Peers Inc, l’azienda peer-to-peer

[ted id=1632 lang=it]

Dieci anni fa, Robin Chase fondò Zipcar negli Stati Uniti, divenuta ora la più grande società di car-sharing del mondo. Attualmente Robin sta analizzando il livello successivo al car-sharing: Buzzcar, una start-up francese che permette alla gente di noleggiare la propria auto ad altre persone. I dettagli sono affascinanti (come funziona l’assicurazione, esattamente?), e una visione più ampia (ciò che lei chiama Peers S.r.l.) mira ad una nuova definizione di proprietà e di imprenditorialità.

Oltre l’euro, la moneta complementare. Un’idea per uscire dalla crisi

di Alessio Mazzucco (EastJournal) – 9 aprile 2013

Banconote

Non avrai altra moneta all’infuori di me?

C’è chi odia l’euro, chi lo incensa. Dall’inizio della crisi dell’euro il dibattito continentale si è ancorato alla questione monetaria, considerata la chiave di volta della nostra Unione (ahimè, quanta aridità d’intenti!). Quel che si può fare è arricchire il dizionario (e il dibattito) politico europeo di un’altra istituzione al fianco della moneta unica, un’istituzione che risponda alle necessità dell’economia reale soffocata dalla crisi e dalla ristrettezza del credito: sto parlando della moneta locale, anche se sarebbe più corretto definirla complementare.

L’idea delle monete complementari non è nuova, né recente, ma affonda le radici nello studio della proposta keynesiana di Bretton-Woods, la creazione, cioè, di una moneta come unità di conto internazionale (il bancor) che misuri gli avanzi e i disavanzi commerciali dei paesi. Il fine ultimo: la compensazione multilaterale dei rapporti commerciali tra i paesi. La moneta complementare segue lo stesso principio.

Come funziona in sintesi

Si immagini un distretto industriale in cui operano A, B, C e D (quattro imprese collegate tra loro da scambi reciproci). Per semplificare descriverò un modello semplice. A cede beni a B, B a C, C a D e D ad A. Poniamo quindi una valuta come pura unità di conto, una misura che determini il valore degli scambi; si nomini l’unità di conto complemento e si ponga che abbia un rapporto con l’euro di 1:1. Lo scopo di questa valuta, del complemento, è misurare i rapporti di credito e debito tra le quattro imprese; in particolare, immaginando che scambino beni per un valore fisso di 10, si consideri A in credito verso B di 10 e in debito verso D di 10, e così via nella catena.

Ora, in un sistema monetario così come noi lo conosciamo, B dovrebbe ripagare A per 10 euro e dovrebbe ricevere da C 10 euro. Che i 10 euro vengano dalle proprie riserve liquide o da un prestito bancario (quindi un “acquisto” di moneta per 10 euro a fronte di interessi) non ha importanza: il nocciolo fondamentale è che nel sistema come noi lo conosciamo ci deve essere un passaggio di moneta per chiudere il rapporto economico aperto con lo scambio dei beni.

Cosa avviene in un sistema di moneta complementare? I crediti e i debiti delle quattro imprese non sono rapporti bilaterali (ovvero non si considera A in credito verso B per 10 complementi), ma sono considerati rapporti aperti con l’intera comunità delle quattro imprese (A è in credito di 10 complementi verso il distretto economico). Avviene così un passaggio di merci che non ha bisogno di un passaggio di moneta: i crediti e i debiti delle quattro imprese si compensano in quanto debiti e crediti nei confronti dell’intera comunità e non tra le singole imprese. In questo modello semplice, alla fine del ciclo di scambi, la compensazione dei rapporti economici riporta il sistema in una situazione di equilibrio, in cui nessuno ha debiti o crediti nei confronti di qualcun altro. Risultato: le quattro imprese hanno scambiato tra loro beni senza alcun passaggio di moneta euro, ovvero non hanno preso a prestito moneta col fine degli scambi (né dovranno pagare interessi corrispondenti).

Il modello semplificato permette di capire a grandi linee il funzionamento. La domanda che rimane è: a cosa potrebbe essere utile? E soprattutto: perché serve un altro tipo di moneta?

A cosa serve?

La moneta, secondo la teoria contemporanea, è quella merce che racchiude in sé tre funzioni: unità di misura (per tenere il conto dei rapporti economici di credito e debito); il mezzo di scambio o pagamento (per chiudere un rapporto pre-esistente); riserva di valore (ovvero una merce che può essere stoccata indefinitamente senza costi oltre l’inflazione). La teoria che sussiste alla moneta complementare definisce la moneta come un’istituzione appositamente creata per il funzionamento del mercato che svolge il ruolo di unità di misura (i 10 complementi di cui sopra) separatamente dalla funzione di mezzo di scambio. In breve, la moneta è innanzitutto unità di misura, e il mezzo di scambio è un qualsiasi bene o servizio che chiude il rapporto economico; nel caso del distretto industriale, il mezzo di scambio è propriamente la compensazione tra i rapporti.

La moneta complementare entra così nell’economia reale come alternativa (o appoggio) alle imprese soffocate dal sistema creditizio, quelle imprese, ad esempio, che non riescono ad accedere ai prestiti (propriamente l’acquisto di moneta a fronte di un pagamento d’interesse) non tanto per propria incapacità a produrre, ma per la stretta dei crediti nel sistema bancario.

Senza abbattere l’euro

Il rapporto con l’euro e con l’Europa? Nessuno vuole abbattere l’euro (o propone di farlo). Possiamo dirci europei ben al di là dell’appartenenza a un comune sistema monetario. La moneta complementare non vuole sostituirsi alla moneta unica, ma creare un sostegno all’economia reale, fornire strumenti alle imprese e ai distretti industriali per sfuggire alle maglie del sistema creditizio tradizionale. La moneta complementare è una semplice istituzione, uno strumento, nient’altro, che, dato in mano alle comunità sociali, politiche ed economiche che ne hanno necessità potrebbe rimettere in movimento il ciclo produttivo ed economico senza risentire degli attriti e delle distorsioni attuali dell’euro.

—-

Qualche esempio di sistema complementare attuale funzionante: Wir, Sardex

Creare il denaro dal nulla

Una descrizione sintetica di Domenico De Simone del meccanismo di generazione del denaro da parte del sistema bancario. L’intervento è tratto dall’intervista eseguita per il documentario: “A Baby in the Woods – Il sogno infranto di Ezra Pound”, del 2005.

Almeno 1200 catalani si autogestiscono con moneta, educazione e sanità propria

da 20minutos

Hanno una moneta propria. Hanno un sistema sanitario, una rete educativa e delle officine autogestite. Sono una cooperativa auto-gestita e auto-organizzata, in cui gruppi di persone vivono al di fuori del sistema, prendendo decisioni nelle assemble, basando l’organizzazione sulla fiducia. In Catalogna, ci sono già 1.200 cittadini che hanno scelto questo modo di vita e l’attuazione di queste comunità si sta diffondendo. La crisi e il movimento degli Indignados, ha dato loro la giusta spinta.

Ne la calle Sardenya di Barcellona, vicino alla Sagrada Familia, tre anni fa si era stabilita la Cooperativa Integral Catalana (CIC), nel centro Aurea Social. In un edificio di tre piani, con una tettoia e con un nuovo giardino urbano, si sono coordinati e si sono svolti varie attività come doposcuola, centri sanitari e alloggi, oltre a laboratori e corsi per tutte le età.

-Apre il primo CAPS
Il CAPS, per i membri della cooperativa, non è un ambulatorio ma un Centro de Autogestiòn Primaria de Salud. Vi si possono trovare persone “facilitadores de salud” che accompagnano i pazienti nel cercare soluzioni ai problemi di salute con la medicina generale. Non vi è gerarchia e e se vi sono problemi come fratture agli arti e cose del genere, “andiamo al pronto soccorso”, spiega Xavier Borrás, uno dei primi soci della Cooperativa.

In una delle camere spaziose e moderne del palazzo, si trova un asilo nido per i bambini di età compresa tra gli zero e i tre anni. I genitori si sono organizzati nel prendersi cura ed educare i figli. Oltre ai 30 € per registrarsi nella cooperativa (somma che viene ritornata qualora il partner lasciasse la cooperativa), non si dovranno pagare altri soldi. Si può pagare con le ore di lavoro o con l’ “ecos”, una moneta propria.

Si tratta di una “moneta libera”, che non è stampata e che serve per qualsiasi commercio che si vuole fare all’interno della rete o anche a coloro che forniscono servizi esterni alla rete, come per esempio da un’oculista o dagli agricoltori. Il CIC utilizza il sistema comunitario di scambio (Community Exchange System, CES), un software online per la gestione della moneta.

L’ “ecos” è la “moneta libera”, adottata dalla Cooperativa, dall’Ecoxarxes, Núcleos de Autogestión Local e Proyectos Autónomos de Iniciativa Colectivizada. Essa serve per acquistare prodotti 100% ecologici, oltre a pagare il dentista, parte del canone di locazione sociale o l’asilo per i bambini. Ogni eco è equivalente ad un euro circa. Un membro attivo della Cooperativa spiega che si può vivere con circa 150 ecos-base al mese. Col termine “base” si definiscono i prodotti che si vogliono condividere quel mese. Con questo contributo, si paga il cibo e si da un contributo volontario al sistema sanitario pubblico autogestito.

Tra queste caratteristiche, vi è anche un ufficio per la casa, dove si consigliano le azioni da usare a coloro che rischiano lo sfratto. Essi vengono informati delle lacune esistenti nel sistema in modo da trarne beneficio. Si sta incoraggiando l’affitto sociale e le “masoveries urbanes”, una formula che viene a recuperare la figura catalana del “Masover”, una persona o una famiglia che vive e gestisce una casa di campagna che è di proprietà di un altro.

-In conclusione
“Non cerchiamo di andare contro il sistema, ma di andare fuori dal sistema”, spiega Borras. Dopo anni di proteste, “ora è il momento di agire”, continua a chiarire questo storico membro del CIC, che era nato con un centinaio di membri e che è aumentato di 12 volte. L’organizzazione ha ricevuto impulso dall’attivista Enric Duran, il Robin Hood delle banche.

Questo sistema è in espansione in tutta la Catalogna e nella penisola, oltre che in Italia e in Francia.

(tradotto da NexusCo)

Avoiding Economic Collapse: A Guide to Complementary Currencies

 

As the Cyprus fiasco focuses attention once again on the faltering Euro, the public is finally questioning the value of the money in their wallets and bank accounts. But as the issue of monetary reform gains currency amongst the public, a vast array of complementary currencies are already helping people facilitate transactions without the central bank administered fiat money. Find out more in this week’s GRTV Backgrounder on Global Research TV.

Avoiding Economic Collapse: A Guide to Complementary Currencies

 

As the Cyprus fiasco focuses attention once again on the faltering Euro, the public is finally questioning the value of the money in their wallets and bank accounts. But as the issue of monetary reform gains currency amongst the public, a vast array of complementary currencies are already helping people facilitate transactions without the central bank administered fiat money. Find out more in this week’s GRTV Backgrounder on Global Research TV.

In Sardegna arriva il reddito di comunità, e sarà in Sardex

Fonte: Vita.it

La Regione ha deciso di entrare nel circuito della moneta complementare. Verrà creato un Fondo di garanzia di 20 milioni per l’acqusito di beni e servizi. Il bacino d’utenza stimato è di 10mila clienti

La Regione Sardegna entra nel circuito di credito commerciale Sardex per dare nuova linfa, con azioni innovative, al sistema produttivo e occupazionale dell’isola in un momento di particolare stretta creditizia e di crisi di liquidità. La collaborazione tra l’amministrazione regionale e il circuito è sancita da un accordo siglato per il tramite dell’Agenzia governativa Sardegna promozione, con cui si da il via libera alla sperimentazione dell’utilizzo della moneta complementare: una forma evoluta di baratto multilaterale e multitemporale che consente di immettere nel circuito beni e servizi per il rafforzamento delle economie locali.

«La proposta della Giunta», ha spiegato il presidente Ugo Cappellacci, illustrando alla stampa l’iniziativa assieme al direttore centrale dell’Agenzia, Mariano Mariani, e ai referenti di Sardex, Roberto Spano e Gabriele Littera, «è di adottare il Sardex per istituire un “reddito di comunità” da versare ai disoccupati sardi, un’ulteriore opportunità che vogliamo offrire a quei giovani che, per le difficoltà di accesso, non hanno ancora avuto la possibilità di affacciarsi al mondo del lavoro. Il funzionamento prevede una dotazione annuale di bilancio regionale pari a 20 milioni di euro, un vero e prorio Fondo di garanzia, da inserire nella manovra finanziaria per ciascuno degli anni dal 2013 al 2015. Stimiamo, infatti, il coinvolgimento di 10mila giovani inoccupati, tra i 25 e i 35 anni, e l’erogazione di altrettanti redditi di comunità in moneta complementare ovvero 500 sardex mensili equivalenti a 500 euro al mese per beneficiario». La Regione, in questi mesi, lavorerà per mettere a punto il regolamento, definendo i criteri di selezione per l’attribuzione del sussidio. I beneficiari, dal canto loro, dovranno mettere a disposizione ore di servizi per la comunità nell’ambito di progetti di pubblica utilità orientati a creare attitudini positive verso l’imprenditorialità e l’auto-impiego.

«Per controbilanciare l’aumentata quantità di crediti sardex immessi nel circuito dai nuovi 10mila beneficiari», ha spiegato Mariani, «la Regione creerà un Fondo di garanzia, pari a 20 milioni l’anno, da utilizzare per l’acquisto, in euro e con normali procedure di gara pubblica, di beni e servizi da rivendere in sardex all’interno del circuito». Dal gennaio 2010, anno di operatività del circuito, sono oltre un migliaio le aziende associate, di ogni dimensione e settore, che generano attualmente un volume di scmbi pari a un milione di euro mensili, senza l’utilizzo di moneta corrente. «All’interno del circuito sardex», hanno spiegato i rappresentanti del cda, «sono le stesse imprese a finanziarsi reciprocamente a tasso zero, consentendoli di risparmiare preziosa liquidità e di migliorare i propri flussi di cassa».

Una civiltà modello open source

di Alessia Maccaferri (Sole24ore) 24 marzo 2013

Cosa te ne fai di un PhD in Energia da fusione se non sai fare nulla di concreto? Così è partita la piccola rivoluzione di Marcin Jakubowski. Come ha raccontato a Ted Talks, il ragazzo americano di origine polacca ha acquistato un trattore in Missouri e si è messo a coltivare la terra. Ma presto si è accorto che i mezzi appropriati per fare una fattoria sostenibile, come aveva in mente lui, non esistevano. Il suo trattore, per esempio, lo lasciava spesso a piedi e lui non riusciva a ripararlo da solo. Così si è messo a costruire macchine molto robuste, modulari, efficienti, low-cost, fatte di materiali provenienti dalla zona. Le ha testate e ha pubblicato online i modelli 3D, gli schemi, i video con le istruzioni tecniche e i preventivi. In poco tempo migliaia di persone, da ogni parte del mondo, hanno voluto conoscere la sua Open Source Ecology, dove si intrecciano il fenomeno del Do-it-yourself, la sostenibilità ambientale e la redistribuzione dei mezzi di produzione.

Nel 2010 lui – che si definisce agricoltore e tecnologo – ha lanciato Global Village Construction Set, finito tra le migliori invenzioni del 2012, secondo «Time». Si tratta di un kit di costruzione, fatto di 50 macchine industriali che consentano la creazione di una civilizzazione su piccola scala. Dal trattore alla mietitrice, dal forno all’auto, tutti i progetti nascono in open source, con la partecipazione di persone da ogni parte del mondo. Le macchine vengono testate in Missouri e poi chiunque può scaricare le istruzioni per rifarsi la macchina da sé. Il costo è otto-dieci volte inferiore a quelle in commercio.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=GUzaCqDhXOw]

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=uc_acpVNUUk]

[vimeo 16106427 w=4250&h=344]

[ted id=1122 lang=it]

Delle 50 macchine previste 25 sono già state realizzate. Un trattore può essere costruito in sei giorni, mentre in un solo giorno si possono piantare un centinaio di alberi o si possono pressare cinquemila mattoni. Ci hanno creduto in tanti al punto che a ottobre 2011 una campagna fondi su Kickstarter ha raccolto 63mila dollari e anche Shuttleworth Foundation ha finanziato il progetto.

Il presupposto teorico, sostiene Jakubowski, è che «l’hardware possa cambiare la vita delle persone in modo tangibile» e «se si abbassano le barriere alla coltivazione, costruzione e produzione si può liberare un grande potenziale umano». Non solo nei Paesi in via di sviluppo, ma al Gvcs guardano con interesse anche agricoltori, costruttori e imprenditori americani.

E anche in Italia c’è un folto gruppo di appassionati, stimolati dall’associazione Isees (Iniziativa per lo sviluppo ecologico, economico e sociale) che promuove il progetto Gvcs. E da un garage a Padova sta per nascere la prima impresa, Bottega 21, che vuole mettere sul mercato la Ceb Press, la Compressed Earth Block Press, una pressa che consente di fare in due giorni diecimila mattoni, sufficienti per costruire una casa di cento metri quadrati ecosostenibile. Non solo per l’origine dei materiali ma perché consente di produrre in loco senza costi per l’ambiente. Ma non tutto va liscio. «Se vogliamo rendere commerciabili queste macchine dobbiamo, in Europa, confrontarci con la marcatura Ce – spiega Jacopo Amistani, laureando in sociologia, che si autodefinisce “smanettone” – e questo rende le cose molto complicate dal punto di vista burocratico».

Insieme ad Alvise Antonio Giacon, laureato in Diplomazia, e a Damiano Dalla Lana, designer, lui vuole ideare altre macchine, per esempio per la lavorazione della canapa, attività che finora si dimostra essere improduttiva. L’obiettivo è creare macchine efficienti e poco costose per mietere e decorticare la canapa sui campi, in modo da ricavarne olii alimentari, cellulosa, legno per la bioedilizia. «Con queste macchine potremmo ridare nelle mani del contadino la possibilità di lavorare questa risorsa così preziosa», spiega Amistani. Non solo. «Vogliamo dimostrare che l’imprenditoria veneta – conclude Amistani, che parlerà a Tedx a Ginevra il 17 aprile – sta rialzando la testa, con orgoglio». Come nel Nord-Est di cinquant’anni fa si riparte dal garage. E, come nel Missouri di oggi, si costruisce un’economia con un senso nuovo.

Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2013-03-22/civilta-modello-open-source-200855.shtml

Benvenuti nel paese kibbutz “Dal pecorino al ristorante qui tutto si gestisce in comune”

di Jenner Meletti   lunedì 18 marzo 2013
Un modello socio-territoriale che riproduce almeno alcuni aspetti del movimento Transition Town: folklore a parte, ha senso? Magari si. La Repubblica, 18 marzo 2013 (f.b.)
SUCCISO(Reggio Emilia) – C’era l’affettatrice rossa, la mitica Berkel. C’erano le tavole di cioccolato da tagliare con il coltello, le caramelle, l’olio, il vino, la farina bianca e quella gialla. Una volta alla settimana arrivava la frutta. Ma nel 1990 Bruno Pietri chiuse la sua bottega, perché non poteva stare dieci ore dietro il bancone per servire tre o quattro clienti al giorno. Figli e nipoti che venivano a trovare i genitori portavano su le provviste comprate all’Iper di Reggio, che costavano la metà. A fianco c’era il bar di Domenico Bragazzi — anche lui sugli ottant’anni — con il biliardo in mezzo alla sala. Quattro tavolini, con i vecchi che facevano venire sera con un caffè al mattino e un bicchiere di vino al pomeriggio. Chiusero assieme, la bottega e il bar. Non c’era altro, a Succiso, 980 metri sul livello del mare, 60 abitanti d’inverno e 1.000 d’estateE allora i ragazzi (di allora) e gli adulti si trovarono alla Pro loco e decisero di reagire. «Mettiamoci tutti assieme, in una cooperativa. Qui l’iniziativa privata non regge più. Se vogliamo trovare un caffè, il pane fresco e soprattutto un posto dove trovarci assieme, dobbiamo costruircelo da soli».
Dario Torri, presidente della coop Valle dei Cavalieri, nel 1990 aveva 27 anni. «Quelli di città — racconta — hanno tutto sotto casa e non possono capire. Un paese dove al mattino non senti il profumo del pane è un paese che non esiste. Il primo giorno di neve guardi fuori dalla finestra e dici: che bello. Ma se non hai un bar dove andare, per trovare gli amici e fare una partita e due chiacchiere, dopo tre giorni rischi di impazzire». Allora non sapevano, quelli della Pro loco, di avere inventato «la cooperativa di paese», o «cooperativa di comunità», come vengono chiamate adesso queste realtà. «Forse somigliamo — dice Dario Torri — ai kibbutz, perché anche qui l’associazione è volontaria e la proprietà è comune. Certamente, dopo più di vent’anni, possiamo dire di avere fatto una cosa importante: abbiamo salvato il paese».Trentatré soci, sette dipendenti fissi e altri stagionali. «Stipendi sui 1.000 euro al mese, che sono più alti di quelli di città, perché non hai l’affitto da pagare. I soci invece sono tutti volontari. La nostra è stata una scoperta semplice: in un paese spopolato, un’attività singola non può reggere. Ci vuole un legame fra tutte le iniziative. Noi siamo partiti dall’ex scuola elementare, che era stata chiusa perché aveva solo 8 bambini. Qui abbiamo costruito la bottega di alimentari, il grande bar, una sala convegni che in inverno diventa la piazza del paese, un agriturismo con 20 posti letto e un ristorante. Ma abbiamo capito che, oltre alle cose indispensabili bisogna offrire anche le eccellenze. E così ci siamo messi a produrre il pecorino e la ricotta dell’Appennino reggiano. Sessanta
quintali all’anno, venduti in bottega o serviti al ristorante. E abbiamo costruito anche la “scuola di montagna”, per insegnare ai giovani che i monti non sono solo piste e skilift ma anche boschi, alpeggi, rifugi e camminate con le ciaspole alla ricerca di pernici e caprioli». Il fatturato della Valle dei Cavalieri, che fa parte di Legacoop, è di 700.000 euro all’anno.

Nel paese che doveva morire è difficile oggi trovare momenti di pausa. Albaro al mattino porta i bambini a scuola nel capoluogo (Ramiseto, a 20 chilometri), col pulmino della cooperativa. Otto bimbi in tutto, dalla materna alle medie. Poi passa in farmacia a prendere le medicine ordinate dal medico e fa la spesa per la bottega. Al pomeriggio prepara il pecorino, al sabato sera fa il pizzaiolo al ristorante. Giovanni cura i pascoli e le 243 pecore di razza sarda. Emiliano è il cuoco del ristorante, Maria tiene il negozio, Piera fa la cameriera, Fabio e Davide lavorano con la ruspa o l’escavatore o fanno le guide per le escursioni nel parco nazionale dell’Appennino tosco emiliano. «Ma tutto il paese, e non solo i soci — dice il presidente Dario Torri — è pronto a dare una mano. Quando si debbono preparare tortelli e cappelletti per il ristorante o le tante feste di paese che facciamo ogni anno, nonne e zie vengono a lavorare gratis».

È conosciuto anche in Giappone, il paese — cooperativa. L’altro giorno è salito quassù il professor Naonori Tsuda, docente di economia all’università di St. Andrew’s di Osaka, che studia le “cooperative di comunità” in tutto il mondo. «Ci ha raccontato che un’iniziativa come la nostra esiste in Australia. Ci ha detto che, come gli australiani, dovremmo chiedere la gestione di un piccolo ufficio postale, che da noi eviterebbe un viaggio di 20 chilometri per ritirare la pensione». Altre cooperative di paese sono nate nel reggiano (“I briganti di Cerreto”) e in altri borghi italiani a rischio estinzione. Tante sono case chiuse e i camini spenti anche nelle altre frazioni di Ramiseto. «A Fornolo, Poviglio e Storlo i bar e le botteghe hanno chiuso e i paesi sono andati in malora. E questo sta succedendo in migliaia di borghi italiani, soprattutto quelli degli Appennini. A Succiso invece non c’è una casa in vendita e al ristorante prepariamo diecimila pasti all’anno. Non abbiamo niente da insegnare. Solo un consiglio: se il bar abbassa la serranda, se il forno resta spento, reagite subito».

Come funziona il Sardex

Nel 2010 nasce a Serramanna (CA) ad opera di tre amici trentenni una srl che vuole riproporre il circuito di credito commerciale svizzero WIR nell’isola sarda, una forma di mutuo credito tra PMI. Ad oggi (2013) sono circa un migliaio le imprese che si scambiano beni e servizi in crediti Sardex, con una previsione di transato per il 2013 superiore ai 12 milioni di €.