L’economia del Bene Comune

di Byologyk, 5 febbraio 2012

Una delle maggiori ingiustizie dell’economia mondiale è che tutte le aziende vengono trattate allo stesso modo. Un’azienda che paga ai suoi dipendenti un giusto compenso per il lavoro svolto o una azienda che produce le sue merci nel rispetto della natura e dei diritti umani viene trattata allo stesso modo di una azienda che non rispetta i diritti dei lavoratori o che inquina l’ambiente. L’economia del bene comune è un modello economico che prevede differenze tra le aziende “virtuose” e quelle che non lo sono.

Questo modello economico appena nato ed in pieno sviluppo, punta a discriminare quelle aziende o multinazionali che non rispettano le regole, l’ecologia o i diritti umani. Il problema più grande della nostra economia è il fatto che essa si basa esclusivamente su indicatori monetari come il  profitto, nel caso delle aziende, o il PIL nel caso di interi paesi. Il problema è che questi indicatori monetari non ci danno una misura del benessere che questa azienda o Nazione produce effettivamente.

Il PIL che ancora oggi viene usato come indicatore del benessere di un paese, non ci dice se una nazione vive una democrazia o una dittatura, non ci dice se in questo paese vengono rispettati i diritti umani, non ci dice se nel paese aumenta la fiducia tra le persone o se aumenta la paura. Allo stesso modo il profitto economico, che è l’indicatore della salute di una azienda non fornisce informazioni riguardo l’etica dell’azienda. Non ci dice se l’azienda produce merci rispettando la natura o distruggendola, Non ci dice se l’azienda sfrutta i suoi dipendenti o meno. È normale che in un sistema economico che prende in considerazione solo il profitto si vengono a creare situazioni in cui le aziende che risparmiano sulla sicurezza o che infrangono i diritti dei lavoratori si trovano in vantaggio rispetto a quelle aziende che rispettano le regole. Ovviamente una azienda che non rispetta le regole può offrire le sue merci o i suoi servizi a prezzi inferiori rispetto a quelle aziende che rispettano tutte le regole. Paradossalmente si crea una situazione in cui i disonesti vedono le loro vendite aumentare proprio in base al fatto che possono offrire prezzi più competitivi.

L’economia del bene comune si propone di risolvere questo problema con l’assegnazione di punti del bene comune. I punti del bene comune vanno da 0 a 1000, vengono suddivisi in 5 fasce alle quali corrisponde un determinato colore. Per cui un consumatore in base al colore attribuito ad un determinato prodotto sa esattamente al momento dell’acquisto se sta comprando un prodotto giusto e solidale o meno. I vanataggi che ottengono le aziende più corrette, che raggiungono un elevato bilancio del bene comune, si traducono in sgravi fiscali, crediti a tassi agevolati, sgravi sulle tasse doganali, precedenza nel caso di acquisti da parte dello stato etc.  Nell’immediato si otterrebbe che i prodotti di quelle aziende che rispettano le regole potrebbero essere offerti a prezzi più bassi rispetto ai prodotti di quelle aziende che non rispettano le regole o che non hanno nessun riguardo per la societá o l’ambiente. In questo video che ho tradotto in Italiano Christian Felberg professore di “Altermondialismo” all’università di Vienna ci spiega come nasce l’economia del bene comune, i principi su cui si basa e i vantaggi che questo tipo di modello economico può offrire. Non è detto che chi si oppone al capitalismo debba per forza essere un comunista e l’economia del bene comune ne è la prova. Nell’economia del bene comune vengono fissati dei limiti massimi e minimi per i salari, dei limiti alla proprietà privata e alle eredità, in maniera da ridurre considerevolmente le diseguaglianze sociali. In questo nuovo modello economico il profitto cessa di essere il fine ultimo di un’azienda e si trasforma in un mezzo per raggiungere le dimensioni ottimali rendendo obsoleta la ricerca della crescita economica costante.

Questo modello è in fase di sperimentazione in Germania, Austria, Italia e Svizzera e si appresta a rivoluzionare il sistema economico attualmente adottato rappresentando finalmente un passo avanti rispetto agli estremi del capitalismo e del comunismo. È Un sistema democratico gestito dal popolo sovrano ed è aperto a qualsiasi miglioria che può essere apportata. Da alcuni sondaggi fatti in Germania e in Austria risulta che il 90% della popolazione desidera un nuovo modello economico che si basi su principi ecologici ed etici e sulle relazioni interpersonali. L’economia del bene comune si presenta come una soluzione valida ed effettiva e sicuramente va approfondita, sviluppata e messa in atto.

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Nasce la moneta municipale in Francia

da Repubblica, 12 gennaio 2012
Due bocconiani in odore di eresia creano una moneta per l’economia reale
Massimo Amato e Luca Fantacci hanno messo a punto una valuta complementare all’euro. Nelle loro intenzioni il bonùs dovrà avviare un circolo virtuoso, creando nuove risorse per acquistare i prodotti delle imprese che aderiranno a un sistema di credito cooperativo. L’esperimento partirà a Nantes, in Francia

di CINZIA SASSO

MILANO – Nascerà in Europa una nuova moneta più democratica dell’euro? Riuscirà l’economia reale – fatta di scambi tra prodotti diversi regolati dal semplice dare e avere – a soppiantare le scatole vuote della finanza che hanno precipitato il mondo in una crisi senza precedenti? Sarà possibile, per guardare avanti, tornare indietro ai tempi del baratto, seppure rivisto e corretto? La folle idea, partita dalle aule dell’Università Bocconi, sta per diventare realtà in Francia, a Nantes, dove Jean Marc Ayrault, il sindaco socialista della città, anche consigliere del candidato presidente Francoise Hollande, ha affidato a due professori italiani il compito di tradurre in realtà un progetto rivoluzionario, quello di implementare una nuova moneta. Potrebbe chiamarsi «bonùs» e diventare una divisa complementare all’euro, su modello di quanto esiste già (dal 1934, nata per superare la crisi del ’29) a Basilea con il «wir». In un momento in cui la crisi finanziaria e la stretta creditizia rischiano di soffocare le economie, il «bonùs» dovrebbe realizzare un sistema di credito cooperativo tra aziende allo scopo di rafforzare l’economia locale e avviare un circuito virtuoso che consenta di avere più risorse a disposizione per acquistare prodotti delle imprese che fanno parte del sistema.

Il progetto nasce dagli studi di Massimo Amato, 48 anni, filosofo e professore di storia delle crisi finanziarie, e Luca Fantacci, 40, che insegna storia e scenari economici internazionali, due eretici della Bocconi, già autori, nel 2009, di un libro tradotto in molte lingue e ignorato in via Sarfatti, “Fine della finanza, da dove viene la crisi e come si può pensare di uscirne”. Solo in Francia, dove Amato ha trascorso due anni come assistant professor all’Institut d’Etudes Avancéès di Nantes, è stato possibile passare dalla teoria alla pratica e avviare il processo che, nel giro di un anno, dopo che già la Banca di Francia ha approvato il progetto, dovrebbe portare alla realizzazione del nuovo sistema monetario. Ciuffo alla Sgarbi, francese perfetto, Amato spiega il nuovo sistema su TEDx 1, citando Aristotele e Keynes. Perché questa idea si ispira esattamente alle teorie dell’economista britannico proposte a Bretton Woods nel ‘44. «E oggi – dice Amato – siamo in un momento di crisi ancora più pesante di quanto fosse in quel dopoguerra ed è indispensabile trovare un equilibrio diverso. Bisogna cancellare la finanza e tornare a un sistema che si basi sull’economia reale, sulla produzione e sullo scambio di beni effettivi». A Nantes è stata individuato l’istituto (il Credit Municipal, di proprietà del Comune) che sarà il modello di questa nuova banca che farà solo servizio pubblico e non avrà interessi privati. Sarà il Credit a tenere i conti degli scambi fra le imprese e fra queste e i privati (i quali, nell’idea di Amato e Fantacci, avranno lo stipendio diviso tra euro e «bonùs»). Mentre oggi è difficile avere credito, con il «bonùs», paradossalmente, non servirà denaro per avere credito perché il circuito creditizio sarà concepito come una camera di compensazione all’interno della quale ognuno dispone di un conto corrente e muove i propri scambi, anche dando servizi in cambio di prodotti. La nascita della nuova moneta sarà anche l’inizio della fine delle banche? Se si guarda all’esempio di Basilea, in Svizzera, la risposta è no. Però, conclude Amato, servirà a togliere alle banche il monopolio di qualcosa che non è loro, il denaro.

(12 gennaio 2012)

Yochai Benkler on How Cooperation Triumphs over Self-Interest

Harvard Professor Yochai Benkler (The Wealth of Networks) is one of the world’s top thinkers on cooperative structures. In his new book, The Penguin and the Leviathan: How Cooperation Triumphs over Self-Interest, he uses evidence from neuroscience, economics, sociology, biology, and real-world examples to break down the myth of self-interest and replace it with a model of cooperation in our businesses, our government, and our lives.

The Future of Money, un video sul futuro del denaro

“C”è  una classe di gente giovane, intelligente, creativa, appassionata che è stata disillusa dal sistema monetario basato sul debito e che si sta occupando di creare – proprio ora – nuove infrastrutture che permettano ad una moneta peer-to-peer basata sui beni comuni di poter emergere, in parallelo con la moneta esistente. E la fondazione di questa economia è basata sulla fiducia, sulla trasparenza e sulla capacità di autoorganizzazione delle reti distribuite.”  è quanto dice  Venessa Miemis sul blog Emergent by design, in merito al progetto “The Future of Money”.  (video con sottotitoli in italiano)

Open Source Ecology, Quattro anni di progetti in quattro minuti

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=pOGg_uQjvvw]

di Lucia Galasso, Evoluzione culturale   – 20 agosto 2011

(…) Leggendo La Repubblica del 17 agosto 2011, a firma di Jaime D’Alessandro, mi imbatto in un articolo che mi colpisce subito dal titolo “Turbine, trattori e pannelli solari, il kit per una civiltà in miniatura”. Scopro così che esiste l’Open Source Ecology, figlia di quella filosofia di condivisione e miglioramento della conoscenza che è l’Open Source nata dapprima in ambito informatico e poi editoriale (e ora declinata in varie realtà).

L’open Source Ecology è una rete di agricoltori, ingegneri e sostenitori che ha come scopo la creazione di una comunità autosufficiente ed eco-sostenibile. Dal fabbisogno alimentare alla costruzione di trattori e stampanti 3D, tutto è progettato per essere fatto da sé.

Il fondatore è un giovane fisico statunitense, Marcin Jakubowski, classe 1973 (bell’annata il 1973), laureatosi a Princeton con dottorato in fisica all’Università del Wisconsin. Nel 2003 Jakubowski ha deciso che l’agricoltura era la sua vera vocazione, il motivo di questo cambio di rotta risiede in un singolo avvenimento che lui descrive così: «Mi trasferii in Missouri comprando una fattoria e acquistai un trattore ma si ruppe. Allora lo riparai e si ruppe di nuovo, finché alla fine non avevo più soldi per andare avanti. Poter accedere a strumenti low cost fatti con materiali riciclabili e pensati per durare una vita e non una manciata di anni è vitale. Ed è esattamente quello che ho fatto: progettare quel che davvero mi serviva, condividendolo online».

Da qui l’obiettivo di dare vita a comunità autosufficienti, eco-sostenibili e a basso costo; senza per questo rinunciare alle comodità della nostra società contemporanea (come dice quella famosa pubblicità? Il lusso è un diritto di tutti). Una possibile via da intraprendere per una decrescita consapevole.

Il primo passo è portare a termine entro il 2012 il Global Village Construction Set, un enorme laboratorio a cielo aperto in cui vengono assemblati 50 macchinari ritenuti necessari per regalare, partendo da zero, una vita senza rinunce a circa 200 persone. Strumenti essenziali come il trattore o il gruppo elettrogeno, il forno e l’automobile, passando per la turbina, i pannelli solari, la macina, il laser di precisione, la pressa per produrre circuiti stampati, la betoniera, l’altoforno. Tutto assemblabile a prezzi stracciati rispetto a quel che offre il mercato, e in più con alcuni requisiti innovativicome fa notare Eugenio Minucci di Alternativa Sostenibile:

  • si utilizzano materiali a basso costo (una macchina industriale di questo tipo costa otto volte meno di una sua equivalente sul mercato);
  • si persegue una logica modulare nella progettazione (un motore, ad esempio, è predisposto per essere assemblato su diverse macchine)

Di ogni macchinario vengono prodotti almeno tre prototipi testati meticolosamente per poi arrivare alla versione definitiva. Che, su richiesta, può esser acquistata da altri agricoltori.

Nel frattempo il verbo del vivere e produrre in maniera diversa viene diffuso via Web. Lo stile di assemblaggio del Global Village Construction Set è pensato per un facile utilizzo, anche lì dove le risorse e le competenze sono scarse. L’uso dei modelli è infatti semplice da imparare, e la possibilità di consultare online i progetti lo rende ancora più approcciabile. Così il reperimento delle risorse (umane e materiali) sul territorio ha un duplice beneficio: economico e di sostenibilità, dando modo alle persone che lo vivono di potenziare le abilità che le rendono autosufficienti proprio sulla base di quella reciprocità che è alla base della socialità primaria, della famiglia, del vicinato e delle reti relazionali.

Il progetto di Jakubowski, si rifà in qualche modo al Nai Talim – l’educazione pratica all’autonomia – di Gandhi, il cui scopo era di soddisfare i propri bisogni grazie alle conoscenze dei saperi e del saper fare necessari a padroneggiare le tecniche di fabbricazione degli oggetti di uso quotidiano, in modo tale che tutti possano avere un livello di vita soddisfacente.

Di riflessione in riflessione mi è venuto in mente questo passaggio preso dal libro di Serge Latouche “Come si esce dalla società dei consumi”:
“[…] Proseguendo su questa strada, Ingmar Granstedt propone la creazione di laboratori vernacolari con attrezzature sofisticate miniaturizzate. Per il tessile, per esempio ‘si potrebbero raggruppare le operazioni di filatura, di stiramento e di tessitura in un’unica piccola macchina delle dimensioni di un armadio, che potrebbe essere collocata in laboratori vernacolari ed essere messa a disposizione degli abitanti del quartiere. […] Lo stesso vale per le macchine per il riciclaggio della carta, di cui esistono già esemplari abbastanza piccoli e semplici da poter essere trasportati su richiesta e affittati a settimana. A una macchina di questo tipo, collocata nel quartiere o nel comune, potrebbero essere aggiunte taglierine, aggraffatrici e incollatrici, in modo che la gente possa fare da sola blocchi e quaderni. Si potrebbe poi aggiungere una fotocopiatrice e altro materiale semplice da riproduzione’. Sulla linea dell’idea dei “villaggi urbani” di Yona Friedman, la società autonoma sarebbe costituita da una molteplicità di comunità geografiche, ciascuna con un proprio centro e un insieme completo di attività diversificate, nelle quali l’esistenza e le relazioni quotidiane ridiventerebbero umane. Il risultato di questa deindustrializzazione, realizzata grazie a strumenti sofisticati ma conviviali, sarebbe la prova che si può produrre diversamente e che la parte della produzione realizzabile in autonomia, pur non essendo totale, è comunque enorme”, pur non essendo totale, è comunque enorme
”.

Il passo successivo? I FAB Lab creati da Neil Gershenfeld, laboratori di fabbricazione personale. Luoghi in cui invece di comprare o ordinare un prodotto è possibile scaricare o sviluppare la sua descrizione , fornendo all’utente il progetto e le materie prime per farselo da sè. Si parte dalla tecnologia per tornare al lavoro artigiano, non a caso il libro di Gershenfeld inizia così “C’era un tempo in cui educazione, industria e arte erano integrate nel lavoro dell’artigiano del villaggio…

Insomma, questo è il nostro futuro: la fabbricazione in proprio di qualsiasi oggetto d’uso comune come terreno per restaurare i rapporti familiari e sociali, riappropriarsi del tempo libero, liberarsi dal consumismo.

Debitocrazia, il film

“Debitocrazia” è un documentario greco di Katerina Kitidi e Aris Chatzistefanou,  prodotto grazie alle donazioni dei cittadini in rete.  Il film individua le cause della crisi economica greca e mondiale e propone soluzioni che vengono occultate dai governi e dai media dominanti.  (video con sottotitoli in italiano)

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