Scarsità ed abbondanza I

 Abbondanza di cibo contro abbondanza di ricette

di Brian Davey – 17 novembre 2010

Contributo di Brian Davey di Feasta, in risposta alla tensione al Congresso di Berlino sui Commons tra Abbondanza e Scarsità, sottotitoli di Franz Nahrada.

Brian Davey:

All’inizio della sessione finale del congresso internazionale sui Commons, i partecipanti sono stati invitati a esprimere le proprie preoccupazioni, critiche e riserve. Io mi sono alzato a dire grosso modo quanto segue:

I partecipanti che costituiscono il congresso forse avrebbero dovuto concentrarsi di più su tipo di epoca in cui stiamo vivendo.  Al congresso sono sembrate esserci due visioni generali e la differenza tra esse non è stata espressa sufficientemente nel corso del dibattito.

I Commons come scialuppa di salvataggio …

Da un lato ci sono quelli per i quali i Commons sono istituzioni paragonabili a scialuppe di salvataggio per il controllo collettivo su risorse vitali in un mondo in crisi; un mondo in cui la produzione probabilmente si ridurrà a causa del cambiamento climatico galoppante, dando fondo all’energia, all’acqua e ad altre risorse. In larga misura si tratta di persone la cui attenzione è principalmente concentrata su Commons naturali: l’atmosfera e il clima, l’acqua e gli oceani, la terra e i sistemi ecologici.

… oppure come nuovo modo di produzione.

D’altro canto ci sono quelli per i quali i Commons rappresentano un modo interamente nuovo di produzione paritaria [peer-to-peer] che, quando non più limitata dai vincoli imposti dalle restrizioni della proprietà intellettuale, ha il potenziale di introdurci in un mondo di abbondanza, non solo fornendo servizi liberi d’informazione come Wikipedia, creati collettivamente e disponibili a tutti, ma alla fine estendendosi anche ai processi di produzione fisica, attraverso progetti open source di beni materiali e la diffusione di nuove idee da coltivare.  In breve, saremmo all’inizio di un’era di abbondanza … I partecipanti che la pensano così tendono a essere quelli coinvolti in Commons intellettuali e culturali, ad esempio quelli impegnati nello sviluppo di software, ecc.

Limiti contro abbondanza

Finito il congresso ho pensato che questi temi fossero così importanti che ho scritto questo documento successivo.  Permettetemi di iniziare osservando che il movimento per l’ambiente è da lungo impegnato in un dibattito con la politica e l’economia convenzionale che si riassume più o meno così:

Gli ambientalisti sostengono che stiamo realmente raggiungendo, e oltrepassando, i limiti fisici della crescita e della “capacità di sostegno” degli ecosistemi del pianeta.  Contemporaneamente la corrente di pensiero convenzionale sostiene che non dobbiamo preoccuparci di cose simili perché la tecnologia e l’ingegno umano ci faranno superare le difficoltà, cosicché la crescita potrà continuare indefinitamente nel futuro.

Ora, al Congresso di Berlino sui Commons, non ho notato nessuno che sostenesse la crescita continua. E tutti quelli che ho incontrato al congresso mi sono sembrati consapevoli del cambiamento climatico e del picco del petrolio e del gas. Ciò nonostante, la tesi dell’”abbondanza” mi è sembrata essere, almeno in parte, una variante riconfezionata della posizione secondo cui “l’ingegno umano ci farà superare le difficoltà”, con l’interessante derivazione che l’ingegno e la creatività umana ci farebbero superare le difficoltà SE il tentativo dell’industria di appropriarsi del sapere e di privatizzarlo mediante la proprietà intellettuale (brevetti, diritti d’autore, royalties, ecc.) potesse essere abbandonato in modo tale che la creazione intellettuale possa aver luogo come vero processo collettivo e tutti e ciascuno possano essere liberi di prendere le idee, i progetti, il software e le creazioni altrui, correggerli, integrarli, adattarli e svilupparli ulteriormente, contribuire ad essi, e così via, senza dover pagare un prezzo esorbitante per tale privilegio.

Ora, secondo me, queste idee possono essere spinte troppo in là.  Ma prima che io spieghi il perché, voglio spiegare perché ho ritenuto stimolante questo punto di vista e che isoli alcuni nuclei di verità.

Quarant’anni fa, nella mia gioventù trotzkista, ero solito partecipare a congressi che erano praticamente al polo opposto rispetto a questo.  I partecipanti a questi vecchi congressi si preoccupavano di decidere ed accordarsi su quale fosse “l’analisi corretta”, il modo corretto di interpretare il mondo e su cosa dovesse essere fatto al riguardo. La “analisi corretta” in qualche modo sembrava essere quello che pensavano le persone che ti erano più vicine,  perché avevi elaborato le idee insieme con loro e se non eri d’accordo … beh … ti sarebbe risultato spiacevole andare a tutti i congressi e scoprire di essere l’unico strano che diceva qualcosa di diverso.

Ma, ovviamente, altri, spesso provenienti da altri luoghi, persone che avevano avuto altri rapporti personali, tipicamente avevano elaborato un’idea leggermente diversa di cosa era “corretto”. Dunque ciò significava, per loro, che tu sbaglia e, per te, che sbagliavano loro.

Il congressi basati su questo modo di rapportarsi con “la verità” erano frustranti e improduttivi.  Ricordo persone che osservavano, con frustrazione, come le altre fazioni non si spostassero di un millimetro dal loro modo di pensare e, indubbiamente, dal mio punto di vista, non lo facevamo neppure noi. La differenza era un problema: le idee diverse degli altri erano “sbagliate” me non eravamo sempre nel “giusto”.

Non posso dire che tutti abbiano avuto la stessa esperienza al Congresso Internazionale sui Commons.  Almeno alcuni sono sembrati finire preda della frustrazione , ma la mia esperienza personale è stata di partecipanti che si sono trovati a loro agio con le differenze e preparati a discutere in modo rilassato  con persone  con un punto di vista diverso, e questo è stato molto  confortante.

In realtà quando si adotta questa accettazione rilassata delle differenze, la mia esperienza è stata che si tende a scoprire che le persone con idee diverse sono già consapevoli del nostro punto di vista; possono non essere  d’accordo sul nostro punto di vista come spiegazione migliore, ma a volte lo accettano come plausibile e come possibile ottica alternativa.

In effetti mi sono sentito [al Congresso] come se mi fossi trovato in un dibattito in cui i  partecipanti che avevano idee diverse erano considerati utili per mettere alla prova le proprie idee, utili per vedere una prospettiva diversa che in precedenza non si sarebbe potuto non  considerare.  C’è stata la sensazione che le idee e le ottiche non siano fisse e giuste o sbagliate, ma sempre in sviluppo e le idee degli altri che si differenziavano  sono state utili nel contribuire a un ulteriore sviluppo delle proprie.

Qui, penso, abbiamo l’idea emergente di una dimensione di “messa in comune” dei “Commons del sapere”.  Sospetto che derivi dalla mia esperienza di elaborare le cose in procedure di gruppo nella progettazione del software o nella produzione culturale.  Qui si ha un’apertura mentale che proviene dall’esperienza della progettazione del software open source e dallo sviluppo di gruppo delle idee, in cui i “bachi” sono considerati inevitabili, in cui essi sono risolti in processi collettivi, in cui qualcun altro può forse sviluppare creativamente qualcosa che si è fatto e la creazione intellettuale è un processo intrinsecamente collettivo.

Così io penso che ciò che ho sperimentato è stato effettivamente un “modo di produzione” collettivo all’opera, in cui “mettere in comune” significa partecipazione attiva alla produzione, insieme con i propri pari.  E ciò è non egoistico, non competitivo e non preoccupato di arraffare diritti di proprietà e vantaggi personali che, dopotutto, rallenterebbero e danneggerebbero il processo collettivo.

L’idea che fare le cose in questo modo sia molto più agevole e più creativo la posso davvero accettare … sino a un certo punto. Posso così accettare anche, fino a un certo punto, che sia  possibile che il  concepire reazioni alla crisi ecologica ed economica, sia qualcosa di sviluppato e progettato collettivamente e poi applicato alla produzione materiale. Sono consapevole, per esempio, che nella progettazione di “auto ecologiche”  sono coinvolti processi open source.

Questa idea può essere ampliata ulteriormente dall’ideazione e progettazione alla produzione materiale.  Così non sarebbero soltanto il software e le opere culturali a poter essere creati senza proprietà intellettuale in processi paritari, bensì anche i prodotti concreti, fatti di “roba”: veicoli, mobili, orti. (Produrre paritariamente [peer-to-peer] significa, qui, co-produrre senza un intermediario o un’organizzazione, come un datore di lavoro, che gestisca l’intero processo e poi rivendichi il prodotto del gruppo come proprio).

Al suo grado di massimo sviluppo ciò porta all’idea che i progetti open source dovrebbero essere presi e utilizzati da chiunque nei luoghi di lavoro della comunità locale.  Questi luoghi di “infrastruttura libera” opererebbero come centri di risorse e sarebbero dotati di macchine governate da computer che sarebbero in grado di creare veri prodotti materiali partendo dal progetti digitali (cosiddetti “Fab Lab”, vedere http://tangiblebit.com/).

Bene, è qui che la teoria dei Commons intellettuali si trasforma in produzione materiale.  Tuttavia a questo punto penso che dobbiamo tornare alla Terra.  Poiché questo sono visioni del futuro cui ho difficoltà a credere e voglio spiegare il perché.

Costi energetici

La documentazione del Congresso di Berlino sui Commons ha utilizzato una terminologia a proposito della “logica generativa dei Commons” per riferirsi al modo in cui i Commons possono essere e sono produttivi. Tuttavia, come evidenziato da alcuni, anche i Commons digitali sono basati su una infrastruttura ingorda di energia, e anche se possono esserci progettisti benintenzionati impegnati in progetti open source che cercano di ridurre l’utilizzo di energia e di prodotti materiali nella manutenzione dell’infrastruttura internet, i Commons digitali non sono affatto un pasto gratis. Così, ad esempio, produrre un personal computer costa 1800 KWh di energia e dunque consuma 11 volte il suo stesso peso in combustibili fossili prima ancora di essere utilizzato … e ciò anche prima che cominciamo a tener conto di tutti gli altri computer e di tutti i server molto più grandi cui avrà necessità di essere connesso e l’energia che l’intero insieme assorbe per funzionare.

Limiti materiali

Ma, per me, ci sono alcuni importanti problemi che vanno molto oltre quelli dell’energia utilizzata per creare e gestire internet e la sua infrastruttura. Anche se è vero che una parte considerevole dei costi finanziari di molti prodotti deriva al processo di progettazione, e che questi costi sono più elevati a motivo delle imposizioni riguardanti la proprietà intellettuale e l’addebito del costo dell’utilizzo della proprietà intellettuale, ciò nonostante la creatività che è liberata dai Commons del sapere che operano senza i vincoli della proprietà intellettuale non può, in sé e per sé stessa, cancellare i limiti alla crescita che sono stati il problema centrale per gli economisti ecologici.

E’ dunque da questa posizione che trovo difficile seguire interamente, ad esempio, Roberto Verzola dei Verdi delle Filippine che ha scritto un documento per il Congresso di Berlino intitolato “Abbondanza e Logica Generativa dei Commons”. Sì, sono d’accordo con Roberto sul fatto che internet sta producendo un’abbondanza di “informazioni e conoscenza”, ma l’abbondanza di informazioni non è la stessa cosa che l’abbondanza materiale.

Tanto per cominciare l’abbondanza di conoscenza e informazioni di cui uno dispone può restare ignota, o ignorata, o altrimenti disattesa da persone e istituzioni che necessitano di tali informazioni e dovrebbero conoscerle affinché siano concretamente utilizzate.

Di fatto c’è molta più informazione e conoscenza nel mondo di quanta possa essere oggetto della nostra attenzione ed esiste un intero insieme di istituzioni per attirare l’attenzione sui programmi degli interessi potenti che operano in modi non sostenibili e per distrarre l’attenzione dalle screditare le informazioni e le conoscenze riguardanti cose sui cui è necessaria un’azione urgente cercando di screditare e calunniare tali informazioni e conoscenze. Così, ad esempio, c’è stata abbondanza di informazioni e conoscenze per decenni sui tipi di sviluppo economico non sostenibile e sulle alternative sostenibili, ma c’è anche stata una struttura politica di potere economico che si è sentita in grado di ignorarle e di sedurre il grosso della popolazione dei paesi ricchi affinché dedicasse la propria attenzione ai consumi, agli acquisti, a stili di vita da celebrità, agli sport e agli svaghi distraenti.  Al tempo stesso c’è stata una campagna ampiamente riuscita per fuorviare deliberatamente la gente riguardo al cambiamento climatico e ad altri problemi.  Così, anche se c’è una grande quantità di informazioni, c’è anche un mucchio di ignoranza … ignor – anza, cioè.  Questa canalizzazione dell’attenzione di massa è basata su una conoscenza molto sofisticata della psicologia umana; in realtà il fondatore dell’attuale industria delle pubbliche relazioni e del marketing,  Edward Bernays,  ha ripetutamente attirato la sua attenzione sui suoi rapporti con Sigmund Freud e sul suo utilizzo di concetti che manipolano la predisposizione emotiva delle masse affinché si adatti all’élite al potere (compresi banchieri e baroni dell’energia).

In secondo luogo, anche se l’abbondanza di informazione fosse utilizzata utilmente per la ricerca di soluzioni ai nostri problemi, questa abbondanza di informazione potrebbe solo in misura limitata essere convertita in un’abbondanza di beni materiali o, più accuratamente, essa ha un potenziale limitato di mitigazione del declino cui la produzione sarà costretta dal declino dell’energia.

Consentitemi di essere attento a notare che Roberto è ben consapevole del picco del petrolio, ma non sono del tutto d’accordo con il suo punto di vista quando nel suo documento afferma:

Il grosso dell’acqua, del carbone, del ferro, del silicio e di altri minerali sulla Terra così come dell’energia proveniente dal sole è anch’esso una fonte di abbondanza.”

“L’abbondanza di minerali della Terra non è rinnovabile e deve essere amministrata in modo diverso dall’energia solare rinnovabile.”

“Con la produzione di petrolio che tocca il suo picco, per esempio, finirà il petrolio abbondante a buon prezzo. Il picco del petrolio dovrebbe impartirci una lezione indimenticabile quanto alla gestione dell’abbondanza. Quelli che non coglieranno la lezione opteranno per ulteriore carbone, energia nucleare e biocarburanti. Quelli che la coglieranno si rivolgeranno alle rinnovabili pulite, all’efficienza energetica e a una “discesa” pianificata. Le Città di Transizione stanno aprendo la via.”

“L’energia solare rende possibile altre risorse energetiche abbondanti quali l’acqua, il vento e il legno. Nel 2009, le rinnovabili hanno fornito il 25% della potenza energetica totale mondiale, grazie all’impennata dell’interesse della Cina per il biogas, l’energia solare e quella fotovoltaica. Lo stesso vale per la Germania. Le celle fotovoltaiche sono prodotte con silice semiconduttrice, il materiale base della rivoluzione digitale. (Ricordate quanto erano costosi gli schermi LCD dieci anni fa? Se il fotovoltaico seguirà una tendenza al ribasso dei prezzi simile ad altri beni digitali, possiamo aspettarci presto un’Era Solare. Anche l’idrogeno dall’acqua promette un’altra risorsa abbondante di energia.”

“Di passaggio, permettetemi di citare ancora un’altra fonte di abbondanza: le reti di relazioni umane positive in comunità amorevoli, che generano sentimenti di pace, appagamento, amore, felicità e altre gratificazioni psichiche che si sottraggono alla quantificazione.”

(Da “Abbondanza e Logica Generativa dei Commons” di Roberto Verzola, discorso di apertura dei Verdi delle Filippine per il Flusso III.)

Il messaggio di Roberto mi sembra essere: “Sì, ci sarà il picco del petrolio e sarà un problema, ma sarà un problema solo se in risposta saranno adottate le tecnologie energetiche sbagliate.  Se abbracciamo l’efficienza energetica e le tecnologie energetiche rinnovabili che scendono rapidamente di prezzo, allora non ci saranno problemi, ci sarà abbondanza, e questo senza citare un’abbondanza non misurabile di buoni sentimenti derivanti da relazioni umane positive.” (Esattamente cosa intenda Roberto con il termine “discesa” non mi è chiaro).

Da economista ecologico trovo queste idee inquietanti in questo tipo di congresso.  Sembrano contraddire al 100% le tesi sui “Limiti della Crescita” sviluppate in origine dagli studi commissionati dal Club di Roma negli anni ’70 e successivamente aggiornate e confermate studio dopo studio.

Posso accettare in pieno la possibilità di un’abbondanza non misurabile di buone sensazioni derivanti da relazioni umane positive … anche se il fatto che  tale possibilità si realizzi in qualche modo dipende dal nostro successo, o mancanza di successo, nel ri-sviluppare i Commons e la messa in comune come base delle relazioni umane … tuttavia la nozione di un’abbondanza di abbondanza materiale io davvero non la ritengo credibile.  Questo significa voler ignorare il fatto che il Pianeta Terra ha una capacità di sostegno ecologico limitata e tutti gli studi dimostrano che l’abbiamo considerevolmente oltrepassata.

Argomenti a sostegno

Torniamo alle questioni di fondo. Innanzitutto come spieghiamo e misuriamo quale produzione materiale ha luogo? Un buon modo per farlo consiste nel prendere la quantità di energia che è applicata ai processi economici, aggiustare la misura dell’energia in rapporto all’efficienza con la quale l’energia è trasferita alla trasformazione di materiali e di “roba” che viene incorporata nei prodotti. Così si ottiene una misura della quantità di “lavoro” impiegato nella produzione materiale, dove il termine “lavoro” non è un riferimento al lavoro umano bensì alla fisica dell’applicazione dell’energia alla trasformazione e al trasporto dei materiali, processi fisici che sono soggetti alle leggi della termodinamica.

Così la quantità di produzione materiale nell’economia è collegata a quanta energia viene utilizzata E a quanto efficientemente è utilizzata.

Infatti questo modo di considerare la produzione, e la crescita della produzione, funziona più che bene quando è applicato a dati reali. Due autori, Ayres e Warr, hanno utilizzato quest’ottica allo studio della crescita nell’economia USA. Tra il 1900 e il 1975 essa offre una spiegazione quasi perfetta dell’andamento della crescita della produzione materiale.

Vedere http://www.helsinki.fi/iehc2006/papers2/Warr.pdf  [Questo link sostituisce quello indicato nell’originale e che pare non più attivo http://www.iea.org/work/2004/eewp/ayres-paper1.pdf – il contenuto dovrebbe essere lo stesso – n.d.t.]

Ora vi è ancora spazio in questo modello perché l’ingegno umano migliori l’efficienza con cui l’energia è trasferita alla produzione.  E c’è dello spazio per la produzione immateriale, che potrebbe aumentare. Ma la produzione immateriale deve essere inserita e incorporata nei processi materiali e anche nelle cose; persino un taglio di capelli richiede forbici, un locale, una sedia, illuminazione …

E quando si tratta di produrre cose materiali, non si può continuare ad accrescere l’efficienza del trasferimento di energia ai processi produttivi, e neppure si può continuare ad aumentare gli apporti di energia, specialmente in una fase della storia in cui la concentrazione di energia resa possibile dal bruciare fonti di energie costituite da combustibili fossili comincia a scemare a causa dell’esaurimento, al superamento del picco della produzione di petrolio, del picco del gas, del picco del carbone … (per non citare il picco dell’uso dell’atmosfera che abbiamo superato da un po’ di tempo).

Il limite delle fonti rinnovabili (di energia)

Ma che dire delle energie rinnovabili? Possono essere la base dell’ “abbondanza”, cioè la tesi di Roberto con la quale non concordo?

Dobbiamo affrontare il fatto chiave che c’è un limite assoluto alla quantità di energia solare e di energie rinnovabili disponibili, indipendentemente da quanto ingegnosamente ed economicamente progettiamo l’infrastruttura per impossessarcene e indipendentemente da quanto siamo in gamba come giardinieri e progettisti di permacoltura per impossessarcene attraverso le piante.

La “logica generativa dei Commons” deve vedersela con il fatto che l’energia della luce solare grezza a mezzogiorno di un giorno senza nuvole è di 1000 W per metro quadrato, ma si tratta di 1000 W per metro quadrato di are orientata verso il sole, non per ogni metro quadrato di terra.  Per ricavare l’energia per metro quadrato di terra in Inghilterra, dove vivo, dobbiamo correggere i nostri calcoli in funzione dell’inclinazione tra il sole e la terra, che riduce l’intensità del sole di mezzogiorno a circa il 60% del suo valore all’equatore. E naturalmente non è sempre mezzogiorno. E ovviamente in Inghilterra, e i molti altri luoghi, il cielo è spesso nuvoloso. In una tipica località inglese il sole splende solo nel 34% delle giornate diurne.

Globalmente la radiazione solare in arrivo è pari a 122 Petawatt, quantità che è di un ordine di grandezza di quattro volte superiore rispetto all’energia primaria totale utilizzata dall’umanità, ma data la bassa densità con cui ricade sull’intero pianeta, raccoglierla per i processi produttivi è un processo a costosa intensità energetica.  Molte delle idee attuali per raccogliere l’energia solare per l’uso umano presuppone che possiamo farlo mediante biomasse e piante in base alla fotosintesi.  Forse la permacoltura ha davvero molto da offrirci, ma non può risolvere il fatto che in Inghilterra, considerata la copertura delle nuvole e tutti gli altri problemi, ci sono solo 100 watts che ricadono in media su ogni metro di terreno piatto da raccogliere mediante le piante.  Né l’ingegno umano e la logica generativa dei Commons può fare molto riguardo al fatto che le piante migliori, ad esempio, in Europa, possono convertire soltanto il 2% di tale energia solare in carboidrati.

E in più è bene ricordare che gli esseri umani si impossessano già del 30-40% della Produzione Primaria Netta del pianeta (biomassa) sotto forma di cibo, foraggi, e combustibile con il legno e i residui dei raccolti che forniscono il 10% dell’utilizzo globale umano dell’energia.  Anche un aumento relativamente contenuto che porti l’umanità a utilizzare la biomassa fino al 50% della produzione di biomassa del pianeta comprometterebbe e distruggerebbe apporti estremamente importanti dell’ecosistema.  Infatti, a causa della crisi del clima,  abbiamo bisogno di utilizzare la biomassa per togliere l’anidride carbonica dall’atmosfera.  Lo spazio di manovra, ammesso che esista, è molto scarso.

Cose simili si possono dire delle risorse di energie rinnovabili. Sì, fanno parte del futuro; sì, fanno parte di ciò che è necessario; sì, l’ingegno può accrescere la loro efficienza nel raccogliere energia. Ma no, non possono e non potranno mai fornire “abbondanza” se per abbondanza intendiamo abbondanza di produzione materiale.

Con l’attuale utilizzo umano dell’energia, globalmente a circa 13 Terawatt nel 2005 come parametro, dobbiamo prendere atto del fatto che, dopo l’energia solare

“Nessun’altra risorsa energetica rinnovabile può offrire più di 10 TW. Stime generose di fattibilità tecnica massima (le percentuali economicamente accettabili sarebbero molto inferiori) sono meno di 10 TW per l’eolico, meno di 5 TW per le onde oceaniche, meno di 2 TW per l’energia idroelettrica e meno di 1 TW per l’energia geotermica, quella delle maree e quella delle corrente oceaniche.” (Vaclav Smil “Energy in Nature and Society: General Energetics of Complex Systems” MIT Press, 2008, pagg. 382-383).

Riconsideriamo dunque la tesi. L’abbondanza materiale esige abbondanza di energia per compiere il lavoro fisico della trasformazione e del trasporto della materia per trasformare buone idee e progetti in prodotti disponibili agli utilizzatori.  Al momento l’umanità utilizza circa 13 TW di energia e la disponibilità di tale quantità è destinata a ridursi in misura molto spettacolare.  Indipendentemente da quanto abili noi siamo, la quantità che possiamo sostituire con le rinnovabili è anch’essa rigidamente limitata … un’infrastruttura di energia rinnovabile richiederà una quantità considerevole di energia per essere realizzata e dovrà concentrare flussi di energia naturale dispersa su vaste aree geografiche. Inoltre questi flussi naturali di energia sono essi stessi soggetti a limiti assoluti di disponibilità.

Conclusione

La mia conclusione è che, parlare di abbondanza sia un messaggio molto fuorviante.  I Commons hanno molto da offrirci, condividere idee senza i vincoli della proprietà intellettuale ci aiuterà, ci aiuteranno anche la condivisione di energia e produzione scarse e accordi e infrastrutture di produzione di gruppo, condividere potrà portarci a relazioni umane con molte gratificazioni psicologiche ed emotive. In tal senso possiamo descrivere i Commons come “aventi una logica generativa”. Ma l’ “abbondanza” non è un messaggio con il quale concordo, se intesa si intende, o si implica vada intesa, abbondanza di produzione materiale.  Secondo me l’uso del termine “abbondanza” è un’immagine fuorviante del futuro verso il quale ci stiamo dirigendo.

L’abbondanza di informazioni su come potremmo fare le cose non è la stessa cosa che l’abbondanza di cose; è un’abbondanza di ricette, non un’abbondanza di cibo.

Da Socialforge – Un laboratorio di creazione sociale

http://www.socialforge.org

Fonte: http://p2pfoundation.net/Abundance_of_Food_vs_the_Abundance_of_Recipes

Originale: p2pfoundation

Traduzione di Giuseppe Volpe

© 2012 Socialforge – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

Nasce la moneta municipale in Francia

da Repubblica, 12 gennaio 2012
Due bocconiani in odore di eresia creano una moneta per l’economia reale
Massimo Amato e Luca Fantacci hanno messo a punto una valuta complementare all’euro. Nelle loro intenzioni il bonùs dovrà avviare un circolo virtuoso, creando nuove risorse per acquistare i prodotti delle imprese che aderiranno a un sistema di credito cooperativo. L’esperimento partirà a Nantes, in Francia

di CINZIA SASSO

MILANO – Nascerà in Europa una nuova moneta più democratica dell’euro? Riuscirà l’economia reale – fatta di scambi tra prodotti diversi regolati dal semplice dare e avere – a soppiantare le scatole vuote della finanza che hanno precipitato il mondo in una crisi senza precedenti? Sarà possibile, per guardare avanti, tornare indietro ai tempi del baratto, seppure rivisto e corretto? La folle idea, partita dalle aule dell’Università Bocconi, sta per diventare realtà in Francia, a Nantes, dove Jean Marc Ayrault, il sindaco socialista della città, anche consigliere del candidato presidente Francoise Hollande, ha affidato a due professori italiani il compito di tradurre in realtà un progetto rivoluzionario, quello di implementare una nuova moneta. Potrebbe chiamarsi «bonùs» e diventare una divisa complementare all’euro, su modello di quanto esiste già (dal 1934, nata per superare la crisi del ’29) a Basilea con il «wir». In un momento in cui la crisi finanziaria e la stretta creditizia rischiano di soffocare le economie, il «bonùs» dovrebbe realizzare un sistema di credito cooperativo tra aziende allo scopo di rafforzare l’economia locale e avviare un circuito virtuoso che consenta di avere più risorse a disposizione per acquistare prodotti delle imprese che fanno parte del sistema.

Il progetto nasce dagli studi di Massimo Amato, 48 anni, filosofo e professore di storia delle crisi finanziarie, e Luca Fantacci, 40, che insegna storia e scenari economici internazionali, due eretici della Bocconi, già autori, nel 2009, di un libro tradotto in molte lingue e ignorato in via Sarfatti, “Fine della finanza, da dove viene la crisi e come si può pensare di uscirne”. Solo in Francia, dove Amato ha trascorso due anni come assistant professor all’Institut d’Etudes Avancéès di Nantes, è stato possibile passare dalla teoria alla pratica e avviare il processo che, nel giro di un anno, dopo che già la Banca di Francia ha approvato il progetto, dovrebbe portare alla realizzazione del nuovo sistema monetario. Ciuffo alla Sgarbi, francese perfetto, Amato spiega il nuovo sistema su TEDx 1, citando Aristotele e Keynes. Perché questa idea si ispira esattamente alle teorie dell’economista britannico proposte a Bretton Woods nel ‘44. «E oggi – dice Amato – siamo in un momento di crisi ancora più pesante di quanto fosse in quel dopoguerra ed è indispensabile trovare un equilibrio diverso. Bisogna cancellare la finanza e tornare a un sistema che si basi sull’economia reale, sulla produzione e sullo scambio di beni effettivi». A Nantes è stata individuato l’istituto (il Credit Municipal, di proprietà del Comune) che sarà il modello di questa nuova banca che farà solo servizio pubblico e non avrà interessi privati. Sarà il Credit a tenere i conti degli scambi fra le imprese e fra queste e i privati (i quali, nell’idea di Amato e Fantacci, avranno lo stipendio diviso tra euro e «bonùs»). Mentre oggi è difficile avere credito, con il «bonùs», paradossalmente, non servirà denaro per avere credito perché il circuito creditizio sarà concepito come una camera di compensazione all’interno della quale ognuno dispone di un conto corrente e muove i propri scambi, anche dando servizi in cambio di prodotti. La nascita della nuova moneta sarà anche l’inizio della fine delle banche? Se si guarda all’esempio di Basilea, in Svizzera, la risposta è no. Però, conclude Amato, servirà a togliere alle banche il monopolio di qualcosa che non è loro, il denaro.

(12 gennaio 2012)

Alcune riflessioni sui Commons

Documento per la Conferenza internazionale sui Commons tenutasi a Berlino il 31 ottobre 2010, preparato dal Comitato Direttivo (Michael Bauwens, David Bollier, Beatriz Busaniche, Silfe Helfrich, Julio Lambing, Jeike Loeschmann) per stimolare il dibattito e la riflessione.

Tesi chiave: I Commons (*) sono ciò che rende possibile ogni altro obiettivo sociale, compresi gli obiettivi ambientali che sono, essenzialmente, sociali.

Flusso I : I Commons come Sfida all’Economia Classica

A. I commons non riusciranno a contrastare l’economia contemporanea e la struttura istituzionale convenzionale se non:

  • metteranno in discussione le convinzioni chiave sottostanti l’economia tradizionale e le correlazioni comportamentali indotte dalle strutture istituzionali prevalenti;
  • reinterpreteranno il significato di proprietà dalla proprietà privata alla tutela collettiva; e
  • svilupperanno concetti coerenti che siano anche empiricamente dimostrabili e convincenti alternative alla convenzionale “somma finale” numerica;

B. Le caratteristiche intrinseche dei commons sono l’abbondanza e la diversità.

  • Se rispettiamo la diversità e ci organizziamo per l’abbondanza, i commons (ri)produrranno costantemente abbastanza per tutti.
  • Ogni qualvolta possiamo – in caso di risorse e generosità non rivali – il prodotto dei commons dovrebbe essere universalmente disponibile; quando ciò non è possibile – nel caso di risorse rivali – il prodotto dei commons dovrebbe essere distribuito equamente.

C. Una società realizzabile si basa sulla cooperazione e la co-produzione anziché sulla divisione classica del lavoro che separa i produttori e fornitori di risorse dagli utilizzatori di esse e che tratta la natura, la comunità e la cultura come esternalità sfruttabili.

D. I mercati non sono la sola fonte di creazione della ricchezza. I commons, che sono ricettivi alle voci popolari democratiche e alla pressione delle nostre risorse biotiche, possono funzionare come economie parallele all’economia monetaria, comprese le economie di sussistenza e le economie del dono. Un altro modo promettente per fare questo consiste nello sviluppare piattaforme software su base comunitaria. Nel tempo tali piattaforme di comunicazione si possono ampliare a nuovi tipi di scambio sociale, ad esempio a monete digitali, esterne alle monete nazionali e ai mercati convenzionali. Tali processi rafforzerebbero le comunità urbane e rurali resistenti e consentirebbero loro di prendere nelle proprie mani la riproduzione del sostentamento.

E. L’intero sistema economico delle società moderne dipende profondamente dallo stato, che crea intere industrie e provvede a strutture regolamentari. La richiesta di beni e servizi da parte dello stato è un altro esempio. Di fatto l’approvvigionamento pubblico e lo sviluppo infrastrutturale fanno la parte del leone nelle nostre economie. Perciò è urgentemente necessaria una svolta verso approvvigionamenti basati sui beni comuni. Ciò comprende, ad esempio, vantaggi fiscali per il sapere, le informazioni e le infrastrutture generate liberamente o procedure di gara basate su criteri stabiliti che rafforzino la partecipazione delle comunità interessate.

F. C’è necessità di identificare e comunicare chiaramente i “criteri vincenti” dei commons e/o una tassonomia generale di commons riusciti. Ma sviluppare indicatori per la messa in comune creativa e produttiva è notoriamente difficile. E’ perciò essenziale contribuire allo sviluppo di metri di misura inclusivi che riconoscano criteri chiave per una creazione di ricchezza più vasta.

Flusso II: I Commons sfidano il Duopolio Stato/Economia

A. I commons sono il terzo elemento, in aggiunta allo stato e al mercato, che richiedono sostegno strutturale e intellettuale.

B. I commons offrono un ricco insieme di modelli di governo e la loro natura costitutiva si sforza di conseguire un nuovo stile di appropriazione e partecipazione sociale. Nonostante la loro diversità e la loro dipendenza da certe leggi o dal sostegno dello stato, i commons tendono ad essere stabili e a facilitare l’autonomia sociale e un’efficace amministrazione delle risorse. Ciò nonostante un commons vincente è sempre il prodotto di uno sforzo e di una lotta continui.

C. “I commons al di là del mercato e dello stato” non significa necessariamente senza mercato e senza stato, se consideriamo la loro ricca storia, l’enorme diversità e dispersione geografica. Ma significa necessariamente che le persone e i loro commons, con il sostegno di uno stato partner, divengono il centro della creazione della ricchezza. I commons mirano a creare un’economia etica vibrante di nuove forme di mercato che non ignorano le esternalità naturali e sociali, ma le includono nella propria logica di funzionamento.

D. Gli aventi titolo ai commons trascendono la cittadinanza basata sullo stato-nazione e le società civili nazionali. E la loro identità va oltre quella di consumatori passivi per arrivare a quella di co-produttori responsabili. I detentori di commons sono radicati in un’enorme varietà di comunità reciprocamente dipendenti. Una delle idee centrali a proposito dei commons è quella che la protezione e la creazione di ricchezza comune sia non solo di beneficio per gli stessi detentori dei beni comuni ma lo sia per le società locali e per quella globale cui essi pure appartengono. L’idea centrale dei commons è: ho bisogno degli altri e gli altri hanno bisogno di me.

E. Ciò di cui abbiamo bisogno non è soltanto di una regolamentazione statale, bensì di una maggiore responsabilità e rispondenza nei confronti delle comunità coinvolte riguardi ai criteri del benessere. Questa è la chiave. Invece di ridimensionare lo stato rafforzando la logica del mercato, una politica basata sui promuove il ridimensionamento della scala e del campo dei mercati rafforzando “istituzioni relative ai beni comuni”. Ciò significa creare istituzioni progettate per operare come fiduciarie dei commons e come attivatrici di essi. Nuove tecnologie sociali e reti distribuite – che devono essere basate sull’uso sostenibile dell’energia – possono stimolare questo processo.

F. I Commons globali implicano un nuovo tipo di multilateralismo che emancipi gli abitanti locali al ruolo di cittadini e metta gli stati-nazione in condizioni di collaborare più efficacemente per superare i problemi di azione collettiva globale.

Flusso III: La Logica Generativa dei Commons

A. Per costruire i commons dobbiamo costruire comunità robuste che a loro volta richiedono forme cooperative e deliberative di comunicazione e di decisione. Le comunità servono anche da palestre di apprendimento per lo sviluppo delle competenze e degli atteggiamenti e ottiche necessarie per la messa in comune.

B. I commons, come forma auto-organizzata di produzione paritaria [peer-to-peer o P2P] seguono una logica propria. La produzione paritaria presuppone l’equipotenza dei propri partecipanti, è basata sulla collaborazione libera, mira alla creazione di beni comuni e cerca di essere al servizio del maggior bene di tutti. Crediamo che questo modo di produzione sia almeno altrettanto produttivo che i modelli che ignorano i commons. E in termini di perseguimento della ricchezza sociale e della riproduzione della diversità, i modelli di produzione su base comunitaria possono riuscire anche meglio di quelli basati sull’imposizione, il controllo e/o la vendita.

C. La produttività non può essere semplicemente una misura artificiale dei risultati di un’impresa; deve tenere conto di tutti i costi, compresi quelli celati delle sovvenzioni, i danni all’ambiente e altri tipi di valori non quantificabili, non di mercato di cui i commons tengono conto di routine.

D. I commons significano prendere la vita nelle proprie mani. Il sapere è la chiave per farlo, ma il sapere è più che l’accesso al sapere e l’accesso al sapere è qualcosa di più che la costruzione di infrastrutture tecniche. La rapida diffusione del sapere e dell’innovazione a tutti coloro che ne hanno necessità richiede:

  • la condivisione di informazioni, codici, competenze e progettualità attraverso piattaforme accessibili universalmente o a base comunitaria;
  • la competenza per la comprensione e la riflessione, e
  • la loro appropriazione per modellare i nostri habitat sociali.

Concepire il sapere come un commons garantisce una giusta condivisione dell’innovazione, senza gli attriti e gli occultamenti causati alla condivisione da eccessive regole sulla proprietà intellettuale.

E. Le strutture istituzionali possono articolare e rendere possibili nuovi commons, ma possono anche
danneggiare i collegamenti e l’etica sociale che sono indispensabili ai commons. Perciò una sfida chiave
nell’ideare effettive politiche a base comunitaria consiste nell’equilibrare correttamente questi due
interessi. La burocratizzazione dei commons non è un commons, ma un paradosso a proposito del quale
occorre che prestiamo attenzione.

Per il successo di una politica orientata al commons sono imperativi un’alleanza e un onesto scambio di
esperienze e saperi tra tutti coloro che lavorano ai commons sociali, ecologici, sociali e culturali.

[…]

(*) NdT: Viene mantenuto il termine inglese ‘commons’ non risultando ancora sufficientemente attestata una traduzione italiana che non risulti limitativa o fuorviante; il termine da considerarsi il candidato migliore è ‘comunanza/e’; storicamente il concetto risale a una storia di secoli di risorse utilizzate in comune da una collettività, prevalentemente terreni agricoli o risorse boschive. Residuano ancora realtà di questo tipo in alcune regioni italiane, tuttavia stanno scomparendo per l’abbandono dell’agricoltura, silvicoltura su piccola scala. Personalmente considero una specie di rivalsa della storia il fatto che una realtà di sussistenza delle classi umili del passato possa riproporsi, reinterpretata alla luce di nuove analisi concettuali e potenzialità tecnologiche, come efficace alternativa al dominante sistema di produzione/distribuzione capitalista. Peraltro la lunga storia dei commons come comunanza di uso di risorse materiali, compresa a volte la distribuzione equa del loro sfruttamento, testimonia che il/i commons non sono necessariamente, come a volte si sostiene, limitati alla condivisione di attività/prodotti immateriali anche se l’esperienza moderna di maggiore successo risulta quello del Software Libero o Open Source.

Da Socialforge – Un laboratorio di creazione sociale

www.socialforge.org

Fonte: http://p2pfoundation.net/Some_Thoughts_on_the_Commons

Originale: P2P Foundation

Traduzione di Giuseppe Volpe

(c) 2012 – Socialforge Licenza Creative Commons BY-NC-SA 3.0

Che cosa è Oekonux?

Dieci paradigmi sviluppati dal Progetto Oekonux

di Stefan Meretz, Keimform 29/12/2011

NdT: Questo documento, pubblicato da Stefan Meretz sul blog Keimform tra il 20 ottobre ed il 29 dicembre 2011, descrive il lavoro teorico di ricerca svolto nel corso di dieci anni sul software libero e sulla produzione paritaria su base comunitaria dal progetto tedesco Oekonux (http://www.oekonux.org). Il documento è stato preparato per essere pubblicato sulla rivista Critical Studies in Peer Production (CSPP).

Abstract

Il progetto Oekonux cerca di creare nuove basi per analizzare un fenomeno storico nuovo: l’emergere della produzione paritaria, a partire dalla creazione del software libero. Se è valida l’ipotesi iniziale che il software libero sia la forma germinale di un nuovo modo di produzione oltre il capitalismo, sarebbe necessario sviluppare nuovi modelli epistemologici per essere in grado di analizzarlo adeguatamente. Ciò richiede la comprensione e la critica di vecchie nozioni analitiche in quanto prodotti storici del modo capitalista sopravvissuto di produzione del nostro sostentamento, comprese quelle che mirano ad essere in opposizione al capitalismo. In questo documento presento dieci modelli che sono emersi dai dibattiti del Progetto Oekonux. Essi dimostrano cosa significhi andare oltre gli schemi di analisi tradizionalmente di conferma o tradizionalmente di contrasto, o “di sinistra”. Anche se ricavati dai dibattiti del Progetto Oekonux, questi modelli non sono mai stati presentati in maniera così concentrata. Ovviamente non tutti i modelli saranno condivisi dagli altri partecipanti a tali dibattiti, perché alla fin fine si tratta di conclusioni mie personali ricavate da oltre dieci anni di discussioni.

Introduzione

In questo testo cercherò di offrire una qualche introduzione alle idee principali che sono state sviluppate dalla fondazione del progetto Oekonux nel 1999. Non c’è un insieme fisso di pensieri e personalmente ho la mia ottica personale riguardo alle idee Oekonux.

Perché il progetto Oekonux è così rilevante per il dibattito sulla produzione paritaria su base comunitaria? Ci sono due motivi. Primo: Oekonux ha sviluppato molte delle idee con le quali molti ricercatori hanno familiarità da molti anni prima che esse arrivassero a un pubblico più vasto. Oekonux è stato fondato come un progetto di riflessione sul software libero, ma era presente sin dall’inizio la questione della generalizzazione delle osservazioni sul software libero ad altri settori dei beni immateriali e materiali. Quando Yochai Benkler (2006) coniò il termine produzione paritaria su base comunitaria (NdT: in inglese, commons’ based peer production) non fece che condensare in un’espressione accattivante un dibattito durato anni, ma le intuizioni non erano molto nuove e suonavano molto familiari ai partecipanti al Oekonux. Conseguentemente il termine è stato adottato dal progetto Oekonux.

Secondo: i partecipanti a Oekonux si sono spinti molto più in là di altri nel mettere in discussione il modo accettato di pensare. Sono state sviluppate nuove tesi che non solo hanno rifiutato gli schemi del dibattito tradizionale nelle scienze informatiche, in sociologia e in economia, ma anche negli approcci politici e teorici emancipativi. Stefan Merten, il fondatore di Oekonux che proviene da precedenti di anarco-marxista, rifiuta provocatoriamente “le ideologie di sinistre e le altre ideologie capitaliste” (Merten 2011) per l’analisi della produzione paritaria. Questo suona molto post-moderno, ma l’intenzione era molto diversa: tutti i mezzi di emancipazione dovranno svilupparsi proprio davanti ai vostri occhi, ma dobbiamo anche afferrarli teoricamente. Gli schemi tradizionali della sinistra non sono adatti a questo, perché aderiscono al modo di produzione determinato per il quale è condotta l’analisi.

Per molti, tradizionalisti di ogni schieramento, questa è stata una provocazione enorme. E ci sono stati molti scontri politici e culturali all’interno del progetto. Ma c’è stato anche un nucleo di persone che ha costantemente portato più avanti l’approccio Oekonux. Nel seguito cerco di descrivere alcuni modelli Oekonux, che ovviamente rappresentano la mia interpretazione del dibattito Oekonux. Quando uso il passato parlando di Oekonux non è perché il progetto non esista più. Esiste ancora e la rivista Critical Studies in Peer Production (NdTRivista di Studi Critici sulla Produzione Partecipativa)non è l’unico prodotto collaterale del progetto; ce ne sono stati molti altri, cosicché la concentrazione si estende a diversi progetti ispirati da Oekonux.

In un’intervista a Joanne Richardson, Stefan Merten (2001) ha descritto Oekonux come un progetto per valutare il software libero nel suo “potenziale per una società diversa oltre il lavoro, il denaro, lo scambio”. Qui egli offre le parole chiave su cui è stato costruito il pensiero Oekonux. Le riproporrò e le amplierò per illustrare perché e come le principali idee contraddicano così fortemente il pensiero tradizionale di sinistra, specialmente quando Oekonux è stato avviato nel 1999 (Merten 1999).

Paradigma 1: Oltre lo Scambio

Il software libero o, più in generale, la produzione paritaria su basi comunitarie non riguarda lo scambio. Dare e ricevere non vanno in coppia. Nell’ottica di oggi questo potrebbe non sembrare sorprendente, ma lo è stato agli inizi del progetto Oekonux. Ancor oggi gli approcci tradizionali della sinistra tradizionale sono basati sull’assunto che si sia autorizzati a ricevere qualcosa solo se si è disponibili e in grado di dare qualcosa in cambio, perché se tutti si limitassero a prendere allora la società morirebbe. Questa posizione potrebbe essere riferita a una penosa tradizione socialista (e cristiana) secondo cui chi non è disponibile a lavorare non dovrebbe mangiare. Tuttavia il software libero ha dimostrato chiaramente che gli sviluppatori non hanno bisogno di essere obbligati a fare quello che amano fare (vedere paradigma 5).

Un approccio importante che ha cercato di afferrare i nuovi sviluppi del software libero, seppur restando incollato al vecchio modo di pensare, è stato l’approccio dell’ “economia del dono”. Tuttavia non è un caso che l’espressione corretta sia ritenuta essere “l’economia dello scambio di doni”. Chi dà può aspettarsi di ricevere qualcosa in cambio, perché ciò è un dovere morale nelle società basate sullo scambio di doni. Questo tipo di dovere personale reciproco non esiste nel software libero. Anche se uno sviluppatore afferma di volere “dare qualcosa in cambio”, questo dare non è una precondizione per ricevere qualcosa. In generale, la produzione paritaria su base comunitaria si basa su contributi volontari incondizionati.

In un’ottica di sinistra, il dare e ricevere disaccoppiato potrebbe essere possibile solo in una terra mitica in un futuro lontano chiamato Comunismo, se ma fosse possibile. Ma mai oggi, perché prima che il comunismo sia possibile, è necessaria una fase intermedia poco gradevole chiamata socialismo aggrappata al dogma dello scambio (vedere paradigma 8). Storicamente il “socialismo realmente esistente” che ha cercato di attuare tale necessità è fallito, cosa che accadrà con tutti gli approcci socialisti che accettino il dogma dello scambio.

Se non si vuole rinunciare allo scambio, il capitalismo è l’unica opzione che rimane.

Paradigma 2: Oltre la Scarsità

E’ un malinteso comune che le cose materiali siano scarse mentre non lo siano quelle immateriali. Sembra giustificato mantenere i beni materiali sotto forma di merci mentre è richiesto che i beni immateriali siano gratuiti. Tuttavia questo assunto trasforma una proprietà sociale in una proprietà naturale. Nessun bene prodotto è scarso per natura. La scarsità è una conseguenza del fatto che i beni sono prodotti sotto forma di merci e pertanto la scarsità è un aspetto sociale della merce creata per il mercato. Nell’era digitale ciò è evidente a proposito dei beni immateriali, in quanto possiamo constatare chiaramente le misure adottate per rendere artificialmente scarsi tali beni. Tali misure includono leggi (basate sulla cosiddetta “proprietà intellettuale”) e barriere tecniche per evitare il libero accesso ai beni. Sembra essere meno ovvio per i beni materiali, perché siamo abituati alla non accessibilità dei beni materiali se non paghiamo per essi. Ma le misure sono le stesse: leggi e barriere tecniche, accompagnate dalla distruzione continua di merci per mantenerle rare abbastanza da ottenere un prezzo adatto sui mercati.

Inoltre sembra ovvio che dipendiamo tutti da beni materiali che possono non essere disponibili in quantità sufficienti. Anche i beni immateriali dipendono da un’infrastruttura materiale, al minimo i nostri cervelli (nel caso del sapere) che pure devono essere alimentati. Ciò è decisamente vero e tuttavia non ha nulla a che fare con la “scarsità naturale”. Poiché tutti i beni di cui abbiamo necessità devono essere prodotti, l’unica questione è come debbano essere prodotti in senso sociale. La forma di merce è un’opzione, la forma di risorsa comune è un’altra. Le merci devono essere prodotti in misura scarsa per realizzare il loro prezzo sul mercato. Le risorse comuni possono essere prodotte in base ai bisogni di che utilizza una determinata capacità produttiva. Possono esserci limitazioni contingenti, ma i limiti sono sempre stati soggetti alla creatività umana per essere superati.

Forse alcune limitazioni non potranno mai essere superate, ma questo, di nuovo, non è un motivo per rendere i beni artificialmente scarsi. In questi rari casi si possono utilizzare accordi sociali per organizzare un utilizzo responsabile della risorsa o del bene limitati. Il movimento per i beni comuni ha imparato che sia le merci rivali sia quelle non rivali possono essere prodotte come beni comuni, ma richiedono un trattamento sociale diverso. Mentre le merci non rivali si conviene siano accessibili gratuitamente per evitarne il sottoutilizzo, ha senso evitare il sovrautilizzo delle merci rivali trovando regole o misure adatte o a organizzare un uso sostenibile o a ampliare la produzione collettiva e così la disponibilità della merce rivale.

La scarsità è un fenomeno sociale che è inevitabile se i beni sono prodotti in forma di merce. Spesso la scarsità è confusa con i limiti che possono essere superati mediante gli sforzi e la creatività umana.

Paradigma 3: Oltre la Merce

Nei suoi studi Elinor Ostrom rilevò che “né lo stato né il mercato” sono mezzi efficaci per la gestione delle risorse comuni (1990). Basandosi sull’economia tradizionale ella analizzò le pratiche relative alle risorse comuni naturali e in conclusione dimostrò semplicemente errati i dogmi liberali. I mercati non sono un buon modo per allocare le risorse e lo stato non è un buon modo per redistribuire la ricchezza e gestire le conseguenze distruttive dei mercati. Risultati migliori si hanno se le persone si organizzano in base alle proprie necessità, esperienze e creatività e trattano le risorse e i beni, non come merci bensì come un serbatoio comune di risorse.

Questo è esattamente quel che accade nel software libero. E’ interessante che ci siano voluti tanti anni per comprendere che il software libero è una risorsa comune e che è fondamentalmente identico a ciò di cui Elinor Ostrom e altri parlavano tanto tempo prima. Un aspetto debole della ricerca tradizionale sulle risorse comuni e della prima fase del software libero è stato che non esisteva una chiara nozione di merce e non merce. E’ stato il progetto Oekonux che ha affermato chiaramente: il software libero non è una merce. Questa massima è strettamente collegata all’intuizione che il software libero non è oggetto di scambio (v. paradigma 1).

I critici di sinistra hanno sostenuto che l’essere ‘non merce’ è qualcosa di limitato al regno dei beni immateriali, come il software. Dal loro punto di vista il software libero è solo una “anomalia” (Nuss, Heinrich 2002) mentre i beni “normali” nel capitalismo devono essere merci. Questo assioma, tuttavia, è strettamente legato all’accettazione del dogma della scarsità (v. paradigma 2). Inoltre esso tratta il capitalismo come una specie di modo normale e naturale di produzione in condizioni di “scarsità naturale” (dal loro punto di vista). Quest’ottica capovolge completamente le relazioni reali. Il capitalismo si è potuto stabilire soltanto appropriandosi delle risorse comuni, privando le persone del loro tradizionale accesso alle risorse al fine di trasformarle in lavoratori. Questa appropriazione delle risorse comuni è un processo in corso. Il capitalismo può esistere solo separa costantemente le persone dalle risorse, rendendole artificialmente scarse. Una merce – per quanto attraente possa apparire nei centri commerciali – è il risultato di un processo violento in corso di appropriazione e spossessamento.

Lo stesso processo si verifica nel software. Il software proprietario è un modo di spossessare la comunità scientifica e di sviluppo del proprio sapere, esperienza e creatività. Il software libero è stato inizialmente un atto difensivo di mantenimento della comunitarietà delle risorse comuni. Tuttavia, poiché il software è in prima linea nello sviluppo di forze produttive, si è rapidamente trasformato in un processo creativo di superamento dei limiti e dell’alienazione del software proprietario. In un settore speciale il software libero ha creato un nuovo modo di produzione che è destinato ad estendersi ad altri settori. (v. paradigma 10).

I beni che non sono resi artificialmente scarsi e non sono oggetti di scambio non sono merci bensì risorse comuni.

Paradigma 4: Oltre il Denaro

Poiché il denaro ha senso solo per le merci, una “non merce” (v. paradigma 3) implica che non vi sia coinvolto denaro. Il Software Libero va dunque oltre il denaro. D’altro canto vi è naturalmente una quantità di denaro che gira intorno al Software Libero: gli sviluppatori sono pagati, le aziende spendono denaro, attorno al Software Libero si creano nuove imprese. Questo ha confuso molti, anche a sinistra. Si attengono a un modo di pensare del tipo “o questo o quello”, essendo incapaci di interpretare queste considerazioni come un processo contraddittorio di sviluppo parallelo in un periodo di transizione sociale (v. paradigma 10).

Il denaro non è uno strumento neutro; il denaro può comparire in situazioni sociali diverse. Può essere denaro proveniente da stipendi/salari, essere denaro investito (capitale), profitto, contante ecc. Funzioni diverse devono essere analizzate in modo diverso. Nel Software Libero non è coinvolta la forma di merce e dunque il denaro, nello stretto senso di vendere una merce per un certo prezzo, non esiste. Tuttavia Eric Raymond ha spiegato come far soldi utilizzando una “non merce”; combinandola con un bene scarso. In una società capitalista dove solo pochi beni si sono sottratti al regno delle merci, è fuori questione che tutti gli altri beni continueranno a esistere come merci. Sono mantenuti scarsi e sono combinati con un bene senza prezzo. Utilizzando un’ottica di valorizzazione non si tratta di nulla di nuovo (ad esempio fare regali per attrarre clienti). Usando un’ottica di riconoscimento di una forma germinale in questa modalità si avvia un nuovo modo di produzione da sviluppare all’interno del vecchio modello tuttora esistente.

Ma perché le imprese danno denaro se tale denaro non è un investimento nel senso tradizionale, ma una specie di donazione, ad esempio per pagare gli sviluppatori del Software Libero? Perché la IBM ha messo un miliardo di dollari nel Software Libero? Perché sono state costrette a farlo. Economicamente parlando hanno dovuto svalutare un settore d’affari per salvare altre aree reddituali. Devono bruciare soldi per creare un ambiente costoso per le proprie vendite (ad esempio di hardware dei server). Poiché l’appropriazione di beni comuni è una precondizione del capitalismo, è vero anche il contrario. Estendere i beni comuni a un campo attualmente dominato dalle merci significa che quel campo è sostituito dai beni liberamente disponibili.

Tuttavia le “quattro libertà” del Software Libero – utilizzo, studio, modifica e redistribuzione – (Free Software Foundation, 1996) non parlano di “libero” nel senso di “gratuito”. Gli slogan del tipo “libero come in ‘libertà’, non libero come in ‘birra gratis’” sono una moltitudine. Ciò va assolutamente bene e non contraddice la massima “oltre il denaro”, perché le quattro libertà non dicono nulla a proposito del denaro. Le quattro libertà riguardano la libera disponibilità, riguardano l’abbondanza. Dunque l’assenza di denaro è un effetto indiretto. Beni abbondanti, e quindi non scarsi, non possono essere merci (vedi paradigma 2) e non possono produrre denaro. Tuttavia far soldi non è vietato di per sé.

C’è stata una quantità di tentativi di integrare la circolazione comunitaria libera del Software Libero (non oggetto di scambio, non merce) all’interno del tradizionale paradigma economico, che è basato sullo scambio e la merce. Il più notevole è stata la “economia dell’attenzione”, che affermava che i produttori non scambiano beni bensì attenzione (Goldhaber, 1997). Si era concluso che l’attenzione fosse la nuova moneta. Ma è stato solo un tentativo disperato di restare attaccati a vecchi termini che né hanno funzionato correttamente, né hanno offerto intuizioni nuove, e così non è stato rilevante. Tralascio qui svariati altri tentativi simili.

Essere oltre il denaro ha come conseguenza diretta non essere merce.

Paradigma 5: Oltre il Lavoro

Il Software Libero, e i beni comuni in generale, sono oltre il lavoro. Ciò può essere compreso solo se si afferra il concetto di ‘lavoro’ come attività produttiva specifica di una certa forma storica di società. Vendere la forza lavoro – cioè la capacità di lavorare – a qualche capitalista che la utilizza per produrre un valore superiore a quello della forza lavoro è qualcosa di unico nella storia. Ciò ha due conseguenze importanti.

Primo: trasforma l’attività produttiva – che è sempre stata usata dagli uomini per provvedere alla propria sussistenza – in lavoro alienato. Tale alienazione non è imposta attraverso il dominio personale, ma mediante una coercizione strutturale. Nel capitalismo gli esseri umano possono sopravvivere solo se pagano per la propria sussistenza, il che costringe le persone a guadagnare soldi. Guadagnare soldi si può attuare o vendendo la propria forza lavoro o acquistando e valorizzando la forza lavoro di altri. Il risultato è un processo distorto in cui esigenze strutturali prescrivono quello che una persona deve fare (vedi paradigma 6) .

Secondo: crea l’homo oeconomicus, l’individuo isolato che cerca la massimizzazione del proprio utile, se necessario anche a spese di altri. Gli economisti tradizionali asseriscono quindi che l’homo oeconomicus è l’archetipo dell’essere umano, il che confonde un risultato storico specifico con un presupposto naturale.

Invece che sul lavoro il Software Libero si basa sulla ‘Selbstentfaltung’ [NdT Espressione/realizzazione/gratificazione di sé stessi]. Il concetto tedesco di Selbstentfaltung non è facile da tradurre. Da un lato parte dal “grattarsi un prurito”(Eric Raymond), “fare quello che proprio davvero si vuol fare” (Fritjof Bergmann) e “divertirsi un mucchio” (lo sviluppatore del Software Libero). Dall’altro, esso integra altri compagni di sviluppo per ricercare la soluzione migliore possibile. Questo si traduce anche in un grande coinvolgimento, passione e sforzo, non soltanto nel cogliere i frutti dei rami più bassi. Include una reciprocità positiva con gli altri che perseguono lo stesso obiettivo in modo tale che la Selbstentfaltung di uno sia la precondizione della Selbstentfaltung degli altri. Non per caso ciò richiama il Manifesto Comunista in cui “il libero sviluppo di ciascuno è la condizione del libero sviluppo di tutti” (Marx, Engels 1848). Tuttavia il Software Libero non è un obiettivo di una società futura, bensì una caratteristica inalienabile dell’avvio di un nuovo modo di produzione in direzione di quella nuova società libera.

Invece di vendere le energie individuali a fini alienati, ciò che solitamente è definito ‘lavoro’, il Software Libero è basato sulla Selbstentfaltung, che è lo sviluppo libero di tutte le forze produttive delle persone.

Paradigma 6: Oltre le Classi

Il capitalismo è una società di divisioni. Acquisti contro vendite, produzione contro consumo, lavoro contro capitale, lavoro concreto contro lavoro astratto, valore d’uso contro valore di scambio, produzione privata contro distribuzione sociale ecc. Lo sviluppo capitalista è mosso dalle contraddizioni tra queste parti separate. Tra esse, il lavoro e il capitale sono una delle contraddizioni e tuttavia sembra si tratti di quella più rilevante. Una persona sembra essere classificata in base al suo essere venditore o acquirente di lavoro, lavoratore o capitalista. Tuttavia, di fatto il lavoro e il capitale non sono proprietà degli individui bensì funzioni sociali opposte come tutte le altre divisioni che il capitalismo genera.

Perciò non è vero che solo uno dei lati delle varie divisioni rappresenta quello generale o progressista. Al contrario, entrambe le parti della divisione dipendono l’una dall’altra. Il lavoro produce capitale e i capitale crea lavoro. E’ un ciclo alienato di riproduzione permanente delle forme capitaliste. Così entrambe le parti di queste divisioni, ad esempio il lavoro e il capitale, sono funzioni necessarie del capitalismo. Il cosiddetto antagonismo di lavoro e capitale è in realtà una modalità puramente immanente dello sviluppo storico del capitalismo. La classe lavoratrice non rappresenta un’emancipazione, in nessun modo.

Il Software Libero e la produzione paritaria in generale non generano classi; sono, piuttosto, al di là di tale modalità. Rappresentano una forma germinale (v. paradigma 10) di un nuovo modo di produzione che, in generale, non si basa sulle divisioni ma sull’integrazione di bisogni, comportamenti e desideri diversi come potente forma di sviluppo. Lo sfruttamento non esiste, perché non esistono la vendita e l’acquisto del lavoro e il denaro può svolgere un ruolo solo in partite di retroguardia relative a società antiquate chiamate “capitalismo”.

Selbstentfaltung come essere umano che si sviluppa è la fonte di una transizione sociale in direzione di una società libera, non di un’appartenenza di classe.

Paradigma 7: Oltre l’Esclusione

Una delle divisioni fondamentali che il capitalismo genera è la divisione tra quelli che sono all’interno e quelli che non vi sono. Lo schema interno/esterno non è una separazione di classe (v. paradigma 6) e non è soltanto una grande divisione. E’ un meccanismo strutturale di inclusione ed esclusione in tutte le linee possibili della società: tra chi ha un lavoro e chi non lo ha, tra i ricchi e i poveri, tra gli uomini e le donne, tra la gente di colore e i bianchi, tra i capi e i subordinati, tra i proprietari dei mezzi di produzione e i non proprietari, tra i membri della previdenza sociale e i non membri, ecc. Deve essere riconosciuta come un principio strutturale fondamentale del capitalismo. L’inclusione di una parte implica l’esclusione dell’altra. Per il singolo ciò significa che ogni progresso personale è realizzato a spese di altri che restano fermi o regrediscono.

In generale i beni comuni sono oltre il meccanismo di esclusione. Nel Software Libero, per esempio, quante più persone attive aderiscono a un progetto, tanto più rapidamente e meglio può essere conseguito un obiettivo. Qui il rapporto tra le persone non è strutturato su basi di inclusione/esclusione ma attraverso una reciprocità inclusiva (Meretz 2012). Chi gestisce un progetto cerca di includere quante più persone attive possibile, si sforza di ottenere un’atmosfera creativa, e cerca di risolvere i conflitti in modo tale che quante più persone possibili possano seguire il “consenso grezzo” ed il “codice che gira” (NdT Il riferimento è al motto delle comunità informatiche in rete che si trova in una presentazione IETF del 1992: We reject: kings, presidents and voting. We believe in: rough consensus and running code. “Rigettiamo re, presidenti e voti. Crediamo invece nel consenso grezzo e nel codice che gira”).

Se il consenso non è possibile allora la soluzione migliore è una divisione, una opzione rischiosa ma valida per verificare direzioni di sviluppo diverse. Se si guarda alle divisioni esistenti (ad esempio tra Kde e Gnome) molte di esse collaborano strettamente o mantengono un’atmosfera di cooperazione. Sì, ci sono altri esempi di contrasti reciproci. Ma queste divisioni improduttive sono principalmente dovute al fatto che vi svolgono un ruolo importante interessi alienati. Oracle ha tentato di attuare un regime di dominio e controllo dopo aver acquistato OpenOffice come parte della pacchetto Sun. La scissione a LibreOffice da parte di molti sviluppatori importanti è stata un atto di autodifesa e di autodeterminazione per conservare il loro ambiente di Selbstentfaltung. Non vogliono tornare indietro al vecchio “modo di lavorare” allo sviluppo (v. paradigma 5).

Mentre il capitalismo è strutturalmente basato sul meccanismo di esclusione, la produzione paritaria su base comunitaria crea e fa progredire l’inclusione.

Paradigma 8: Oltre il Socialismo

Il socialismo, così come definito da Karl Marx nella “Critica del programma di Gotha” (Marx, 1875) è una società produttrice di merci governata dalla classe lavoratrice. Storicamente ciò è stato realizzato dal cosiddetto “socialismo reale”. Ci sono state molte critiche dei paesi a socialismo reale (mancanza di democrazia, ecc.) dall’interno della sinistra. Ciò nonostante buona parte della sinistra condivide l’assioma che sia inevitabile una fase intermedia tra una società libera (che può essere chiamata comunismo) e il capitalismo. L’idea generale è che la classe lavoratrice, una volta al potere, possa ricostruire l’intera economia secondo i propri interessi, che rappresentano la maggioranza della società. In breve: prima viene il potere, poi seguirà un nuovo modo di produzione, al fine di costruire una società davvero libera. Questa idea storicamente è fallita.

Il motivo di tale fallimento non sta in carenze o differenze tattiche interne. E’ invece dovuto al concetto irrealistico della trasformazione storica qualitativa. Mai nella storia la questione del potere è stata al primo posto; è sempre stato un nuovo modo di produzione, emerso dalla vecchia maniera di produrre, che ha preparato la transizione storica. Il capitalismo si è inizialmente sviluppato dall’artigianato delle città medievali, poi integrato in fabbriche e che alla fine ha portato al sistema della grande industria. La questione del potere è stata risolta “per strada”. Ciò non sminuisce il ruolo della rivoluzione, ma le rivoluzioni si limitano a realizzare e promuovere ciò che già si stava sviluppando. Le rivoluzioni della Primavera Araba non creano nulla di nuovo, ma cercano di realizzare i potenziali di una normale società democratica borghese.

Questa analisi degli sviluppi storici (discussi in maggiore dettaglio nel paradigma 10 deve essere applicata alla situazione attuale. La transizione storica non può essere realizzata impossessandosi del potere politico – per via parlamentare o mediante azioni di piazza – bensì sviluppando un nuovo modo di produzione. Il criterio per essere “nuovi” si può derivare dalla negazione del vecchio modo di produzione. Invece di merci, produzione di beni comuni. Invece di scambi mediati dal denaro, libera distribuzione. Invece di lavoro, Selbstentfaltung. Invece di meccanismi di esclusione, potenziale inclusione di tutti. Si deve comunque essere attenti perché non tutti gli sviluppi del capitalismo devono essere aboliti. Piuttosto certi proseguiranno, anche se in forma trascesa.

La produzione paritaria su base comunitaria trascende il capitalismo ed anche il socialismo basato sulle merci.

Paradigma 9: Oltre la Politica

Poiché la produzione paritaria su base comunitaria riguarda principalmente un nuovo modo di produzione, è fondamentalmente un movimento apolitico. Qui la politica è intesa come rivolgersi allo stato e alle sue istituzioni per richiedere cambiamenti in una qualche direzione desiderata. Tali politiche sono basate su interessi che nel capitalismo sono generalmente contrapposti. Se una società è strutturata secondo schemi di inclusione/esclusione (v. paradigma 7) allora è necessario organizzare interessi comuni ma parziali al fine di conseguirli a spese degli interessi comuni parziali di altri. In questo senso i beni comuni sono oltre la politica, poiché fondamentalmente non operano nel regno degli interessi bensì in quello dei bisogni.

E’ importante distinguere tra bisogni e interessi. I bisogni devono essere organizzati sotto forma di interessi se la modalità normale di attuazione è l’esclusione degli interessi di altri. I beni comuni, d’altro canto, sono basati solo sulla varietà dei bisogni dei partecipanti, che operano come fonte di creatività. La mediazione di questi bisogni diversi fa parte del processo della produzione paritaria. Non è dunque necessario che i partecipanti organizzino ulteriormente i loro bisogni come interessi e cerchino di attuarli politicamente. Essi, invece, ottengono ciò direttamente.

Un aspetto che chiarisce questo è la questione delle gerarchie. Normalmente le gerarchie fanno parte della produzione capitalista delle merci. Perciò un tema comune della sinistra era il rifiuto di ogni gerarchia per evitare il dominio. Ciò ignora il fatto che le gerarchie in quanto tali non generano dominio, ma piuttosto la funzione che le gerarchie hanno in un determinato contesto. In un’impresa le gerarchie esprimono interessi diversi, ad esempio gli interessi dei lavoratori e quelli dell’amministrazione (v. paradigma 5). Tuttavia in un progetto di produzione paritaria una gerarchia può esprimere livelli diversi di competenza o responsabilità diverse, che sono condivise da coloro che accettano qualcuno in una posizione di guida. Essere un gestore non significa perseguire interessi diversi a spese dei membri del progetto. Un tale progetto non prospererebbe. Al contrario un gestore desidera fortemente integrare quanti più membri attivi e competenti possibile. Ciò non evita i conflitti, ma i conflitti sono risolti sulla base comune degli obiettivi del progetto.

La produzione paritaria su base comunitaria non richiede di articolare i bisogni delle persone sotto forma di interessi contrapposti e perciò è oltre la politica.

Paradigma 10: Forma germinale

Ultimo ma non di secondaria importanza, il paradigma più importante è la forma germinale, ovvero il modello a cinque stadi (Holzkamp, 1983). E’ un modello per comprendere l’esistenza concomitante di fenomeni di qualità diverse. Quando si discute della produzione partecipativa, il dibattito è spesso dominato da due gruppi: quelli che sono a favore della produzione paritaria e cercano di dimostrare che la produzione paritaria è anticapitalista e quelli che considerano la produzione paritaria solo una modernizzazione del capitalismo. La sfida sta nel vederla in entrambi i modi. Il modello della forma germinale realizza questo considerando l’emergere e lo svilupparsi della produzione partecipativa su base comunitaria come un processo che si sviluppa nel tempo secondo contraddizioni che gli sono proprie.

Normalmente l’applicazione del modello a cinque stadi è una procedura retrospettiva in cui il risultato dello sviluppo analizzato è ben noto. Presupponendo mentalmente il risultato di una transizione a una società libera basata sulla produzione paritaria su base comunitaria, l’emergere di questo risultato può essere ricostruito utilizzando il modello. Ecco uno schizzo molto alla buona dei cinque stadi applicati al caso della produzione paritaria:

1. Forma germinale: Appare una nuova funzione. In questo stadio la nuova funzione non deve essere interpretata come un germe o un seme ricco che racchiude tutte le proprietà dell’entità finale che deve limitarsi a crescere. Piuttosto in questa fase la forma germinale mostra solo i principi del nuovo, ma non è il nuovo in sé stessa. Così la produzione paritaria su base comunitaria non è il nuovo in sé, bensì l’aspetto qualitativamente nuovo che mostra è la mediazione orientata al bisogno tra pari (basata sulla Selbstentfaltung, vedere paradigma 5) . Nel corso di questo stadio ciò è visibile solo a livello locale.

2. Crisi: solo se l’intero vecchio sistema cade in una crisi la nuova forma germinale può lasciare la propria nicchia. Il modo capitalista di produzione e mediazione sociale attraverso le merci, i mercati, il capitale e lo stato ha portato l’umanità a una crisi profonda. E’ entrato in una fase di successivo disfacimento ed esaurimento di risorse sistemiche accumulate storicamente. Le ricorrenti crisi finanziarie rendono evidente questo a chiunque.

3. Funzione di svolta: la nuova funzione abbandona la sua condizione di forma germinale nella nicchia e acquista rilevanza per la riproduzione del vecchio sistema. L’ex forma germinale ha ora due facce. Da un lato può essere utilizzata nell’interesse del vecchio sistema e dall’altro la sua logica peculiare è, e rimane, incompatibile con la logica del vecchio sistema dominante. La produzione paritaria è utilizzabile a fini di contenimento dei costi e di creazione di nuovi ambienti per attività commerciali, ma si basa su uno sviluppo non mercificato nell’ambito delle proprie attività (v. paradigma 3). La cooptazione e l’assorbimento in cicli di normale produzione di merci sono possibili (De Angelis, 2007) e solo se la produzione paritaria è in grado di difendere i suoi principi peculiari di comunitarietà e le sue capacità di creare reti su tale terreno, sarà raggiunto lo stadio successivo. Il Software Libero, come esempio di produzione paritaria, è chiaramente a questo stadio.

4. Passaggio al predominio: La nuova funzione diviene prevalente. La vecchia funzione non scompare immediatamente, ma retrocede, come funzione precedentemente dominante, in segmenti marginali. La produzione paritaria su base comunitaria ha ora raggiunto una densità di rete a livello globale cosicché i collegamenti di input-output sono chiusi in circuiti autonomi. Una produzione privata separata con la successiva mediazione del mercato utilizzando il denaro non è più richiesta. La mediazione sociale basata sui bisogni organizza la produzione e la distribuzione. L’intero sistema ha ora modificato qualitativamente il proprio carattere.

5. Ristrutturazione: La direzione dello sviluppo, le strutture che ne costituiscono la spina dorsale e le logiche funzionali fondamentali sono cambiate. Questo processo abbraccia un numero sempre maggiore di campi sociali che si rifocalizzano in direzione del nuovo modo di mediazione sociale basato sui bisogni. Lo stato è spogliato, emergono nuove istituzioni, che non hanno più il carattere uniforme di Stato, ma sono strumenti dalla Selbstentfaltung collettiva (v. paradigma 5). Possono emergere nuove contraddizioni, può avviarsi un nuovo ciclo di sviluppo.

Questo è soltanto un modello epistemologico, non uno schema d’azione immediata. Il principale vantaggio è la possibilità di sottrarsi a infruttuosi dibattiti su “o questo o quello”. Consente di pensare all’emergere di un nuovo modo di produzione utile per il vecchio sistema mantenendone la funzione trascendente, come fenomeno concomitante, in direzione di una società libera.

Il modello della forma germinale adattato nel contesto Oekonux è una concettualizzazione dialettica della transizione storica.

Conclusione

Lungi dall’essere una teoria coerente della transizione storica verso una società libera, riteniamo che questi paradigmi descrivano abbastanza bene il lavoro teorico di Oekonux perché non rientrano in nessuno degli approcci tradizionali. Ci potrebbe essere qualche accordo con uno o l’altro approccio, e la maggior parte dei partecipanti al progetto Oekonux non saranno d’accordo con tutti i paradigmi descritti, ma nessun singolo approccio è in grado di rispondere a tutte le sfide in una sola volta in modo coerente.

Questo non è casuale. Da una parte, la formazione di una nuova società non può essere interamente compresa nei termini di una società già pienamente sviluppata la cui storia è in corso di realizzazione. Dall’altra parte, ci sono aspetti generali che continuano a esistere in tutte le società, ma che subiscono una riconfigurazione. Altri aspetti si dissolvono completamente. Ed, infine, alcuni aspetti sono influenzati in un modo che difficilmente avranno qualcosa in comune con la loro origine. Queste tre forme di transizione – la conservazione, la dissoluzione e l’influenza – descrivono il significato di ciò che G.W.F. Hegel chiama abrogazione (Aufhebung). Con i dieci paradigmi di transizione sociale presentati in questo testo cerchiamo di soddisfare tale requisito.

Ringraziamenti

Un grazie speciale a Stefan Merten e Mathieu O’Neil per l’aiuto nella revisione. Tomislav Knaffl ha offerto suggerimenti utili.

Bibliografia

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De Angelis, M. (2007), The Beginning of History. Value Struggles and Global Capital, [L’inizio della storia. Lotte per i valori e capitale globale] London: Pluto Press.

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Goldhaber, M.H. (1997), The Attention Economy and the Net,[L’economia dell’attenzione e la rete] in: First Monday, Vol. 2, No. 4, URL: http://www.firstmonday.org/htbin/cgiwrap/bin/ojs/index.php/fm/article/view/519/440 (10-10-2011)

Holzkamp, K. (1983), Grundlegung der Psychologie, [I fondamenti della psicologia] Frankfurt/Main, New York: Campus.

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Meretz, S. (2012), The Structural Communality of the Commons, [La comunitarietà strutturale dei beni comunitari] In: Bollier, D. et al. (2012), Self-Sustaining Abundance [Abbondanza autosostenuta] , in corso di pubblicazione.

Merten, S. (1999), Willkommen bei ‘oekonux’, [Benvenuti a Oekonux] URL: http://www.oekonux.de/liste/archive/msg00000.html (10-10-2011)

Merten, S. (2011), Leftist and other capitalist ideologies and peer production [La sinistra e altre ideologie capitaliste e la produzione paritarie] , URL: http://www.oekonux.org/list-en/archive/msg06135.html (10-10-2011)

Merten, S., Richardson, J. (2001), Free Software & GPL Society [. Stefan Merten of Oekonux interviewed by Joanne Richardson [La società del software libero e delle licenze pubbliche generali (GPL) – Stefan Merten intervistato da Joanne Richardson] , URL: http://subsol.c3.hu/subsol_2/contributors0/mertentext.html (10-10-2011)

Nuss, S., Heinrich, M. (2002), Freie Software und Kapitalismus, [Software libero e capitalismo] in: Streifzüge 1/2002, URL: http://www.streifzuege.org/2002/freie-software-und-kapitalismus (10-10-2011)

Ostrom, E. (1990), Governing the Commons. The Evolution of Institutions for Collective Action [L’amministrazione dei beni comunitari. L’evoluzione delle istituzioni per l’azione collettiva] , Cambridge: Cambridge University Press.

Da Socialforge – Un laboratorio di creazione sociale

http://www.socialforge.org

Fonte: http://keimform.de/2011/peer-production-and-societal-transformation

Originale: Keimform.de

Traduzione di Giuseppe Volpe

© 2012 Socialforge – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

Il Paradigma dell’Open Source Ecology

di Marcin Jakubowski, Ph.D., 24 dicembre 2011

parte del regalo di Natale della OSE per il mondo del 2011

Introduzione

L’Ecologia Open Source è un Paradigma, è l’idea che l’economia open source è una via per la prosperità umana in armonia con i sistemi naturali di supporto vitale.

Ecologia Open Source (OSE) è un movimento per creare l’economia open source (OSE). Il movimento è composto da centinaia di imprenditori, produttori, ingegneri, responsabili e sostenitori in tutto il mondo – che credono nel potere della apertura e della trasparenza- che condividono l’ apertura etica. ecologia nel nome si riferisce alla interazione con gli ecosistemi naturali e umani – l’impatto ambientale, i sistemi sociali e tecnologici – come essi interagiscono insieme secondo il principio di aperto (OPEN). Leggere una descrizione del concetto OSE come è stato formulato inizialmente nel 2003 (vedi appendice sotto). Da allora, il concetto si è evoluto in una piattaforma per la creazione di imprese distribuite, di economie decentralizzate e diffuse, come una solida base per una sana economia – una terza opzione economica oltre il capitalismo o socialismo. Il paradigma economia distributiva ruota attorno alla produzione resa efficiente grazie alla pratica di “accesso aperto” (open source) come un mezzo per trascendere la scarsità artificiale di materiali e risorse. Il paradigma utilizza strumenti ad accesso aperto (open source) e le tecniche per la produzione di civiltà avanzata – scatenando la potenza dell’uso responsabile della tecnologia.

Il principale progetto in corso di OSE è il Global Village Construction Set – una serie di 50 macchine industriali che permettono la creazione di una civiltà su piccola scala con i comfort moderni.

Missione di OSE

La missione di Ecologia Open Source è quello di creare un’economia open source – un’economia in grado di ottimizzare la produzione e la distribuzione, fornendo al contempo la rigenerazione ambientale e giustizia sociale .

Panoramica del paradigma OSE

La spina dorsale di Ecologia Open Source è un accesso aperto alle informazioni economicamente significativo – progetti di prodotti, tecniche, materiali didattici e rapido per raggiungere questo obiettivo. Sviluppo collaborativo, 24 / 7 in tutto il mondo, porta a modelli migliori pratiche – accessibile pubblicamente su Internet. Quando la produttività economica è scatenata come tale, vi è un effetto diretto sul benessere della comunità. Come risultato di abbassare le barriere all’ingresso, ogni comunità può aumentare la gamma di prodotti e servizi che essa può fornire. Collaborazione globale in prodotti aperti e progettazione di processo porta alla best practice di essere comunemente disponibili. Questo si oppone al paradigma dominante di oggi – in cui alcune aziende che hanno i prodotti migliori o controllo monopolistico, e per definizione, il resto è mediocre. Aprire lo sviluppo economico ha il potenziale per aumentare la barra sulla qualità dei prodotti per l’economia produttiva – in contrasto con l’applicazione della mediocrità attraverso protezionismo e del monopolio.

Tutta la ricchezza viene dalla natura – rocce, piante, sole e acqua. Questi si trovano ubiquitariamente. Eppure, la presenza di risorse strategiche risultati nei conflitti sulla loro appropriazione. “Ehi, questo è il mio olio sotto la terra.” Tecnologia open source potrà risolvere questo problema – via Principi di sostituibilità. Ci sono molte vie per la produzione di qualsiasi prodotto o servizio di rilevanza economica. Resilienza delle comunità dipende da una varietà di opzioni. Il libero accesso alla tecnologia diventa banale, ogni comunità può aumentare il suo livello di produttività e delle tecnologie appropriate – al punto che può sostituire qualsiasi materiale strategico con opzioni locali – senza alcuna riduzione del tenore di vita – oltre a contribuire positivamente alla pace globale.

Trasparenza del rapporto tra tecnologia e natura significa che le persone cominciano a rispettare la natura. Questo accade quando le persone cominciano a rispettare il loro benessere viene dalla natura. Questa trasparenza è facilitata quando le attività economicamente produttiva avvenire il più vicino alla comunità il più possibile – non lontano dagli occhi, lontano dal cuore in località remote. Questo è vero responsabilità ambientale – come si tende a non distruggere il proprio ambiente. Quindi, c’è una connessione diretta tra la trasparenza della produzione alla rigenerazione naturale – come le persone cominciano a fare delle scelte di produzione del suono più – attraverso la comprensione della connessione della produzione con la terra. Ciò significa che l’industria non deve più avvenire sotto forma di terre desolate tossici – ma invece – l’eco-industria, a misura d’uomo – soddisfare le esigenze delle persone, non le industrie centralizzata in competizione per il dominio del mondo.

Così, la tecnologia e l’alfabetizzazione tecnologica sono un modo per riconnettersi con la natura – non per distruggerla.

Quanto sopra dipende aumentando la densità di know-how e tecnologia in ogni comunità – che deriva dal paradigma aperta – informazione aperta, comunicazione aperta, tutto aperto. Il limite di densità ottimale di know-how produttivo è il punto che ogni comunità è in grado di produrre l’intera gamma di risorse essenziali necessari per esistere, crescere e prosperare. Questo non vuol dire che il commercio non dovrebbe accadere – ma per la stabilità della comunità – il commercio dovrebbe essere evitato in prodotti essenziali che la comunità ha bisogno. Per quanto una comunità vorrebbe altrimenti – quando sono immessi in una condizione di scarsità – la razionalità va fuori dalla finestra e la gente inizia ad uccidersi a vicenda.

Per la prima volta nella storia – abbiamo la possibilità di fare altrimenti. Unleashed accesso alle informazioni e la tecnologia – come è avvalsa per l’età del computer – significa che eventuali conflitti connessi alla carenza di materiale può diventare un ricordo del passato. Questo include conflitti di risorse, la povertà, la sovrappopolazione, e anche la burocrazia – come burocrazia non è molto più di un meccanismo di gestione delle risorse scarse. Inoltre, i costi di regolamentazione sono ridotti al minimo attraverso la trasparenza tecnologica – come un popolo tecnologicamente alfabetizzati del mondo open source diventa sempre più responsabile delle sue azioni.

Questo non è un caso di conflitto tra ricchi e poveri, la città o il paese, i mondi prima o terza – è un caso in cui il libero accesso alle informazioni aiuta tutti. Come barriere all’entrata sono abbassati, sconvolgimento sociale è ridotta al minimo. Poiché la produzione rimane alta – e aumenta a causa della eliminazione dei rifiuti competitivo – prosperità non possono che aumentare.

Si tratta di un cambiamento di paradigma. Che è il cuore di Ecologia Open Source.

Questo non riguarda in continua evoluzione come esseri umani – al progresso culturale e scientifico – o saggezza che ci impedisce di tornare alla pazzia. Ecologia Open Source stabilisce solo un punto di partenza e fondamento – da cui evoluzione diventa possibile.

Aperto (OPEN)

Sosteniamo il tutto aperto . Vedere le nozioni di aperto presso la – Fondazione Shuttleworth

Economia ed Ecologia

Enterprise distributiva Open Enterprise – La caratteristica distintiva di questo paradigma è un focus sulle imprese distributive – pubblicazione aperta del design dei prodotti, non solo, ma anche di modelli di open enterprise in modo che altri possano replicare le best practices. C’è un rapporto diretto tra design aperto e abbassamento delle barriere all’ingresso. Imprese produttive costituisce la spina dorsale per le infrastrutture comunità ‘e la loro prosperità. Accesso aperto alle alte densità senza precedenti di informazioni produttivo significa prosperità economica – e vince tutti.

L’economia open source è un sistema economico caratterizzato da un accesso aperto a progetti best-practice e tecniche per la produzione di prodotti economicamente significative e servizi. Una caratteristica dell’economia del settore open source è 2.0 – o diffusi, produzione flessibile – dove l’accesso ad una down-caricabile repository del progetto open source alimenta locali, strutture polivalenti fabbricazione digitale. Queste strutture – o microfabbriche potenti – in grado di produrre qualsiasi cosa che una comunità avranno bisogno – alimentari locali, l’energia, gli alloggi, o le automobili. Questo è distinto da impianti di produzione centralizzata che esistono oggi.

Un’economia open source produce disegni di collaborazione a livello globale, con i cicli di sviluppo 24 / 7 in tutto il mondo. Quando un numero sufficiente di soggetti interessati partecipare a un processo di sviluppo, è una questione di tempo prima che il ciclo di sviluppo produce i migliori progetti – e questi progetti si evolvono continuamente.

Integrato ad una Open Economy o Economia Aperta favorisce un rapido apprendimento (IP aperto) e bassa capitalizzazione (prodotti open source) – vale a dire, ridurre le barriere all’ingresso.. Ridurre gli ostacoli all’entrata indicare che un singolo agente economico può avere una gamma più ampia di produttività, quindi più resistenza da shock economici. Nel limite della estrema diversità da parte dei produttori, ogni comunità può raggiungere un’economia completo. Se l’evoluzione del prodotto comporta tecniche avanzate per la sostituzione dei materiali, ogni comunità può raggiungere una completa economia basata sulle risorse locali . Questa è la soluzione ai conflitti di risorse. Questa è la stabilità di fronte a sconvolgimenti economici globali.

La fine della scarsità artificiale di materiale – la scarsità di materiale artificiale può essere definita come la condizione in cui – in abbondanza assoluta delle risorse – cioè rocce, piante, acqua e luce del sole – la distribuzione per l’uomo è drasticamente irregolare. Riduzione delle barriere all’ingresso aiuta a distribuire la produzione più ampia. Ottimizzazione del prodotto, dallo sviluppo aperto include l’ottimizzazione per l’una tantum del consumo. Design vita (vale a dire, minori costi di manutenzione), combinato con alta produttività e basse barriere all’ingresso – indica che l’abbondanza materiale può essere la condizione generale umana. Questa è una soluzione alla povertà.

La trasparenza nell’uso delle risorse e feedback – Apprendimento rapido per l’economia open source aiuta le persone a guadagnare calcolo e di alfabetizzazione tecnologica. Alfabetizzazione tecnologica promuove la comprensione della produzione – e, in particolare, il rapporto tra risorse naturali e popolazione umana. L’utilizzo delle risorse locali favorisce un alto livello di cicli di feedback risorsa – come lo stato dell’ambiente locale è facilmente osservabile. Tale trasparenza nell’uso delle risorse è la soluzione alla sovrappopolazione in una razionale (materialmente abbondanti) della società.

Riduzione dei costi

Attraverso l’eliminazione dei rifiuti competitivo, il costo di acquisto o di realizzazione di prodotti open source si riduce notevolmente.

Competitività con Globalizzazione – Quando le barriere di accesso IP vengono eliminati per l’economia open source, il costo di produzione è ridotto a capitalizzazione produzione e del lavoro. Il costo di produzione di capitalizzazione, sotto l’ipotesi di fabbricazione assistita da automazione flessibile – va a zero nello scenario della comunità supportato produzione (si pensi Open Lab Fab Fonte in ogni comunità). In un’economia aperta di etica DIY e capacità locali e trasparenza – il costo del lavoro scende – come l’utente può anche imparare ad essere il produttore. Nel limite di etica DIY, questo costo, definito come costo del lavoro esterno – va a zero – e viene sostituito dal proprio tempo. Inoltre, nel limite della vita-progettazione dei prodotti, il tempo necessario per la produzione è ridotta al minimo, la produzione deve avvenire solo una volta. Così, la competitività con la globalizzazione si ottiene da barriere di accesso zero e abilità locali, e locale, capitale sociale – un diverso paradigma.

Ecologia

Eliminazione della frattura Natura-Tecnologia – La Tecnologia davvero non è in contrasto con la natura. Abbiamo una scelta di produrre tecnologia in un modo ecologicamente corretto. Per quasi tutti i processi dannosi e inquinanti industriali, un’alternativa pulita può essere trovato. Biomimicry ci mostra la via per fare questo in molti casi. Inoltre, la tecnologia veramente suono dovrebbe portarci più vicini alla natura – cioè, se ci rendiamo conto che la natura fornisce tutte le ricchezze materiali, siamo inclini a prendersi cura della natura. Questo è un caso per educare i generici – non tecnologi o ambientalisti – le persone che capiscono la tecnologia profondamente al punto che rispettano la natura – e le persone che conoscono l’ambiente profondamente al punto che essi hanno la tecnologia rispetto. Alfabetizzazione tecnologica è facilitato dalla introduzione di una vera educazione tecnica, in contrapposizione alle forze di marketing standard del settore.

Ecologia dello sviluppo prodotto – Nel mainstream, il designer non è il disegnatore, il relatore non è l’ingegnere, l’ingegnere non è il costruttore, il costruttore non è l’utente, e l’utente non è il riparatore. Mentre si è propagandato come l’apice di specializzazione, questa introduce una mancanza di responsabilità tra tutti questi passaggi, e product design, pertanto, inferiore se considerato dai fattori umani ergonomico, il servizio prodotto, le questioni ambientali, o problemi di distribuzione della ricchezza. Progetto open source affronta questo, in quanto è la progettazione da parte del popolo, per la gente – ed è infinitamente personalizzabile.

Rigenerazione ambientale – C’è un legame diretto tra la tecnologia open source e l’integrità ambientale. Tecnologia aperta implica tecnologia ottimale – e una parte di ottimizzazione è l’ottimizzazione per il rispetto dell’ambiente. Così, il trend di degrado ambientale può essere invertito per la rigenerazione.

 Appendice – Sito Legacy per OSE

Questo è il sito eredità di Ecologia Open Source a partire dal 2005. Archiviato il 10 febbraio 2005, vedere Missione a http://web.archive.org/web/20050210084651/http://sourceopen.org/

La nostra missione

da Marcin Jakubowski , 11.30.03

  • Che cosa è l’Open Source?

Open Source si riferisce al modello di fornitura di beni e servizi che include la possibilità di partecipazione per l’utente finale nella produzione di questi beni e servizi. Questo concetto è già stato dimostrato in Linux, il sistema open source di calcolo. Con Linux, un gran numero di sviluppatori di software hanno contribuito a creare una valida alternativa al sistema operativo proprietario del computer Windows. Molte persone possono facilmente vedere i vantaggi, tutto il software Linux è gratuito. Si prega di leggere questi articoli sul concetto di software Open Source e le sue implicazioni per il cambiamento di business .

  •  Che cosa è Economia Open Source?

La nostra missione è quella di estendere il modello Open Source a disposizione tutti i beni e servizi-Open Economia Source. Questo significa aprire l’accesso alle informazioni e la tecnologia che consente un diverso sistema economico da realizzare, uno basato sull’integrazione di ecologia naturale, l’ecologia sociale, e l’ecologia industriale. Questo sistema economico è basato su Open Access, sulla base di informazioni largamente accessibili e di accesso associato ad produttivo capitale distribuiti nelle mani di un numero maggiore di persone. Leggi un esempio ispiratore di tale modello economico attualmente in fase di messa in pratica rispetto alla produzione di veicoli . Noi crediamo che un altamente distribuita, modello sempre più partecipativo di produzione è il cuore di una società democratica, in cui ha sede la stabilità naturalmente dal saldo delle attività umane con estrazione sostenibile delle risorse naturali. Questo è l’opposto del mainstream attuale delle economie centralizzate, che hanno una strutturalmente incorporato tendenza di sovrapproduzione.

  •  Che cosa è l’ecologia Open Source?

Deriviamo il nome della nostra organizzazione da un concetto che si riferisce all’integrazione del patrimonio naturale, sociale e industriale ecologie-Open Source Ecology-obiettivo di economia sostenibile e rigenerativa. Siamo convinti che la possibilità di una vita di qualità esiste, dove i bisogni umani sono garantiti per il mondo intero popolazione fino a quando ci poniamo domande di base su quali strutture sociali e le attività produttive sono veramente adeguate per soddisfare i bisogni umani per tutti. Alla fine della giornata, l’obiettivo è quello di liberare il nostro tempo di impegnarsi in esattamente ciò che ciascuno di noi vuole fare, invece di quello che dobbiamo fare per sopravvivere. Tutti hanno il potenziale per prosperare. Oggi, una percentuale sempre più piccola della popolazione mondiale si trova in questa posizione.

Fonte: http://opensourceecology.org/wiki/Open_Source_Ecology_Paradigm

M-banking

 

Quando feci il post sull’ M2M (che ha avuto un seguito che non mi aspettavo) e’ nata una discussione sulla possibilita’ degli operatori mobili di fare il lavoro delle banche. Tali tecnologie esistono, anche se non in Italia, e vorrei citare un esempio (non per fare pubblicita’, e’ solo l’unico che mi e’ noto perche’ usa sistemi che contribuisco a far funzionare) , che non solo ha avuto “un certo successo” ma costituisce materia di studio accademica nel mondo finance.

 

Tutto nasce quanto un operatore telefonico europeo , Vodafone,  decide di creare un servizio di m-banking ed m-finance usando il proprio affiliato in Kenya, SafariCom. Il servizio si chiama m-Pesa, dal nome che i soldi hanno in swahili (mi dicono, ma non ne sono certo. Chi parla lo swahili e’ pregato di confermare o smentire. Sarannno migliaia, su questo blog. Chi non conosce lo swahili, oggigiorno?).

 

 

Inizialmente il servizio e’ nato per agire al posto dei “money transfer”: il vantaggio di questo servizio e’ che l’immigrato in Europa puo’ mandare soldi usando la ricarica della propria SIM , che puo’ farlo ad ogni ora e con un costo basso (i normali money transfer si prendono anche l’ 8%) , e che dall’altro lato l’ “agente” non ha bisogno di un ufficio con una connessione di rete ad un mainframe , ma gli basta uno smartphone per controllare la transazione e fornire le piccole transazioni di denaro.

 

 

Insomma, il nostro immigrato manda 50 sacchi oggi, 50 sacchi domani, e cosi’ via. Dall’altro capo, fare l’agente e’ molto semplice, piu’ che fondare una filiale bancaria o aprire un money transfer: basta registrarsi , dare la propria posizione e avere uno smartphone.

 

 

Il servizio nacque per il Kenya, poi si diffuse in Tanzania, oggi sta aprendo in Afghanistan e ci sono gli studi di capacita’ per l’ India.

 

 

Di per se’ sembrava che il servizio dovesse essere semplicemente un sistema innovativo di money transfer Machine to Machine . Cosi’ era disegnato e cosi’ e’ stato: o meglio, cosi’ e’ stato dal punto di vista europeo , nel senso che la rete europea ha visto partire semplicemente un tot di soldi, come previsto.

 

 

La cosa imprevista e’ stata l’effetto che il sistema ha avuto sulle zone rurali: [hanno iniziato a nascere i case Study].

 

 

 

 

 

Cosa e’ successo? Perche’ un simile impatto? E’ successo che in questi paesi le carte di credito erano poco diffuse perche’ non e’ mai stato posato il cavo necessario a farle funzionare.

 

 

Il vero problema non e’ stato che la transazione economica sia possibile anche nelle zone rurali dove il money transfer non funziona. Il problema e’ stato che ad un certo punto ha iniziato a sostituire il sistema bancario nazionale per tutte le zone extraurbane, e ha iniziato a dilagare nelle nazioni circostanti.

 

 

La fantasia africana ha fatto il resto: esistono agenti che voi chiamate e vi raggiungono col motorino, esistono negozi che si fanno pagare in m-Pesa, e l’impatto sull’economia e’ stato cosi’ devastante che sta trasformando le societa’ locali trasformando l’economia.

 

 

C’e’ davvero troppo da dire sugli effetti che questo sistema ha sulla popolazione: c’e’ da dire che in Africa il microcommercio persona-a-persona e’ diffusissimo, significa che la gente va in piazza a comprare e vendere direttamente dalle persone che conosce, (1) e questo ha moltiplicato a dismisura il numero di agenti.

 

 

Attorno ad m-pesa e’ nato poi tutto un universo di applicazioni puramente africane, come mpesapal, l’equivalente di paypal, e i negozi anche nelle zone rurali stanno iniziando ad accettare quasi esclusivamente mpesa. (questo e’ dovuto anche al tasso di criminalita’, BTW).

 

 

Ora, la cosa e’ paradossale per coloro che predicano il microcredito, il microcommercio e il microfinance come alternative alle “malvagie multinazionali”, dal momento che e’ stata proprio una “malvagia multinazionale” del mondo telco ad inventare l’unico modello funzionante capace di avere un REALE impatto sulla macroeconomia nazionale. Intendo dire (se leggete i paper lo vedrete) che le economie di quei paesi stanno DAVVERO crescendo per via di m-Pesa.  Esiste addirittura una categoria di persone dette “m-pesa techenterprenuers” .

 

 

Evidentemente, qualcuno degli ideologi del microcredito e della microfinanza e del “baratto” dovra’ farsi una ragione del fatto che le l’economia che sognano (oddio, in alcuni paesi africani e’ gia’ realta’ da anni) si realizza tramite alcune malvagie multinazionali , dette telco.

 

 

Non voglio dirvi che genere di impatto questo ha avuto sui datacenter, che erano dimensionati per numeri piu’ piccoli e si stanno trovando a gestire il 60% delle transazioni “bancarie” di quattro o cinque nazioni. Certo, sono nazioni che hanno il PIL di una provincia del nord italia, ma se leggete le cifre vi accorgerete che non si scherza.

 

 

Se considerate che si stanno facendo calcoli di capacita’ per mandarlo online in India (posso dirlo qui, e’ un fatto pubblico) , capite subito che presto ci saranno ANCHE i numeri grandi. MOLTO grandi.

 

 

Qual’e’ il vantaggio di questo sistema: lo avrete capito. L’intermediario e’ invisibile. Ovviamente c’e’ un intermediario, ma non ha una faccia. Non dovete andare ad uno sportello, tenere aperto un conto, avere rapporti con un ente invasivo come una banca. No, avete semplicemente il vostro cellulare, ed ogni tanto vi arriva un SMS(2) cosi’:

 

 

Graphic: Christine Daniloff , ®MIT Press.

 

 

 

Ho scelto questa foto perche’ e’ esemplificativa del fatto che basti un cellulare “legacy”, cioe’ una roba che supporta appena il GSM , per far funzionare il servizio. In pratica, con un cellulare e una SIM avete anche il conto corrente in banca, un sistema di pagamento peer-to-peer , UNA CARTA DI CREDITO. Ad un costo bassissimo, cosi’ basso che e’ possibile fare decine di trasferimenti al giorno avendo le spese che un tempo i migranti avevano per inviare una sola tranche di soldi alla famiglia.

 

 

 

Adesso andiamo al punto: voi mi avete detto tempo fa che i  pagamenti via cellulare sono “inevitabili ” e che arriveranno presto. Ora, a prescindere dal fatto che sono gia’ “arrivati” e sono una realta’, la mia domanda e’:

 

 

questa roba ha letteralmente cancellato e sostituito il sistema del credito in quattro paesi africani. Le banche ormai si occupano solo dei pochi ricchi del luogo. I bamcomat sono scomparsi, sostituiti da questi “agenti” che sfrecciano in scooter con lo smartphone e un fascetto di banconote in tasca, capaci di prendere contanti e metterli sul vostro conto oppure di cambiare l’ m-Pesa in contanti (se ancora trovate qualcuno che non li accetti e vuole il cash). Per legge, in questi paesi si e’ deciso che qualsiasi altro sistema analogo debba essere interoperabile, temendo gli impatti sul PIL di una frammentazione del mercato.

 

 

Allora, signori, siamo onesti:

 

 

pensate davvero che le banche europee ed americane accetteranno di essere cancellate da simili sistemi? Certo lo saranno prima o poi, ma davvero pensate che non combatteranno una lunga ed estenuante guerra per fermare questo genere di cose?

 

Andate sui siti del MIT dove si stimano i cash flow di questa roba, e confrontateli col PIL di queste nazioni. Sono arrivati a gestire il 38% del PIL nazionale. Che non e’ enorme, ma ci sono milioni e milioni di persone che dipendono da questa tecnologia. Questi milioni di persone -di solito poveri- non avrebbero mai avuto accesso ad un conto corrente.

 

 

m-Pesa non e’ un vero conto corrente, nel senso che non paga interessi e non consente lo scoperto. Del resto, ha spese bassissime per le operazioni e non necessita di particolari rapporti con uno sportello. Si comporta piu’ come una carta di credito prepagata,  devo dire.

 

 

In ogni caso, tant’e’: poniamoci una domanda. Le banche italiane ed europee secondo voi si lascierebbero sfuggire il 38% delle transazioni economiche?

 

 

Guardate il caso di Amazon: non appena e’ arrivata in Italia, la corporazione dei librai ha fatto approvare una legge che vieta grandi sconti sui prezzi di copertina. Con un rischio simile , secondo voi lascieranno passare un sistema del genere? Le banche SANNO che cosa sta succedendo in quei paesi, ricordate? I giornali italiani NON ne parlano, ma le banche SANNO. Sanno benissimo che non sopravviverebbero, almeno non nella forma attuale.

 

 

Cosi’, non sono ottimista a riguardo, quanto lo siete voi. Sono ottimista perche’ ho sempre pensato che la soluzione ai problemi di fame sia lo sviluppo, e non merda come la “decrescita”, e credo che lo sviluppo tecnologico possa dare risposte importanti, e non solo l’ oroscopo erotico via MMS.

 

 

Ci sono pero’ due domande interessanti che lascio a voi:

 

 

  1. Essere i paesi “finanziariamente piu’ avanzati” sembra essere uno svantaggio. Queste nuove tecnologie, dalla potenzialita’ immensa, si diffondono in paesi dove non ci sono vecchi sistemi finanziari a frenarne lo sviluppo per difendere il proprio business.
  2. In Europa l’ m-commerce e’ all’inizio, l’ m-finance e’ vietato dalle norme vigenti, almeno in Italia dove le banche sono banche e le telco sono telco. Ci scambiamo sms dicendo TVTB e roba tipo le minchiate di Facebook e Twitter. Loro ci stanno basando un intero ecosistema economico. Siamo davvero NOI le economie avanzate, o siamo solo quelle ricche?

 

In queste due domande e’ contenuto l’intero futuro dell’ “occidente progredito”:

 

Se consentiamo alle nostre banche ed all’economia esistente di frenare lo sviluppo tecnologico per mantenere lo status quo, presto ci troveremo ad avere a che fare con economie tecnologicamente piu’ avanzate della nostra.

 

Personalmente, anche se faccio solo un piccolo tassello di questa roba (attualmente, il trasporto SMS), mi sento orgoglioso di quel che faccio. Ci sono persone che quest’anno NON moriranno di fame grazie a questo sistema, e che sarebbero morte senza. A milioni. E si, questo flusso , sul piano “etico”, vale piu’ di tutti i merdosi SMS politici che passano per via di twitter e facebook. Tanti farlocchi invece di parlare del potenziale che la rete ha nel caso delle “primavere arabe” (unica roba che i mass media hanno lasciato arrivare alle loro orecchie), dovrebbe guardare a questa roba, perche’ qui si sfamano persone.

 

 

Dal punto di vista di una banca italiana, invece, suppongo di essere un criminale, un abietto pervertito, un pericolo mortale. I nazisti mi odieranno perche’ sto lavorando per la finanza negroide contro quella ariana. I comunisti mi odieranno perche’ questa roba dovevano farla i proletari uniti e le onlus e invece la sta facendo una malvagya multynazyonale.

 

 

Come scrivo spesso in “Pietre” (lo sto ultimando in questi giorni), “Naamah e’ usa chiamare gli ultimi a se'”.
E se lo dice Naamah, chi sono io per contraddirla? 😉

 

 

Uriel

 

 

 

 

(1) Una cosa buffa dei paesi africani e’ chesono diffusissimi i sistemi che tengono online la lista dei contatti. Il motivo e’ che sembra che l’africano medio superi il numero di contatti in rubrica che le SIM e anche gli smartphones supportano.  A quanto pare un africano medio ha gli stessi contatti di un PR occidentale.

 

I buoni sono buoni

di Franco Berardi Bifo – 16.12.2011 ( da Through Europe)

Il discorso sulla democrazia è concluso. Capitalismo finanziario e democrazia sono incompatibili. La democrazia è stata cancellata e qualsiasi scelta politica che si fondi sulla presupposizione dell’esistenza della democrazia va considerata da questo momento in avanti come collaborazione con la dittatura finanziaria. Viviamo ed agiamo nella sfera di una dittatura feroce, seppure impersonale, anzi tanto più feroce in quanto impersonale. L’azione deve quindi assumere il carattere dell’esodo, dell’abbandono dello spazio dominato dalla dittatura, e dell’appropriazione. Per questo l’occupazione è la forma generale dell’azione. Occupare significa al tempo stesso: compiere un gesto simbolico di denuncia, mettere in moto un processo di riattivazione della solidarietà e riappropriarsi di qualcosa che è necessario per la sopravvivenza.
Ma l’appropriazione deve diventare il paradigma della prossima fase di espansione del movimento, manifestazione specifica dell’insolvenza. Insolvenza significa costruzione delle strutture della sopravvivenza (ristoranti popolari, case collettive, strutture di autoformazione) che ci permetteranno di sottrarci al debito materiale della miseria e al debito simbolico della solitudine, insomma ci permetteranno di cominciare a vivere.
Insolvenza significa anche rifiuto di pagare il debito simbolico che fa del capitale l’orizzonte insuperabile dell’azione sociale: rifiuto di subire e riconoscersi nella semiotizzazione finanziaria del mondo, sperimentazione di altre semiotiche, altre forme di organizzazione del territorio, della produzione, della vita quotidiana.
In particolare dobbiamo sviluppare quelle forme di azione, che già hanno cominciato a manifestarsi, che puntano a disarticolare lo strumento monetario, anello centrale della catena dello schiavismo contemporaneo. Occorre sperimentare forme di scambio indipendente dal dominio monetario. Continua a leggere

Crowdfunding. Microfinanziandoci.

di Virginia Negro (https://pucherourbano.wordpress.com), 15 dicembre 2011

goteo

Abbiamo parlato del crowdsourcing, un nuovo modo di creare/ perfezionare un prodotto collettivamente.

Il crowdfunding si basa sullo stesso paradigma, questa volta però il banco chiama e in comune si mette il denaro, si investe cioè collettivamente in un progetto proposto da un singolo, o da una collettività, il cui fine può andare dalla ricerca scientifica al sostegno dell’arte, al giornalismo partecipativo.

Insomma il capitale è là fuori, tra parenti, amici, amici di amici, nel tam tam di face book, l’importante è saperci fare.  Chi meglio di un  italiano poteva elaborare l’equazione amici=capitale e inventarsi un luogo dove far incontrare donatori e progetti?

L’ informatico Alberto Falossi crea Kapipal, mette in valigia capital & pals e rima collaborazione con soluzione.  Qualcuno ci ha creduto, e pare che funzioni: Obama ha finanziato parte della sua campagna elettorale proprio con donazioni dei suoi elettori, il Louvre ha lanciato l’iniziativa Tous mecenes (tutti mecenati) per riuscire a comprare Le tre grazie di Carnach da un collezionista.

Complichiamo l’algoritmo, al neo-concetto di Kapipal aggiungiamo quello di pro comun (pro=provecho y comun=comune) eil capitale di rischio si trasforma in capitale di irrigazione (il gioco di parole in spagnolo è intraducibile : capital riesgo si trasforma in capital riego), il crowdfunding e il crowdsourcing si ibridano in un contenitore comune plasmato sia sul concetto di finanziamento collettivo che su quello di distribuzione collaborativa del lavoro. Perché l’algoritmo sia efficiente la piattaforma dovrà (far)investire in progetti che abbiano un ritorno collettivo, che generino cultura, innovazione, educazione dando nuova linfa alle risorse comuni. Perché l’algoritmo sia coerente anche la rete stessa dovrà essere “comune”, suscettibile di libero accesso e di ri-appropriazione da parte di qualunque xutente, in poche parole il codice deve essere aperto.  Questa libertà ricorsiva è garantita dalla licenza Creative commons che permette la condivisione di informazioni, conoscenze, processi e risultati. Contenuti digitali che si trasformano grazie all’uso dell’utente.

Il risultato è Goteo, un progetto aperto già nel suo Dna, di paternità attribuibile al collettivo Platoniq, che già si definisce come rete sociale di finanzi azione collettiva e collaborazione distributiva.

Goteo  rappresenta l’alternativa ( o il complemento) di finanzi azione dell’amministrazione pubblica e delle imprese private. La natura del sistema calza con le necessità del nuovo movimento sociale spagnolo nato e cresciuto positivo al virus del bene pubblico libero, che sia fisico, sovrasensibile o digitale.

Fin qui l’operazione sembra perfettamente riuscita, anche i risultati positivi e la realizzazione dei progetti sembrano confermare l’esattezza delle operazioni, la querelle sta però nella definizione stessa del progetto come l’alternativa ( o il complemento) di finanzi azione : forse un coefficiente da aggiungere ai nostri calcoli è la capacità di non dimenticare che il pubblico è un nostro diritto, e che dobbiamo non solo preservarlo e  seminarlo, prendendo coscienza della produttività del nostro essere cittadini ma anche continuare ad esigerlo goccia dopo goccia.

Solo per dare l’idea, tra gli ultimi progetti c’è Bookcamping: un archivio virtuale di libri online completamente gratuiti.

Spiegato dalla blogger Silvia Nanclares, da cui è partita l’idea.

Tu derecho a saber (clicca qui per vedere la video-presentazione del progetto), sarà una pgina web da cui poter richiedere informazioni su qualunque istituzione pubblica.

Virginia Negro

L’esperimento di Worgl

I certificati di lavoro di Worgl

Di questo esperimento abbiamo una testimonianza scritta di Fritz Schwartz. Nel 1932, la ridente cittadina tirolese, Worgl, con 4000 abitanti – questo è quanto racconta Fritz Schwartz – si trovò a subire una pesante deflazione, dovuta alla stretta creditizia varata dalla Banca Nazionale Austriaca; dai 1.100 milioni di scellini, si passo a 900 milioni circa, mettendo così in ginocchio l’economia. Circa 1500 abitanti, cioè oltre il 35% dei suoi 4000, erano disoccupati.

Il sindaco, Michael Unterguggenberger, meccanico ed ex-ferroviere, dopo un accurato lavoro locale di preparazione presso gli imprenditori, commercianti, banca ed abitanti, fa stampare 32.000 scellini sotto forma di “Bestatigter Arbeitswerte”, qualificati, non come denaro, ma come certificati di valore di lavoro.

I “tagli” di questi certificati erano da uno, cinque e dieci scellini, che scadevano dopo un mese; il possessore, però, poteva prorogarli applicandovi, a proprie spese, una marca – acquistabile in Comune – pari all’1% mensile (ossia il 12% annuo) del valore facciale. L’emissione era «coperta» alla pari: una somma uguale di veri scellini era depositata dal Comune nella locale banca di risparmio. In ogni momento, ogni detentore di «banconote del lavoro» (moneta deperibile) avrebbe potuto presentarle all’incasso e riscuotere scellini.

Venne però stabilito che, per questa operazione, la banca avrebbe riscosso un «aggio di servizio» del 2 %. Allo stesso tempo, questi certificati, potevano essere depositati in banca alla pari (riconoscendo ai titolari del deposito un credito pari al valore facciale) ma non fruttavano interessi; la banca, essendo oberata della tassa “di parcheggio”, era quindi  incentivata a prestarli. Poiché il costo di detenzione della moneta deperibile, 1%, era solo la metà del costo del suo cambio in scellini, di fatto nessuno portò mai all’incasso la nuova moneta.

Tutti gli impiegati del Comune, compreso il sindaco, dal luglio 1932 cominciarono a ricevere metà del loro stipendio in moneta deperibile.

Questi certificati cambiano mano mediamente circa 36 volte al mese, sviluppando, nei 14 mesi dell’esperimento un volume di affari 2.5 milioni di scellini, mentre il denaro “buono” retrocede a circa soli 5 passaggi di mano mensili.

Il comune, accettandoli in pagamento delle imposte e servizi, li rispende immediatamente in opere pubbliche, facendo lavorare tutti i disoccupati: vengono costruiti ex novo un ponte sull’Inn, quattro strade, rimodernate le fognature, ampliata la rete idrica.

“A Worgl si lavorava sodo ed a pieno regime, si vive decorosamente, i prezzi sono stabili, il benessere aumenta”, così racconta Fritz Schwartz.

L’esperimento, che funzionava molto bene, desto l’attenzione dei paesi limitrofi, i quali copiarono l’esperienza. Il comune di Kitzuhel, oltre ad aver incominciato ad accettare i buoni di Worgl, ha emesso 3000 scellini di suoi certificati, ed i 300.000 tirolesi circostanti si interessano a questo modello.

Anche qui il tutto finì per l’intervento della Banca Centrale austriaca. Nell’agosto del 1933, arrivano funzionari della Banca Centrale; l’art. 122 della Costituzione Austriaca, riserva alla Banca Nazionale il diritto di signoria, e Worgl ha commesso un’illegalità e viene diffidato a cessarla. Venne emanato un ordine governativo di ritiro dei certificati che scadeva il 15 settembre 1933; il borgomastro ricorre alla corte suprema, riuscendo a guadagnare un altro bimestre, ma il 15 novembre, dello stesso anno, la corte suprema, deposita la sua sentenza, rigettando l’appello ed archiviando l’esperimento.

Di questo “eccezionale” esperimento, se ne parlò ancora nel “circondario”, arrivando finanche in Svizzera, dove il 24 maggio 1933, nella cittadina svizzera di Winterthur, Unterguggenberger ha tenuto un’affollatissima conferenza (si narra di oltre mille persone); questa conferenza doveva essere ripetuta a Ginevra il 3 settembre, ma non potrà farlo perché gli vien ritirato il passaporto per carico pendente.