veloce, fu del 12% sui 5.490 schillings in Certificati, ovvero di un totale di di 658 schillings. Questo piccolo ammontare fu usato per obiettivi pubblici, non se ne appropriò nessun singolo individuo bensì ne ebbe beneficio l’intera comunità . Tuttavia, quando 130 comunità in tutta l’Austria cominciarono ad adottare questo interessante modello, la Banca Nazionale Austriaca vide il proprio monopolio in pericolo e proibì la stampa di ogni moneta locale.

Soluzione n.2: Sistemi di risparmio e prestito senza interesse – L’esempio della Banca Jak

Fig.7 – Meccanismo di funzionamento della Banca Jak: Risparmi e Prestiti. (Fonte: M. Kennedy e Mark Anielski, Canada).

Una seconda possibile soluzione consiste nell’adottare il sistema della banca cooperativa svedese JAK (Jord, Arbede, Kapital = terra, lavoro e capitale). Una volta che viene creato ed ha un sufficiente flusso di denaro in circolazione, il sistema della Banca Jak è probabilmente il sistema più economico per concedere prestiti senza interesse. In Svezia circa 26.000 persone usano questo sistema ed il turnover annuale nel 2004 è stato di circa 60 milioni di euro. Il sistema di funzionamento è davvero facile: le persone cominciano a risparmiare soldi per alcuni mesi per totalizzare un punteggio che che gli permetta di richiedere un prestito. Una volta che hanno ottenuto il prestito, essi cominciano immediatamente a risparmiare soldi di nuovo ed alla fine, quando hanno restituito il prestito, essi hanno disponibile sotto forma di risparmio il 90% della somma del prestito e possono ritirare questa somma dalla banca dopo sei mesi. Il sistema nella sua interezza, così come i risparmi ed i prestiti individuali – col tempo – in questo modo sono sempre bilanciati.Il debitore diventa creditore e passa il vantaggio di avere un prestito senza interesse alla prossima persona, la prossima ad un altra e così via. Il vantaggio di avere un prestito quando usualmente il denaro vale di più (a causa dell’inflazione) è bilanciato dal fatto che quando i risparmi vengono rimborsati, il denaro vale meno. Così non vi è la necessità di introdurre un aggiustamento inflattivo che, come vediamo, è parte dei normali costi di un prestito.

Fig.8 – Confronto tra il pagamento di un prestito in una banca normale e la Banca JAK (Fonte: M. Kennedy e Jak Bank)

Il confronto della restituzione di un prestito di 200.000 corone svedesi (SKR) a 25 anni tra una banca normale e la banca cooperativa JAK, mostra come funziona un prestito in quest’ultima. Mentre la banca normale carica in media l’8% di interesse che ammonta a rate mensili di 1.568 SKr, la banca cooperativa JAK carica (una rata mensile di 667 SKr più una commissione del 2% – per il lavoro da essa svolto – di 190 SKr, con un risparmio su base mensile di 654 SKr, che complessivamente raggiungono) quasi lo stesso importo, 1.511 SKr al mese. Inoltre il totale da pagare in 25 anni di 453.300 SKr nel sistema JAK è paragonabile ai 470.000 SKr nella banca tradizionale. La grande differenza, tuttavia, arriva alla fine dei 25 anni, quando nella banca normale non c’è nessun risparmio mentre nella banca JAK c’è un risparmio pari al 90% del prestito originale di 200.000 Skr, cioè 196.200 SKr. A copertura del rischio i richiedenti del prestito devono acquistare quote societarie, per una somma pari al 2% del prestito, nella cooperativa JAK. Esse possono essere rimborsate, se il prestito viene completamente pagato nello stesso anno. Tuttavia, una delle caratteristiche più attraenti rispetto al presito di una banca normale, è il fatto che nel sistema JAK l’interesse o le commissioni non si alzano durante il periodo di rimborso.

Fig.9 – Confronto della composizione dell’interesse sui prestiti ed i crediti tra una banca normale e la Banca JAK (Fonte: M. Kennedy e Jak Bank)

L’interesse dell’8%, in un prestito di una banca normale, per esempio, è formato da quattro componenti differenti: commissioni per il lavoro svolto dalla banca (solitamente intorno all’1,7%), un premio di rischio (o un’assicurazione, nel caso il prestito non può essere rimborsato, di circa lo 0,8%), un premio di liquidità (come ricompensa per le persone che richiedano la “liquidità” del denaro depositato, in questo caso del 4%) ed un aggiustamento inflazionistico (come riequiibrio della perdita da parte dei prestatori a seguito dell’inflazione – variabile a secondo il tasso di inflazione – in questo caso l’1.5%). Se adottassimo un incentivo di circolazione o un costo di appropriazione, per esempio una tassa sul denaro che non viene usato, potremmo eliminare il premio di liquidità del 4% e dimezzare i costi per i prestiti e la quota di interesse qualunque sia l’ammontare del prestito e per tutta la sua durata. Se potessimo adottare un sistema JAK, tuttavia, si potrebbe ulteriormente dimezzare l’interesse – che in questo sistema sarebbe soltanto del 2% perchè il lavoro effettuato dalla banca va pagato.

Fig.10 – Confronto tra i costi del credito nel normale sistema bancario, nel sistema a demurrage o a incentivo e nel sistema JAK

Un confronto tra i costi del credito nel normale sistema bancario, nel sistema a demurrage o a incentivo e nel sistema JAK, indica che una famiglia tedesca media con 30.000 euro di reddito all’anno, pagherebbe oggi 12.000 euro di interessi (il 40%), 6.000 euro nel sistema di demurrage e soltanto 3.000 euro, se il sistema JAK fosse applicato all’economia. A seguito di ciò i prezzi potrebbero andare considerevolmente giù, la ridistribuzione del costo nascosto dell’interesse in tutti i prezzi sparirebbe; l’80% della gente che ora perde nel sistema sarebbe così ricca quasi due volte o potrebbe lavorare la metà del tempo; ed infine potremmo finalmente avere un sistema monetario sostenibile, in cui il valore della relativa valuta rimarrebbe stabile col tempo. Un aiuto per la grande maggioranza della gente. Inoltre significherebbe che tutti i progetti sociali, culturali o ecologici, che possono rimborsare appena i loro investimenti, diventerebbero “economicamente possibili”. Una cultura completamente nuova potrebbe evolversi ed il gap fra ricchi e poveri diminuirebbe gradualmente. Ed inoltre se i paesi e le regioni più povere creassero le proprie valute anzichè prendere in prestito i soldi dai centri altamente industrializzati e dalle altre nazioni ad alto tasso di interesse, potrebbero prosperare velocemente.

Soluzione n.3: Monete Complementari

La terza soluzione introduce il concetto di “Monete Complementari” (CC) come la via più praticabile per contrastare le conseguenze negative del sistema degli interessi e della globalizzazione economica. Essa definisce le valute complementari come “mezzi di pagamento con obiettivo incorporato, che non sono da intendersi come sostituti delle esistenti valute nazionali o internazionali, ma come strumenti per dare loro, complementarietà”. Principalmente in quelle aree in cui il sistema attuale non funziona molto bene: per progetti sociali, culturali ed ecologici, nuova liquidità può essere generata senza caricare i contribuenti o i governi con costi supplementari. Le monete complementari possono essere viste come un potente strumento per rafforzare l’attuabilità economica dei progetti relativi ad un settore sociale specifico o ad una regione geograficamente limitata, ciascuno con i propri interessi e potenziali specifici. In molti casi, esse hanno mostrato la loro potenzialità a sostenere e rinforzare l’economia, specialmente in periodi difficili.

Verrà spiegato in dettaglio il funzionamento del Saber e del Chiemgauer, che sono solo alcuni esempi di valute settoriali e regionali tra le varie esistenti.

Una valuta settoriale recentemente progettata è il “Sabèr”, una proposta brasiliana di valuta educativa. Dato che il 40% della popolazione del Brasile è sotto i 15 anni, questo paese ha un problema educativo enorme. Quando l’industria del telefono cellulare è stata privatizzata il governo ha messo una tassa del 1% sulle sulle fatture dei telefoni cellulari, per finanziare la formazione. Il risultato di ciò è, nel 2004, un fondo monetario di 1 miliardo US$ o di 3 miliardi di Reais per la formazione. Che cosa può esser fatto con questi soldi? Nel 2004, il prof. Bernard Lietaer ha proposto di introdurre un sistema di buoni chiamato “Saber” per moltiplicare il numero di allievi che possono permettersi di ottenere una formazione di livello universitario. Il valore del Saber è nominalmente lo stesso del Real, sebbene sia soltanto redimibile per i pagamenti di tasse scolastiche per l’istruzione superiore e perda il 20% di valore all’anno per dare un motivo per non accumularlo. I buoni saranno dati alle scuole per darli ai loro – per esempio 7 anni – allievi più giovani, a condizione che essi scelgano un altro allievo di una classe superiore, per farsi aiutare su una materia in cui si è deboli. Il Saber allora viene trasferito (NdT i ragazzi pagano le ripetizioni in Saber) all’allievo più anziano ed e così via, fino a che infine arriva ad un ragazzo di 17 anni che desidera andare all’università che utilizzerà i Saber per pagare una parte delle tasse scolastiche. Il Saber – permettendo una diminuizione delle tasse scolastiche per coloro che andranno all’università , probabilmente permetterà anche di aumentare di dieci volte l’allocazione delle risorse per la formazione.

Quali sono le differenze fra le valute complementari e quelle tradizionali? Anzichè essere orientate al profitto sono orientate all’uso; anzichè avere l’obiettivo di fare più soldi dai soldi, hanno l’obiettivo per collegare le risorse poco usate con i bisogni non soddisfatti. La loro accettazione non è generale ma limitata e fornisce “una membrana semipermeabile” intorno alla funzione o alla regione per cui sono progettate. Non possono essere usate per speculare sui mercati finanziari internazionali; non possono essere usate per comprare automobili dall’estero. Forniranno aiuto alla realizzazione di uno scopo e quello è il loro vantaggio. La maggior parte delle valute complementari non hanno interesse ma usano un incentivo alla circolazione monetaria o un meccanismo di demurrage per mantenere la valuta “in movimento”, evitando così tutte le conseguenze connesse all’interesse. Possono essere create con un processo trasparente e democratico controllato dagli utenti. Le valute complementari possono arrestare il drenaggio delle risorse finanziarie dai paesi a basso reddito verso i paradisi fiscali, quindi ostacolare la conseguente perdita di ricchezza e posti di lavoro e promuovere senso di comunità invece di distruggerlo. Esse generano una situazione win-win per tutti: da un’espansione dei benefici educativi alla soluzione dei problemi legati all’aumento del numero di anziani, dalla protezione dell’identità culturale alla commercializzazione degli alimenti coltivati regionalmente, da un uso ecosostenibile degli itinerari più corti di trasporto all’esercizio di senso etico quando si utilizzano risorse non rinnovabili.

Le valute regionali forniscono tutti i benefici elencati per le valute complementari e specificamente sono destinate a aiutare una regione. Una regione può essere definita geograficamente come una bio-regione situata in una valle di montagna o intorno ad un lago; culturalmente se ha una storia comune, un dialetto o delle abitudini sociali comuni; o economicamente se ha specifiche risorse o abilità speciali di produzione. Una regione, se non è protetta dai propri mezzi di pagamento, tende a perdere risorse all’interno della feroce concorrenza internazionale. Di conseguenza, un disaccoppiamento parziale dall’economia globalizzata è una delle misure di sostegno più efficaci per supportare l’incremento dell’uso di prodotti e servizi regionali e per mantenere il valore aggiunto ed il surplus nella regione. Così come l’euro ha rinforzato l’identità europea, in modo simile una valuta regionale può rinforzare l’identità regionale. Infatti, in quelle zone di Europa in cui le valute regionali sono state introdotte, questo era uno dei motivi per cui la gente ha cominciato ad usarle. La rinascita recente dei mercati locali e regionali di vendita diretta da parte degli agricoltori – nonostante i supermercati convenienti nelle vicinanze – mostra che la gente comincia a stimare i legami più vicini fra consumatori e produttori. Ovviamente produrre e consumare regionalmente ridurrebbe le esigenze di trasporto e di energia; e potrebbe essere fermata la privatizzazione delle utilities pubbliche (acqua, elettricità , fogne, rimozione rifiuti, trasporto ecc.) – che, quasi dappertutto in Europa, ha reso i servizi più costosi e meno efficienti. Con l’uso di una valuta regionale si potrebbero fornire questi servizi e controllare la loro efficacia.

Fig.11 – Meccanismo di funzionamento della moneta locale Chiemgauer.

Un esempio pratico di valuta regionale è il Chiemgauer che circola nella zona del Chiemsee nella Germania del sud. E’ stata iniziata dalla Scuola Waldorf di Prien ed usa il modello dei vouchers. Il disegno è tale che tutti i partecipanti si avvantaggiano. Ad associazioni regionali selezionate che acquistano buoni Chiemgauer, viene dato un bonus del 3%. Le associazioni in cambio vendono 1 Chiemgauer per 1 Euro ai loro membri, che ne hanno profitto sostenendo la loro associazione senza rimetterci o dover pagare qualcosa di più. I membri delle associazioni quindi possono spendere i Chiemgauer in oltre 200 negozi partecipanti. I primi ad acquistare questa nuova valuta furono i genitori della Scuola Waldorf, che hanno comprato buoni per sostenere la costruzione di una nuova ala della scuola. Da allora, ulteriori progetti senza scopo di lucro si siomno sviluppati ed i partecipanti vengono da parti differenti della regione. In modo simile al modello di Woergl,i compratori accettano di pagare una tassa annuale di 8% per garantire la circolazione. Quattro volte l’anno un bollo del 2% del valore del buono deve essere applicato sulla banconota, per permettere ad essa di mantenere il relativo valore nominale. Le imprese che accettano i buoni possono scambiare i buoni in euro pagando una tassa del 5% oppure possono usarli per il pagamento di beni e servizi di altre imprese, di propri impiegati, per pagare il giornale locale, ecc. Se fanno girare i buoni, non dovranno pagare nessuna tassa. Per la maggior parte delle aziende, accettare i buoni è un modo per coltivare la fedeltà dei clienti. Oltre a questa piccola tassa – peraltro deducibile dalle imposte – non ci sono altre spese addizionali per supportare la propria valuta regionale.

Modelli regionali di valuta sorprendentemente differenti tra loro sono attualmente in sperimentazione in Europa. Questa idea si è sviluppata in modo così estensivo essenzialmente per tre motivi:

  • 1. Molti individui e gruppi stanno cercando strade per contribuire alla soluzione della corrente crisi economica in cui tutte le vecchie ricette non sembrano più funzionare.
  • 2. Ci sono parecchie strade legali per creare mezzi regionali di scambio che siano convenienti per tutti i partecipanti e che quindi abbiano il potenziale per essere accettati ampliamente.
  • 3. Esistono molte altre ragioni, oltre ai motivi economici, per ravvivare l’economia regionale. Poichè nessuna iniziativa ha ancora tutte le risposte ed ognuna sta cercando di sviluppare la propria soluzione specifica per i diversi problemi della propria regione, viene usata da quasi tutti i partecipanti la rete regionale, RegioNetzwerk, che federa le varie iniziative, come piattaforma per insegnare ed imparare. Ciò viene permesso facendo riunioni ogni tre mesi nei posti dove nuove valute già sono state iniziate o sono in progetto di partire. Dal 2003 vengono inoltre fatti grandi congressi nelle aree europee di lingua tedesca che riuniscono tutti gli attivisti e coloro che desiderano essere informati circa lo sviluppo delle valute regionali. Nel 2004 un primo congresso europeo con circa 200 partecipanti si è tenuto a Bad Honnef, NordReno Westalia, in Germania (un CD con tutte le conferenze e le presentazioni può essere ordinato a: info@ksi.de). Nell’agosto del 2005 il primo summit mondiale delle monete complementari si è tenuto a Denver, Colorado, negli USA (www.access.foundation.org).
Fig.12 – Fonti

Il mio libro “Moneta libera da interesse e da inflazione” è stato scritto nel 1987 ed è stato tradotto in 20 lingue (NdT una edizione italiana è stata pubblicata da Arianna Editrice). Esso ancora contiene intatte la maggior parte delle informazioni fornite in questa conferenza ed è disponibile in inglese attraverso Seva International. E-mail: Ursala@hathway.com. Il secondo libro “Le valute regionali – Nuove Strade per un aAbbondanza Sostenibile” che ho scritto insieme a Bernard Lietaer, sembra essere il primo libro che è stato scritto su questo soggetto. (La traduzione in inglese sarà pubblicata nel 2006). Il libro fornisce le informazioni di base sui problemi fondamentali, le soluzioni e gli esempi che vengono da tutto il mondo. Il sito www.RegioNetzwerk.de contiene le ultime informazioni (principalmente in tedesco) sullo sviluppo delle iniziative ed il fondamento teorico e pratico che stiamo sviluppando. L’introduzione di valute regionali è stato provato essere uno degli strumenti più potenti per la realizzazione di nuovo ordine democratico.

Le iniziative ed i numerosi programmi regionali esistenti in Europa sono i logici “partners naturali”. Ci sono ad oggi circa 300 iniziative all’interno del movimento regionale in Germania, più di 2000 gruppi Agenda21 e più di una dozzina di progetti europei Leader+ (un programma che promuove lo sviluppo regionale in aree rurali). In aggiunta a questi gruppi locali, un altro partner potrebbe essere il “Comitato per le regioni”, formato per difendere il principio che in le decisioni dell’Unione Europea dovrebbero essere prese al più basso livello possibile.

Per commenti o contatti: margritkennedy@monneta.org

(c)2004 Margrit Kennedy. Traduzione italiana a cura di Socialforge.net dal testo originale in inglese: http://www.margritkennedy.de/pdf/PRE_moneypres.pdf (c) 2006 Socialforge – Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia

Trasporto pubblico locale, gratis è possibile!

  • Ci hanno fatto credere che i trasporti pubblici locali (bus,metro, treni locali) fossero come qualunque altro servizio, qualcosa che bisognava pagare per ottenere.
  • Ci hanno fatto credere che mai ci sarebbe potuto essere un trasporto gratuito dato che bisognava pagare gli stipendi, il carburante, i mezzi, ecc..
  • Ci hanno fatto additare (si fa per dire, spero) come ladri, coloro che per scelta o bisogno non pagavano il biglietto.
  • Ci hanno fatto considerare normale che si dovesse pagare e che ci dovessero essere dei controllori col potere di farci le multe.
  • Ci hanno messi gli uni contro gli altri: lavoratori pendolari contro lavoratori dei trasporti, senza un reale motivo.
  • Ci hanno fatto credere che facendoci rimbambire dalla pubblicità dentro e fuori i mezzi di trasporto, avremmo pagato di meno.

Nel resto del mondo invece tantissime città, senza grande clamore, offrono servizi di trasporto gratuiti a tariffa zero da anni e anche da decenni, e non lamentano certo buchi nel bilancio..

Basta andare a leggersi i LORO bilanci, a spulciare tra le LORO leggi, e ad analizzare le LORO dichiarazioni per capire che NON c’è assolutamente nulla di vero nella necessita’ di pagare un biglietto per sovvenzionare il servizio!

Infatti, studiando i bilanci delle aziende di trasporto locale, abbiamo individuato il loro segreto di pulcinella: che il finanziamento del trasporto locale viene, in base al DL 422/97, fissato in ratio 0,35 tra contratto di servizio (soldi dal Comune, Regione, ecc.) e ricavato dai biglietti.
La scoperta interessante è che questo 35%, che poi scende al 30%, nella pratica serve SOLO a pagare la struttura di gestione del pagamento dei biglietti (appaltatori di tecnologie di controllo, vigilantes, software houses, controllori dei biglietti, tabaccai che vendono i biglietti, fisco) e null’altro!

Diciamolo pure a voce alta: oggi il bus/metro/treno già te lo paga lo Stato, tu col tuo biglietto paghi solo i controllori che te lo controllano e coloro che ci mangiano sopra!

Paghiamo il biglietto solo per pagare i controllori che ce lo controllano!

E’ proprio così, un trasporto pubblico gratuito, e quindi senza la necessità e il peso della struttura di controllo e vigilanza sul pagamento dei titoli di viaggio sarebbe, con lo stesso contratto di servizio, e quindi lo stesso sforzo da parte delle amministrazioni locali (e delle tasse dei contribuenti) gratuito, più efficiente, e sopratutto possibile

Del resto che il re è nudo pare lo sappiano anche in Trenitalia.

Nell’ articolo pubblicato dal Corriere della Sera Roma domenica 13 febbraio 2005, l’allora presidente Gianfranco Legitimo afferma che i treni locali più profittevoli sono quelli vuoti.

Ricordiamoci che il costo di un viaggio è pagato per un terzo dal passeggero e per due terzi attraverso il contratto di servizio con la Regione. Un treno vuoto ha dunque ricavi assicurati per due terzi, non ha bisogno di pulizia, il personale di bordo non serve e nessuno se ne lamenta. Un treno stracolmo invece è un guaio… e aggiunge Insomma un treno sovraffollato non è un buon affare per nessuno, e se succede è solo perchè il numero di chi ci vuole salire è superiore a quello dei posti a sedere disponibili. Se per fare un esempio, tra le 7 e le 8 del mattino, in una linea regionale, riescono a passare al massimo tre treni, e se questi tre treni contengono in tutto 2000 persone, e se su quei treni vogliono salire 2400 passeggeri, è chiaro che 400 persone resteranno in piedi. fonte

Un trasporto pubblico gratuito avrebbe molti piacevoli effetti collaterali:

  • Libererebbe le nostre città da molto smog: infatti per una semplice ragione di tasca moltissimi si sposterebbero con i mezzi lasciando l’auto a casa
  • Ci libererebbe dal traffico caotico delle ore di punta.
  • Favorirebbe la convivialità e una dimensione di vita più umana, che quella del viaggiare in scatolette fumanti.
  • Permetterebbe un enorme risparmio di petrolio, di cui il nostro paese è importatore e i cui venditori hanno le mani macchiate di molto sangue.
  • Sarebbe una forma efficace di redistribuzione della ricchezza, un surrogato di reddito di esistenza.

Che aspettiamo a esigere la gratuità del trasporto pubblico locale?

Dovremmo chiedere l’ abrogazione della legge 422/97 (che comunque non sono sicuro che si applichi a servizi gratuiti, dato che in molte altre città di nazioni appartenenti alla CE, come la Francia e la Germania, i bus sono gratuiti su tutta o parte della linea) e la gratuità del servizio agli utenti, senza alcun ulteriore onere da parte del fisco.

Il caso dell’ ATAC di Roma

I dati di bilancio parlano chiaro. Per azzardare qualche ipotesi di lavoro, poichè non avevamo modo di fare questo controllo rigoroso, al momento abbiamo solo fatto una *stima* a spanne, quindi con un errore elevato, dei dati disponibili in rete: il bilancio 2003 dell’ATAC.

Ce da notare che l’ ATAC è il peggiore esemplare per dimostrare la tesi summenzionata, dato che:

  • Roma è una metropoli, quindi i servizi pubblici sono l’ unico mezzo a disposizione di chi non guida (vecchi, bambini, migranti, che pagano l’abbonamento mensile/annuale)
  • l’elevato turnover di turisti (che pagano il biglietto) modifica la ratio tra utente/biglietto in modo considerevole verso la quota-biglietto.

Allora, analizzando il bilancio ATAC viene fuori che dalla vendita di titoli di viaggio (tdv) si ricavano solo 176M di euro,mentre il grosso delle entrate è costituita dal contratto di servizio che nel 2003 ammontava a 354M di euro + 21M di euro in mezzi comprati da enti + pubblicità.

Ora la domanda è quanti di questi 176M sono necessari a coprire i costi di gestione dell’infrastruttura?

Beh, difficile a dirsi senza avere i dati in dettaglio del personale e dei costi delle controllate METRO e TRAMBUS, ma anche quì possiamo ipotizzare. Nel 2003 sono state comprate (prima erano in outsourcing) macchinette obliteratrici, e diritti software, per i biglietti per una cifra di 22M + 9M di diritti software e 3,3M di licenze (che probabilmente comprendono anche software per i pc dell’amministrazione, ma sorvoliamo..). Le agevolazioni comportano una diminuzione di SOLI 10M, una briciola che non giustifica quindi il vittimismo delle aziende, idem per l’ evasione , stimata in 3M euro , praticamente i soldi buttati nelle SOLE licenze software!

Pensateci un attimo, si mantiene una struttura di riscossione dal costo enorme solo per cercare di recuperare 3M , quanto si spende (si butta? bisognerebbe vedere..) per le licenze software con un recupero effettivo di meno di 200.000 euro (il costo aziendale di 5 controllori ) !!!!!

Grande efficienza di gestione non c’è che dire! Facciamo quindi 2 conti, forzatamente spannometrici, ma che danno un idea di quanto succede:

  • macchinette obliteratrici (22M, ok è un una tantum, ma non ci scommetterei)
  • software + licenze + diritti 9M +3.3M = 12.3M
  • personale controllori (saranno un centinaio?)
  • vigilanza e presidio stazioni 24h (facciamo 500 persone? buona parte vigilantes privati?)
  • manutenzione macchinette obliteratrici
  • stampa biglietti
  • macchinette di vendita biglietti pubbliche
  • somme da pagare agli esercenti venditori di biglietti (ipotizziamo un 10%?)
  • tasse

Se non si arriva al pareggio dei 176M , ci manca poco. L’ obiezione che fa leva, demagogicamente sul futuro dei lavoratori (controllori) è errata dato che a quanto pare i dipendenti sono quasi sempre costretti a fare straordinari forzati e quindi c’ è di fatto carenza di personale (e non crediamo solo autisti). D’altra parte le spese per quel personale probabilmente non superano quanto si è buttato per i diritti software! E scavando nei bilanci chissà cosa si scopre!

Ampliamenti e coperture

Di soluzioni per coprire finanziariamente ampliamenti, miglioramenti del servizio, e eventuali buchi di cassa imprevisti :

  • un aumento delle tasse generiche ai negozianti, che sono quelli che si avvantaggiano della presenza di gente in città.
  • pagamento a forfait di una “tassa di mobilità” da parte dei datori di lavoro da calcolarsi in base al numero di dipendenti (gli spostamenti per lavoro sono tantissimi…ed è giusto che siano le imprese ad assumersene i costi!!). L’importo della tassa potrebbe essere legato ai tempi di raggiungimento del posto di lavoro da parte dei dipendenti: maggiore tempo, maggiore tassa.
  • tessera integrata turisti per musei con parte del costo che va all’ente gestore del servizio TPL
  • ulteriore sforzo da parte del Comune/Regione che sicuramente otterrebbe vantaggi da un trasporto gratuito, innanzitutto ecologici. Quindi non è eretico dire che i trasporti pubblici gratuiti sarebbero il maggiore incentivo ecologico pensabile e fattibile oggi in un solo colpo, senza costi aggiuntivi, tramite un semplice atto politico , come è norma.
  • introduzione di un ticket di ingresso alla città per i mezzi privati (sul modello di Londra, Inghilterra). Il ticket potrebbe essere strettamente legato al servizio di trasporto, per esempio correlandone l’aumento dell’importo all’aumento in efficienza dei tempi di percorrenza e capillarità del collegamento della rete dei trasporti su base annuale: più aumenta la qualità del servizio pubblico, più aumenta il ticket; più aumenta il ticket, più la gente è incentivata ad usare il trasporto pubblico.

Cosa succede all’ estero

  • Tantissime città, più di 15 ad oggi hanno un sistema di trasporto esteso a tutta la città , totalmente gratuito.
  • Almeno altre 27 realtà metropolitane, anche grosse, hanno parte della rete ad uso gratuito, o orari in cui non si paga per salire sui mezzi.

Ed in Italia

  • Dario FO, nel programma presentato per candidarsi alle primarie come Sindaco di Milano, aveva previsto i trasporti locali gratuiti facendo proprio il meme diffuso da Socialforge.

Riferimenti

Vantaggi degli orti urbani collettivi

La creazione di un orto urbano collettivo porta benefici per gli individui, i quartieri, le città e le comunità di cui esse fanno parte.

Vantaggi per i singoli

Salute

L’orto urbano comunitario è un mezzo per avere a disposizione alimenti freschi autoprodotti. I vantaggi sono:

  • gli individui e le famiglie, prendendo parte alla coltivazione di un orto, hanno accesso a cibi freschi, nutrienti e variati che contribuiscono alla salute nutrizionale;
  • coltivando l’orto gli individui fanno anche attività fisica e ciò contribuisce alla salute fisica.

Apprendimento

  • imparare a coltivare delle piante è mentalmente stimolante e permette ad un individuo di acquisire conoscenze e competenze;
  • se, per coltivare,  si usa il metodo dell’agricoltura sinergica, un metodo di agricoltura biologica derivato dalla permacoltura, si acquisiscono conoscenze raffinate di coltivazione che permettono di  ottenere alimenti biologici con poco lavoro di manutenzione;
  • gli orti possono essere utilizzati da comunità di autoformazione, scuole e università, come luoghi di apprendimento;
  • gli orti sono il mezzo per apprendere come minimizzare i rifiuti e riciclarli attraverso il compostaggio;
  • gli orti sono il mezzo dove apprendere il rispetto e la cura per il proprio territorio e per i beni comuni: statisticamente in zone dove vi sono orti collettivi diminuiscono il vandalismo e la criminalità.

Vantaggi sociali


Socializzazione tra individui

  • l’orticoltura collettiva è un’attività sociale che implica la decisione, la soluzione di problemi e la negoziazione dei conflitti, oltre all’accrescimento di competenze per i partecipanti;
  • gli orti sono luoghi di incontro con gli altri, sulla base di  comuni obiettivi ed affinità;
  • gli orti come spazi sociali, possono essere usati per costruire un senso di comunità, di cooperazione sociale e di appartenenza su base territoriale.

Ostacolo al degrado ed alla speculazione edilizia

  • gli orti, occupando terreni abbandonati, sono uno strumento collettivo per opporsi fattivamente alla speculazione edilizia selvaggia ed al degrado dei quartieri urbani.

Rigenerazione ambientale

  • gli orti rinverdiscono aree abbandonate e portano biodiversità in spazi pubblici aperti ed altre aree, diventando strumento di rigenerazione urbana;
  • gli orti diversificano l’uso degli spazi aperti e creano un’opportunità ricreativa attiva e passiva;
  • la biodiversità delle specie vegetali che si trovano negli orti favorisce il rigenerarsi della natura in ambito urbano.

Rigenerazione sociale

  • la cooperazione tra governi locali e cittadini può rafforzare la società civile su base territoriale;
  • gli orti urbani collettivi sono una dimostrazione pratica delle politiche pubbliche in ambito ambientale, come il riciclaggio dei rifiuti, l’Agenda21 e lo sviluppo di relazioni sociali locali.

testo liberamente tratto da http://www.communitygarden.org.au

L’agricoltura sinergica

a cura di A. Satta per l’Associazione di Agricoltura Sinergica

L’Agricoltura Sinergica è un metodo agronomico applicabile esclusivamente in regime di agricoltura biologica. In estrema sintesi si può dire che l’Agricoltura Sinergica sia ad oggi l’ultima frontiera dell’agricoltura biologica e si pratica scegliendo di impiegare in modo permanente e senza compromessi alcune delle tecniche che in agricoltura biologica sono solo consigliate e auspicate ma non obbligatorie.

Nel suo complesso non ci sono incompatibilità fra Agricoltura Sinergica e agricoltura biologica, dunque un’azienda che pratica l’Agricoltura Sinergica può ottenere la  certificazione biologica senza controindicazioni.

In pratica il metodo sinergico si basa su pratiche agronomiche ed accorgimenti che mirano principalmente alla fertilità del suolo e alla conseguente migliore salute dell’intero sistema suolo-microrganismi-piante piuttosto che al mero aumento della produttività, esattamente come l’agricoltura biologica, ma con misure più incisive.

La principale caratteristica del metodo sinergico è che lo si pratica allestendo delle strutture permanenti anche per le colture annuali. I passaggi che vengono normalmente lasciati nel terreno tra le file di ortaggi per consentirne la cura e la raccolta, in Agricoltura Sinergica vengono realizzati in modo da essere definitivi, quindi si stabilisce in modo univoco dove si cammina (o dove si passa con il mezzo agricolo) e dove si coltiva, applicando ogni accortezza affinché non ci sia più bisogno di calpestare le zone coltivate.

Per semplicità si chiamano
“passaggi” i percorsi calpestabili e “bancali” o “aiuole”
le zone coltivate.

Il rispetto delle aree
coltivate, ovvero dei bancali, è fondamentale per poter applicare l’Agricoltura
Sinergica.

Già da molti anni la
scienza agronomica ha constatato le conseguenze negative dell’eccessiva
aratura. Sia in regime biologico che in quello convenzionale si raccomanda
ormai ovunque di evitare il rivoltamento delle zolle nel terreno, ma
anche l’aratura profonda è una pratica limitata ormai a situazioni
estreme e non più sistematica come un tempo. In agricoltura biologica
comunque si raccomanda di limitare il più possibile l’aratura, anche
se superficiale, alle situazioni di effettiva necessità e sempre nelle
migliori condizioni del suolo (che deve essere in tempera).

In Agricoltura Sinergica
si evita completamente l’aratura, anche superficiale, e perfino la
sarchiatura. Si è constatato che si ottengono migliori risultati con
degli accorgimenti applicabili a delle strutture permanenti.

In primo luogo i bancali
coltivati sono rialzati di circa 30-40 cm rispetto al suolo; si usa
un sistema simile agli orti fuori terra presente anche nella tradizione
contadina dell’Italia del nord, con la differenza che allora i bancali
erano formati da sterco bovino o equino e se ne sfruttava soprattutto
il calore emesso (il principio del letto caldo di cultura) per poter
avere ortaggi anche in inverno, invece nel metodo sinergico il bancale
è formato dalla terra smossa dalla superficie dei passaggi e non viene
preparato e disfatto ogni anno, come nella tradizione, perché è permanente.

Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di  questa immagine.Col
sistema sinergico c’è quindi solo un lavoro iniziale di allestimento
dei bancali direttamente sul terreno che, se eccessivamente compresso,
può subire per l’ultima volta un’aratura superficiale (circa 35
cm).

Nel caso di terreni
molto poveri, in questa fase iniziale, si preferisce aggiungere sostanza
organica ai bancali in modo da favorire i processi di umificazione.

Il grosso del lavoro
di aratura artificiale viene sostituito in modo naturale dalle radici
delle piante stesse ed il fatto di lavorare su dei bancali rialzati
favorisce ulteriormente l’aerazione del suolo.

Sui bancali non viene
praticata la monocultura (ampiamente sconsigliata anche in regime di
agricoltura biologica) ma al contrario è essenziale garantire una vasta
bio-diversità e parte delle piante coltivate viene scelta proprio in
funzione delle forti radici che arano il terreno in modo efficiente
come nessun mezzo meccanico potrebbe mai fare. L’accortezza di non
sradicare le piante al momento della raccolta, neanche quelle spontanee
(tranne ovviamente nel caso di infestanti che si riproducono dalle proprie
radici come la gramigna) ma di lasciare invece che le radici si decompongano
naturalmente nel suolo è alla base di questo meccanismo. Il resto del
lavoro viene svolto dalla fauna del sottosuolo come i lombrichi e altri
insetti scavatori, presenti in grande quantità grazie al suolo imperturbato,
che con la loro attività creano tunnel e spazi nei quali le radici
si insediano con facilità.

La forma rialzata del
bancale viene mantenuta nel tempo grazie ad alcuni accorgimenti:

  • il primo è ovviamente che
    non venga mai compresso, quindi non deve essere calpestato in alcun
    modo, neanche con i piedi. La forma dei bancali è fatta in modo da
    poter accedere alle colture da entrambe i lati senza doverci camminare
    dentro, in genere la dimensione giusta è di circa 120 cm di larghezza,
    facendoli lunghi quanto si vuole, con un passaggio intermedio circa
    ogni 4-5 mt. Nel caso di colture estensive, come i cereali, la larghezza
    del bancale è determinata dalla distanza tra le ruote del mezzo meccanico
    con cui si effettuano le lavorazioni;
  • il secondo è di proteggere
    la superficie del suolo dall’erosione degli agenti atmosferici (pioggia,
    sole e vento) mediante culture in successione che non lascino mai il
    terreno nudo in nessun periodo dell’anno ed inoltre con una pacciamatura
    permanente fatta inizialmente solo di paglia, in seguito costituita
    sia da paglia che dai residui colturali che si deve aver cura di lasciare
    sul posto al momento della raccolta. In agricoltura biologica per ottenere
    tale protezione del suolo si consiglia ad esempio l’inerbimento tra
    i filari, ma con il metodo sinergico tale pratica non basta;
  • la pacciamatura permanente
    organica è molto più efficiente non solo perché protegge materialmente
    il suolo dall’erosione, ma anche perché decomponendosi crea sotto
    di se le condizioni per lo sviluppo del humus che rende soffice e non
    compattato il bancale.

Per l’irrigazione
il metodo più appropriato risulta il sistema goccia a goccia da installare
sotto la pacciamatura. Trattandosi di un allestimento permanente risulta
un sistema conveniente sia per la facilità d’uso che per il grandissimo
risparmio d’acqua.

L’assenza di aratura
artificiale, oltre ad essere un vantaggio economico (sommando il risparmio
di tempo, mezzi e risorse moltiplicato per tutte le pratiche evitate
negli anni può diventare una cifra considerevole), porta soprattutto
a dei vantaggio in termini di fertilità del suolo.

Infatti, come in agricoltura
biologica, anche in Agricoltura Sinergica il parametro di misura dell’efficienza
delle pratiche attuate è il bilancio umico.

E’ ampiamente dimostrato
che l’aratura, anche superficiale, comprometta immediatamente la quantità
e la qualità del humus (che si trova proprio nello strato superficiale
del suolo). Questo perché l’aratura è una pratica che disturba il
delicato equilibrio del suolo fertile, ma nei terreni coltivati è diventata
indispensabile per consentire la semina, il percolamento dell’acqua
e la crescita delle radici delle piante che altrimenti troverebbero
il terreno troppo compatto.

Col metodo sinergico
si risolve il problema del compattamento del suolo con l’allestimento
dei bancali, dunque non essendo necessaria l’aratura si evita di perturbare
il suolo che quindi, sotto la pacciamatura organica permanente, mantiene
integre le condizioni per lo sviluppo della sostanza organica.

La caratteristica peculiare
dell’agricoltura biologica certificata (e probabilmente anche la più
nota al pubblico dei consumatori) è il divieto di usare sostanze chimiche
di sintesi a favore dell’uso di prodotti di origine naturale.

Su questo argomento
si potrebbero aprire interi capitoli di considerazioni e statistiche
sulla reale efficacia dei prodotti naturali. Non è questa la sede per
affrontarli ma senz’altro è utile fare una breve valutazione dei
dati che mostrano come le aziende agricole che hanno richiesto sistematicamente
deroghe all’ente certificatore per poter usare sostanze chimiche a
causa di situazioni parassitarie molto gravi oppure quelle che sono
risultate positive ai controlli campione sui residui chimici, siano
quelle che si sono convertite al biologico dopo molti anni di convenzionale:
in generale è probabile che l’errore di fondo sta nel non aver compreso
che l’agricoltura biologica è profondamente diversa dal convenzionale
non solo negli strumenti ma soprattutto nella filosofia, nell’approccio
alla coltivazione. E’ ancora diffusa la convinzione che l’agricoltura
biologica sia nient’altro che l’agricoltura convenzionale attuata
senza l’uso di pesticidi chimici. Questo porta inevitabilmente al
fallimento dell’intento biologico di migliorare e conservare il livello
di humus nel suolo, in quanto le pratiche agricole convenzionali abbassano
questo livello e di conseguenza fanno crescere vegetali meno resistenti
agli attacchi parassitari che quindi non possono essere difesi con sostanze
naturali in vece dei potentissimi veleni chimici.

Così come non ha alcun
senso parlare di “lotta biologica ai parassiti” perché non si tratta
di una “lotta” ma piuttosto di una profonda comprensione dei meccanismi
di difesa e delle relazioni fra specie nell’eco-sistema che porta
semmai a delle pratiche preventive, al costante monitoraggio del loro
funzionamento ma soprattutto l’attenzione sulla salute dell’intero
sistema suolo-microrganismi-piante.

In percentuale le aziende
che sono partite a produrre biologico sin dall’inizio e le aziende
che anche prima della certificazione optavano per delle pratiche rispettose
dell’ambiente, sono quelle che ottengono i migliori risultati.

In definitiva si può
concludere che nessuno può affermare che l’agricoltura biologica
sia semplice da praticare, ma questo non vuol dire che non si possano
ottenere dei buoni raccolti con i metodi biologici.

Per quanto riguarda
i prodotti di origine naturale, sia antiparassitari che fertilizzanti,
in Agricoltura Sinergica si usano il meno possibile perché si preferisce
applicare strategie preventive di coltura piuttosto che usare dei prodotti
che pur essendo naturali sono comunque estranei all’eco-sistema. In
generale, la grande cura profusa nel conservare le condizioni ideali
di formazione del humus nei bancali e le pratiche qui descritte permettono
la crescita di piante sane e decisamente resistenti a parassiti e malattie.

La filosofia è di cercare
di tenere in salute tutto l’insieme in modo che compensi autonomamente
l’eventuale insorgere di patologie.

Come in agricoltura
biologica, è fondamentale la scelta delle varietà da coltivare, con
preferenza per quelle più rustiche e spontaneamente resistenti.

Inoltre, nel metodo
sinergico, si utilizzano molte consociazioni all’interno dello stesso
bancale, in considerazione delle indicazioni fitosociologiche di reciproco
stimolo alla crescita e di reciproca difesa.

E’ importantissima
la prassi di coltivare delle piante ad azione repellente (come il tagete,
la calendula, il nasturzio, molte piante aromatiche, ecc.) in mezzo
agli ortaggi, i quali a loro volta sono scelti in modo che in ogni bancale
siano presenti almeno tre famiglie diverse contemporaneamente.

La scelta delle famiglie
ricade spesso su quelle che portano maggiori vantaggi al suolo, come
le leguminose azoto fissatici che non devono mai mancare all’interno
di un bancale.

Oltre alla specifica
azione repellente, la diversificazione delle colture a così stretto
contatto è una grande difesa contro molti tipi di attacchi parassitari
che in questo modo hanno una diffusione molto limitata.

Il risultato di una
coltivazione con il metodo sinergico è un impianto permanente con una
vastissima bio-diversità dove piante perenni trovano posto vicino a
colture annuali che, a loro volta, hanno una posizione sistematica ma
intervallata da diverse famiglie. Con tale metodo le colture non seguono
una rotazione ma delle successioni perché nello stesso appezzamento
convivono piante con diversi periodi di sviluppo che vengono sostituite
singolarmente con altre specie che iniziano il loro ciclo vitale in
corrispondenza della fine delle precedenti.

Guida alle monete comunitarie

 Il libro “Guida alle monete comunitarie” di Bernard Lietaer e Gwendolyn Hallsmith è stato tradotto da Socialforge come contributo divulgativo per la quarta edizione della Libera Scuola delle Alternative che si terrà ad Agape (TO) dal 19 al 23 agosto 2007.

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Storia degli Orti Urbani

testo parzialmente tratto dal sito de La Compagnia del Giardinaggio

Per capire il perché di questo rinnovato interesse per la coltivazione dell’orto, bisogna tornare un po’ indietro con gli anni, all’epoca pre-industriale.
Fino a tale periodo, campagna e città hanno convissuto bene insieme, anzi, si può dire che nella storia occidentale ad ogni fase di crescita urbana si sia accompagnata una proporzionata crescita del patrimonio verde e dei campi a coltura.
Pensiamo alle ville venete del Settecento, che si trasformavano in cuori di prospere aziende agricole…

Gli orti erano piuttosto comuni in tutte le grandi città,
ad esempio Roma manteneva un aspetto paesano
ancora alla fine del XIX secolo, elemento che la caratterizzava
fortemente specie agli occhi dei visitatori stranieri, e che adesso
rivive nelle famose cartoline “Roma com’era”.
Londra, cuore della Rivoluzione Industriale, seguiva opposto
destino. Engels rimarcava come si potesse camminarvi per ore senza
neanche supporre la vicinanza con la campagna.

Lo stesso Engels, nella sua opera “La questione delle abitazioni”
condannava il cosiddetto “cottage operaio”, cioè le casette
costruite dai proprietari delle fabbriche per le famiglie operaie, le
quali per averne diritto, dovevano pagare un affitto e venivano
stipendiate di meno.

Un altro elemento su cui si basa la “guerra all’orto” pronunciata
dalla moderna urbanistica è la convinzione
– rivelatasi tragicamente sbagliata –
di molti architetti (principalmente Le Corbusier), che le sorti e i destini
della città e delle persone che lavorano dentro di essa, fossero
autonomi e distinti da quelli della campagna.

E fu proprio nelle grandi città che si formò un forte contrasto tra
proletariato e borghesia, che represse l’edilizia spontanea popolare con
la sua cultura estetica e la sua morale dominante; ed è nelle grandi città
che nacquero le prime moderne associazioni operaie, i sindacati, il cartismo,
e movimenti politici come il socialismo.

Negli anni Trenta e Quaranta i regimi totalitari si impegnarono molto
per favorire l’accesso alla proprietà della casa da parte dei ceti
meno abbienti. Nacquero così le “borgate popolarissime”, mentre in
America proprio in quegli anni si assisteva ad un fenomeno di
neo-ruralismo: molti scappavano dalle città sempre più inospitali per
andare a vivere in campagna.

In Italia il minimo storico della coltivazione amatoriale dell’orto è
stato raggiunto negli anni Sessanta e Settanta. La coltivazione di
orti all’interno delle città era una vera anomalia, una stranezza, ed
era sempre guardata con sospetto ed avversione: l’orto in
cittàin poche parole- divenne simbolo di una
condizione sociale ed economica inferiore. La città era considerata (e
purtroppo lo è ancora) luogo per parchi e giardini, non per orti. E la
vedevano in questo modo sia gli urbanisti che la gente comune:
entrambi consideravano l’orto in città un elemento di degrado
paesaggistico.

Come i picchi minimi del numero di orti urbani sono collocabili nei
venti anni di boom economico successivo al Secondo Dopoguerra, la
rinascita dell’interesse per la coltivazione dell’orto coincide con
la crisi economica che ha colpito l’Europa a partire dagli anni
Ottanta.

Ma alla base della coltivazione amatoriale dell’orto in tempi attuali
non è tanto la necessità di fare economia (le statistiche evidenziano
infatti come una buona parte della produzione venga regalata ad amici
e parenti), quanto il desiderio di “sapere cosa si mangia” e la
preoccupazione alimentare per se stessi ed i propri figli.

È proprio di questi ultimi venti anni una rinascita di una vecchia
istituzione, quella degli “orti senza casa”, cioè di orti allocati
all’interno del tessuto urbano, che non appartengano a chi li
coltiva, ma proprietà di associazioni o delle amministrazioni comunali
ed assegnati a coltivatori non professionisti.
Il fenomeno nasce a Lipsia, in Germania, verso la metà del XIX secolo,
con i kleingarten riservati ai bambini, ma trova il suo aspetto più
interessante nei jardins ouvriers francesi.

I jardins ouvriers (giardini operai) sono un fenomeno nato alla fine
dell’Ottocento dall’attività di Monsignor Jules Lemire. Egli fu non
solo uomo di chiesa, ma anche professore e uomo politico di grande
statura. Durante i suoi trentacinque anni di mandato alla Camera dei
Deputati ottenne molte riforme per la protezione per gli operai e i
lavoratori. Nel 1899 chiese l’istituzione del Ministero del Lavoro,
che fu costituito nel 1906. Nel 1896 fondò la Ligue Française du Coin
de Terre e du Foyer (divenuta in seguito Fédération Nationale des Jardins Familiaux), che aveva come scopo quello di
favorire l’accesso degli operai alla proprietà della casa.
L’intento di Monsignor Lemire
non era unicamente materiale, ma anche morale: coltivare l’orto era
non solo una risorsa economica ed alimentare, ma anche un modo sano e
retto di passare il proprio tempo libero in compagnia della propria
famiglia, a contatto con la natura e al riparo della tentazione dell’
alcolismo, allora molto diffuso. La filosofia del jardin ouvrier
è sintetizzata nel famoso motto dello stesso Lemire:
“Il giardino è il mezzo, la famiglia è lo scopo”.

La Ligue trasse origine anche dall’Enciclica di Leone XIII
Rerum Novarum e dalle allora nascenti dottrine
democratico-cristiane, ma ben presto si liberò dell’influenza
religiosa, che ad esempio, pretendeva il riposo domenicale.

Nel 1906 la Ligue fu ammessa alle esposizioni della Société Nationale
d’Horticolture, e nel 1900 partecipò all’Esposizione Universale,
mentre nel 1927 si avviarono dei congressi internazionali a cui
parteciparono moltissime nazioni europee: Germania, Austria, Belgio,
Finlandia, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda,
Polonia, Svezia, Svizzera e Cecoslovacchia.
Questi congressi sfociarono nella creazione dell’Office International des Jardins Ouvriers.

Nei trent’anni del boom economico successivo al Secondo
Dopoguerra i jardins ouvriers
vissero un periodo di declino, segnato da trascuratezza e disordine,
tale che le lamentele riguardo a questa forma di inquinamento
paesaggistico si fecero sempre più numerose ed insistenti, e si asserì
che la presenza degli orti operai all’interno
delle città le facesse assomigliare a delle bidonvilles. Ma già a
partire dagli anni Ottanta si assistette ad una rinascita, prodotta
principalmente dall’interesse e dalla collaborazione
delle autorità, locali e nazionali, che infusero nuovo vigore alla Ligue, tanto che attualmente alcuni tra i più antichi
jardins ouvriers sono inseriti nel circuito dei giardini storici di
Francia.
Alcuni hanno però criticato questi “abbellimenti”
poiché dettati da una morale ed una estetica borghese
sovrapposta a quella rurale.

L’esperienza della Ligue fu ben presto esportata all’estero, in
Belgio, Germania e anche da noi in Italia, dove però non ebbe
molta risonanza.
All’epoca il Fascismo aveva promosso l’iniziativa dell’
“orticello di guerra”, nel quadro della “battaglia del grano” e
della ruralizzazione degli italiani che Mussolini perseguiva. In
particolare l’Opera Nazionale del Dopolavoro Ferroviario fu molto
attiva in questo senso, e promosse concorsi per l’abbellimento delle
stazioni ferroviarie. Il “Dopolavoro” partecipava anche alle
periodiche riunioni dell’Office International.

Negli anni Trenta anche l’America conosceva l’esperienza dei
relief gardens (orti di soccorso) e durante la Seconda Guerra Mondiale quella dei victory gardens.
Dopo la Guerra gli orti urbani subirono un declino, fino ai primi
community gardens che nacquero intorno agli
anni Settanta, nel corso dei quali alcuni gruppi di cittadini,
denominati “green guerrillas”, reagirono all’inerzia delle
pubbliche amministrazioni di fronte al degrado paesaggistico, urbano
e morale di interi quartieri. Si recuperarono quindi zone abbandonate a
se stesse, degradate e fatiscenti, per riportarle a nuova vita (avete
visto “Green Card, matrimonio di convenienza”?).

L’iniziativa si diffuse velocemente in tutte le grandi metropoli
statunitensi (in particolare New York e San Francisco) e canadesi, ma
purtroppo le finalità economiche e politiche finirono per prevalere su
quelle naturalistiche ed ecologiche, e gli orti urbani sono oggi
diventati un importante strumento di politica sociale.

In questa fase di seconda giovinezza degli orti urbani c’è una
maggiore diversificazione del beneficiario dell’orto. Non solo operai
e gente di basso ceto, ma anche impiegati, insegnanti, e
professionisti. Diminuiscono i pensionati e si abbassa l’età
media. Aumentano le colture da fiore e il gusto borghese per il
decoro, si incrementa il numero delle donne.

L’Italia, oltre la parentesi fascista, prontamente chiusa e rimossa,
non ha una storia associativa riguardo agli orti urbani. La creazione
di orti urbani è sempre originata da iniziative individuali,
disorganiche, spesso abusive, mal tollerate se non apertamente
disprezzate od osteggiate dagli abitanti dei quartieri in cui si
trovano.

A tutt’oggi le statistiche rivelano che per la totalità degli
intervistati gli orti non possono convivere con la città, che sono
antiestetici e danno un aspetto decadente, “di paese”. Insomma, che
il posto dell’orto è la campagna, mentre la città è il luogo del
giardino e del parco. I tenutari degli orti sono considerati dei
poveracci, dei parassiti della società, improduttivi, quasi dei
“barboni”.

Il declino dell’orticoltura ornamentale negli anni Sessanta e
Settanta è stato la conseguenza del disprezzo per ogni forma di
economia domestica imposto dalla cultura industriale e urbana, ma
anche dalla nascita di altri modi per impiegare il proprio tempo
libero. Deleteria a tal riguardo è stata la televisione, tanto che la
storia dell’orto in Italia si può dividere in epoca pre e
post-televisione. A ciò va aggiunto il processo di democratizzazione
della vacanza al mare. Infatti in quegli anni alla rispettabilità
sociale e familiare conferita da un orto o un giardino ben tenuto, si
sostituisce quella del “mese al mare” ( avete presente “Il sorpasso”?), ovviamente incompatibile con il mantenimento di un orto,
interrompendo così la secolare tradizione di un giardino come segno di
distinzione sociale delle classi più agiate, e dell’orto come una
prerogativa di quelle meno abbienti.

Il rinnovato interesse per l’orticoltura ha anche un’altra causa:
oltre a comportare uno stretto rapporto con la natura, non c’è
necessariamente bisogno di mettersi in discussione e a reinventare
continuamente se stessi e il proprio gusto. In poche parole tiene
attivi e rilassa.

Inoltre, proprio per la sua capacità di rispondere ad un duplice
ordine di esigenze intime socializzare con gli altri
ma anche isolarsi e dialogare con se stessi, la cura dell’orto è da
sempre un’attività praticata sia dalla gente comune che dagli
intellettuali.